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3.1.2. Chiesa della Visitazione


Piccola ma graziosa costruzione barocca a croce greca, che si apre ad angolo tra via XX Settembre e via Arcivescovado. Se­condo il Cibrario, sarebbe stata innalzata nel 1661 su disegno di Francesco Lanfranchi; altri la datano 1667 e l'attribuiscono all'archi­tetto conte Amedeo di Castellamonte. Originariamente la cupola e­ra stata affrescata dal pittore Luigi Vannier, di Chambéry. Il pregevole pulpito è dello scultore Giovanni Valle (1688). L'icona centrale raffigurante la visitazione di Maria a santa Elisabetta è di Ignazio Nepote; il quadro sull'altare a sinistr, con san Francesco di Sales che porge le Costituzioni alla Chantal, è ope­ra di Alessandro Trono; quello sull'altare a destra, con san Vincenzo de' Paoli, è dovuto al novarese Andrea Miglio. I piccoli riquadri sulle colonne rappresentano scene della vita di san Francesco di Sales.

Tra 1860 e 1861 il padre Durando fece restaurare tutta la chiesa. In quella occasione i dipinti della cupola furono rifatti dal Morgari; l'antico coro delle Visitandine venne trasformato in cappella dedicata alla passione del Signore, con decorazioni dello stesso Morgari (1866); già prima però, questo coro serviva come cappella per gli esercitan­di.

È questo l'ambiente nel quale don Bosco trascorse le fervi­de ore di preghiera e di adorazione nei giorni immediatamente precedenti alla consacrazione sacerdotale.

3.2. Chiesa dell'Arcivescovado


(via Arsenale, n. 16; Palazzo: via Arcivescovado, n. 12)
In questa chiesa, dedicata all'Immacolata Concezione di Ma­ria, Giovanni Bosco ricevette la tonsura e gli ordini minori (29 marzo 1840), il suddiaconato (19 settembre 1840), il diaconato (29 marzo 1841) e il presbiterato (5 giugno 1841) dalle mani di mons. Luigi Fransoni arcivescovo di Torino. Con l'ordinazione sa­cerdotale si conclude la prima grande tappa del cammino, lungo e sofferto, seguito da don Bosco nella ricerca della volontà di Dio e nella preparazione alla missione che gli verrà affidata.

La chiesa, con l'annesso palazzo arcivescovile, fu edificata ad opera dei padri Lazzaristi, mandati a Torino dallo stesso san Vincenzo de' Paoli il 10 novembre 1655. La casa venne costruita tra 1663 e 1667; la chiesa, iniziata nel 1675, forse su disegno dell'archi­tetto Guarino Guarini, fu portata a termine nel 1697. La facciata fu conclusa nel 1730, anno della beatificazione di Vincenzo de’ Paoli.

L’altar maggiore, opera di marmorari luganesi, completato nel 1709, è ornato da una bella icona ovale raffigurante l’Immacolata con Bambino.

Il sacro edificio conserva quadri pregevoli. A destra: sul primo altare, san Pietro liberato dal carcere, della scuola del Caravaggio; sul secondo altare, morte di san Giuseppe, di Ales­sandro Mari (1650-1707). A sinistra: sul primo altare san Vincen­zo de' Paoli che predica, di Alessandro Trono (1738) e, sulla volta, af­freschi notevoli del veneziano Giovanni Battista Crosato (1685-1758); sul secondo altare, Anania e san Paolo, di Sebastiano Ta­ricco (1641-1710).

I Missionari di san Vincenzo furono invitati a lasciare que­sta loro prima residenza nel 1776, per sostituire i Gesuiti, sop­pressi da papa Clemente XIV, nel ministero presso la chiesa dei SS. Martiri nell’attuale via Garibaldi. La casa, rimasta libera, venne as­segnata all'arcivescovo di Torino (1777), che da oltre duecento anni era privo di una sede stabile.

Don Bosco e i suoi arcivescovi.


Mons. Luigi Fransoni (1789-1862) abitò il palazzo dal 1832 al 1850, anno della sua cacciata in esilio (morirà a Lione). Di lui don Bosco ebbe grande stima e venerazione, cercando sempre il suo consiglio e approvazione nelle decisioni più importanti.

