Vi è qui una prima difficoltà: per un'Ego trascendentale che, nel corso delle precedenti Meditazioni, si era venuto costituendo come soggettività universale, una tale riduzione a quella che Husserl chiama "sfera appartentiva" ( Eigenheitssphäre ) è davvero possibile? Certo, Husserl lo richiama immediatamente dopo il passo citato, la riduzione non avviene qui all'interno dell'atteggiamento naturale, bensì a partire dal gradino più alto della riduzione trascendentale già compiuta precedentemente. In caso contrario l'epoché non sarebbe che un'astrazione dagli altri concreti (gli altri uomini) e non resterebbe che la mia solitudine. Qui ciò che resta non è la mia solitudine di "uomo solo" nel solipsismo, bensì tutto ciò che mi appartiene intenzionalmente, ivi compresi gli altri da me intenzionati in quanto Altri, nella sfera trascendentale dell'Io in quanto ridotto alle funzioni dell'Ego monadologico.
"Nell'intenzionalità così delineata, dice Husserl, si costituisce il nuovo senso d'essere che oltrepassa il mio ego monadico nella identità che gli è propria e si costituisce un ego non come io stesso, che però si rispecchia nel mio io proprio, nella mia monade. Il secondo ego non è semplicemente presente, datoci autenticamente, ma è costituito come "alter ego", ove quest'ego incluso nell'espressione alter ego sono proprio io stesso nel mio proprio essere. L'altro, per il suo senso costitutivo, rinvia a me stesso;"(ivi, p. 117).
Ma ecco, appunto, il luogo della difficoltà: su cosa fondare la necessità della preminenza dell'Io per la costituzione dell'estraneità? Nel testo citato pare che le parole vengano da sé: poiché l'"ego" incluso nell'espressione "alter ego" sono proprio io stesso, l'altro rinvia a me stesso. Eppure vi è il vago sapore di un paralogismo. Cosa dovremmo farne della frase che leggiamo alla pagina seguente, quando si tratta di caratterizzare la sfera di proprietà dell'Ego: "In quanto trascendentalmente atteggiato, io cerco innanzitutto di delimitare la sfera del mio-proprio al di dentro del mio orizzonte trascendentale di esperienza. E' la sfera, dico dapprima, del non-estraneo."(ivi, p.118)? L'avevamo già visto più sopra: la riduzione alla sfera appartentiva era un'astrazione rispetto a tutto ciò che si dà come estraneo. Ora si tratta di ritrovare l'estraneità all'interno del mio-proprio che abbiamo potuto raggiungere negando, o sospendendo, l'estraneità primaria. Husserl, molto chiaramente, non si nasconde il paradosso, cerca anzi di assumerlo e di percorrerne fino in fondo le difficoltà. L'impressione tuttavia è che il problema resti e che imprima a questo tema fondamentale della fenomenologia matura, e al pensiero che lo inquadra, un carattere decisamente circolare. Il problema è: cosa dobbiamo assumere come originario? Vedremo che questa è la stessa domanda che ci si porrà a proposito delle considerazioni che compirà Husserl sul "mondo della vita" nel corso della Crisi. Non si tratta di una casuale coincidenza, bensì precisamente del fatto che la fenomenologia, nella sua fase matura, incontra una stessa difficoltà che si rispecchia in tutti i luoghi del suo procedere. E' la difficoltà, per avanzare quella che sarà la mia conclusione, che consiste nell'impossibile esigenza di conciliare l'istanza fondativa e universalizzante della riduzione fenomenologica con l'aderenza programmatica alle determinazioni concrete della soggettività come vissuti di coscienza.
Ma, per tornare alla nostra domanda, cosa dobbiamo assumere come originario: la sfera della soggettività trascendentale che è, immediatamente, intersoggettività (poiché altrimenti il mondo non si darebbe oggettivamente), o l'Ego ridotto alla sua sfera d'appartenenza, l'Ego di ciò-che-mi-è-proprio, a partire dal quale posso costituire l'alterità precisamente come Alter-ego? La difficoltà si riproduce nel fatto che, per ridursi alla propria sfera d'appartenenza, l'Ego trascendentale rinuncia alla riduzione propriamente trascendentale. Nonostante gli sforzi che Husserl compie per salvaguardare lo strato trascendentale cui era pervenuto con la Quarta delle Meditazioni, la presente riduzione, per avere un resto, ritrova immediatamente un Ego costituito nella propria identità psico-fisica, un Ego "personale" che emerge direttamente nell'auto-appercezione. Ma quest'Ego personale, è noto, è il prodotto di un'attività complessa di identificazione, non certo l'immediata soggettività trascendentale nella sua purezza. Non si può più dire allora che l'intersoggettività viene fondata in un Ego trascendentale ridotto, poiché quest'Ego non è più propriamente trascendentale.
