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verbale (linguistica)» (ivi: 246).

142 Cfr. Estetica e romanzo, Bachtin 1979: 168.

143 «Non c’è dubbio che poco importano i confini tra i generi, quando la nostra più immediata, quasi irriflessa esperienza si muove tra “dissoluzione” e “contaminazione” dei generi, incerti se percepire più un “genere nuovo” o una “opera nuova”» (Bagni 1997: 84).

144 Anche Beebee individua nel postmodernismo un nuovo momento di consapevolezza generica: «The force of postmodernism depends profoundly on there being readers sufficiently familiar with the system of genre to appreciate the deliberate confounding of that system» (Beebee 1994: 12).

145 «La concezione più influente del nostro secolo è stata quella dei formalisti russi, che vedevano in ogni epoca il progressivo esaurimento dei principali modelli anteriori, relegati in posizioni periferiche, e l’ascesa di generi inizialmente secondari o popolari» (Guillén 1992: 154).

146 Bagni 2001: 6.

147 La parte teorica di La loi du genre costituisce in realtà un ampio preambolo alla successiva analisi del testo di Blanchot La folie du jour (1973).

148 Derrida 1986: 256.

149 Ivi: 262.

150 «Derrida is right to distinguish between participation and belonging, and to argue that the “participation” of texts in genres cannot mean a subsumption of the members of a class in the closed totality to which they belong» (Frow 2006: 28).

151 La teoria di Derrida, come s’è intuito, poggia anche su quella metafora biologica (qui propriamente sessuale) che ha certamente contribuito a diffondere nel dibattito: «Le “presque toujours” est la marque de cet hymen secret ou irrégulier, de cet accouplement qui est aussi peut-être mélange des genres. Les genres passent l’un dans l’autre. Et on ne nous interdira pas de croire qu’entre ce mélange des genres comme folie de la différence sexuelle et le mélange des genres littéraires il y ait quelque rapport» (Derrida 1986: 280).

152 Genette 1982: 323. A tutt’oggi si tratta di una terminologia ampiamente diffusa, come dimostra ad esempio il suo impiego in Guéret-Laferté, Mortier 2008: 8-9.

153 Genette 1982: 371.

154 «Non è lo stesso contaminare generi – come la novella ed il racconto pastorale – o fondere canali di presentazione – come la narrazione e il dramma – e scrivere o no in versi; e scrivere o no in prosa (Aristotele già sottolineò che Omero ed Empedocle non avevano niente in comune salvo il verso)» (Guillén 1992: 191). Cfr. Aristotele, Poetica: 1447 a, 1451 b 1-7.

155 Cfr. Fowler 1982: 88.

156 Genette 1986: 142.

157 Sinding 2002: 193. «People learn categories from examples and judge things to be more or less representative of the category by judging similarity to a prototype; it then explains such “prototype effects” as resulting from the conflict of our “idealized cognitive models” (ICMs) with our experience» (Sinding 2004: 378). Per gli ICM (Idealized Cognitive Models) vedi Lakoff 1987: 68 ss.

158 Ivi: 489 ss.

159 «Nuovi parametri con cui vedere il mondo vengono assunti per operare su realtà poste sperimentalmente, in laboratorio, attraverso astrazioni immaginative oppure nell’ambito di una realtà letteraria, ma possono essere inadatti per muoverci tra i fatti comuni, non perché rispetto ad essi siano falsi, ma perché in tale ambito possono risultare ancora più utili – almeno per ora – i parametri tradizionali usati da tutti gli altri esseri coi quali abbiamo quotidiano commercio» (Eco 1967: 207).

160 Cfr. Genette 1986: 150 ss.

161 Jakobson 1966: 186.

162 «The most obvious sort of generic mixture is the outright hybrid, where two or more complete repertoires are present in such proportions that no one of them dominates. The component genres of a hybrid will necessarily be of the same scale: they are indeed neighboring or contrasting kinds that have some external forms in common» (Fowler 1982: 183).

163 «L’introduction de la notion de dominante qui organise le système d’une œuvre complexe permet de transformer en catégorie méthodiquement productive ce qu’on appelait le “mélanges des genres”, et qui n’était, dans la théorie classique, que le pendant négatif des “genres pures” […] Il est donc possible de définir un genre littéraire au sens non logique, mais spécifiant des groupes, dans la mesure où il réussit de façon autonome à constituer des textes, cette constitution devant être saisie aussi bien synchroniquement dans une structure d’éléments non interchangeables que diachroniquement dans une continuité qui se maintient» (Jauss 1986: 45).