Ancor chierico, nell'estate 1840, Giovanni venne a visitare l'arcivescovo, “chiedendogli di poter istudiare i trattati del 4° anno in quelle vacanze e così compiere il quinquennio nel succes­sivo anno scolastico 1840-1”. L'accoglienza ricevuta rimane inde­lebilmente impressa nella sua memoria: “Quel santo Prelato mi accolse con molta bontà, e verifi­cato l'esito de' miei esami fino allora sostenuti in semina­rio, mi concedette il favore implorato” (MO 109).


Negli anni successivi tornerà più volte nel palazzo arcive­scovile, o per consigliarsi e raccomandare a mons. Fransoni i suoi progetti e il nascente Oratorio, o per consolare il superio­re osteggiato e perseguitato. Anche durante gli anni dell'esilio lionese manterrà con lui stretti rapporti epistolari. L'arcive­scovo fin dall'inizio incoraggiò e favorì l'opera di don Bosco, che sapeva uomo equilibrato e prete zelante, anche nei momenti più difficili, quando veniva criticato da più parti, ostacolato dalle autorità e abbandonato dai collaboratori. Nelle Memorie dell'Oratorio vengono riportati diversi suoi interventi favorevo­li, alcuni dei quali risultarono decisivi per il proseguimento dell'Oratorio. Il suo appoggio fu determinante specialmente quan­do il marchese Michele Cavour (padre di Camillo), Vicario di Cit­tà, che pure era amico del teologo Borel e di don Bosco, aveva deciso di troncare l'esperimento dell'Oratorio. I tempi erano difficili, frequenti i moti popolari ed egli vedeva con timore le rumorose riunioni domenicali di tanti poveri giovani. Ci racconta don Bosco di una discussione avvenuta proprio in arvivescovado:
“Quando seppe (ndr.: il marchese Cavour) che io aveva sempre proceduto col consenso dell'Arcivescovo, convocò la così detta Ragioneria nel palazzo vescovile, essendo quel prelato allora alquanto ammalato (...).

Quando io vidi tutti quei magnati, disse di poi l'Arci­vescovo, a raccogliersi in questa sala, mi parve doversi te­nere il giudizio universale. Si disputò molto pro e con­tro; ma in fine si conchiuse doversi assolutamente impedire e disperdere quegli assembramenti, perché compromettevano la pubblica tranquillità (...).

Il conte Collegno, che silenzioso aveva assistito a tutta quella viva discussione, quando osservò che se ne proponeva l'ordine di dispersione e definitivo scioglimento, si alzò, chiese di parlare e comunicò la sovrana intenzione, e la protezione che il Re intendeva di prendere di quella micro­scopica istituzione.

A quelle parole tacque il Vicario e tacque la Ragioneria” (MO 162-163).


Durante il periodo dell'esilio di Fransoni, il suo vicario generale, il canonico Giuseppe Zappata, continuò a mostrarsi be­nevolo nei riguardi di don Bosco. Questi, d'altronde, rendeva un prezioso servizio alla diocesi sia perché, essendo chiuso il se­minario, ospitava a Valdocco vari chierici e ne curava la forma­zione; sia perché dalla sua scuola uscivano ogni anno molte voca­zioni per la diocesi.

Tuttavia i rapporti tra don Bosco e i suoi arcivescovi non furono sempre così buoni. Particolarmente dolorose furono le ten­sioni verificatesi nel periodo dell'episcopato di mons. Lorenzo Gastaldi (1873-1883). I due, che pure erano stati grandi amici, per una serie di incomprensioni e di malintesi, amplificati da uomini del loro entourage, ebbero a soffrirne notevolmente. Tale situazione si risolse grazie all'intervento diretto di Leone XIII e alla grande umiltà di don Bosco.

Negli ultimi anni della vita del Santo fu arcivescovo di Torino il card. Gaetano Alimonda (1883-1891) con il quale le re­lazioni ridivennero ottime. Il cardinale, che aveva immensa vene­razione per lui, lo visiterà più volte, particolarmente nell'ultima malattia.



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