L'autunno dell'innocenza



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26
Saltammo tutti come se ci avessero dato un colpo alle reni e Vern cacciò un grido — più tardi confessò di aver pensato, solo per un secondo, che la voce venisse dal ragazzo morto.

Dall'altra parte della radura acquitrinosa, dove riprendeva­no gli alberi mascherando il termine della strada, Ace Merrill ed Eyeball Chambers erano ritti, insieme, mezzo oscurati dalla gri­gia cortina della pioggia che veniva giù. Avevano tutti e due le giacche a vento rosse di nylon, di quelle che ti danno gratuita­mente allo stadio.

«Figlio di puttana!» disse Eyeball. «Ma questo è mio fratel­lo piccolo!»

Chris fissava Eyeball a bocca aperta. La sua camicia, bagna­ta, ciondolante e scura era ancora legata attorno alla magra vita. Lo zaino, di un verde più scuro per la pioggia, gli pendeva dalle spalle nude.

«Vattene, Rich», disse con voce tremante. «Lo abbiamo trovato noi. Tocca a noi.»

«Col cavolo tocca a voi. Avvertiremo noi che l'abbiamo trovato.»

«No, non lo farete», dissi io. Improvvisamente ero furioso con loro, presentarsi così all'ultimo minuto. Se ci avessimo pen­sato avremmo saputo che doveva succedere una cosa del gene­re... ma questa era la volta, in qualche modo, che i ragazzi più vecchi, i grandi, non ce l'avrebbero fatta a rubarcelo — a por­tarci via qualcosa che volevano loro come per diritto divino, come se il loro modo comodo fosse il modo giusto, l'unico mo­do. Erano arrivati in macchina — credo che fu questo a render­mi furioso. Erano venuti in macchina. «Siamo in quattro, Eye-ball. Provaci soltanto.»

«Oh, ci proviamo, non ti preoccupare», disse Eyeball, e gli alberi dietro di lui e Ace si mossero. Comparvero Charlie Hogan e Billy, il fratello di Vern, imprecando e togliendosi l'acqua dagli occhi. Sentii come una palla di piombo cadermi dentro. Si faceva più grande man mano che dietro a Charlie e Billy compa­rivano Jack Mudgett, Fuzzy Bracowicz e Vince Desjardins.

«Eccoci tutti qui», fece Ace ghignando. «Allora se pro­prio...»

«VERN!!» gridò Billy Tessio con voce terribile, accusatoria, in tono il-mio-giudizio-arriva-ed-è-vicino. Strinse le mani a pu­gno. «Piccolo figlio di puttana! Eri sotto il portico! Rompicazzo!»

Vern indietreggiò.

Charlie Hogan spillò la sua vena lirica: «Piccolo guardone lecca-fiche mangiamerda! Dovrei farti cacare l'anima a botte!»

«Sì? Bene, provaci!» scattò Teddy all'improvviso. I suoi oc­chi avevano una luce di pazzia dietro le lenti gocciolanti. «Avanti, facciamola finita, vediamo di chi è! Avanti! Coraggio grand'uomo!»

Billy e Charlie non se lo fecero ripetere. Si buttarono in avanti contemporaneamente e Vern indietreggiò ancora — certo visualizzando i fantasmi dei Pestaggi Passati e dei Pestaggi An­cora a Venire. Indietreggiò... ma tenne duro. Lui era con i suoi amici, e ne avevano passate, e non eravamo mica arrivati lì su un paio di macchine.

Ma Ace trattenne Billy e Charlie, semplicemente toccandoli sulla spalla.

«Statemi a sentire adesso», disse Ace. Parlò in tono pazien­te, come se non fossimo tutti sotto un violentissimo temporale. «Siamo più noi che voi. Siamo più grandi. Vi diamo solo un'occasione per sparire. Non mi frega un cazzo dove. Fate co­me il gelato e squagliatevi.»

Il fratello di Chris ridacchiò e Fuzzy batté la mano sulla spal­la di Ace come apprezzamento della splendida arguzia. Il Sid Caesar della delinquenza giovanile.

«Perché lo prendiamo noi.» Ace sorrise gentilmente, e pote­te vedervelo con lo stesso sorriso gentile se ve lo immaginate un attimo prima di spezzare la stecca da biliardo sulla testa di qual­che porco maleducato che abbia fatto il terribile errore di fiatare mentre Ace sta prendendo la mira. «Se ve ne andate, lo pren­diamo. Se rimanete, vi facciamo il culo a tutti e poi lo prendia­mo lo stesso. E poi», aggiunse, cercando di infiorare la prepo­tenza con un po' di senso del diritto, «sono stati Charlie e Billy a trovarlo, per cui comunque tocca a loro.»

