Guerra giudaica



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LIBRO II

CAPITOLO DICIOTTESIMO

Libro II:457 - 18, 1. Nello stesso giorno e alla stessa ora, come per volere divino, i Cesareesi sterminarono i giudei residenti nella loro città: in una sola ora più di diecimila persone vennero tru­cidate e in tutta Cesarea non rimase un giudeo; infatti quelli che riuscirono a fuggire Floro li fece catturare e gettare in catene negli arsenali.


Libro II:458 Alla notizia della strage di Cesarea, l'in­tera nazione s'inferocì, e organizzatisi in bande si diedero a devastare i villaggi dei Siri e le città vicine, Filadelfia, l'Ese­bonitide, Gerasa, Pella e Scitopoli.
Libro II:459 Poi piombarono su Ga­dara, Ippo, la Gaulanitide, mettendole a ferro e fuoco, quindi avanzarono contro Cadasa dei Tiri, Tolemaide, Gaba e Cesa­rea.
Libro II:460 Neppure Sebaste e Ascalona resistettero al loro assalto, e dopo averle date alle fiamme distrussero anche Antedone e Gaza. Vennero inoltre devastati molti villaggi nei pressi di queste città, e fu incalcolabile il numero di coloro che furono presi e uccisi.
Libro II:461 - 18, 2. Non fu peraltro minore la strage di giudei fatta dai Siri, i quali trucidarono anch'essi il nucleo giudaico residente nelle loro città, e non solo per odio, come prima, ma per prevenire la loro minaccia.
Libro II:462 Tutta la Siria divenne teatro di orri­bili sconvolgimenti; ogni città si divise in due accampamenti, e la salvezza degli uni consisteva nel prevenire gli altri.
Libro II:463 E pas­savano il giorno a scannarsi, mentre le notti erano ancora più terribili per l'angoscia; infatti essi, pur calcolando di essersi liberati dei giudei, stavano in sospetto per i filogiudei, ma non avevano il coraggio di eliminare senz'altro anch'essi e li temevano, essendo misti, al pari di quelli che erano senza dub­bio giudei.
Libro II:464 Anche chi era stato sempre considerato fra le per­sone più miti venne spinto a far strage degli avversari dalla cupidigia; infatti si appropriavano a man salva delle sostanze della gente ammazzata, e come da un campo di battaglia si portavano a casa le spoglie degli uccisi, e si copriva di gloria chi aveva fatto più bottino in quanto ne aveva spacciati di più.
Libro II:465 Si potevano vedere le città piene di cadaveri insepolti, corpi di vecchi e di bambini gettati alla rinfusa, di donne senza nemmeno il più piccolo indumento, e l'intera provincia piena di orrori indescrivibili; tuttavia il terrore per i mali che incombevano superava quello dei misfatti già compiuti.
Libro II:466 - 18, 3. Fino a quel momento i giudei si erano scontrati con gli stranieri, ma quando assaltarono Scitopoli s'imbatterono nell'ostilità dei giudei ivi residenti. Questi si erano infatti schierati con gli Scitopolitani e, posponendo la parentela alla propria sicurezza, scesero in campo contro i connazionali.
Libro II:467 Ma anche questo eccesso di zelo destò sospetti; infatti gli Scito­politani ebbero timore che essi di notte s'impadronissero della città e, facendo gran strage di loro, si giustificassero in tal modo con i connazionali per averli traditi. Allora gli Scitopolitani imposero ad essi, se volevano confermare la loro lealtà e comprovare la loro fedeltà verso i non giudei, di trasferirsi insieme con le loro famiglie nel bosco sacro.
Libro II:468 Quelli eseguiro­no l'ordine senza sospetto, e per due giorni gli Scitopolitani se ne stettero quieti per alimentare la loro fiducia; ma nella terza notte, approfittando del momento in cui alcuni avevano allentato la guardia e altri stavano dormendo, li sterminarono in massa, che erano più di tredicimila, e saccheggiarono i beni di tutti.
Libro II:469 - 18, 4. Merita di esser ricordato il tragico caso di Simone, figlio di una persona di un certo rango di nome Saul, che ec­celleva per la forza e il coraggio di cui si era servito a danno dei connazionali.
Libro II:470 Ogni giorno andando all'assalto aveva ucciso molti dei giudei che stavano attaccando Scitopoli, e spesso, mettendoli tutti quanti in fuga da solo, aveva deciso le sorti del combattimento.