E' questa anche la ragione per cui pare così difficile una fondazione della soggettività concreta in uno dei due sensi unici possibili: dall'Ego personale alla comunità degli Alter-ego o, viceversa, dalla comunità degli Alter-ego all'Ego mio-proprio. Come mantenere, in sostanza, la trascendentalità nelle determinazioni di senso di quel "mio" che compare costantemente in tutte le espressioni che si riferiscono all'Ego ridotto? Chi dice "mio", chi dice "altrui" per ciascun Alter-ego? E' questo un problema che percorre sotterraneamente il tema dell'intersoggettività, con solo qualche sporadica apparizione sulla superficie del testo, anche nel corso della Crisi. E' il problema della pronominalità con cui inevitabilmente la soggettività si manifesta e si esprime, il problema della linguisticità originaria di ogni concretezza. Ma su questo avrò modo di essere più esplicito.
La V Med. non è solo un luogo d'osservazione privilegiato per le difficoltà in cui si imbatte la fenomenologia dell'ultimo Husserl, ma anche un terreno di confronto per quelle che appaiono come, vorrei dire, tecniche descrittive. Così, quantomeno con lo sguardo dell'oggi e dopo l'esperienza semiotica, i passaggi successivi a quelli che abbiamo appena esaminato presentano delle curiose debolezze. Mi riferisco ai due modi essenziali in cui l'Ego mio-proprio procede alla costituzione dell'alterità in quanto alterità di Alter-ego. Per essere costitutive, le procedure di risalita verso l'esperienza dell'estraneo, intenzionata dall'Ego mio-proprio, risultano curiosamente riduttive anche sul piano più strettamente descrittivo. Esse si riducono all'analogia (che è la caratteristica dell'"appresentazione") e all'accoppiamento come funzioni pre-logiche di grande generalità. La loro sintesi nell'intenzionalità dell'Ego consentirebbe, secondo Husserl, il fatto che l'apparizione di un corpo organico ( Leib ) altro-che-il-mio nel mondo diventi l'accesso per il trasferimento del senso "Ego" all'estraneo. Ma come può un principio d'analogia, peraltro non meglio specificato, o un'associazione secondo il modo dell'accoppiamento, categoria questa quantomai empirica, superare il paradosso fondamentale dell'alterità? Si capisce come essi possano indicare la via (anche se comunque questa resterebbe tutta da articolare) per l'omologazione di oggetti del mondo; non si vede invece come possano superare lo iato costitutivo che si stabilisce tra un Ego di coscienza, per il quale tutto è fenomeno-per-me, e l'effettiva esistenza di altri Ego di esperienza per i quali, in linea di principio, tutto è, allo stesso titolo, fenomeno-per-ciascuno.
Husserl non si nasconde le difficoltà e tenta di mantenere aperto il percorso che sta tracciando attraverso l'introduzione di un ulteriore criterio, meno generico e certo più duttile nella sua operatività: si tratta del principio della concordanza dei comportamenti altrui, sulla base del quale la facoltà immaginativa dell'Ego originario può operare il transfert di soggettività e riconoscere nell'armonia di senso dei moti significativi di un corpo organico estraneo l'unità intenzionale di una soggettività-altra. Questo è un passaggio di estrema importanza. E' qui che si apre una via di accesso per una problematica propriamente intersoggettiva ed è qui che ricompare in tutta la sua invadenza il problema della reciprocità degli Ego nella comunità monadologica. A questo passaggio sono intrecciati, e grazie ad esso lo sono tra loro, diversi elementi che assumono una grande importanza agli occhi del semiologo: l'intersoggettività come comunità di monadi e la loro reciprocità all'interno della comunità, la concordanza come criterio inter-monadico di costituzione che coincide con il criterio intra-egologico della sintesi di identità, la natura semiotica di tale procedura di costituzione intersoggettiva e, infine, la natura immanente alle relazioni inter-monadiche, comunitarie, della trascendentalità del soggetto universale di esperienza. Tentiamo di esplicitare questo intreccio.