«Erano fottuti dalla paura!» gridò Teddy. «Vern ce l'ha detto! Erano fottuti dalla paura fin dentro quelle fottute teste!» Contrasse la faccia nella parodia di un terrorizzato, piagnuco­loso Charlie Hogan. «Oh, se non avessimo mai fregato quella macchina! Come vorrei che non fossimo mai andati là su quella Back Harlow Road a farci le seghe! Oh, Billino, che dobbiamo fare? Oh, Billino...»

«E va bene», disse Charlie, e scattò di nuovo. La sua faccia era tesa dalla rabbia e dall'imbarazzo. «Ragazzo, come ti chia­mi, preparati ad arrivare giù fino in gola la prossima volta che ti gratti il naso.»

Abbassai lo sguardo su Ray Brower. Lui fissava calmo verso l'alto nella pioggia col suo unico occhio, sotto di noi ma al di so­pra di tutto quanto. I tuoni rimbombavano ancora ininterrotti, ma la pioggia aveva cominciato ad alleggerirsi.

«Che dici, tu, Gordie?» chiese Ace. Tratteneva Charlie leggermente per il braccio, come un esperto allevatore tratterrebbe un cane feroce. «Tu dovresti avere almeno un po' del buon senso di tuo fratello. Di' a questi qua di togliersi dai piedi. Io tengo buono Charlie e poi ce ne andiamo tutti per i fatti nostri. Che ne dici?»

Fece male a nominare Denny. Avrei voluto ragionare con lui, sottolineare quello che Ace sapeva benissimo, che erano passati a noi i diritti di Billy e Charlie quando Vern aveva senti­to che loro questi diritti li buttavano via. Avrei voluto dirgli che Vern e io eravamo quasi stati travolti da un treno merci sul ponte che passa sul Castle. Di Milo Pressman e del suo intrepi­do — anche se idiota — comprimario, Chopper il Supercane. Delle sanguisughe, anche. Probabilmente tutto quello che avrei voluto dirgli era: Andiamo, Ace, quel che è giusto è giusto. Lo sai. Ma lui dovette mettere in mezzo Denny e quello che sentii uscire dalla mia bocca, invece della dolce voce della ragione, fu la mia stessa condanna a morte: «Succhiami questo pezzo gros­so, delinquente da due soldi!»

La bocca di Ace formò una perfetta O di sorpresa — la mia espressione era stata così inaspettata che in altre circostanze avrebbe provocato uno scoppio di ilarità. Tutti gli altri — dai due lati del pantano — mi fissavano stupefatti.

Allora Teddy si mise a gridare, giubilante: «Questo è par­lare, Gordie! Oh, gente! Troppo forte!»

Rimasi lì io stesso sbalordito; non riuscivo a crederci. Era come se una comparsa impazzita fosse venuta in primo piano al momento culminante della scena e si fosse messa a declamare battute che non erano neppure nel copione. Dire a uno di suc­chiare era il massimo a cui si potesse arrivare senza tirare in ballo sua madre. Con la coda dell'occhio vidi Chris che aveva scaricato a terra lo zaino e ci stava frugando dentro frenetica­mente, ma non mi venne in mente — non allora, comunque.

«Okay», fece Ace piano. «Prendiamoli. Non facciamo male a nessuno, solo al ragazzo Lachance. Gli spezzo tutt'e due quel­le fottute braccia.»

Mi sentii gelare come un morto. Non mi pisciai addosso co­me mi era successo sul ponte della ferrovia, ma forse solo perché non avevo niente dentro da lasciar andare. Faceva sul serio, ve­dete; gli anni passati da allora hanno modificato la mia opinione su un sacco di cose, ma su questo no. Quando Ace disse che mi avrebbe spezzato tutt'e due le braccia, faceva assolutamente sul serio.

Si mosse verso di noi in mezzo alla pioggia che si stava fa­cendo più leggera. Jackie Mudgett tirò fuori un coltello a serra­manico dalla tasca e schiacciò il bottone. Quindici centimetri di acciaio scattarono fuori, grigio perla nella mezza luce del pome­riggio. Vern e Teddy si misero immediatamente in posizione di difesa ai miei fianchi. Teddy lo fece con entusiasmo, Vern con una smorfia disperata sulla faccia.

I ragazzi grandi avanzavano in fila, i piedi che sguazzavano nel fango del pantano, che ora era un'unica grossa pozza limac­ciosa a causa del temporale. Il corpo di Ray Brower giaceva ai nostri piedi come un barile saturo d'acqua. Mi preparai a bat­termi... e fu allora che Chris sparò, con la pistola presa dal cas­setto del suo vecchio.


