Margaret atwood



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soluti; non sanno dove andare. Avrebbe dovuto pensarci lei, avrebbe dovu-

to organizzare qualcosa, perché naturalmente lui non ha una stanza, non

ancora. Almeno ha portato una bottiglia di scotch, riposta nella borsa.

Questo se lo è ricordata.

Devono andare da qualche parte, così vanno in un albergo, uno econo-

mico che lui si ricorda. È la prima volta che lo fanno ed è un rischio, ma

appena vede l'albergo è sicura che nessuno là si aspetterebbe che siano al-

tro che non sposati; o, se sposati, non tra di loro. Lei ha indossato il suo

impermeabile estivo di due stagioni prima, si è messa una sciarpa sulla te-

sta. La sciarpa è di seta, ma è la peggiore che abbia rimediato. Forse pense-

ranno che lui la paghi. Spera di sì. In quel modo non la noteranno.

Sul tratto di marciapiede là fuori ci sono vetri rotti, vomito, qualcosa che

sembra sangue che si sta seccando. Non calpestarlo, le dice.

Al piano terra c'è un bar, sebbene sia chiamato Stanza delle Bevande.

Solo Uomini, Signore e Accompagnatori. Fuori c'è un'insegna al neon ros-

sa con le lettere verticali e una freccia rossa che scende giù e si curva in

modo che la punta indichi la porta. Due delle lettere sono rotte, perciò si

legge Stanza delle Be nde. Piccole lampadine simili a luci natalizie lam-

peggiano a intermittenza, correndo lungo l'insegna come formiche che

scendano lungo una grondaia.

Perfino a quest'ora ci sono uomini che bighellonano là intorno, aspettan-

do che il locale apra. Mentre li superano la prende per il gomito, le fa un

po' fretta. Dietro di loro uno degli uomini fa il verso di un gatto maschio in

amore.

L'albergo ha una porta separata. Le mattonelle a mosaico bianche e nere



dell'entrata circondano quello che un tempo era forse un leone rosso, ma

sembra che sia stato rosicchiato da tarme mangiatrici di pietra, e così ades-

so ha più l'aria di un polipo mutilato. Il pavimento di linoleum giallo ocra

non è stato lavato da un pezzo; chiazze di sporco vi sbocciano come fiori

grigi schiacciati.

Lui firma il registro, paga; nel frattempo lei sta lì, sperando di sembrare

annoiata, mantenendo la faccia immobile, gli occhi al di sopra del tetro

impiegato al banco, fissi sull'orologio. È semplice, lapidario, senza pretese

di grazia, come un orologio delle ferrovie: pratico. Questo è il tempo, dice,

ha solo questa dimensione, non ce ne sono altre.

Ora ha le chiavi. Secondo piano. C'è un piccolo ascensore che sembra

una bara, ma lei non ne sopporta l'idea, sa di cosa saprà, di calze sporche e

denti in rovina, e non sopporta di stare lì dentro faccia a faccia con lui, così

vicina e in quell'odore. Salgono su per le scale. Un tappeto, un tempo blu

scuro e rosso. Un sentiero cosparso di fiori, ormai logoro fino alle radici.

Mi dispiace, dice lui. Poteva andare meglio.

Si ha quello che si paga, dice lei; ma è la cosa sbagliata da dire, lui può

credere che stia commentando la sua mancanza di denaro. Però è una buo-

na copertura, aggiunge, cercando di rimediare. Lui non risponde. Sta par-

lando troppo, sente la propria voce, e ciò che sta dicendo non è affatto ac-

cattivante. È diversa da come se la ricorda, è molto cambiata?

Nel corridoio c'è una carta da parati ormai senza colore. Le porte sono di

legno scuro, piene di buchi, incise e graffiate. Lui trova la camera, la chia-

ve gira. È una chiave antiquata dal cannello lungo, come quella di una vec-

chia cassaforte. La stanza è peggio di qualunque altra stanza ammobiliata

in cui sono stati prima: quelle avevano almeno una superficiale pretesa di

pulizia. Un letto matrimoniale con sopra un copriletto scivoloso, finto raso

imbottito, di uno squallido rosa giallastro come la pianta di un piede. Una

sedia, con un sedile da cui fuoriesce l'imbottitura che sembra riempita di

polvere. Un portacenere di vetro marrone sbreccato. Fumo di sigaretta, bir-

ra versata, e sotto un altro odore fastidioso, come di biancheria intima non

lavata da un pezzo. Sulla porta c'è un sopraffinestra, vetro stampato verni-

ciato di bianco.