Il criterio di analogia e quello di associazione accoppiativa, per il riconoscimento dell'Altro come "mio simile", restano criteri vaghi e indeterminati se non vengono riempiti di un contenuto di esperienza. Ora, ciò di cui fa esperienza il soggetto posto di fronte all'Altro non è soltanto la presenza di un corpo collocato nel mondo degli oggetti, bensì fa esperienza di un corpo-proprio altrui, di un corpo organico che mette in atto dei comportamenti. E' precisamente a partire dalla concordanza di tali comportamenti che l'Ego si sente autorizzato a immaginare che quel corpo organico sia esso stesso un soggetto di esperienza, ricettacolo esso stesso di quella spiritualità in cui si incarna nel mondo la soggettività trascendentale. Ma questo passaggio produce immediatamente la reciprocità dei soggetti, non soltanto perchè se l'Alter-ego è davvero un Ego, Io sarò per lui un Alter-ego allo stesso titolo (cosa che non inficierebbe in linea di principio l'esigenza di una fondazione trascendentale di questo rapporto a partire dal polo egologico), bensì anche perchè il criterio adottato, quello della concordanza, viene a coincidere col criterio che consente all'Ego di riconoscersi come identico attraverso il flusso dei suoi vissuti di coscienza. Al di là della differenza di natura che Husserl vuole difendere tra la sintesi di identità, intra-egologica, e la sintesi di accoppiamento, inter-monadica, nel momento in cui il transfert di soggettività si concretizza nel riconoscimento della concordanza dei comportamenti il principio fungente torna ad essere il medesimo; nei due casi si tratta di una sintesi di identità, nel primo caso è una sintesi-per-me, nel secondo una sintesi-per-ciascuno. Né vale una differenziazione per gradi di immediatezza, poiché a rigore, anche per la sintesi di identità interna all'Ego nella sua singolarità si ha esperienza immediata soltanto della presenza: ogni momento in cui l'Ego è stato o sarà costituisce un Alter-ego interno da identificare con l'Ego presente. Vi è, in quel caso, una concordanza nello stile di esperienza che consente l'identificazione degli Ego plurimi che sono stati in me, così come ora vi è concordanza di comportamenti in uno stile che è indice di una soggettività vivente nel corpo organico che mi sta di fronte in tutta la sua estraneità. Ciò che più conta è che questo è un criterio semiotico. Esso può produrre le sue sintesi soltanto sulla base di un'intenzionalità di senso che si traduce nell'interpretazione dei comportamenti come segni di una soggettività operante. Husserl si esprime nel seguente modo:
"Il corpo organico estraneo, di cui ho esperienza, si rende noto progressivamente come vero corpo organico solo nel suo comportamento esteriore mutevole ma sempre concordante, che è tale da mostrare sempre il suo aspetto psichico alludente appresentativamente alla psichicità che deve ora comparire nella pienezza di un'esperienza originale [...] Se la concordanza non ha luogo, il corpo organico viene esperito come mera parvenza. Il carattere d'essere dell'estraneo si fonda su questo processo in cui l'originalmente irraggiungibile è raggiunto confermativamente. Tutto ciò che può mai rendersi presente e manifestarsi come originale sono soltanto io stesso o appartiene a me come mia proprietà. Ciò che mediante me stesso e la mia appartenenza è esperito nel modo derivato d'una esperienza che non può soddisfarsi primordinalmente e non si dà da sé in modo originale ma è indiziato da conferme conseguenti, è estraneo." (ivi, pp. 134-135).
Si tratta dunque di una struttura di attese e di conferme che si esercita su dei dati segnici, degli indici che si realizzano nel comportamento dell'estraneo e che ne fanno, se confermati appunto, un Alter-ego nella comunità delle monadi. E' Husserl stesso ad accennare di sfuggita a questo carattere esplicitamente semiotico della relazione intersoggettiva laddove, sviluppando il parallelo tra le due sintesi di identità sotto la forma della concordanza, quella intra-egologica e quella inter-monadica, egli dice:
"Come ora il mio passato rimemorato trascende il mio vivente presente modificandolo, così analogamente l'essere estraneo dato nell'appresentazione trascende l'essere mio proprio [...]. Dall'una parte e dall'altra la modificazione sta, come momento di senso, nel senso stesso; essa è il correlato dell'intenzionalità che la costituisce."(ivi, p. 135).