KA-BLAM
Dio, che suono meraviglioso che fu! Charlie Hogan fece un sal­to in aria. Ace Merrill, che mi guardava fisso, ora si girò di scatto e guardò Chris. La sua bocca fece di nuovo quell'O. Eye-ball pareva completamente stordito.

«Ehi, Chris, quella è di papà», disse. «Vedrai che ti capita quando se ne accorge...»

«È niente rispetto a quello che capita adesso a te», disse Chris. Aveva la faccia terribilmente pallida, e la vivacità del viso sembrava risucchiata tutta negli occhi.

«Gordie aveva ragione, non siete altro che un mucchio di delinquenti da quattro soldi. Charlie e Billy hanno rinunciato al loro fottuto diritto e voi lo sapete tutti. Non saremmo venuti fin quaggiù se sapevamo che lo facevano loro. Loro sono andati da qualche parte e hanno vomitato tutta la storia e hanno lasciato che Ace Merrill pensasse al posto loro.» La sua voce si alzò fino a essere un urlo. «Ma non lo prenderete, mi avete sentito?»

«Adesso ascoltami», disse Ace. «Farai meglio a mettere via quell'affare prima di spararti in un piede. Non avresti il fegato di sparare nemmeno a una marmotta.» Riprese ad avanzare, riprendendo quel sorriso gentile. «Tu sei solo un piccolo, moc­cioso piscione, e io ora te la faccio mangiare quella fottuta pisto­la.»

«Ace, se non ti fermi ti sparo. Giuro su Dio.»

«Tu vai in ga-le-ra», gracchiò Ace, senza neppure rallenta­re. Gli altri lo guardavano con un'aria affascinata e di orrore... non diversamente da come Teddy e Vern e io stavamo guardan­do Chris. Ace Merrill era il personaggio più tosto per un raggio di miglia, e non credevo che Chris riuscisse a bluffare contro di lui. Che rimaneva allora? Ace non pensava che un moccioso di dodici anni potesse sparargli davvero. Io pensavo che aveva tor­to; pensavo che Chris avrebbe sparato piuttosto di lasciare che Ace gli prendesse la pistola del padre. In quei pochi secondi fui certo che ci sarebbero stati brutti pasticci, i più brutti che avevo mai conosciuto. Un morto, forse. E tutto questo su chi aveva i diritti sul corpo di un morto.

Chris disse piano, con grande rimpianto: «Dove la vuoi, Ace? Nel braccio o nella gamba? Io non voglio scegliere, scegli tu per me».

E Ace si fermò.
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La faccia gli si afflosciò, e improvvisamente vi vidi sopra il ter­rore. Fu il tono di Chris, più che le parole, credo; il rimpianto autentico perché le cose stavano mettendosi male. Se era un bluff, fu il migliore che abbia mai visto. Gli altri grandi erano completamente convinti; le loro facce erano rattrappite come se qualcuno avesse appena avvicinato un fiammifero alla miccia di una bomba.

Ace lentamente riprese il controllo di se stesso. I muscoli della faccia ripresero tono, le labbra gli si richiusero, e guardò Chris come si guarda un uomo che vi ha appena fatto una seria proposta di affari — fondersi con la vostra società, o gestire la vostra linea di credito, o spararvi nelle palle. Era un'espressione di attesa, quasi incuriosita, un'espressione che lasciava capire che il terrore o era andato via o era strettamente sotto controllo. Ace aveva ricalcolato le probabilità di non essere sparato e ave­va deciso che quelle in suo favore non erano tante quanto aveva pensato. Ma era sempre pericoloso — forse più di prima. Da allora ho pensato che quello fosse il più feroce esempio di ri­schio calcolato a cui abbia mai assistito. Nessuno dei due bluf­fava, facevano sul serio tutti e due.

«Sta bene», disse Ace piano parlando con Chris. «Ma io so come ne uscirai da questo, stronzo.»

«No che non lo sai», fece Chris.

«Testa di cazzo!» intervenne forte Eyeball. «Finirai al ri­formatorio per questo!»

«Fottiti», gli disse Chris.

Con un suono inarticolato di rabbia Eyeball scattò in avanti e Chris piantò una pallottola nell'acqua a tre metri davanti a lui. Sollevò uno spruzzo d'acqua. Eyeball saltò all'indietro, impre­cando.

«Okay, e ora?» chiese Ace.