Si sfila i guanti, li lascia cadere sulla sedia insieme all'impermeabile e

alla sciarpa, tira fuori la bottiglia dalla borsa. Nessun bicchiere in vista,

dovranno bere dalla bottiglia.

Apriamo la finestra? chiede. Potremmo far entrare un po' di aria fresca.

Lui ci va, solleva il pannello scorrevole. Un forte vento irrompe nella

stanza. Fuori, un tram passa sferragliando. Lui si gira, sempre alla finestra,

si piega all'indietro, le mani dietro di lui sul davanzale. Con la luce alle

spalle, lei non può vederne che il contorno. Potrebbe essere chiunque.

Bene, dice lui. Eccoci di nuovo. Sembra stanco morto. Le viene in mente

che potrebbe avere solo voglia di dormire in quella stanza.

Va verso di lui, gli fa scivolare le braccia intorno alla vita. Ho trovato la

storia, dice.

Quale storia?

Gli Uomini Lucertola di Xenor. L'ho cercata dappertutto, avresti dovuto

vedermi frugare nelle edicole, devono aver pensato che fossi pazza. L'ho

cercata una vita.

Oh, quella, dice lui. Hai letto quella robaccia? Me n'ero dimenticato.

Non si mostrerà scoraggiata. Non mostrerà di avere tanto bisogno di lui.

Non dirà che quello era un indizio che dimostrava la sua esistenza; una

prova, per quanto assurda.

Certo che l'ho letta. Ho continuato ad aspettare l'episodio successivo.

Non l'ho mai scritto, dice. Troppo occupato a farmi sparare, da tutte e

due le parti. Il nostro gruppo era preso nel mezzo. Dovevo scappare dai

buoni. Che confusione.

In ritardo, le sue braccia la cingono. Sa di latte in polvere e malto. Le

appoggia la testa sulla spalla, la carta vetrata della sua guancia contro il la-

to del suo collo. È lì con lei al sicuro, almeno per il momento.

Dio, ho bisogno di bere, dice.

Non dormire, fa lei. Non dormire ancora. Vieni a letto.

Lui dorme per tre ore. Il sole si sposta, la luce si affievolisce. Lei sa che

dovrebbe andare, ma non può sopportare l'idea di farlo, né quella di sve-

gliarlo. Che scusa addurrà al suo ritorno? Si inventerà una vecchia signora

ruzzolata dalle scale, una vecchia signora che aveva bisogno di essere soc-

corsa; inventerà un taxi, una scappata all'ospedale. Come avrebbe potuto

lasciarla a cavarsela da sola, povera vecchia? Stesa sul marciapiede senza

un solo amico al mondo. Dirà che lo sa, avrebbe dovuto telefonare, ma nel-

le vicinanze non c'era un telefono, e la vecchia signora soffriva talmente.

Si corazza contro la predica che le verrà propinata sul fatto che dovrebbe

pensare agli affari propri; contro le scrollate di testa, perché cosa si può fa-

re con lei? Quando imparerà a non strafare?

Al piano di sotto l'orologio ticchetta via i minuti. Ci sono voci nel corri-

doio, il rumore di qualcuno che si affretta, un rapido picchiettare di scarpe.

È tutto un giro di scopate. Giace sveglia accanto a lui, ascoltandolo dormi-

re, chiedendosi dove sia andato. E anche quanto debba dirgli - e se debba

dirgli tutto quello che è successo. Se le chiederà di andarsene con lui, allo-

ra dovrà dirglielo. O forse sarebbe meglio di no. O non ancora.

Quando si sveglia vuole ancora da bere, e una sigaretta.

Suppongo che non dovremmo farlo, dice lei. Fumare a letto. Prenderemo

fuoco. Bruceremo.

Lui non dice niente.

Com'è andata? chiede lei. Ho letto i giornali, ma non è la stessa cosa.

No, dice lui. Non lo è.