Ora, diremmo noi, quest'intenzionalità è un'attesa di senso, un'attesa che è portata e tenuta ad interpretare segni ("indici" secondo la ripartizione dei segni che Husserl aveva proposto nella Prima Ricerca Logica) per una verifica confermativa delle proprie anticipazioni. E' un momento di senso che, nel senso stesso, risponde ad un'intenzione riempitiva per un contenuto di coscienza. Il passaggio da un trascendentale egologico ad una intersoggettività trascendentale avviene precisamente tramite l'inserzione di una problematica semiotica dell'interpretazione come superamento dell'immediatezza, di quell'intuizione evidente nella presenza, che costituiva il terreno dell'auto-appercezione del soggetto egologico singolare. Solo che, grazie al parallelo stabilito tra le due sintesi di identità, quella che omologa nel senso la alterità delle monadi e quella che omologa, pure nel senso, i momenti temporali dei vissuti di coscienza, l'immediatezza della presenza dell'Ego a se stesso si svuota di contenuto e resta l'indicazione di un luogo formale di fondazione al quale è impossibile far corrispondere alcun senso concreto.
Questa, che può parere un'obiezione per troppi aspetti esterna allo stile di pensiero della V Med., trova in realtà una rispondenza di grandi dimensioni negli esiti stessi di quel testo e, più in generale, dell'insieme delle Meditazioni Cartesiane. Ritroviamo qui l'ultimo di quegli elementi che avevamo indicato più sopra come costitutivi di quell'intreccio fertile di questioni legate al passaggio all'intersoggettività trascendentale. Si tratta in realtà di due elementi tra loro strettamente connessi: quello della trascendentalità nell'immanenza delle relazioni inter-monadiche e quello dell'irruzione stessa del termine "monade", e di tutta la terminologia derivata, nella fenomenologia dell'ultimo Husserl. Perchè il termine "monade" sostituisce con sempre maggiore frequenza, nelle ultime pagine delle Meditazioni Cartesiane, i richiami e riferimenti necessariamente espliciti e centrali al Cogito e all'Ego di tradizione cartesiana? Nella sua "Presentazione" all'ultima edizione italiana delle Meditazioni (la stessa che noi citiamo), Renato Cristin sottolinea, giustamente, l'importanza di questa sostituzione:
"Avvertiamo un passaggio, terminologico ma anche di contenuto, dall'ego alla monade, uno spostamento di tono che mette progressivamente in evidenza il ruolo relazionale della monade. Come un moltiplicatore di velocità, la monade consente di passare da una situazione all'altra, dall'io all'Altro, con una facilità maggiore rispetto alla lentezza di movimento dell'ego cartesiano." (ivi, p. XV).
Se è vero, come ricorda lo stesso Cristin, che un risalto nuovo e più fecondo ad un tale spostamento è possibile darlo soprattutto con gli occhi dell'oggi, dopo tutta l'esperienza della fenomenologia post-husserliana, è anche vero che un lettore "datato" di Husserl quale è Ricoeur aveva già messo nella dovuta luce questo passaggio e i problemi che vi sono connessi. Nello stesso articolo che ho più sopra citato, Ricoeur riallaccia la problematica monadologica a due questioni di grande rilievo per tutta l'architettonica della V Med.: da una parte si tratta di rendere conto di quella che abbiamo precedentemente indicato come questione della reciprocità, dall'altra di fare i conti con l'esigenza, espressa esplicitamente da Husserl, di sistematicità della sua filosofia. Relativamente al primo punto, il problema, seguendo l'andamento stesso della V Med., è il seguente: una volta posta la molteplicità degli Alter-ego, nella quale l'Ego stesso viene ormai riconosciuto come un Alter-ego tra gli altri, come è possibile parlare di una stessa Natura, di uno stesso e solo mondo oggettivo quale correlato di una soggettività universale? Come è possibile contenere la moltiplicazione dei mondi-per-ciascuno quale possibile correlato della moltiplicazione degli Ego fungenti? Dice Ricoeur:
"En quel sens l'ensemble de la nature pour moi est-il le même que l'ensemble de la nature pour l'autre? La notion intermédiaire qu'il faut ici introduire est celle de perspective: mon corps est l'origine zéro d'un point de vue, d'une perspective, qui donne une orientation déterminé au système de mes expériences; je comprend qu'autrui a une autre expérience qui oriente autrement son système d'expériences; [...] Ce recours à la notion de perspective paraît très leibnizien." (1986, p. 214).