164 Fowler 1982: 13.

165 Alcuni, come Gosse, sottolineano che l’invenzione del genere può essere collocata non solo in un anno preciso, ma addirittura in un mese, quello in cui Montaigne trova il titolo per la sua opera: marzo 1571 (cit. in France 2005: 24). Dalla cronologia pubblicata nell’edizione degli Essais della collana «Pléaide» (Montaigne 2007: lxxv), l’idea del titolo andrebbe invece posticipata di qualche settimana, almeno fino a giugno. Tuttavia, in relazione alla diffusione dell’opera, lo spartiacque per decretare la nascita del genere sarà piuttosto l’edizione postuma del 1595, da cui verranno ristampate per lungo tempo quelle successive.

166 Per la genesi che porta alla forma originale del saggio di Montaigne, ci allineiamo a quanto scrive Friedrich in un famoso saggio sugli Essais del 1967: «La lettre et le dialogue, à côté de la diatribe apparentée, furent les moyen d’expression essentiels de la philosophie morale de l’hellénisme. Montaigne n’utilise pas ces genres, mais il a de la sympathie pour eux, parce qu’il a le juste sentiment qu’ils sont dans la littérature universelle, surtout sous leur forme antique, un stade préliminaire de son essai» (Friedrich 1984: 368). Parallelamente, anche Fowler sostiene che il saggio nasce dall’assemblamento di altri generi “pedagogici”: «The essay assembled elements of the treatise, the colloquy, the adage, the exemplum or sententia collection, the encyclopedic gathering of authorities, and the Humanistic letter of informal instruction» (Fowler 1982: 157).

167 Vedremo che il passaggio dal plurale al singolare costituirà un indizio linguistico della modificazione della forma del genere nel tempo.

168 Non è da escludere una discendenza dal greco ἐξάγιον, antica unità di misura del peso. Il sostantivo romanzo essai (formatosi dall’aggettivo tardolatino) specifica quindi un solo senso dei tanti dell’antico verbo exigere (per esempio, non quello del famoso exegi monumentum aere perennius oraziano).

169 «The Essais are indie “constructed as a mosaic of quotations” where source-texts, which are put into “dialogue” with one another, are juxtaposed in a way that “confirms, complicates, contradicts” their respective substance and style, thus constantly shifting and relativizing any one authority» (De Obaldia 1995: 234).

170 Giova aggiungere che, commentando il saggio De l’expérience (III: 13), Auerbach intravede nella mescolanza degli stili cui giunge l’operazione di amalgama di Montaigne l’eredità del pensiero cristiano-creaturale, ma ormai spogliato della sua originaria concezione: «Es ist die condition humaine, mit all ihren Belastungen, Problemen und Abgründen, mit all ihrer grundsätzlichen Ungenwißheit, mit all den kreatürlichen Bindungen, die ihr auferlegt sind […] ohne Zweifel wäre solch ein kreatürlicher Realismus ohne die vorausgehende christliche, insbesondere die spätmittelalterliche Vorstellung vom Menschen nicht denkbar […] die Stilmischung ist kreatürlich und christlich. Aber die Gesinnung ist nicht mehr christlich und mittelalterlich» (Auerbach 1946: 295).

171 Montaigne 2007: 428.

172 Montaigne 2007: 151.

173 Montaigne 2007: 844-845.

174 Friedrich 1984: 348-349.

175 Langlet 1995: 230. Ritroveremo questo paradigma nella definizione di travel essay di Good (1988) e ne abbiamo già accennato nell’Introduzione riguardo la saggistica di viaggio.

176 Hass 1969: 47-48.

177 Friedrich 1984: 148.

178 Montaigne 2007: 321-322. A partire da «ne desseigne» il testo segue le aggiunte compiute a mano dall’autore sul cosiddetto Esemplare di Bordeaux (stampato nel 1588) e continuate fino alla sua morte (1592).

179 Du repentir (Montaigne 2007: 845-846).

180 La dimostrazione di Friedrich poggia su verifiche stilistiche e filologiche: «Contrairement à ceux qui reprendront ce titre par la suite, il n’y associe pas une catégorie littéraire, mais une notion de méthode […] Il y a d’ailleurs dans son livre même très peu de passages où il le désigne de ce nom. Ils sont tous tardifs, ne figurant que dans la quatrième édition, puis dans les additions manuscrites. Sinon, quand il veut parler de son livre en tant que production littéraire, il écrit “mon livre, mes escrits, mes pieces, ces memoires”, à moins qu’il ne dise dédaigneusement “ce fagotage, cette fricassée, cette rapsodie, mes brisées”, etc. En revanche, il réserve volontiers “essai” (et “essayer”) pour designer sa méthode intellectuelle, son style de vie, son expérience de soi» (Friedrich 1984: 353-354).