Ero così preoccupata che potessi rimanere ucciso.

È quasi successo, dice lui. La cosa buffa è che era un inferno, ma mi ci

ero abituato, e ora non riesco ad abituarmi a questo. Hai messo su un po' di

peso.

Oh, sono troppo grassa?



No. Va bene. Qualcosa a cui aggrapparsi.

È buio pesto adesso. Da sotto la finestra, dove la Stanza delle Bevande si

vuota sulla strada, giungono frammenti di una canzone stonata, grida, risa-

te; poi il suono di vetro che si frantuma. Qualcuno ha fracassato una botti-

glia. Una donna urla.

Festeggiano qualcosa.

Cosa festeggiano?

La guerra.

Ma non c'è la guerra. È tutto finito.

Festeggiano la prossima, dice lui. È in arrivo. Tutti la negano quassù nel

paese dei sogni, ma giù al piano terra puoi fiutarla che arriva. Con la Spa-

gna a pezzi per essere stata oggetto di tiro al bersaglio, cominceranno mol-

to presto a fare sul serio. È come se l'aria risuonasse di tuoni, e ne sono ec-

citati. Ecco perché tutte queste bottiglie fracassate. Non vogliono perdere

tempo.

Oh, non è sicuramente così, dice lei. Non ce ne può essere un'altra. Han-



no fatto patti e tutto.

Pace nei nostri giorni, dice lui sprezzante. Fottute stronzate. Quello in

cui sperano è che lo Zio Joe e Hitler si distruggano a vicenda, e in più li li-

berino degli ebrei, mentre loro se ne stanno seduti sui loro culi a far soldi.

Sei cinico come sempre.

E tu sei altrettanto ingenua.

Non proprio, dice lei. Non discutiamo. Non saremo noi a decidere le co-

se. Ma questo è più tipico di lui, più simile a com'era, perciò si sente un po'

meglio.

No, fa lui. Hai ragione. Non saremo noi a decidere. Siamo pesci piccoli.



Ma tu te ne andrai comunque, dice lei. Se ricomincia. Che tu sia un pe-

sce piccolo o meno.

La guarda. Cos'altro posso fare?

Non sa perché lei stia piangendo. Lei cerca di trattenersi. Vorrei che fos-

si stato ferito, dice. Allora dovresti rimanere.

Sai che bella consolazione, dice lui. Vieni qui.

Quando se ne va, quasi non ci vede. Cammina da sola per un po', per

calmarsi, ma è buio e ci sono troppi uomini sul marciapiede, perciò prende

un taxi. Seduta sul sedile di dietro, si ritocca la bocca, si incipria il viso.

Quando si fermano, fruga nella borsa, paga il taxi, sale i gradini di pietra,

attraversa l'entrata ad arco e chiude la spessa porta di quercia. Mentalmen-

te sta facendo le prove: Scusa il ritardo, ma non crederai a cosa mi è suc-

cesso. Ho avuto proprio una piccola avventura.

L'assassino cieco: Le tendine gialle

Come si è propagata la guerra? Come ha ripreso forza? Di cosa era fatta?

Di quali segreti, bugie, tradimenti? Di quali amori e odi? Di quali somme

di denaro, di quali metalli?

La speranza getta una cortina fumogena. Il fumo ti va negli occhi, e così

nessuno è preparato, ma all'improvviso eccola qui, come un falò sfuggito

al nostro controllo - come un assassinio, solo moltiplicato. Un fiume in

piena.

La guerra si svolge in bianco e nero. Per quelli che stanno a guardare,



cioè. Per quelli che vi sono davvero coinvolti ci sono molti colori, colori

eccessivi, troppo vivaci, troppo liquidi e incandescenti, troppo rosso e a-

rancione, ma per gli altri la guerra è come un cinegiornale - granuloso,

macchiato, con scoppi di rumori intermittenti e grandi masse di gente dalla

pelle grigia che si precipita o arranca o cade giù, il tutto in un altro luogo.

Lei va a vedere i cinegiornali nei cinema. Legge i giornali. Sa di essere

alla mercé degli eventi, e sa che gli eventi non hanno pietà.

Ha deciso. È determinata adesso, sacrificherà tutto e tutti. Nulla e nessu-

no la ostacolerà.