Libro II:471 Ma lo colse un giusto castigo per la strage dei connazionali; infatti, quando gli Scitopolitani li circonda­rono nel bosco sacro e presero a colpirli, egli, sguainata la spada, non si scagliò contro nessuno dei nemici, che erano un'immensa moltitudine, ma uscì invece in questi accenti dram­matici:
Libro II:472 “Ricevo da voi il dovuto castigo per ciò che ho fatto, Scitopolitani, io e quelli che hanno ucciso tanti conna­zionali per confermarvi la nostra lealtà. Perciò è giusto che moriamo di nostra mano come sacrileghi noi, che ben a ragione abbiamo sperimentato la perfidia dello straniero e ab­biamo toccato il culmine dell'empietà verso i consanguinei; infatti noi non siamo degni di cadere per mano dei nemici.
Libro II:473 Lo stesso atto mi sia insieme di meritato castigo per gli empi misfatti e di lode per il coraggio, affinché nessuno dei nemici abbia a gloriarsi di avermi ucciso e a menar vanto sul mio cadavere”.
Libro II:474 Ciò detto, gettò sulla famiglia uno sguardo pieno di commiserazione e insieme di furore: aveva moglie, figli e i vecchi genitori.
Libro II:475 Afferrò prima il padre per i suoi bianchi capelli e lo trafisse con la spada, dopo di lui la madre, che non oppose resistenza, e poi la moglie e i figli: per poco ognuno di questi non si fece incontro alla spada nel desiderio di pre­venire i nemici.
Libro II:476 Dopo aver ucciso tutta la famiglia, salì ben in vista sul mucchio dei cadaveri e con la destra protesa, sì che tutti potessero scorgerlo, s'immerse tutt'intera la spada nella gola; tale fu la fine di un giovane degno di commiserazione per il vigore del corpo e la fermezza dell'animo, ma a cui toccò il destino di chi si fida degli stranieri.
Libro II:477 18, 5. Dopo l'eccidio di Scitopoli, anche nelle altre città si verificarono violenze e uccisioni a danno dei giudei resi­denti in ciascuna di esse; gli Ascaloniti ne uccisero duemila e cinquecento, quelli di Tolemaide duemila, e non pochi ne gettarono in catene.
Libro II:478 Anche i Tiri ne uccisero un gran numero e più ancora ne rinchiusero in prigione; così pure quelli di Ippo e di Gadara ammazzarono i più facinorosi e misero in carcere i meno pericolosi, e lo stesso fecero tutte le altre città della Siria a seconda dell'avversione o della paura che prova­vano per i giudei.
Libro II:479 Soltanto quelli di Antiochia, di Sidone e di Apamea risparmiarono le loro comunità giudaiche senza ucci­dere o imprigionare nessuno, forse anche perché il loro gran numero li portava a non preoccuparsi di un'insurrezione dei giudei, ma soprattutto perché, io credo, ebbero compassione di gente che vedevano starsene tranquilla.
Libro II:480 Anche quelli di Gerasa non commisero violenze contro i giudei che conti­nuarono a risiedere, e scortarono sino ai confini quanti espressero il desiderio di emigrare.
Libro II:481 - 18, 6. Anche nel regno di Agrippa si ordì una congiura contro i giudei. Il re si era recato ad Antiochia da Cestio Gallo, e come reggente era stato lasciato uno dei suoi amici di nome Noaro, un parente del re Soemo.
Libro II:482 Dalla Batanea arrivò una delegazione di settanta persone, i più eminenti per nascita e per capacità fra i cittadini, i quali fecero la richiesta di milizie per poter disporre di un valido appoggio contro i rivoluzionari se anche da loro fossero scoppiati disordini.
Libro II:483 Noaro mandò di notte alcune guardie regie ad ammazzarli tutti, e pur avendo osato compiere questo misfatto senza con­sultarsi con Agrippa, danneggiò il regno spinto dalla sua insa­ziabile brama di ricchezza a commettere empietà contro i con­nazionali; e continuò a governare la nazione con feroce iniquità fino a che Agrippa non ne fu informato e lo rimosse dalla carica, astenendosi dal metterlo a morte per riguardo a Soemo.
Libro II:484 I rivoluzionari intanto, occupata la fortezza chiamata Cipro, che dominava Gerico, ne uccisero la guarnigione e ne abbatterono le mura.