181 De la vanité (Montaigne 2007: 1040).

182 Good 1988: 7. Medesimo giudizio, ma più articolato, esprime Pierre Glaudes: «L’essai ne vise pas, en effet, à donner un langage commun au groupe, mais plutôt à faire surgir des questions, à provoquer des confrontations d’idées» (Glaudes 2002: xviii).

183 Macé 2006: 12.

184 Macé 2004: 34.

185 La matrice linguistica latina non è ovviamente mantenuta nelle lingue germaniche, per esempio quella tedesca e quella inglese, dacché la prima possiede la parola Versuch, saggio proprio in quanto prova (per restare sul fronte letterario, Abhandlung indica il trattato e Aufsatz l’articolo universitario), mentre la seconda conia dal francese essai il termine essay e addirittura un verbo, to assay, dall’antico francese assaier, che significa appunto “saggiare” (cfr. Haas 1969 e Langlet 1995).

186 Cfr. Friedrich 1984: 356.

187 «Das Liebäugeln mit dem Essay, das heute bei vielen Wissenschaftlern festzustellen ist, verrät, daß ein literarischen Selbstbewußtsein spezieller Art fehlt» (Sengle 1969: 18).

188 Atkins 1992: x.

189 Haefner 1989: 263.

190 Ivi: 259. Quest’interpretazione proviene dallo studio pioneristico di Routh, The Origins of the Essay, per il quale il saggio è specchio del saggista, cioè del punto di vista del proprio autore (cfr. Routh 1920: 31).

191 «On aurait bien du mal à inférer du modèle montaignien un ensemble de prescriptions génériques correspondant effectivement au très large champ modern de l’essayistique» (Macé 2002: 404).

192 Per un’enciclopedia dei saggi e dei saggisti (in senso lato, da filosofi a scrittori) cfr. quella curata da Chevalier (1997) e la cronologia divisa per apparizione delle opere approntata da Fraser (1986: xiii-xv).

193 Harold Routh (1920), in uno dei primi studi del saggio, insistette proprio sul fatto che il saggio fosse stato trapiantato in Inghilterra in un clima culturale simile a quello che della Francia nel momento della sua apparizione: mondo caotico in cui nascevano nuove scienze e s’accavallavano crisi religiose senza precedenti.

194 «C’est Bacon qui, utilisant le mot dans le sillage de Montaigne, lui a donné une orientation très différente, impliquant une visée systématique, alors même que le sens d’“essai” s’amoindrissait en France» (Macé 2002: 404).

195 Glaudes, Louette 1999: 66.

196 Starobinski 1985: 186.

197 t. I, p. 595 (cit. da Macé 2006: 27).

198 L’opera di Locke cui abbiamo accennato viene tradotta in francese proprio nel 1700 da Pierre Coste, con il titolo Essai sur l’entendement humain.

199 Da ricordare in questa prospettiva anche il quotidiano «The Tatler», fondato dallo stesso Steele e uscito dal 12 aprile 1709 al 2 gennaio 1711.

200 Cfr. Glaudes 2002: xiii.

201 «The nineteenth century saw many other elegiac transformations, in prose as well as poetry. The type of familiar essay written by Lamb or Hazlitt or Stevenson was incomparably more expressive – and more self-expressive – than that of Bacon» (Fowler 1982: 210).

202 D’altronde, Fowler connette propriamente la nascita e la ripresa della versione privata del genere a condizioni storico-culturali precise: «The use of the essay, for example, a kind expressing liberal interest at first, began with Humanism in the sixteenth century; and one of its forms, the miscellaneous familiar essay, ceased to be popular after the crisis of Humanism in the 1930s» (ivi: 166).

203 Si osservi come il titolo insista sul senso di esame del nome di genere, dacché il saggiatore, al pari dell’exagium tardolatino, era una bilancia di precisione. Non tragga in inganno, al suo interno, la presenza di una forma parzialmente ancora epistolare.