«Ora voi vi infilate in macchina e vi fiondate a Castle Rock. Dopo di che non mi interessa. Ma lui non lo prendete.» Toccò leggermente, quasi con reverenza, Ray Brower con la punta del­la scarpa. «Mi sono spiegato?»

«Ma prenderemo voi», disse Ace. Stava ricominciando a sorridere. «Questo non lo sai?»

«Può darsi. E può darsi di no.»

«Vi prenderemo e forte», ripeté Ace sorridendo. «Vi fare­mo male. Non posso credere che questo non lo sai. Vi mande­remo tutti nel fottuto ospedale tutti pieni di fottutissime frattu­re. Sinceramente.»

«Oh, perché non te ne vai a casa a fotterti ancora un po' tua madre? Ho sentito dire che le piace molto come lo fai.»

Il sorriso di Ace si gelò. «Ti ucciderò per questo. Nessuno si permette di parlare di mia madre.»

«Ho sentito dire che tua madre fotte per soldi», lo informò Chris, e mentre Ace cominciava a impallidire, e il suo colorito iniziava ad avvicinarsi al biancore spettrale di Chris, aggiunse: «Anzi, ho sentito dire che fa un bocchino per un gettone del jukebox. Ho sentito dire...»

A questo punto ritornò il temporale, improvviso, cattivo. So­lo che questa volta era grandine, non pioggia. Invece di bisbi­gliare o di parlare, la foresta era sembrata piena di tutti i tam­buri della giungla di ogni film di serie B — il rumore di tutte quelle pietre di ghiaccio che rimbalzavano contro i tronchi. Quei ciottoli pungenti presero a colpirmi le spalle — mi pareva che ci fosse una forza cosciente, malevola, a tirarle. Peggio, comincia­rono a colpire la faccia riversa di Ray Brower con un rumore spaventoso che ci fece ricordare di nuovo di lui, della sua terribi­le e infinita pazienza.

Vern fu il primo a cedere, con un urlo lamentoso. Corse sopra la massicciata con lunghissimi balzi scomposti. Teddy re­sisté un minuto di più, poi corse dietro Vern, le mani sopra la testa. Da parte loro, Vince Desjardins si precipitò sotto uno de­gli alberi vicini, e Fuzzy Bracowicz lo raggiunse. Ma gli altri rimasero immobili, e Ace ricominciò a sorridere.

«Resta con me, Gordie», disse Chris con voce bassa, tre­mante. «Resta con me, amico.»

«Sono qui.»

«Vattene, ora», disse Chris ad Ace, e riuscì come per magia a togliere ogni traccia di tremore dalla sua voce. Il tono era come se stesse dando istruzioni a un bambino stupido.

«Vi prendiamo», disse Ace. «Non lo dimenticheremo, se è questo che stai pensando. Qui la faccenda è davvero grossa, bambino.»

«Sta bene. Ora vattene, la tua presa la fai un altro giorno.»

«Vi prenderemo mentre meno ve lo aspettate, Chambers, Noi...»

«Via!» urlò Chris, e puntò la pistola. Ace fece un passo indietro.

Guardò Chris ancora per un momento, annuì, poi si girò. «Andiamo», disse agli altri. Lanciò ancora un'occhiata di so­pra la spalla a me e a Chris. «Ci vediamo.»

Scomparvero dietro lo schermo degli alberi tra il pantano e la strada. Chris e io rimanemmo perfettamente immobili nono­stante la grandine che ci investiva, arrossandoci la pelle e accu­mulandosi tutt'attorno a noi come neve d'estate. Rimanemmo lì ad ascoltare e al di sopra del ritmo di calipso dei chicchi che colpivano i tronchi, sentimmo le due macchine mettersi in moto.

«Rimani qui», mi disse Chris, e si avviò ad attraversare il pantano.

«Chris!» dissi io in preda al panico.

«Devo farlo. Rimani qui.»

Mi pareva che fosse andato via da moltissimo tempo. Mi convinsi che Ace o Eyeball lo avessero preso alle spalle. Rimasi al mio posto con la sola compagnia di Ray Browern e aspettai che qualcuno — chiunque — tornasse. Dopo un po', fu Chris a tornare.

«È fatta», disse. «Se ne sono andati.»

«Sei sicuro?»

«Sì. Tutt'e due le macchine.» Alzò le mani sopra la testa, strette insieme con la pistola in mezzo, e scosse il doppio pugno nel gesto del vincitore. Poi le lasciò ricadere e mi sorrise. Credo che sia il sorriso più triste e spaventato che abbia mai visto. «'Succhiami questo pezzo grosso'... e chi è che te l'ha detto che ce l'hai grosso, Lachance?»

