Guerra giudaica



Yüklə 2,17 Mb.
səhifə40/85
tarix26.10.2017
ölçüsü2,17 Mb.
#13407
1   ...   36   37   38   39   40   41   42   43   ...   85

LIBRO II

CAPITOLO VENTUNESIMO

Libro II:585 - 21, 1. Mentre Giuseppe così organizzava la difesa in Galilea, gli si levò contro un intrigante di Giscala di nome Gio­vanni, figlio di Levi, il più farabutto e il più astuto fra tutti quelli famosi per simili pessime qualità. Povero dapprincipio, e per lungo tempo impedito dal mal fare proprio dalla sua po­vertà, pronto a mentire,


Libro II:586 abile nel far credere alle sue menzo­gne, egli considerava l'inganno una virtù e se ne serviva anche contro le persone più care,
Libro II:587 e mentre fingeva mitezza era pron­tissimo a uccidere anche solo per la speranza di un guadagno. Sempre bramoso di grandezza, ma capace di realizzare i suoi progetti soltanto con piccoli colpi perché era un bandito soli­tario, più tardi trovò anche compagnia per il suo vivere cri­minoso, piccola dapprima, poi sempre più numerosa.
Libro II:588 Aveva cura di non accogliere nessuno che potesse facilmente esser preso, ma sceglieva gli individui che si distinguevano per pre­stanza, coraggio ed esperienza di guerre, finché radunò una banda di quattrocento uomini, che per lo più si erano dati alla macchia provenendo dalla regione di Tiro e dai villaggi vicini.
Libro II:589 Alla loro testa saccheggiò tutta la Galilea e vessò le masse che erano già preoccupate per la guerra imminente.
Libro II:590 - 21, 2. Ormai egli aspirava a far da comandante e mirava a cose più grandi, ma gli era d'impedimento la mancanza di mezzi. Vedendo che Giuseppe lo apprezzava per la sua ener­gia, dapprima lo persuase ad affidate a lui l'incombenza di co­struire il muro intorno alla sua città natale, e in quest'occa­sione fece grossi profitti a spese dei ricchi contribuenti;
Libro II:591 più tardi ideò un piano truffaldino: al fine di evitare a tutti i giudei abitanti nella Siria di usare olio non prodotto dai loro connazionali, chiese e ottenne di poterglielo fornire al confine.
Libro II:592 Con una moneta di Tiro del valore di quattro dramme attiche egli comprava quattro anfore d'olio e ne rivendeva allo stesso prezzo mezza anfora, e poiché la Galilea è grande pro­duttrice d'olio, e per di più quella era stata un'annata buona, poiché egli era il solo a vendere e ne vendeva molto perché erano molti a richiederlo, raccolse un'immensa somma di de­naro, che ben presto adoperò contro colui che gli aveva per­messo di realizzate l'affare.
Libro II:593 Prevedendo che, se avesse tolto di mezzo Giuseppe, sarebbe diventato lui il comandante in capo della Galilea, ordinò alle sue bande di briganti di intensi­ficare i loro colpi in modo che, moltiplicandosi i disordini nel paese, egli potesse o eliminare in qualche agguato il capo accorso a ristabilire la situazione, oppure comprometterlo agli occhi dei paesani, se non fosse intervenuto contro i briganti.
Libro II:594 Inoltre da gran tempo andava dicendo che Giuseppe avrebbe tradito consegnando la regione ai romani, e architettava molti altri piani analoghi per rovinarlo.
Libro II:595 - 21, 3. In quel tempo alcuni giovani del villaggio di Dabarittha, che facevano parte del corpo che stava a guardia della grande pianura, presero in un agguato Tolemeo, il pro­curatore di Agrippa e di Berenice, e lo spogliarono di tutto il bagaglio che trasportava, fra cui erano non poche vesti ric­chissime, molte coppe d'argento e seicento pezzi d'oro.
Libro II:596 Non potendo godersi di nascosto tutto il bottino, lo portarono a Tarichee a Giuseppe.