204 Cfr., soprattutto, il volume dal titolo La forma del saggio (Berardinelli 2002).

205 Cfr. Routh (1920) che limita il suo studio comparativo del genere alle sole produzioni inglesi e francesi.

206 La lettura fortemente limitativa della situazione italiana da parte di Riendeau andrà allora stemperata: «L’absence d’essayistes dans une société donnée dépend aussi d’autres facteurs beaucoup plus subtils ou inexpliqués; par exemple, malgré son immense richesse culturelle et littéraire, l’Italie a produit peu d’essayistes majeurs, contrairement à la France, l’Angleterre, l’Allemagne ou l’Espagne» (Riendeau 2000: 44).

207 Macé 2006: 19. Opinione condivisa da altri studiosi del saggio in Francia: «As a response to the uncertainty surrounding textual forms in the twenty-first century, the essai is perhaps the quintessentially fin-de-siècle textual form» (Forsdick, Stafford 2005).

208 Macé 2006: 289.

209 La maggior parte dei lavori critici sul saggio è stata scritta nel Novecento: più precisamente negli anni Cinquanta e negli Ottanta in Spagna, tra gli anni Cinquanta e Sessanta in Germania e in area anglofona tra i Venti e i Trenta e di nuovo tra i Cinquanta e i Settanta (cfr. Butrym 1989: 5).

210 In Spagna, la prima traduzione completa degli Essais di Montaigne data soltanto 1898 ad opera di Constantino Román y Salamero. Il primo libro era però già stato tradotto nel 1634-36 da Diego de Cisneros, ex-carmelitano, con il titolo Esperiencias y varios discursos de Miguel Señor de Montaña, rimasto però allo stato di manoscritto (cfr. Marichal 1984: 63).

211 Cfr. Weinberg 2006: 197 e Id. 2001: 34 ss.

212 Per una storia del saggio in Québec si veda Wyczynski, Gallays e Simard 1985, soprattutto per l’analisi del saggio come veicolo di sentimenti nazionalisti, ma necessariamente da aggiornare con repertori più recenti, essendo l’antologia di Mailhot (1984) anch’essa parecchio datata. Per una panoramica più recente si veda, della stessa autrice, L’essai québécois depuis 1845. Étude et anthologie (2005).

213 Caumartin, Lapointe 2004: 9 ss.

214 Cfr. Langlet 1995: 138-141 e Dumon 1996. Mailhot, nell’introduzione alla sua antologia, mette l’accento sulle parole chiave del saggio in Québec: il paese, l’avvenire, il linguaggio, la cultura, il nazionalismo… (Mailhot 1984: 12). Perciò, si potrebbe dire con Dupuis che «sous couvert d’être un genre neutre, il était le plus tendancieux des genres…» (Dupuis 1995: 66).

215 Per il saggio specificamente femminile in Québec, cfr. Mailhot 1992b: 221-223.

216 Ivi: 193.

217 Ivi: 224.

218 Ricœur 1990: 177.

219 Cap. Heimweg (122): «Ulrich bemerkte nun, daß ihm diese primitive Epische abhanden gekommen sei, woran das private Leben noch festhält, obgleich öffentlich alles schon unerzählerisch geworden ist und nicht einem „Faden“ mehr folgt, sondern sich in einer unendlich verwobenen Flache ausbreitet» (Musil 1978: 650).

220 «The German view of the essay allows for, indie insists on, a counter-balancing trait: intellectual playfulness, the element of homo ludens in the essayist, which usually takes the form of paradox and irony» (Chadbourne 1983: 142-143).

221 Lukács 1991: 26.

222 Lukács afferma in un’efficace metafora: «come Saul, il quale era partito per cercare le asine di suo padre e trovò un regno; così il saggista, che sa cercare realmente la verità, raggiungerà alla fine del suo cammino la meta non ricercata, la vita» (Lukács 1991: 29).

223 Cfr. Starobinski 1985: 186. Il termine “saggismo” contribuisce a indicare negativamente il saggista come autore di opere non approfondite: «Vu de la salle de cours, évalué par le jury de thèse, l’essayiste est un aimable amateur qui s’en va rejoindre le critique impressionniste dans la zone suspecte de la non scientificité» (ivi: 187).

224 «Or il y a eu une certaine tradition universitaire, normalienne, de cette critique pure, de cette critique sèche […] On comprend que la critique, au sens large et vivant où l’entendait Sainte-Beuve, puisse et doive étendre son domaine comme elle l’étendait déjà au XVIème siècle, du côté de chez Montaigne, soit dans le monde des Essais, ou de l’essai. Une critique de moralistes […] complétera toujours une critique de lettrés» (Thibaudet 1936: 462-463).