«Il più grosso di quattro stati», dissi. Tremavo in tutto il corpo.

Ci guardammo con calore per un secondo e poi, forse imba­razzati da quello che ognuno vedeva negli occhi dell'altro, ab­bassammo lo sguardo contemporaneamente. Un brutto brivido di paura mi attraversò la schiena, e l'improvviso splash splash di Chris che sollevava i piedi improvvisamente dal fango mi fece capire che anche lui aveva visto. Gli occhi di Ray Brower erano diventati grandi e bianchi, fissi e senza pupille, come gli occhi che ti guardano dalle statue greche. Ci volle un solo secondo per capire che cosa era successo, ma capire non attuti l'orrore. Gli occhi gli si erano riempiti dei tondi bianchi chicchi di grandine. Ora si stavano sciogliendo e l'acqua scorreva giù lungo le guance come se stesse piangendo per la sua stessa grottesca posizione — malconcio trofeo conteso da due branchi di stupidi ragazzotti. Anche i suoi vestiti erano bianchi di grandine. Sembrava avvol­to in un sudario.

«Oh, Gordie, ehi», disse Chris con voce rotta. «Che spetta­colo per lui.»

«Non credo che lui sappia...»

«Ma forse era proprio il suo fantasma quello che abbiamo sentito. Forse lo sapeva che sarebbe successo. Che fottuto spet­tacolo, ti dico la verità.»

Dei rami si mossero frusciando dietro di noi. Io mi girai di scatto, sicuro che fossero loro che ci avevano aggirato, ma Chris continuò a fissare il corpo dopo una rapida occhiata, quasi ca­suale. Erano Vern e Teddy, i jeans neri per l'acqua e incollati alle gambe, tutti e due con una smorfia da cani bastonati.

«Che facciamo, amico?» chiese Chris, e io risentii un brivi­do agghiacciante lungo la schiena. Forse stava parlando con me, forse... però stava guardando giù verso il corpo.

«Ce lo portiamo dietro, no?» disse Teddy perplesso. «Sa­remo gli eroi. Non ho ragione?» Continuava a passare con lo sguardo da Chris a me e poi ancora a Chris.

Chris si guardò attorno come riscuotendosi da un sogno. Storse la bocca. Si diresse a grandi passi verso Teddy, gli mise tutt'e due le mani sul petto, e lo spinse con violenza. Teddy barcollò, agitò le braccia per mantenere l'equilibrio, poi cadde a sedere con un tonfo nel bagnato. Guardò su verso Chris sbat­tendo le palpebre come un topo colto di sorpresa. Vern guarda­va impaurito Chris, come temendo che fosse impazzito. Forse non era troppo lontano dalla verità.

«Tieni chiusa quella trappola», disse Chris a Teddy. «Para­cadutista dei miei coglioni. Sporco vigliacco.»

«È stata la grandine!» gridò Teddy, pieno di rabbia di ver­gogna. «Non sono stati quelli là, Chris! Mi sono spaventato per il temporale! Non ho potuto farne a meno! Me li sarei fatti tutti subito, te lo giuro sul nome di mia madre! Ma ho avuto paura del temporale! Cazzo! Non ho potuto farci niente!» Cominciò a piangere, seduto lì nell'acqua.

«E tu?» chiese Chris passando a Vern. «Anche tu hai paura dei temporali?»

Vern scosse la testa inespressivo, ancora stordito per la furia di Chris. «Ehi amico, pensavo che stavamo scappando tutti.»

«Allora devi essere uno che legge nel pensiero, perché sei scappato per primo.»

Vern inghiottì due volte e non disse nulla.

Chris lo fissò, gli occhi gonfi e feroci. Poi si rivolse a me. «Facciamogli una barella, Gordie.»

«Se vuoi, Chris.»

«Certo! Come negli scout.» La sua voce era cominciata a salire di tono, a un livello strano, soprannaturale. «Proprio co­me nei fottuti scout. Una barella — pali e camicie. Come nel manuale. Giusto, Gordie?»

«Sì, se vuoi. Ma che si fa se quelli...»

«Al diavolo quelli!» urlò. «Siete tutti un branco di conigli! Andate a fare in culo!»

«Chris, potrebbero chiamare la polizia. Tornare a prender­ci.»

«Lui è nostro e noi ce lo portiamo VIA!»

«Quelli là direbbero qualsiasi cosa per metterci nei guai», gli dissi. Le mie parole suonavano deboli, stupide, impastate dal catarro. «Raccontare qualcosa e mentire tutti d'accordo. Lo sai com'è facile mettere nei guai qualcuno contando delle storie, amico. Come coi soldi del lat...»