Ecco cosa farà. Ha programmato tutto. Se ne andrà di casa un giorno,

come se fosse un giorno qualsiasi. Avrà del denaro, denaro di qualche ge-

nere. Questa parte non è ben chiara, ma di sicuro potrà rimediare qualcosa.

Cosa fa l'altra gente? Va al banco dei pegni, e questo è quello che farà an-

che lei. Si procurerà il denaro impegnando oggetti: un orologio d'oro, un

cucchiaio d'argento, una pelliccia. A più riprese. Li impegnerà a poco a

poco, e la loro mancanza non verrà notata.

Non sarà una gran cifra, ma dovrà farsela bastare. Affitterà una stanza,

una stanza economica ma non troppo squallida - niente che una mano di

vernice non possa ravvivare. Scriverà una lettera dicendo che non tornerà.

Loro manderanno emissari, ambasciatori, poi avvocati, minacceranno, cri-

minalizzeranno, lei avrà paura tutto il tempo ma terrà duro. Brucerà tutti i

ponti tranne quello che porta a lui, anche se il ponte che porta da lui è così

tenue. Tornerò, ha detto, ma come può esserne sicuro? Non si può assicu-

rare una cosa del genere.

Vivrà di mele e cracker, di tazze di tè e bicchieri di latte. Di scatole di

fagioli e manzo in scatola. Anche di uova fritte, quando sarà possibile, e

fette di toast, che mangerà al caffè all'angolo, dove mangiano anche gli

strilloni e gli ubriachi fin dal mattino. Anche i reduci ci mangeranno, sem-

pre più numerosi col passare dei mesi: uomini senza mani, braccia, gambe,

orecchie, occhi. Desidererà parlare con loro, ma non lo farà perché qual-

siasi interesse da parte sua sarebbe sicuramente frainteso. Come sempre il

suo corpo avrebbe stimolato un linguaggio sfacciato. Perciò starà solo a

sentire.

Nel caffè si parlerà della fine della guerra, a detta di tutti imminente. Sa-

rà solo questione di tempo, diranno, prima che ogni cosa venga riassorbita

e i ragazzi tornino a casa. Gli uomini che lo diranno saranno estranei l'uno

all'altro, ma si scambieranno comunque simili commenti, perché la pro-

spettiva della vittoria li renderà loquaci. Ci sarà una sensazione differente

nell'aria, in parte ottimismo, in parte paura. Da un giorno all'altro usciran-

no dal tunnel, ma chi può dire cosa troveranno là fuori?

Il suo appartamento sarà sopra una drogheria, e avrà un cucinino e un

piccolo bagno. Comprerà una pianta da appartamento - una begonia, oppu-

re una felce. Si ricorderà di innaffiare la pianta, così non morirà. La donna

che gestirà la drogheria avrà i capelli scuri e sarà grassoccia e materna, e

parlerà della sua magrezza e del fatto che dovrebbe mangiare di più, e di

come andrebbe curato un raffreddore di petto. Forse sarà greca; greca, o

qualcosa del genere, con grosse braccia e la riga in mezzo, e una crocchia

di dietro. Suo marito e suo figlio saranno oltremare; avrà le loro foto, in

cornici di legno dipinto, ritoccate, accanto al registratore di cassa.

Entrambe - lei e la donna - trascorreranno un'infinità di tempo ad ascol-

tare: dei passi, una telefonata, un colpo alla porta. È duro dormire in quelle

circostanze: discuteranno dei rimedi contro l'insonnia. Di tanto in tanto la

donna le ficcherà in mano una mela, o un dolce di un verde carico dal con-

tenitore di vetro sul banco. Simili doni la conforteranno più di quanto non

potrebbe far pensare il loro basso prezzo.

Come saprà dove andarla a cercare? Ora che si è bruciata i ponti alle

spalle. Lo saprà, tuttavia. Lo scoprirà in qualche modo, perché la fine dei

viaggi è ai convegni d'amore. Dovrebbe. Deve.