Libro II:485 Negli stessi giorni anche la folla dei giudei abitanti a Macherunte convinse i romani che presi­diavano la città ad abbandonare la fortezza e a consegnarla a loro.
Libro II:486 I romani, temendo che gliel'avrebbero strappata a forza, vennero a patti impegnandosi a ritirarsi e, ricevute le garanzie, consegnarono la fortezza, di cui presero possesso quelli di Macherunte ponendovi una loro guarnigione.
Libro II:487 - 18, 7. In Alessandria si erano sempre verificati disordini fra gli abitanti di origine greca e quelli di origine giudaica, fin dal tempo in cui Alessandro, avendo trovato nei giudei un appoggio validissimo nella lotta contro gli egiziani, in rico­noscimento della collaborazione concesse loro di poter risie­dere nella città con gli stessi diritti dei greci.
Libro II:488 Il privilegio fu ad essi confermato anche dai diadochi, i quali assegnarono loro un quartiere riservato in modo che, stando meno a contatto con gli stranieri, potessero con più cura osservare le loro regole di vita, e concessero a loro di chiamarsi macedoni. Quando poi i romani conquistarono l'Egitto, né il primo Ce­sare, né alcun altro dei suoi successori s'indusse a diminuire i privilegi concessi ai giudei da Alessandro.
Libro II:489 Tuttavia essi avevano interminabili contrasti coi greci, e sebbene le autorità ogni giorno ne punissero molti dell'una e dell'altra parte, i dissidi si acuivano sempre di più.
Libro II:490 Allora poi, che vi erano conflitti anche altrove, la lotta divampò con maggiore vio­lenza. Un giorno, mentre gli Alessandrini si raccoglievano in assemblea per deliberare circa l'invio di un'ambasceria a Ne­rone, insieme coi greci penetrarono nell'anfiteatro molti giudei,
Libro II:491 e appena li videro gli avversari presero a urlare chiamandoli nemici e spie; poi saltarono su e li aggredirono. Gli altri si dispersero in fuga, ma tre li presero e li trascinavano per bruciarli vivi.
Libro II:492 Al loro soccorso si levò la comunità giudaica, e dapprima presero a sassate i greci, poi afferrarono delle fiac­cole e si diressero all'anfiteatro, minacciando che vi avreb­bero fatto perire tra le fiamme tutto il popolo fino all'ultimo uomo. E sarebbero arrivati a farlo, se Tiberio Alessandro, il governatore della città, non ne avesse spento gli ardori.
Libro II:493 Que­sti non cominciò col far uso delle armi per farli ritornare in senno, ma per mezzo dei cittadini più eminenti li fece esortare a desistere e a non provocare contro di loro l'esercito dei romani. Ma i rivoluzionari accolsero l'esortazione con parole di scherno unite a insulti all'indirizzo di Tiberio.
Libro II:494 - 18, 8. Questi, visto che senza una grossa batosta i rivoluzionari non avrebbero smesso, inviò contro di loro le due le­gioni romane accasermate in città e, insieme, duemila soldati che per combinazione erano allora arrivati dall'Africa per completare la rovina dei giudei; concesse loro non soltanto di uccidere, ma anche di saccheggiare i beni dei giudei e di bru­ciarne le case.
Libro II:495 Le truppe mossero all'attacco del quartiere chia­mato Delta, dove abitavano i giudei, ed eseguirono gli or­dini, ma non senza subire perdite; infatti i giudei essendosi radunati, e collocati in prima fila quelli dei loro che erano meglio armati, resistettero assai a lungo, poi, una volta pie­gati, subirono un'immensa strage.
Libro II:496 Ne morirono in tutte le maniere, alcuni catturati in campo aperto, ed altri stipati dentro le case. I romani, dopo aver saccheggiato quanto con­tenevano, vi appiccarono il fuoco e non ebbero pietà dei bambini, né vergogna per i vecchi, ma uccisero tutti senza distinzione d'età,
Libro II:497 sì che tutto il quartiere fu inondato di sangue e si ammonticchiarono cinquantamila cadaveri; anche i su­perstiti sarebbero stati trucidati, se non avessero implorato pietà. Alessandro ne ebbe compassione e comandò ai romani di ritirarsi.
Libro II:498 Questi, che erano avvezzi all'obbedienza, appena udito il segnale abbandonarono la mischia, ma il popolino di Alessandria, per il grande odio che aveva contro i giudei, non fu facile richiamarlo e a fatica si poté staccarlo dai ca­daveri.
