Albalisa samperi centro mara meoni di siena



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MARIA TERESA BATTAGLINO
L'obiettivo di questa giornata di riflessione "interna" è quello di mettere a punto delle questioni strategiche a partire dal patrimonio delle nostre esperienze e dei nostri percorsi, e alla luce delle suggestioni che sono emerse dalla giornata di ieri. A partire da questo nostro incontro e dalla riflessione comune che da un anno portiamo avanti, è possibile intravedere possibili alleanze, scambi, strategie comuni?

PIERA ELIA
Una prima questione che vorrei sottoporre all'attenzione di tutte, in vista della costruzione di una comune strategia di azione, è quella della marginalità. Ho l'impressione che queste nostre imprese si giochino tutte in un "a parte", in un terzo sistema, mentre il primo e il secondo sistema -quello dello stato e quello del mercato- vanno per conto proprio.

Come far dialogare queste sfere? Come metterle in comunicazione in modo che il terzo sistema non si risolva in un sistema a latere che non incide su nulla? Come far sì che questo nostro essere "sulla soglia" non diventi marginalità?



PAPPALARDO
Il mio desiderio è che queste imprese si sviluppino intorno a un obiettivo che è anche un criterio operativo: quello dell' "essere bene". Un essere bene che il movimento delle donne coltiva da 20 anni sia come cultura che come pratica.

La finalità dell'essere bene richiede l' integrazione della persona nell'ambiente Si tratta di mettere al centro l'ambiente, stare attente all'unione tra mente e corpo, tra persona e natura.

Questa finalità, che fa parte del nostro essere donne e delle nostre culture, va esplicitata anche all'interno dell'impresa, va articolata in strategie.

MARIA TERESA BATTAGLINO
Nel gruppo "Genere e Economia" abbiamo affrontato il tema dell'economia a partire dall'essere donne: non il tema donne e economia, ma l'economia vista dalle donne. Abbiamo individuato un tema che ci accomunava tutte: le nostre imprese debbono svilupparsi mantenendo l'economia dell'oikos, della casa.

Ma su questo ho sentito dissonanze profonde con la relazione di Mercedes di ieri.

Nella relazione di Mercedes c'è una separazione profonda tra lavoro di cura e lavoro intellettuale. E' uno iato reale nella attuale organizzazione dei saperi e dei lavori. Ma non dobbiamo accettarlo, al prezzo di perdere la nostra specificità.

Io so bene che la prossimità tra le donne e la cura è un dato socialmente costituito. Ma io questo dato non lo voglio perdere.

L'altro nodo che vorrei affrontare è quello del rapporto tra associazione e impresa: come trasferire l'anima della associazione all'impresa? L'impresa può avere un'anima?

Un gruppo di donne che si associa, lo fa sotto la spinta di problemi e motivazioni diverse: lavoro, economia, diritti, cultura. Il valore sta nell'intreccio di questi fattori, è quello che genera la passione.

Man mano che la associazione si sviluppa, le donne che vi partecipano individuano con chiarezza maggiore bisogni , problemi, competenze, desideri. Nascono dei sottogruppi di interesse. Come evitare allora la disgregazione, la separazione delle sfere? Come evitare che il politico entri in collisione con l'economico?

Lo sviluppo delle nostre imprese dipende dalla risoluzione di questo nodo. Perché le imprese, di per sé, non reggono sul mercato.

Il mercato che può contenere queste esperienze è quello che noi stesse alimentiamo e incrementiamo politicamente, attraverso le attività associative.

L'esperienza di NODI è esemplare: una associazione che ha cominciato facendo un lavoro politico sui diritti, ha sviluppato dei servizi e delle competenze che hanno procurato loro una convenzione con il Comune. Da questo nucleo, altre iniziative hanno preso sviluppo, è nata una holding. Questo è il percorso esemplare, che può partire da una attività o da uno spazio esistente, come il Centro Interculturale. E all'interno di questo percorso ogni donna individuerà priorità e scelte diverse: l'impegno nelle attività economiche è una delle scelte possibili. Ma come risolvere i conflitti che questa scelta sembra generare all'interno della associazione?




FLOR MARIA TRINIDAD
Nel Cesdi questo problema è molto scottante. L'attività di ristorazione è molto ben sviluppata all'interno della associazione. Ma se facessimo la proposta di mettere in piedi una impresa vera e propria, gestita da 4 o 5 socie e con l'esclusione delle altre, questa scelta verrebbe sentita come in contrasto con l'associazione. Creerebbe sicuramente una spaccatura.

D'altra parte, già nell'esercizio delle attività economiche in ambito associativo emergono competenze diverse, abilità, incompatibilità. Ma affermarle come criteri di selezione di chi può partecipare o no alla attività, questo creerebbe una spaccatura.