Cucirà delle tendine per le finestre, tendine gialle, il colore dei canarini o

dei tuorli d'uovo. Tendine allegre, come la luce del sole. Non importa che

non sappia cucire, perché la donna di sotto l'aiuterà. Inamiderà le tendine e

le appenderà. Si metterà in ginocchio con uno scopino e pulirà gli escre-

menti di topo e le mosche morte sotto il lavandino della cucina. Ridipinge-

rà una serie di barattoli trovati in un negozio di cianfrusaglie, e ci stampi-

glierà sopra: Tè, Caffè, Zucchero, Farina. Nel farlo canticchierà fra sé e sé.

Comprerà un asciugamano nuovo, un'intera serie di asciugamani nuovi.

Anche lenzuola, sono importanti, e federe. Si spazzolerà molto i capelli.

Queste sono le cose allegre che farà, mentre lo aspetterà.

Comprerà una radio di seconda mano, piccola e dal suono metallico, al

banco dei pegni; ascolterà le notizie per tenersi aggiornata con gli avveni-

menti in corso. Avrà anche un telefono: un telefono sarà necessario a lun-

go andare, sebbene nessuno la chiamerà, non ancora. A volte lo prenderà

solo per sentirlo ronzare. Oppure ci saranno delle voci che converseranno

sulla linea comune. Per lo più si tratterà di donne che si scambieranno det-

tagli sui pasti, sul tempo, sulle offerte speciali e sui bambini, e sugli uomi-

ni lontani.

Nulla di tutto ciò accadrà, naturalmente. Oppure accadrà, ma non in mo-

do che possa essere notato. Accadrà in un'altra dimensione dello spazio.

L'assassino cieco: Il telegramma

Il telegramma viene consegnato nel solito modo, da un uomo in unifor-

me scura la cui faccia non preannuncia buone notizie. Quando li assumono

per quel lavoro insegnano loro quell'espressione, remota ma dolorosa, co-

me una vuota campana scura. L'immagine della bara chiusa.

Il telegramma arriva in una busta gialla con un rettangolo trasparente, e

dice la stessa cosa che dicono sempre i telegrammi come quello - parole

remote, come le parole di un estraneo, un intruso che stia dall'altra parte di

una lunga stanza vuota. Non ci sono molte parole, ma ogni parola è distin-

ta: informiamo, perdita, rammarico. Parole caute, neutre, che nascondono

una domanda: Cosa ti aspettavi?

Di cosa parla? Di chi parla? chiede lei. Oh. Ricordo. Lui. Quell'uomo.

Ma perché lo hanno mandato a me? Non sono mica una parente prossima!

Parente? dice uno di loro. Ne aveva qualcuno? Dovrebbe essere una spi-

ritosaggine.

Ride. Non ha niente a che fare con me. Appallottola il telegramma, che

presume abbiano già letto di nascosto senza dirle niente. Si siede, in modo

un po' troppo irruente. Scusate, dice. All'improvviso mi sento piuttosto

strana.

Ecco qui. Questo ti tirerà su. Bevilo tutto, è quello che ci vuole.



Grazie. Non ha niente a che fare con me, ma è sempre uno choc. È come

se la morte mi fosse passata accanto. Rabbrividisce.

Calma. Sei un po' pallida. Non prenderla a livello personale.

Forse è stato un errore. Forse hanno confuso gli indirizzi.

Potrebbe essere. O forse è stata opera sua. Forse ha voluto fare uno

scherzo. Era un tipo strano, se ben ricordo.

Più strano di quanto pensassimo. Che cosa schifosa, sgradevole da fare!

Se fosse vivo potresti citarlo per danni.

Forse cercava di farti sentire in colpa. È quello che fanno, quelli della

sua razza. Invidiosi, tutti quanti. Impediscono agli altri di godersi la vita.

Non preoccupartene.

Be', non è una cosa molto piacevole, comunque la si rigiri.

Piacevole? Perché dovrebbe essere piacevole? Lui non è mai stato quello

che si dice piacevole.

Suppongo che potrei scrivere all'ufficiale superiore. Per chiedere una

spiegazione.

E perché dovrebbe saperne qualcosa? Non è dipeso certo da lui, è stato

qualche funzionario in un ufficio. Usano soltanto quello che c'è scritto nei

curriculum. Direbbe che è stato un errore, certo non il primo, da quello che

sento.


Comunque, non ha senso protestare. Servirebbe solo ad attirare l'atten-

zione, e comunque sia non scoprirai mai perché l'ha fatto.