Libro II:597 Questi, rimproveratili per la violenza commessa a danno dei funzionari regi, depositò ciò che ave­vano portato presso Anneo, il personaggio più eminente di Tarichee, con l'intenzione di restituirlo ai proprietari alla pri­ma occasione. Ma questa decisione lo espose a un gravissimo pericolo.
Libro II:598 Infatti gli autori del colpo, sia perché erano infuriati per non aver ricevuto nemmeno una piccola parte di quanto avevano portato, sia perché indovinavano l'intenzione di Giu­seppe, quella di fare un presente al re col frutto delle loro fa­tiche, di notte andarono in giro per i villaggi dipingendo a tutti Giuseppe come un traditore; misero in subbuglio anche le città vicine, sì che sul far del giorno centomila uomini in armi accorsero contro di lui.
Libro II:599 Adunata nell'ippodromo di Ta­richee, la folla lanciava furiosi schiamazzi al suo indirizzo gri­dando di lapidarlo, mentre altri gridavano di bruciar vivo il traditore. A istigare la massa erano Giovanni e un certo Gesù, figlio di Saffia, che allora reggeva il governo di Tiberiade.
Libro II:600 Gli amici e le guardie del corpo di Giuseppe, atterriti per l'impeto della folla, fuggirono tutti tranne quattro, mentre egli, che ancora dormiva, si svegliò quando stavano appiccando il fuoco alla casa,
Libro II:601 e sebbene i quattro che erano rimasti lo spingessero a fuggire, lui, invece, senza lasciarsi turbare né dalla solitudine che vedeva intorno a sé, né dalla gran massa degli assalitori, venne fuori con le vesti stracciate, il capo cosparso di cenere, le mani strette sul dorso e la spada appesa al collo.
Libro II:602 A tale vista quelli che avevano familiarità con lui, e specialmente i Tari­cheesi, furono presi da compassione, ma quelli del contado e quelli delle zone vicine, che lo ritenevano un furfante, presero a inveire e a esigere che tirasse subito fuori il denaro comune e confessasse gli accordi del tradimento;
Libro II:603 infatti dal suo atteg­giamento ritenevano che egli non avrebbe negato nessuna delle cose sospettate, ma che aveva fatto ricorso a quella mes­sinscena compassionevole proprio per ottenere il perdono.
Libro II:604 Invece per lui quell'apparizione in gramaglie era la prima parte di uno stratagemma; nell'intento di metter l'uno contro l'altro i suoi accusatori, si dichiarò pronto a rendere una piena confessione su ciò che gli addebitavano, e quando gli fu con­cesso di parlare disse:
Libro II:605 “Questi tesori io non mi proponevo né d'inviarli ad Agrippa, né di tenerli per me; infatti mai io considererei mio amico chi è vostro nemico, né stimerei un guadagno ciò che arreca danno alla collettività.
Libro II:606 Ma, o Tari­cheesi, vedendo che la vostra città ha proprio bisogno di es­sere fortificata e manca del denaro per costruire un muro, e d'altro canto, temendo che il popolo di Tiberiade e le altre città avessero messo gli occhi sui denari catturati, io decisi di metterli tranquillamente da parte per costruire il muro intorno alla vostra città.
Libro II:607 Se non siete d'accordo, tirerò fuori ciò che mi fu consegnato e ve lo lascerò prendere, mentre se la mia decisione fu nel vostro interesse, non dovete punire il vostro benefattore”.
Libro II:608 - 21, 4. A queste parole i Taricheesi lo acclamarono, mentre quelli di Tiberiade e tutti gli altri lo ricoprivano d'insulti e di minacce; poi, lasciato da parte Giuseppe, vennero a diverbio tra loro. Giuseppe, che ormai si sentiva rincuorato per i fau­tori che s'era guadagnati, poiché circa quarantamila erano i Taricheesi, si rivolse di nuovo a tutta la folla con un discorso dal tono meno dimesso.