ROSANNA RABEZZANA
Anche io, come Maria Teresa, penso che il nodo del rapporto associazione-impresa vada affrontato parallelamente a quello dell'incremento del mercato. E' vero che il genere di impresa che noi creiamo ha scarse possibilità di svilupparsi sul mercato così come esso è. Il mercato deve essere alimentato politicamente, e questo può essere fatto attraverso il lavoro della Associazione. Anche per la impresa "Alma Teatro" è così. Perché il mercato reale del lavoro teatrale non contempla certi modi di fare impresa. L'impresa Alma Teatro sopravvive grazie a un contesto associativo che fa diventare "politica" la sua attività e il suo prodotto, e quindi crea un mercato attorno alla attività.
MERCEDES FRIAS
Vorrei tornare sul disaccordo tra me e Maria Teresa riguardo al lavoro di cura. Il punto del disaccordo non è tanto il lavoro in sé e per sé, ma la differente prospettiva da cui noi lo affrontiamo, io donna del sud, lei donna del nord.

Maria Teresa afferma che queste imprese sono un veicolo di trasformazione. Anche io lo penso. E penso che la trasformazione deve riguardare soprattutto l'immaginario collettivo. Da noi ci si aspetta, come donne del sud, che sappiamo ballare, cucinare, curare. Se costruisco una impresa che conferma questi stereotipi, non opero alcuna trasformazione.

L'altro problema che vorrei sottoporre alla discussione generale è quello della necessità di mettersi in relazione. Credo che stiamo discutendo troppo solo tra di noi, in una nicchia, e che dovremmo allargare la discussione a altre esperienze, altri settori della società e della politica.

Anche io posso dare un contributo sul rapporto associazione-impresa a partire dall'esperienza di Nosotras. Nosotras ha cominciato a svolgere una attività di catering e ristorazione, e per svilupparla, un gruppo di socie che erano interessate a questa attività ha ricevuto una formazione con i fondi NOW. I problemi all'interno della associazione si sono però posti subito.

In primo luogo, i tempi della associazione non coincidevano con quelli della formazione NOW: la logica della produttività soffocava i tempi di elaborazione necessari alla associazione. Una parte delle socie ha sentito come una forzatura il fatto di intraprendere una attività esterna prima che il gruppo associato non fosse ben amalgamato, più forte, più coerente al suo interno.

In secondo luogo c'era, da parte di alcune associate, il disprezzo nei confronti di una attività economica, considerata priva di valore politico e culturale.

Altre contraddizioni sono esplose alla prova dei fatti.

Il gruppo in formazione ha infatti gestito uno spazio di ristorazione all'interno del Festival dell'Unità di Firenze. Il risultato, dal punto di vista del guadagno e dal punto di vista della visibilità pubblica di Nosotras è stato molto buono. Ma questa esperienza ha bruciato il gruppo. Sono esplosi molti problemi, molte contraddizioni. E' esploso il problema dello scontro tra culture e concezioni diverse, ma soprattutto quello della contraddizione tra il valore culturale e lo scarso rendimento economico di certi piatti. Poi sono scoppiate liti tra donne coinvolte nella attività e quelle che ne erano restate fuori. Poi l'ostracismo di una parte di socie che pretendeva una maggiore chiarezza a livello amministrativo…e poi la mancanza di strutture adeguate, di mezzi, la difficoltà di adeguarsi alle normative etc…

In generale, la contraddizione più profonda è stata quella tra le donne immigrate che erano disponibili a rischiare una attività economica per poter sviluppare una opportunità di lavoro per sé e per le altre, e le donne italiane, che non sentivano la stessa urgenza e che erano restie ad appoggiare lo sviluppo di questa attività, o che vi si opponevano con argomenti di vario tipo.

La soluzione è stata che un gruppetto di socie ha costituito una società -che si chiama "Paladar"- per poter gestire spazi di ristorazione, fare attività di catering etc. Individualmente queste donne sono anche socie di Nosotras. Ma la società non ha un legame formale con l'associazione. E l'associazione resta uno spazio sostanzialmente politico.



ANTONIETTA PAPPALARDO
Io credo che le difficoltà di ordine culturale o interculturale siano sicuramente reali, ma che il problema di fondo sia di ordine economico. Il problema per cui dal Cesdi di Livorno non si è sviluppata una impresa, è proprio che mancano i soldi per iniziare, e che non si intravede neanche il momento in cui questo sarà possibile. Dobbiamo pensare a delle soluzioni, inventare degli strumenti. Per esempio creare un consorzio di imprese e ricorrere a forme di finanziamento sul tipo della banca etica.

Io però non sono d'accordo sulla divisione che stabiliva Mercedes tra una impresa che fa impresa e una associazione che fa lavoro politico. Mi sembra riduttivo. Che cosa è lavoro politico? Lavoro politico per me è anche dare un impianto teorico al concreto che si progetta all'interno delle imprese. Se manca questo lavoro politico, le nostre imprese rischiano di omologarsi, e noi rischiamo di perdere il senso di questa nostra battaglia. Ma lavoro politico è anche offrire un supporto tecnico e organizzativo alle imprese che si vogliono creare, come anche organizzare percorsi formativi…quando parlo del consorzio, vedo una struttura complessa che possa svolgere questo lavoro politico. E che infine medi anche nel rapporto con le istituzioni. La contrattazione con le istituzioni o con il mondo associativo presente sul territorio, non può essere svolto in modo parcellizzato, da tanti piccoli soggetti . E' necessario un soggetto associativo e politico in grado di contrattare.




