CAPITOLO SETTIMO
Libro IV:389 - 7, 1. Giovanni, che ormai aspirava a un dominio di carattere personale, era insofferente di aver dignità uguale a quella dei suoi pari e, attirando a sé un po' alla volta alcuni dei più facinorosi, si estraniò dal gruppo al potete.
Libro IV:390 Egli contravveniva sempre agli ordini emanati dagli altri mentre imponeva inflessibilmente il rispetto di quelli emanati da lui, e fu chiaro che pensava a farsi padrone assoluto.
Libro IV:391 I suoi seguaci erano mossi parte dal timore, parte dalla simpatia (essendo egli molto abile a conciliarsela con raggiri e discorsi), mentre erano in parecchi a pensare che alla loro incolumità conveniva che la colpa dei misfatti ricadesse ormai non su molti, ma su uno solo.
Libro IV:392 Il suo energico impegno nell'agire e nel far piani gli guadagnò non pochi partigiani,
Libro IV:393 ma grande rimase, anche il numero degli avversari. Fra questi si faceva sentire l'invidia, perché non sopportavano di dover ubbidienza a chi prima era un loro pari, ma fu soprattutto la preoccupazione di evitare l'instaurarsi di un regime monarchico ad allontanarli da Giovanni;
Libro IV:394 una volta impadronitosi del potere non sarebbe stato facile abbatterlo, ed essi avrebbero avuto contro di sé un motivo di avversione nell'averlo osteggiato al principio. Perciò ognuno preferiva affrontare i rischi di una lotta anziché piegare volontariamente la schiena e fare la fine di uno schiavo.
Libro IV:395 Tale fu l'origine della spaccatura fra le due fazioni, e Giovanni nei confronti dei suoi avversari prese a comportarsi come un re nemico.
Libro IV:396 Tuttavia nei loro rapporti si limitarono a un vicendevole controllo, e poche, se non addirittura nessuna, furono le occasioni in cui scesero in lotta aperta; la loro rivalità si sfogava sul popolo e facevano a gara a chi lo tartassava di più.
Libro IV:397 Dei tre mali peggiori che ora affliggevano la città, la guerra, l'oppressione e la lotta delle fazioni, quello che al popolo sembrava il più lieve al confronto degli altri era la guerra, e sta di fatto che essi, fuggendo dai compatrioti, cercavano scampo presso stranieri, e chiedevano ai romani quella sicurezza che disperavano di poter trovare in patria.
Libro IV:398 - 7, 2. Ma ancora un quarto malanno sopraggiunse a provocare la rovina della nazione.
Libro IV:399 Non lontano da Gerusalemme era una fortezza munitissima, di nome Masada, costruita dagli antichi re per depositarvi i tesori e a riparo delle loro persone in caso di guerra.
Libro IV:400 L'aveva occupata la banda detta dei sicari, e fino a quel momento si era limitata a taglieggiare il territorio circonvicino prendendo soltanto il necessario per vivere, perché la paura li tratteneva dall'estendere le ruberie.
Libro IV:401 Ma poi seppero che l'esercito dei romani non si muoveva e che in Gerusalemme i giudei erano dilaniati dalle lotte civili e dall'insorgere di un'oppressione monarchica, e allora intrapresero scorrerie a più largo raggio.
Libro IV:402 Il giorno della festa degli Azzimi, che i giudei celebrano nella ricorrenza della liberazione dalla schiavitù in Egitto fin da quando fecero ritorno in patria, di nottetempo, senza farsi notare da chi poteva opporsi ai loro disegni, scesero a dar l'assalto a una cittadina di nome Engadde.
Libro IV:403 Quivi gli abitanti in grado di opporre resistenza, prima che potessero prendere le armi e radunarsi, li dispersero costringendoli a fuggire dalla città, mentre chi non poteva fuggire, le donne e i bambini, li uccisero in numero di oltre settecento.
Libro IV:404 Poi svuotarono le case, s'impadronirono dei prodotti agricoli più maturi e trasportarono il bottino a Masada.
Libro IV:405 Allo stesso modo razziarono tutte le borgate nei dintorni della fortezza e depredarono tutto il territorio, mentre le loro file s'ingrossavano ogni giorno per l'arrivo da ogni parte di non pochi delinquenti.