Libro II:609 Dopo aver lungamente rimproverato il loro fare precipitoso, disse che con i denari disponibili si proponeva di fortificare Tarichee, ma che poi avrebbe ugual­mente provveduto a munire le altre città; i mezzi non sareb­bero mancati, se loro fossero stati d'accordo contro chi bisognava procurarseli, e non se la fossero presa con chi li procu­rava.
Libro II:610 - 21, 5. Allora quasi tutta la folla, delusa, si ritirò sebbene ancora in preda alla rabbia, ma duemila persone con le armi in pugno si gettarono contro Giuseppe, ed essendosi questi affrettato a raggiungere la casa gli si assieparono intorno con grida minacciose.
Libro II:611 Contro costoro Giuseppe fece ricorso a un nuovo stratagemma; infatti salito sul tetto, e fatto un cenno con la destra perché smettessero di urlare, disse di non sapere che cosa volevano; infatti per la confusione delle grida non riusciva a sentire; era pronto a fare ciò che gli avessero co­mandato purché mandassero dentro qualcuno a parlare tranquillamente.
Libro II:612 Udito ciò, i maggiorenti e i magistrati entrarono. Giuseppe, trascinatili nella parte più interna della casa e chiusa la porta, li fece fustigare fino a mettere a nudo le visceri; in­tanto la folla era rimasta lì intorno, credendo che dentro quelli si dilungassero nelle trattative.
Libro II:613 All'improvviso Giu­seppe spalancò la porta e buttò fuori quegli uomini tutti coperti di sangue, provocando tanto sbigottimento negli avver­sari, che essi gettarono le armi e fuggirono.
Libro II:614 - 21, 6. Questi fatti accrebbero l'odio di Giovanni, che ordì una seconda macchinazione ai danni di Giuseppe. Fingendo una malattia, pregò per lettera Giuseppe di concedergli di po­tersi curare con le acque termali di Tiberiade.
Libro II:615 Giuseppe, che non ancora sospettava di avere in lui un insidiatore, scrisse ai suoi luogotenenti nella città di offrire a Giovanni ospitalità e di fornirlo del necessario. Due giorni dopo aver goduto di tale trattamento, Giovanni prese a realizzare l'intento del suo viaggio e, corrompendo quelli di Tiberiade chi con inganne­voli discorsi chi con denaro, li istigava a ribellarsi a Giuseppe.
Libro II:616 Venuto a sapere la cosa, Silas, cui Giuseppe aveva affidato la sorveglianza sulla città, gli scrisse immediatamente per infor­marlo della trama. Giuseppe, appena ricevuta la lettera, si mise in viaggio e dopo una notte di rapido cammino arrivò all'alba a Tiberiade.
Libro II:617 Tutta la folla gli andò incontro mentre Giovanni, sebbene sospettasse che quella visita fosse contro di lui, fingendosi malato mandò uno dei suoi conoscenti a dire che, trovandosi a letto, era impedito dal venire a rendere omaggio.
Libro II:618 Quando poi Giuseppe raccolse nello stadio il po­polo di Tiberiade e si preparava a parlare delle informazioni che aveva ricevute, Giovanni mandò nascostamente degli uo­mini armati a ucciderlo.
Libro II:619 Nel momento in cui questi sguaina­vano le spade, il popolo se ne accorse e levò un grido; al clamore Giuseppe si voltò e, vistosi già il ferro alla gola, saltò giù sulla spiaggia - per parlare al popolo si era messo su uno scoglio alto sei cubiti - e, balzato con due guardie del corpo dentro a una barca ormeggiata li vicino, fuggì in mezzo al lago.
Libro II:620 - 21, 7. I suoi soldati impugnarono immediatamente le armi e si gettarono contro gli attentatori. Allora Giuseppe, temendo che per il malanimo di pochi scoppiasse una guerra civile con la conseguente rovina della città, mandò un messaggero ad avvertire i suoi di preoccuparsi soltanto della sua sicurezza, e di non mettere a morte nessuno e di non processare alcuno dei colpevoli.
Libro II:621 Quelli, inchinandosi all'ordine ricevuto, se ne stettero tranquilli, ma la gente del contado, saputo del com­plotto e di chi l'aveva ordito, si radunò contro Giovanni, che però riuscì a prevenirli rifugiandosi nella sua città natale, a Giscala.