Questo ricorso alla nozione di prospettiva è di estrema importanza per cogliere il senso vero del passaggio o spostamento terminologico da "ego" a "monade". Senza che il ricorso alla riduzione trascendentale perda il suo valore filosofico costitutivo, ciò che avviene è un mutamento di contenuto per quanto riguarda il "resto" della riduzione. Lo spostamento verte sulle determinazioni della soggettività trascendentale che perde i caratteri positivi, vorrei dire "atomistici", di un'intuizione immediata nella presenza di un Cogito a se stesso, nell'auto-evidenza dell'Io pensante a se stesso pensante, per acquisire invece i caratteri relazionali, già in un certo senso relazionali e topologici, di un punto di vista, di una prospettiva appunto, che si inserisce, e ne trae la propria natura, in una comunanza di punti di vista, sempre diversi ma trascendentalmente identici, prospettiva tra prospettive tutte convergenti, sebbene indefinitamente, su un mondo che è il correlato intenzionale della soggettività fungente. Un tale mondo è un mondo che trascende il punto di vista singolo perchè è per-esso che si dà, sempre di fronte ad esso, sempre sotto una certa prospettiva, ma è contemporaneamente un mondo che, per essere il correlato oggettivo di una comunità intenzionale, include pur sempre i diversi punti di vista, i quali solo nella loro reciproca inerenza hanno propriamente un mondo. Questa inclusione è precisamente il prodotto della costituzione dell'alterità, della costituzione trascendentale della comunità delle monadi; è grazie alla mediazione di questa costituzione che diventa allora comprensibile, nell'ottica della fenomenologia husserliana, il fatto che il mondo sia contemporaneamente luogo e oggetto della soggettività, terreno e prodotto dell'intenzionalità. E' perchè l'Altro, l'altro punto di vista, è nel mondo-per-me e contemporaneamente costituisce con-me il mondo, che io posso intendere come dispiegato il paradosso dell'alterità; ciò è anche perchè l'Altro, pur non essendo mai me stesso, è esso stesso un punto di vista, in modo identico a me stesso in quanto punto di vista, in quanto prospettiva, grado zero della costituzione. Ego e Alter-ego, pur nella loro irriducibilità, sono pur sempre identici nel loro fungere intenzionale, nel loro essere insieme costituenti il mondo di cui fanno parte. Ma in ciò l'Ego non è più il soggetto del Cogito cartesiano; il Cogito ha dovuto essere superato verso uno strato più generale e fondamentale dal punto di vista della ricerca trascendentale. E' divenuto monade, centro permutabile di uno sguardo, di una irradiazione di senso, un per-me che è contemporaneamente per-altri, allo stesso titolo per cui gli altri, le altre monadi, sono nel mondo-per-me.
La soggettività trascendentale, così radicalizzata, ne guadagna in universalità e, ciò nonostante, si singolarizza in ogni per-me che si realizza di volta in volta come centro per il senso intenzionato. La nozione topologica di "centralità", che è l'esito formale del percorso di radicalizzazione trascendentale dell'Ego compiuto da Husserl nelle Meditazioni Cartesiane, si innesta così in una concezione relazionale della soggettività propria dell'idea di comunità monadologica. L'essere centrale di ogni soggettività singolarizzata verrà non già superato ma ricompreso all'interno di una rete comunitaria e intersoggettiva di molteplici Alter-ego. Tutto ciò risulta estremamente chiaro nel seguente passaggio di Husserl:
"Partendo da me, inteso costitutivamente come monade originaria, io ottengo le monadi per me altre o anzi gli altri come soggetti psico-fisici. Questo vuol dire che io non li ottengo solo come quel che sta di contro al mio corpo organico e in virtù di un accoppiamento associativo, riportandoli alla mia esistenza psico-fisica che, più in generale e in modo intelligibile, è l'elemento centrale anche del mondo della comunità preso nel grado ora considerato [...]. Io li ottengo piuttosto nel senso di una comunità umana, dell'uomo stesso il quale già come individuo ha il senso di un membro della comunità [...]; ora è proprio di questo senso di comunità umana il rapporto costituito dall'essere l'uno per l'altro, rapporto che determina la parificazione del mio esserci con quello di ogni altro. E perciò io e ognuno siamo ciascuno un uomo tra gli altri uomini." (Med. Cart., pp. 147-148).