Libro II:499 - 18, 9. Tale fu la sciagura che si abbatté sui giudei di Alessandria; Cestio, poi, ritenne di non dover più restare inat­tivo mentre da tutte le parti si combatteva contro i giudei.
Libro II:500 Egli prese allora da Antiochia tutta la dodicesima legione, duemila uomini scelti da ciascuna delle rimanenti legioni, sei coorti di fanti, quattro ali di cavalleria e inoltre gli ausiliari inviati dai re, duemila cavalieri e tremila fanti, tutti arcieri, di Antioco, lo stesso numero di fanti e poco meno di duemila cavalieri di Agrippa;
Libro II:501 seguiva poi Soemo con quattromila uomini, di cui un terzo erano cavalieri, e per la maggior parte arcieri. Alla testa di tutte queste forze Cestio puntò su Tole­maide.
Libro II:502 Dalle città vennero raccolti anche molti contingenti di ausiliari, inferiori per addestramento ai soldati, ma che com­pensavano la scarsa preparazione con il loro ardore e l'odio contro i giudei.
Libro II:503 Al fianco di Cestio era anche Agrippa per guidare la marcia e provvedere alle occorrenze. Con una parte dell'esercito Cestio mosse contro una città fortificata della Ga­lilea, di nome Chabulon, sul confine tra la nazione e Tole­maide,
Libro II:504 e avendola trovata priva di uomini, che erano tutti fuggiti sui monti, ma piena di ogni ben di Dio, lasciò via libera al saccheggio dei soldati e poi diede alle fiamme la città pur ammirandone la bellezza, con le sue case costruite come quelle di Tiro, di Sidone e di Berito.
Libro II:505 Poi, dopo aver devastata la regione e saccheggiato tutto ciò in cui s'imbatteva, e incendiati i villaggi circostanti, si diresse a Tolemaide.
Libro II:506 Ma mentre i Siri, e specialmente quelli di Berito, si attardavano a continuare il saccheggio, i giudei si fecero coraggio, avendo capito che Cestio si era ritirato, e piombati improvvisamente addosso a quelli rimasti indietro ne uccisero circa duemila.
Libro II:507 - 18, 10. Cestio, partito da Tolemaide, giunse a Cesarea mentre una parte dell'esercito l'aveva mandata avanti a Ioppe con l'ordine di occupare la città, se fossero riusciti a prenderla di sorpresa; se invece gli abitanti si fossero accorti del loro arrivo, dovevano aspettare l'arrivo suo e del resto dell'eser­cito.
Libro II:508 Il distaccamento, avanzando rapidamente per via di terra e per via di mare, con una azione combinata s'impadronì fa­cilmente della città; mentre gli abitanti non avevano nemmeno il tempo di fuggire, e tanto meno di prepararsi a resistere, essi gli furono addosso e li massacrarono tutti insieme con le loro famiglie, poi saccheggiarono la città e l'incendiarono; il numero degli uccisi fu di ottomila e quattrocento.
Libro II:509 Allo stesso modo Cestio inviò un forte nerbo di cavalleria contro la vi­cina toparchia della Narbatene, e quelli devastarono il territorio, uccisero un gran numero di paesani, ne saccheggiarono i beni e incendiarono i villaggi.
Libro II:510 - 18, 11. Contro la Galilea Cestio inviò Cesennio Gallo, comandante della dodicesima legione, assegnandogli le forze che gli parvero sufficienti per ridurre all'obbedienza la re­gione.
Libro II:511 Sepphoris, la città più munita della Galilea, gli fece accoglienze amichevoli e, seguendo tale saggio consiglio, an­che le altre città se ne stettero tranquille. Tutti gli appartenenti alle bande di rivoluzionari e di briganti si rifugiarono invece sulla montagna che sta proprio in mezzo alla Galilea, di fronte a Sepphoris, e si chiama Asamon.
Libro II:512 Contro di questi Gallo con­dusse le sue forze. Finché essi stettero in posizione dominante, facilmente contennero l'avanzata dei romani e ne uccisero circa duecento, ma quando i romani li aggirarono e occupa­rono posizioni più elevate furono presto battuti; essendo ar­mati alla leggera non potevano resistere a uno scontro fron­tale con i legionari, né potevano sfuggire alla cavalleria una volta messi in fuga, sì che pochi scamparono nascondendosi negli anfratti e più di duemila rimasero uccisi.


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