Libro II:622 Ma intanto i Galilei accorrevano intorno a Giu­seppe, una città dietro l'altra, e diventati molte decine di migliaia di armati gli gridavano di essere venuti per abbattere il comune nemico Giovanni, e che erano pronti a dar fuoco a lui e alla città che lo accoglieva.
Libro II:623 Giuseppe dichiarò di apprez­zare i loro sentimenti, ma ne frenò gli ardori, preferendo di aver ragione degli avversari con l'abilità piuttosto che col sopprimerli.
Libro II:624 Fattisi dare i nomi di quelli che nelle varie città si erano uniti a Giovanni - e volentieri i loro concittadini gliel'indicarono -, per mezzo di banditori minacciò che avrebbe saccheggiato i beni e bruciato le case e le famiglie di coloro che entro cinque giorni non si fossero staccati da Giovanni.
Libro II:625 Ben presto ne fece disertare tremila, che vennero a gettare le armi ai suoi piedi, sicché costrinse di nuovo Giovanni, rimasto con circa duemila banditi siriaci, a ritornare dalle azioni in grande stile alle subdole manovre.
Libro II:626 Infatti quello mandò nascostamente emissari a Gerusalemme a denunciare Giuseppe per la grande potenza che aveva raggiunta, e dicendo che fra non molto sarebbe arrivato da padrone in città, se non fosse stato fermato in tempo.
Libro II:627 A queste accuse il popolo, che le prevedeva, non diede importanza, ma i potenti, spinti dall'invidia, e alcuni dei magistrati inviarono segreta­mente a Giovanni denari per arruolare mercenari e combattere contro Giuseppe; anzi decisero tra loro di rimuovere Giuseppe dal comando.
Libro II:628 Ma poiché ritenevano che il decreto da solo non sarebbe stato sufficiente, mandarono duemilacinque­cento soldati con quattro personaggi di rilievo, Ioesdro figlio di Nomico, Anania figlio di Sadoc, Simone e Giuda figli di Gionata, tutti abilissimi nel parlare, incaricati di distruggere la popolarità di Giuseppe; se egli si fosse mostrato pronto a partire dovevano lasciare che esponesse le sue ragioni, mentre, se tentava di rimanere a forza, dovevano trattarlo come ne­mico.
Libro II:629 Ma gli amici informarono Giuseppe che un esercito era in marcia contro di lui, senza però dirgli la ragione, poi­ché i suoi avversari avevano deliberato in segreto. Non avendo egli anche perciò adottato nessuna contromisura, ben presto all'arrivo dei nemici quattro città passarono dalla loro parte, Sepphoris, Gabora, Giscala e Tiberiade.
Libro II:630 Giuseppe però le recuperò rapidamente senza ricorrere alle armi, e catturati con abili manovre i quattro capi e i più valorosi dei loro sol­dati li rinviò a Gerusalemme.
Libro II:631 Contro di loro si levò furioso lo sdegno popolare, e li avrebbero uccisi assieme ai mandanti, se non si fossero messi in salvo con la fuga.
Libro II:632 - 21, 8. D'allora in poi, Giovanni se ne stette rinchiuso fra le mura di Giscala per paura di Giuseppe. Pochi giorni dopo, si ribellò di nuovo Tiberiade, i cui abitanti invocarono l'inter­vento del re Agrippa.
Libro II:633 Ma poiché alla data stabilita questi non si presentò, mentre invece in quel giorno fecero la loro apparizione alcuni pochi cavalieri romani, essi decretarono il bando contro Giuseppe.
Libro II:634 Questi fu immediatamente informato a Tarichee della defezione, ma avendo spedito tutti i soldati a raccogliere viveri, non ebbe animo né di affrontare da solo i ribelli, né di restarsene inattivo, per timore che del suo indugio approfittassero i regi per metter piede nella città; infatti il giorno dopo non avrebbe potuto agire per l'impedi­mento del sabato.