«NON ME NE FREGA NIENTE!» urlò, e mi si lanciò con­tro con i pugni alzati. Ma uno dei piedi urtò nel torace di Ray Brower mandando un tonfo sordo, facendo rotolare il corpo. Inciampò e cadde lungo disteso e io aspettai che si alzasse e magari mi desse un pugno in bocca, ma invece rimase lì dov'era caduto, la testa verso la massicciata, le braccia allungate sopra la testa come un tuffatore pronto a buttarsi, nella posizione pre­cisa in cui era Ray Brower quando lo avevamo trovato. Corsi subito con lo sguardo ai suoi piedi per accertarmi che avesse ancora le scarpe. Poi cominciò a piangere e a gridare, dimenan­dosi nell'acqua fangosa, schizzandola tutt'attorno, pestando i pugni, scuotendo la testa da una parte all'altra. Teddy e Vern lo fissavano, senza fiato, perché nessuno aveva mai visto Chris Chambers piangere. Dopo qualche momento ritornai alla mas­sicciata, ci montai su e sedetti su una delle rotaie. Teddy e Vern mi seguirono. E rimanemmo seduti lì, sotto la pioggia, senza parlare, come le tre scimmiette sagge che vendono in quei negozi di regali da due soldi che sembrano sempre sull'orlo del falli­mento.
28
Passarono venti minuti prima che Chris montasse sulla massic­ciata per sedersi accanto a noi. Le nuvole avevano cominciato a rompersi. Qualche lama di sole veniva giù in mezzo agli squarci di sereno. La vegetazione sembrava essersi fatta di tre toni più scura negli ultimi tre quarti d'ora. Lui aveva melma su tutto un lato del corpo. I capelli gli stavano ritti in ciuffi fangosi. L'unica zona pulita di lui erano i due cerchi bianchi attorno agli occhi.

«Hai ragione, Gordie», disse. «Nessuno ha la meglio alla fine. Croce nera dappertutto, eh?»

Annuii. Passarono cinque minuti. Nessuno disse niente. E a me per caso venne un'idea — giusto nel caso che avessero effet­tivamente chiamato Bannerman. Scesi di nuovo dalla massiccia­ta fino al punto dove prima era Chris. Mi misi in ginocchio e cominciai a rastrellare accuratamente con le dita tra l'acqua e l'erba acquitrinosa.

«Che stai facendo?» chiese Teddy, raggiungendomi.

«È alla tua sinistra, credo», disse Chris, e indicò.

Guardai lì e dopo uno o due minuti trovai tutt'e due i bosso­li. Brillavano alla fresca luce del sole. Li diedi a Chris. Lui annuì e se li infilò nella tasca dei jeans.

«Andiamo adesso», disse Chris.

«Ehi, dài esclamò Teddy, realmente angustiato. «Io vo­glio portarlo!»

«Stammi a sentire, deficiente», disse Chris, «se lo riportia­mo indietro potremmo finire tutti in riformatorio. È come dice Gordon. Quelli potrebbero inventare qualsiasi storia. E se dico­no che lo abbiamo ucciso noi, eh? Che te ne pare?»

«Non me ne frega niente», disse Teddy roco. Poi ci guardò con un lampo di speranza assurda. «E poi potrebbero darci solo un paio di mesi, più o meno. Come massimo. Voglio dire, abbiamo solo dodici fottuti anni, non ci manderanno mica a Shawshank.»

Chris fece, piano: «Non puoi entrare nell'esercito se hai la fedina sporca, Teddy».

Ero sicurissimo che non fosse che una balla inventata di sa­na pianta — ma per qualche motivo quello non mi parve il momento opportuno per dirlo. Teddy fissò Chris a lungo, la bocca tremante. Finalmente riusci a tirar fuori: «Senza scher­zi?»

«Chiedi a Gordie.»

Guardò me speranzoso.

«Ha ragione», dissi, sentendosi come uno stronzo grande e grosso. «Ha ragione, Teddy. La prima cosa che fanno quando chiedi di andare volontario è controllare il tuo nome, se è puli­to.»

«Dio santo!»

«Muoviamo il culo fino al ponte della ferrovia», disse Chris. «Poi ci allontaniamo dai binari ed entriamo a Castle Rock dall'altra direzione. Se ci chiedono dove eravamo, diciamo che siamo andati a campeggiare su Brickyard Hill e ci siamo persi.»

«Milo Pressman sa che le cose stanno diversamente», dissi io. «E anche quella merda al Florida Market.»