No, a meno che i morti non camminino. Hanno gli occhi scintillanti, tutti

rivolti verso di lei, in guardia. Di cosa hanno paura? Cosa temono che fac-

cia?

Vorrei che non usaste quella parola, dice lei di cattivo umore.



Quale parola? Oh. Vuole dire morti. Bisogna pure chiamare le cose con

il loro nome, essere terra terra. È assurdo non farlo. Ora, non fare...

Non mi piace la terra, quando deve ricoprire i morti.

Non essere morbosa.

Dalle un fazzoletto. Non è il momento di tormentarla. Dovrebbe andare

di sopra, fare un riposino. Poi sarà perfettamente in forma.

Non lasciarti turbare da questa cosa.

Non prendertela a cuore.

Dimenticala.

L'assassino cieco: La distruzione di Sakiel-Norn

Di notte si sveglia di colpo con il cuore che le martella. Scivola giù dal

letto e si avvia in silenzio verso la finestra, solleva un po' di più il pannello

scorrevole e si sporge. C'è la luna, quasi piena, venata dalla ragnatela delle

sue vecchie cicatrici, e sotto di essa l'opaco bagliore arancione gettato tut-

t'intorno dai lampioni stradali. Sotto c'è il marciapiede, chiazzato d'ombra

e parzialmente nascosto dal castagno nel giardino, i rami aperti come una

rete spessa e dura, i fiori bianco naftalina debolmente risplendenti.

C'è un uomo, guarda in su. Lei vede le sopracciglia scure, i fori delle or-

bite oculari, il sorriso come un taglio bianco attraverso l'ovale del viso.

Nella V sotto la sua gola c'è del pallore: una camicia. Solleva la mano, fa

un cenno: vuole che lo raggiunga - che scivoli fuori della finestra, si cali

giù lungo l'albero. Ma lei ha paura. Ha paura di cadere.

Ora lui è lì fuori, sul davanzale, ora è nella stanza. I fiori del castagno

divampano: alla loro luce bianca vede la sua faccia, la pelle grigiastra, in

mezzatinta; è a due dimensioni, come una fotografia, ma macchiato. C'è

odore di bacon che brucia. Non sta guardando lei, non esattamente; è come

se lei fosse la propria ombra e lui stesse guardando quella. Il punto in cui

sarebbero gli occhi se la sua ombra potesse vedere.

Desidera toccarlo, ma esita: sa che se lo prendesse tra le braccia divente-

rebbe confuso, poi si dissolverebbe in brandelli di vestiti, in fumo, in mo-

lecole, in atomi. Le sue mani lo attraverserebbero.

Ho detto che sarei tornato.

Cosa ti è successo? Cosa c'è che non va?

Non lo sai?

Poi sono fuori, sul tetto, sembra, e guardano la città sotto di loro, ma non

è nessuna città che lei abbia mai visto. È come se un'enorme bomba ci fos-

se caduta sopra, è tutta in fiamme, tutto brucia contemporaneamente - le

case, le strade, i palazzi, le fontane e i templi - esplodendo, scoppiando

come fuochi d'artificio. Non ci sono suoni. Brucia in silenzio, come in un

quadro - bianco, giallo, rosso e arancione. Niente grida. Non c'è gente; la

gente deve essere già morta. Lì accanto, lui vacilla in una luce tremula.

Non ne rimarrà niente, dice. Un mucchio di sassi, poche parole antiqua-

te. È sparita, ormai, cancellata. Nessuno la ricorderà.

Ma era così bella! esclama lei. Ora le sembra un luogo che ha conosciu-

to; lo ha conosciuto molto bene, lo ha conosciuto come le proprie tasche.

Nel cielo sono sorte tre lune. Zycron, pensa. Amato pianeta, terra del mio

cuore. Dove una volta, tanto tempo fa, ero felice. Tutto è scomparso ormai,

tutto distrutto. Non sopporta di guardare le fiamme.

Era bella per alcuni, dice lui. È sempre quello il problema.

Cosa è andato storto? Chi è stato?

La vecchia donna.

Cosa?


L'histoire, cette vieille dame exaltée et menteuse.

Risplende come latta. I suoi occhi sono fessure verticali. Non è come lo


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