225 Dahan-Gaïda 2000: 65.

226 «Auffällig ist – und das bringt Benjamin, Broch und Musil wieder zusammen – daß Essayismus und die Form des Essays sich auszuschließen scheinen» (Bachmann 1969: 195).

227 «Pour Lukács, puisque l’essai est une forme d’art, il n’est pas tenu de proposer une vérité (qui pourrait être universelle à l’instar d’un principe scientifique) et encore moins d’imposer une vérité (comme une doctrine théologique, philosophique ou autre). En revanche, il existerait une vérité que chaque essai digne de ce nom serait en mesure de faire ressortir, de mettre au jour. C’est parce qu’il arrive à trouver une vérité personnelle et spécifique que l’essai réussit à s’imposer et aussi à franchir les époques et les cultures» (Riendeau 2000: 50).

228 Lukács 1991: 28.

229 Difficilmente traducibile, se non parzialmente come nostalgia e aspirazione, struggimento o, sulla scorta della filosofia romantica, “dipendenza dal desiderio”.

230 Per un approfondimento del nesso saggio-Sehnsucht cfr. Corredor 1987: 51.

231 Wilde 1995: 82.

232 Przychodzeń 1993: 206.

233 Marcel 2005: 246.

234 Per posizioni simili, cfr. Berardinelli 2002: 10-12 e Graham Good: «The essay is at once the inscription of a self and the description of an object. Self and object are freed from their places in social and scientific systems respectively, but at the price of remaining within the limits of a specific situation» (Good 1988: 23).

235 «Le je tend alors à se laisser occulter, voire avaler, par le nous d’une collectivité assez dévorante, semblerait-il, pour empêcher la libre expression du sujet individuel. Car, derrière le paravent de ses performances stylistiques, un tel je, obstinément tourné vers le corpus socioculturel, est resté voué à une parole de l’extériorité» (Vigneault 1994: 154).

236 Ivi: 21.

237 «L’effacement de l’énonciateur […] donne lieu à un type d’essai cognitif et, à la limite, absolu: la présence du sujet de l’énonciation tendant au degré zéro, celui-ci n’est plus que le truchement d’un discours qui parle à travers lui, celui de la vie accédant à la conscience» (ivi: 167).

238 «Il semble donc légitime de distinguer de l’écriture propre à l’essai tout ce qui porte sur la théorie ou la sémiotique telle qu’on la pratique aujourd’hui, puisque le but avoué de ces disciplines est une systématisation de la littérarité» (ivi: 24). Più della riflessione di Vigneault, è però forse quella di Marcel-Paquette, apparsa all’inizio degli anni Settanta, la più idonea a rappresentare un chiaro tentativo di reazione allo strutturalismo.

239 Il titolo del contributo recita La forma del saggio e le sue dimensioni (cfr. Berardinelli 2007a).

240 Anche Berger, Brée e Morot-Sir propongono una differenziazione incentrata sugli scopi riconducibili al saggio: descrittivo, critico, meditativo e ironico (Berger 1964: 101) oppure, in alternativa, intellettuale, polemico, poetico, visionario e morale (Brée, Morot-Sir 1984: 269).

241 Le opere e gli autori vengono indagati in quanto momenti culminanti di un disegno storiografico; questa modalità è in consonanza con suggestioni presenti già in Wilde: «Where there is no record, and history is either lost, or was never written, Criticism can re-create the past for us from the very smallest fragment of language or art, just as surely the man of science can from some tiny bone, or the mere impress of a foot upon a rock, re-create for us the winged dragon or Titan lizard that once made the earth shake beneath its tread» (Wilde 1995: 142).

242 Good 1988: xii.

243 Genette 1994: 85.

244 Schaeffer 1992: 103.

245 «D’ailleurs, on l’a souvent noté, contrairement au roman, à la poésie ou à la dramaturgie, le XXème siècle n’a pas produit de “grands critiques” de l’essai. Il est impossible de trouver un Bakhtine ou un Lukács dans le champ théorique de l’essai […] L’apport de Lukács à la connaissance de l’essai n’est en rien comparable à ses études sur le roman» (Riendeau 2000: 17).

246 Ne riconoscono la necessità anche Duque e Cuesta 1973: 74.

247 Cfr. la tesi di dottorato di Langlet (1995): cap. 2 della prima parte.

248 Brouillette 1972: 37.

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