«Benissimo, diremo che Milo ci ha messo paura ed è stato allora che abbiamo deciso di andare sul Brickyard.»

Annuii. Poteva funzionare. Se mai Vern e Teddy fossero riusciti a ricordarsi che dovevano attenersi a questa versione.

«E se i nostri si sono riuniti?» chiese Vern.

«Preoccupatene tu se vuoi», disse Chris. «Mio padre sarà ancora sotto spirito.»

«Andiamo, allora», disse Vern, occhieggiando lo schermo di alberi tra noi e la Back Harlow Road. Aveva l'aria di aspettarsi che da un momento all'altro facesse irruzione Bannerman con una muta di segugi. «Andiamo finché la situazione è buona.»

Eravamo tutti in piedi, ora, pronti a metterci in cammino. Gli uccelli cantavano come impazziti, contenti della pioggia e della luce brillante e dei vermi e praticamente di tutto al mondo, immagino. Ci girammo tutti indietro, come tirati da un filo, e guardammo Ray Brower.

Era sdraiato lì, di nuovo da solo. Le braccia gli si erano allargate quando lo avevamo girato e ora era come un'aquila ad ali spiegate, come a salutare il sole. Per un momento parve che andasse tutto bene, una scena di morte più naturale di quella che potrà mai organizzare l'impresa di pompe funebri per la camera ardente. Poi si notava la ferita, il sangue rappreso sul mento e sotto il naso, e il modo in cui il corpo cominciava" a gonfiarsi. Si vedevano i tafani, tornati fuori col sole, girare a cerchio attorno al corpo, ronzando indolenti. Ci si ricordava dell'odore gasoso, nauseante ma secco, come scorregge in una stanza chiusa. Era un ragazzo della nostra età, era morto, e ri­fiutavo l'idea che potesse esserci alcunché di naturale in questo; la spinsi via con orrore.»

«Okay», fece Chris, e intendeva essere brusco, ma la voce gli uscì dalla gola come una manciata di setole secche da una vecchia spazzola. «In marcia veloce.»

Partimmo quasi al trotto lungo la strada che avevamo fatto a venire. Non parlammo. Non so gli altri, ma io ero troppo occupato a pensare per poter parlare. C'erano delle cose che mi turbavano sul corpo di Ray Brower — mi turbavano allora e mi turbano adesso.

Una brutta contusione sul lato della faccia, una lacerazione al cuoio capelluto, un naso sanguinante. Niente di più — alme­no, niente di più di visibile. C'è gente che esce da risse da bar in condizioni peggiori, e continua tranquillamente a bere. Ma il treno doveva averlo colpito; perché altrimenti sarebbe schizzato in quel modo dalle scarpe? E com'era successo che il macchini­sta non l'aveva visto? Era possibile che il treno l'avesse colpito forte abbastanza da scaraventarlo via ma non da ucciderlo? Pen­savo che, con questa combinazione di circostanze, poteva esse­re accaduto. Lo aveva preso, il treno, con un colpo forte laterale mentre lui cercava di togliersi dalla via ferrata? Colpito e lancia­to all'indietro in volo oltre la parte franata della massicciata? Forse lui era rimasto sveglio e tremante nel buio per ore, non solo perso ma anche disorientato, tagliato fuori dal mondo? Forse era morto di paura. Un uccello con le penne della coda rotte una volta morì tra le mie mani proprio in questo modo. Il suo corpo tremava e vibrava leggero, il becco si apriva e si chiu­deva, gli occhi neri e brillanti mi fissavano. Poi la vibrazione cessò, il becco si irrigidì semiaperto e gli occhi neri si fecero opachi e indifferenti. Forse era stato così anche per Ray Brower. Poteva essere morto perché era semplicemente troppo spaventa­to per continuare a vivere.

Ma c'era anche un'altra cosa, e questo mi turbava più di tutte, credo. Era partito per andare a mirtilli. Mi sembrava di ricordare che la radio aveva detto che portava una pentola per metterci i mirtilli. Quando tornammo andai in biblioteca e guardai i giornali per accertarmene, e avevo ragione. Era andato per frutti di bosco, e aveva con sé un secchiello, una pentola — qualcosa del genere. Ma noi non l'avevamo trovata. Trovammo lui, e trovammo le sue scarpe. Doveva averla buttata via a un certo punto tra Chamberlain e la zona acquitrinosa a Harlow dove era morto. Probabilmente ci si era stretto ancora più forte, sulle prime, come pensando che lo legasse alla casa e alla salvez­za. Ma col crescere della paura, e insieme con essa della sensa­zione di essere completamente solo, senza possibilità di una sal­vezza che non venisse da qualcosa che poteva fare lui stesso, con l'arrivo del terrore vero, probabilmente la gettò via tra gli alberi da un lato o dall'altro della ferrovia, accorgendosi appena di non averla più.