La differenza essenziale tra la concezione monadologica di Husserl e quella di Leibniz consiste nel fatto che mentre in Leibniz le varie prospettive rappresentate dalle monadi vengono garantite nella loro coesistenza armoniosa dal fungere di un punto di vista superiore e trascendente, dallo sguardo di Dio che integra i molteplici punti di vista nell'idea metafisica dell'armonia universale, qui l'integrazione si fa immanente alle relazioni costitutive della comunità delle monadi. Ricoeur formula così la specificità della monadologia husserliana:
"Or, nulle vue plongeante est permise chez Husserl: c'est toujours latéralement, et non de haut, que chacun découvre que le même monde est saisi sous des points de vue différents." (1986, pp. 214-215).
Una tale precisazione, ovviamente, è di dovere, né la differenza tra le due concezioni potrebbe sfuggire. Resta il fatto che essa riveste un'importanza considerevole nell'economia del presente studio, poiché essa consente di passare alla considerazione di due importanti questioni che vi si ricollegano. La prima è di carattere più generale e si trova a costituire il leit-motiv di tutto il mio lavoro: potremmo indicarla, nei termini di questo capitolo, come il passaggio dal trascendente al trascendentale in quanto caratterizzante tutta una linea di pensiero che va da Descartes al criticismo kantiano fino alla fenomenologia e che, questa sarà la mia tesi principale, investe in pieno la semiotica di ispirazione strutturale. La seconda merita invece di essere sviluppata ora e consiste nell'incremento del carattere di formalità che va riconosciuto ad un "trascendentale immanente" - da non confondersi con la "trascendenza nell'immanenza" su cui insiste Husserl proprio nella V Med. - verso cui porta la concezione orizzontale, "laterale", della monadologia fenomenologica.
Tocchiamo finalmente un punto cui ho più volte accennato, quello che concerne l'esigenza di sistematicità dell'intero progetto filosofico che si delinea nella fenomenologia matura dell'ultimo Husserl. Le dichiarazioni di intenti ricorrono esplicitamente lungo tutte le Meditazioni e le ritroveremo nella Crisi: la radicalizzazione trascendentale della soggettività ottenuta grazie alle riduzioni fenomenologiche deve consentire la fondazione di una filosofia finalmente scientifica, autenticamente scientifica nel suo rapporto con l'oggettività costituita. E' quello che il primo Husserl amava chiamare il "ritorno alle cose stesse". Di questo progetto è parte essenziale la necessità che la filosofia si renda capace di divenire il terreno per una Ragione che si automanifesta nella costituzione della realtà di cui essa stessa, nella propria intenzionalità trascendentale ritrovata, è la significazione. Ma la Ragione è scienza e conoscenza. Il problema di Husserl è quello di conciliare una egologia trascendentale, non determinante in sé e per sé, con la costituzione intersoggettiva del mondo oggettivo rispetto al quale il problema della scientificità e sistematicità viene a porsi. L'orientamento di Husserl al riguardo si fa esplicito nel paragrafo intitolato "Risultati metafisici della nostra esposizione del problema dell'estraneità". In esso Husserl trae alcune delle conseguenze possibili relative all'unicità e coerenza del mondo oggettivo così come esse discendono dalla costituzione inter-monadica dell'oggettività. Conseguenza del fatto che il mondo oggettivo si costituisce nella comunità delle monadi tramite la concordanza confermativa e dell'alterità e della sua esistenza effettiva, è che il mondo, per tutte le monadi compresenti, è unico e partecipa di una stessa e sola temporalità. Aggiunge però Husserl:
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