Libro IV:406 Inoltre anche nelle altre regioni della Giudea entrarono in azione le bande dei briganti che fino a quel momento non s'erano mosse, come avviene in un corpo quando, ammalandosi una parte vitale, ne risentono tutte quante le altre.
Libro IV:407 La discordia e il disordine nella metropoli fecero sì che i briganti sparsi nel paese si abbandonassero impunemente alle rapine e tutti costoro, dopo aver saccheggiato i propri villaggi, si ritirarono nel deserto.
Libro IV:408 Quivi legandosi con un giuramento si raccolsero in gruppi, meno numerosi di un esercito ma più nutriti di una banda, e si gettarono su templi e città,
Libro IV:409 infliggendo alle loro vittime i danni che avrebbero subito in una guerra perduta e senza la possibilità di una rivincita perché, alla maniera dei briganti, sparivano appena raccolto il bottino. Non v'era distretto della Giudea che non fosse straziato dagli stessi mali della capitale.
Libro IV:410 - 7, 3. Di tale situazione Vespasiano era informato dai disertori; infatti, sebbene i rivoluzionari tenessero sotto controllo tutte le vie d'uscita e passassero per le armi chiunque cercava di violare il blocco, non mancò tuttavia chi riuscì a farla franca e poi, rifugiatosi presso i romani, insisteva presso il capo perché si muovesse a soccorrere la città e a salvare ciò che restava del popolo:
Libro IV:411 era per la loro simpatia verso i romani se i più avevano perduto la vita e i superstiti correvano pericolo.
Libro IV:412 Vespasiano, che già provava pietà per le loro sventure, si mise in marcia; si sarebbe detto che andava ad assediare Gerusalemme, ma in realtà egli si recava a liberarla dall'assedio.
Libro IV:413 Però bisognava prima assoggettare il resto del paese, e non lasciar fuori nulla che potesse poi intralciare l'assedio. Pertanto, presentatosi dinanzi a Gadara, la forte capitale della Perea, il quarto giorno del mese di Distro fece il suo ingresso nella città.
Libro IV:414 I notabili, desiderosi di pace e preoccupati per le loro sostanze, avevano trattato con lui la resa senza che i rivoluzionari ne avessero sentore, ed erano molti i ricchi fra gli abitanti di Gadara.
Libro IV:415 Le loro trattative restarono segrete agli avversari, che ne vennero a conoscenza quando Vespasiano era ormai vicino; essi allora abbandonarono ogni speranza di poter assumere il controllo della città, essendo inferiori di numero ai loro oppositori di dentro e vedendo non lungi i romani. Decisero pertanto di fuggire, ma non senza aver prima fatto scorrere il sangue ed essersi vendicati sui responsabili.
Libro IV:416 Perciò catturarono Doleso, che non solo era il primo dei cittadini per dignità e per nobiltà di natali, ma era anche ritenuto l'ispiratore delle trattative, lo uccisero e, dopo aver fatto scempio del cadavere nel colmo del loro furore, fuggirono dalla città.
Libro IV:417 Poco dopo arrivava l'esercito romano; il popolo di Gadara accolse Vespasiano con festose acclamazioni e ne ottenne rassicuranti garanzie e un presidio di cavalieri e fanti a difesa dalle incursioni dei fuggitivi;
Libro IV:418 il muro infatti, prima ancora che i romani glielo chiedessero, lo abbatterono essi stessi per confermare così la loro volontà di pace con l'impossibilità, ormai, di far la guerra anche se lo volessero.
Libro IV:419 - 7, 4. Contro quelli fuggiti da Gadara Vespasiano inviò Placido, con cinquecento cavalieri e tremila fanti, mentre egli col resto dell'esercito prese la via del ritorno a Cesarea.
Libro IV:420 I fuggitivi, all'improvvisa apparizione dei cavalieri inseguitori, prima di venire a battaglia si radunarono in un villaggio di nome Bethennabris dove,
Libro IV:421 avendo trovato un non piccolo numero di giovani, li armarono alla meglio chi di buon grado, chi a forza, e si gettarono all'attacco degli uomini di Placido.