Ho pensato di tornare a cercarla — vi pare una curiosità morbosa? Ho pensato di arrivare in fondo alla Back Harlow Road con il mio furgoncino Ford quasi nuovo in qualche splen­dente mattino d'estate, da solo, mia moglie e i bambini lontanissimi, in un altro mondo, dove se giri un interruttore arriva la luce nel buio. Ho pensato come sarebbe. Tirare fuori dal retro il mio zaino e appoggiarlo sul paraurti mentre con cura mi tolgo la camicia e me la lego attorno alla vita. Strofinarmi il petto e le spalle con Muskol contro gli insetti e poi entrare tra la vegeta­zione fin dove era quel posto paludoso, il posto dove lo tro­vammo. L'erba sarebbe cresciuta gialla, lì, seguendo la forma del suo corpo? Certamente no, non ci sarebbe alcun segno, ma uno se lo chiede lo stesso, e si rende conto di quanto è sottile il velo tra la tua attitudine di uomo razionale — lo scrittore con le toppe di pelle sui gomiti della giacca di velluto — e i bizzarri miti gorgonici dell'infanzia. Quindi montare sulla massicciata, ormai infestata dalle erbacce, e camminare lentamente lungo le rotaie arrugginite e le traversine marcite verso Chamberlain.

Stupide fantasie. Una spedizione per trovare un secchiello da mirtilli vecchio di vent'anni, probabilmente lanciato nel folto del bosco o schiacciato sotto un bulldozer che preparava un lotto da mezzo acro per una casa, o soffocato così profondamente dalla vegetazione cresciutagli attorno da essere diventato invisi­bile. Ma sono certo che è ancora lì, da qualche parte lungo la linea abbandonata della GS&WM, e a volte l'impulso di andare è quasi una frenesia. Di solito mi viene di mattina presto, quando mia moglie fa la doccia e i ragazzini stanno guardando Batman o Scooby Doo sul canale 38 di Boston, e io più che mai mi sento come il preadoloscente Gordon Lachance che una vol­ta passò sulla terra, camminando e parlando e occasionalmente strisciando sulla pancia come un rettile. Quel ragazzo ero io, penso. E il pensiero che segue, che mi agghiaccia come un getto di acqua gelata è: Quale ragazzo intendi?

Sorseggiando una tazza di tè, guardando il sole che passa dalle finestre della cucina, sentendo la TV da una parte della casa e la doccia dall'altra, avvertendo dietro gli occhi la pulsa­zione che significa che ho preso una birra di troppo la sera pri­ma, mi sento sicuro di poterlo trovare. Vedrei il metallo chiaro scintillare attraverso la ruggine, il sole vivido dell'estate riman­darlo ai miei occhi. Scenderei dal fianco della massicciata, spin­gerei da parte le erbacce cresciute attorno e che avvolgono il manico, e poi potrei... cosa? Be', semplicemente tirarlo fuori dal tempo. Me lo rigirerei tra le mani, attento alla sensazione che produce, riflettendo sul fatto che so che l'ultima persona che l'ha toccato è da tempo sepolta. E se dentro ci fosse un bigliet­to? Aiutatemi, mi sono perduto. Chiaramente non ci sarebbe — i ragazzi non vanno per mirtilli portandosi dietro carta e matita — ma supponiamolo soltanto. Immagino che la soggezione che sentirei sarebbe oscura quanto un'eclisse. Eppure, è soprattutto solo l'idea di tenere quel secchiello tra le mie due mani, immagi­no — oltre che un simbolo del mio vivere mentre lui muore, la prova che in realtà io so quale ragazzo era — quale ragazzo tra noi cinque. Stringerlo. Leggere ogni anno nella sua crosta di ruggine e nello sbiadire del suo lucido scintillare. Sentirlo, cercare di capire il sole che ci è brillato sopra, la pioggia che ci è caduta, le nevi che l'hanno coperto. E chiedermi dove ero io quando ognuna di queste cose gli stava accadendo nel suo posto solitario, dove ero io, cosa stavo facendo, chi amavo, come me la cavavo, dov'ero. Lo stringerei, lo leggerei, lo sentirei tra le mani... E guarderei il mio viso in quei punti dove ci fosse ancora rimasto del riflesso. Riuscite ad afferrare?


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