Libro II:635 Decise allora di venire a capo della ribel­lione con un'astuzia. Fatte chiudere le porte di Tarichee, in modo che nessuno potesse informare del suo piano coloro contro cui era diretto, raccolse tutte le barche che stavano sul lago - se ne trovarono duecentotrenta, e su ognuna c'erano non più di quattro uomini - e a tutta velocità puntò su Tibe­riade.
Libro II:636 Fermatosi a una distanza tale dalla città, che non era facile vedere che le barche erano semivuote, comandò che esse restassero al largo mentre egli, con solo sette guardie del corpo armate, si accostò per farsi vedere.
Libro II:637 I nemici, che ancora stavano imprecando contro di lui, scorgendolo dal­l'alto delle mura rimasero impressionati e credettero che tutte le barche fossero piene di soldati; allora gettarono le armi e, agitando ramoscelli d'olivo, lo supplicarono di risparmiare la città.
Libro II:638 - 21, 9. Giuseppe rivolse a loro molte minacce e rimproveri perché, dopo aver deciso di far guerra ai romani, consuma­vano in anticipo le loro forze in lotte intestine e si comporta­vano come meglio i nemici non avrebbero potuto desiderare, e inoltre cercavano di togliere di mezzo chi vegliava sulla loro sicurezza e non si vergognavano di chiudere le mura in faccia a chi le aveva fatte costruire; concluse dicendo che aspettava una deputazione che venisse a dare spiegazioni e ad assisterlo nel riportare all'ordine la città.
Libro II:639 Immediatamente vennero avanti i dieci cittadini più influenti di Tiberiade, ed egli li fece salire su una barca e portare verso l'alto; poi fece venire altri cinquanta membri del consiglio, scelti tra i più influenti, come se volesse ricevere garanzie anche da loro.
Libro II:640 Poi, escogitando sempre nuovi pretesti, ne fece venire tanti e tanti altri ancora, come per concludere gli accordi.
Libro II:641 Ai pi­loti delle barche, a mano a mano che si riempivano, comandò di puntare rapidamente su Tarichee e di rinchiudere gli uomini nella prigione, sì che alla fine catturò e trasportò con le barche a Tarichee tutti i seicento membri del consiglio e circa duemila popolani.
Libro II:642 - 21, 10. Quelli che erano rimasti denunziarono ad alte grida che il maggior colpevole della ribellione era un certo Clito e spingevano Giuseppe a sfogare su di lui la sua ira, ma egli aveva deciso di non punire nessuno con la morte e perciò ordinò a un tal Levi, una delle sue guardie del corpo, di sbar­care e di mozzare le mani a Clito.
Libro II:643 Ma quello, avendo paura di recarsi da solo in mezzo alla massa dei nemici, si rifiutò. Clito, vedendo che sulla barca Giuseppe dava segni di furore e si preparava a scendere di persona per eseguire la pena, lo supplicò dalla riva di lasciargli almeno una delle mani.
Libro II:644 Giu­seppe acconsentì a patto che l'altra se la tagliasse da sé e quello, sguainata la spada, con la destra si mozzò la sinistra: tale era la paura che aveva di Giuseppe.
Libro II:645 Dopo averne catturato il popolo con barche vuote e con sette guardie del corpo, egli portò allora nuovamente all'obbedienza Tiberiade, ma pochi giorni appresso, avendo saputo che era tornata a ribellarsi assieme a quelli di Sepphoris, lasciò che i suoi soldati la saccheggiassero.
Libro II:646 Però subito dopo radunò tutti i beni aspor­tati e li restituì ai cittadini, e così pure fece con quelli di Sep­phoris: dopo averli domati, volle dar loro una lezione col saccheggio, mentre con la restituzione dei beni tornò ad as­sicurarsene il favore.


Yüklə 2,17 Mb.

Dostları ilə paylaş:
1   ...   36   37   38   39   40   41   42   43   ...   85




Verilənlər bazası müəlliflik hüququ ilə müdafiə olunur ©muhaz.org 2024
rəhbərliyinə müraciət

gir | qeydiyyatdan keç
    Ana səhifə


yükləyin