Libro IV:422 Questi al primo assalto cedettero un poco, anche con l'intenzione di attirarli a una certa distanza dal muro;
Libro IV:423 poi li presero in mezzo in una posizione favorevole e cominciarono a bersagliarli: i cavalieri tagliavano loro la via della ritirata mentre i fanti aprivano larghi vuoti fra quelli che opponevano resistenza.
Libro IV:424 I giudei caddero dopo aver fatto null'altro che una vana esibizione di coraggio; scagliandosi contro i ranghi serrati dei romani, che erano protetti dalle loro corazze come da un muro, essi non trovavano un varco per i loro dardi né avevano la forza necessaria per incrinare la falange,
Libro IV:425 e intanto erano trafitti dalle armi da getto avversarie e, simili alle belve più feroci, si slanciavano contro il ferro e finivano gli uni colpiti in pieno petto dalle spade, gli altri inseguiti dalla cavalleria.
Libro IV:426 - 7, 5. Placido infatti badava a impedir loro di raggiungere il villaggio
Libro IV:427 e senza tregua li sorpassava con i suoi cavalieri verso quella direzione, poi faceva dietro front e con tiro preciso abbatteva i più vicini costringendo i più lontani a tornare indietro per la paura. Alla fine i più coraggiosi riuscirono a sfondare e corsero verso le mura.
Libro IV:428 A questo punto gli uomini di guardia furono incerti sul da farsi: non avevano l'animo di tener fuori quelli di Gadara perché v'erano mescolati anche i loro, e d'altro canto temevano che, se li avessero fatti entrare, ne avrebbero condiviso la sorte.
Libro IV:429 E fu proprio ciò che accadde: incalzando gli avversari sotto le mura, i cavalieri romani per poco non penetrarono anch'essi nella città; gli altri riuscirono a chiudere le porte, ma poi arrivò Placido che con una serie di valorosi attacchi fino a sera superò il muro e prese il villaggio.
Libro IV:430 La massa inerme fu sterminata, mentre gli uomini più validi si mettevano in salvo con la fuga; i soldati saccheggiarono le case e incendiarono il villaggio.
Libro IV:431 I fuggitivi gettarono il panico fra gli abitanti del contado, ed ora esagerando l'entità del disastro subito, ora affermando di avere alle calcagna l'intero esercito dei romani, fecero in modo che da ogni parte tutti si ritirarono dalle loro case e, raccoltisi tutti insieme, puntarono in massa su Gerico,
Libro IV:432 l'unica città a dar loro speranza di salvezza, forte com'era per il gran numero degli abitanti.
Libro IV:433 Placido, fidando nei suoi cavalieri e imbaldanzito dai precedenti successi, si diede a inseguirli e fino al Giordano fece strage di tutti quelli che raggiunse; poi compresse lungo la riva del fiume la massa, che non riusciva a superarlo per l'impetuosa corrente alimentata dalle recenti piogge, e le schierò di contro le sue forze.
Libro IV:434 I giudei furono spinti a battersi dal non veder via di scampo, e si distesero il più possibile lungo la riva, dove vennero raggiunti dai proiettili dei romani e caricati dai cavalieri che ne ferirono molti facendoli precipitare nel fiume.
Libro IV:435 Quindicimila furono quelli che essi uccisero, mentre un numero incalcolabile venne costretto a gettarsi da sé nel Giordano.
Libro IV:436 I prigionieri ammontarono a duemiladuecento, e insieme si fece un gran bottino di asini, pecore, cammelli e buoi.
Libro IV:437 - 7, 6. Questo fu il disastro più grave patito dai giudei, e le sue proporzioni apparvero ancora maggiori perché non solo era disseminato di morti tutto il paese attraverso il quale erano fuggiti e il Giordano era ricolmo di cadaveri, ma questi avevano riempito anche il lago Asfaltite dove in gran numero li aveva trascinati la corrente.
Libro IV:438 Placido, sfruttando il successo, si rivolse contro le cittadine e le borgate circostanti; prese Abila, Giuliade, Besimoth e tutte le altre fino al lago Asfaltite collocando in ciascuna un presidio formato dai disertori più fidati.
Libro IV:439 Poi imbarcò gli uomini e catturò quelli che si erano rifugiati sul lago. Così tutta la Perea fino a Macherunte si arrese o fu assoggettata con la forza.
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