PILAR SARAVIA
A Roma vivono circa 100.000 donne immigrate. L'associazionismo delle donne imigrate è molto vasto: ci sono associazioni legate alla comunità di appartenenza, e associazioni nate da un interesse comune alle donne, trasversale. Dal 1995, è nata l'associazione NODI che gestisce un Centro per la tutela dei diritti delle immigrate. Il servizio è organizzato per sportelli gestiti da 10 donne straniere di diversa origine linguistica e culturale, con 2 sportelli trasversali: uno dedicato alla salute e uno ai diritti, gestito da una avvocata colombiana con il supporto di una avvocata italiana.

A NODI non ci sono volontarie. Tutte siamo pagate.

NODI collabora in vari modi con le altre associazioni di donne immigrate. Per esempio offre informazioni su bandi di concorso, finanziamenti, scadenze etc. Offriamo anche alle associazioni che sono interessate consulenze tecniche per la gestione di servizi che vengono finanziati dal Comune di Roma.

Ognuna delle socie di NODI a sua volta ha altre attività che svolge all'interno di altre associazioni, che quindi sono collegate a NODI in vari modi, ma che non ne sono una emanazione. E' piuttosto una rete, in cui ci si scambiano informazioni, lavori, servizi…e non c'è mai stato un conflitto.



MAMONA Tsungo Chile

Sono una socia dell'Alma Mater e della cooperativa Talea. Il rapporto di Alma Mater e Talea è un po' come un rapporto tra madre e figlia. Noi di Talea siamo nate lì e siamo anche cresciute lì. All'interno del Centro Alma Mater Talea gestisce un bagno turco, attraverso un contratto che regola il rapporto con l'associazione Alma Terra, che gestisce il Centro. Ma oltre al bagno turco ci sono altre attività della Talea che entrano in collisione con l'Alma Terra. Una è l'attività dei servizi di mediazione culturale: sia Talea che Alma Terra hanno al loro interno delle mediatrici, che si trovano a concorrere nelle stesse gare di appalto. Là inevitabilmente sorge il conflitto. Lo stesso avviene per la ristorazione. Entrambe svolgono una attività di catering, ma abbiamo una sola cucina nel centro, che è spesso oggetto di contesa. Insomma, ci facciamo concorrenza, mentre avremmo bisogno di trovare un sistema per camminare insieme, cooperativa e associazione.



ROSA FRAMMARTINO
Vorrei cercare di definire cosa sia l'economia di genere, o che genere di economia vogliamo.

La prima provocazione che vorrei raccogliere dal dibattito in corso è quella che ha lanciato Maria Teresa: il nostro scopo è solo quello di dare lavoro alle donne? Siamo una agenzia di collocamento? Ovviamente la risposta è no. Puntiamo più in alto.

Il nostro vuole essere un luogo di elaborazione politica. Questo luogo è l'associazione, sono le associazioni. E' l'associazione che individua, all'interno del proprio patrimonio di competenze e del proprio desiderio di essere nel mondo, attività di potenziale valore economico.

L'attività economica è progetto: questo significa che è legata alle nostre viscere, al nostro cuore. Non è solo un fatto di razionalità, di costi e di mercato. Ma il problema è: come realizzare questo progetto a livello economico? L'impresa di essere donna in economia è il bisogno di dare corpo a un processo che crei una struttura che abbia caratteristiche di economia e di progetto economico, ma che nasca dal desiderio e dal progetto politico.

Veniamo allora alla domanda: come sviluppare concretamente il rapporto tra associazione e impresa?

Una strada è quella della rete. Una leggenda maya racconta che alla fine del raccolto del frumento i diversi contadini della comunità portavano una parte del raccolto in un luogo di raduno, e dopo una cerimonia, le sementi venivano miscelate e ogni contadino tornava a casa sua con una parte di quella miscela che poi avrebbe piantato. Questa metafora può insegnarci una via. Se tra le nostre associazioni si crea una rete con una buona comunicazione, la committenza per ogni prodotto -cucina, teatro, mediazione o quanto altro- può arrivare dal mondo associativo stesso, attraverso il coordinamento e la messa in rete. Forse, seguendo questo percorso, non è più necessario separare l'impresa dalla associazione, che può albergare dentro di sé un soggetto economico.

L'altra strada è quella della nascita della impresa "per gemmazione" dalla associazione madre. La madre origina la figlia. Da questa scelta nascono una serie di necessità da indagare: la figlia cosa restituisce alla madre? E' possibile creare dei fenomeni di osmosi? Se l'imput che ha permesso all'impresa di nascere è venuto proprio dal suo essere in grembo alla associazione madre, da cui riceve stimolo, motivo di vita e sviluppo, allora è necessario trovare delle forme di interrelazione e di restituzione.

ANNA PROTO PISANI
Io credo che sia necessario domandarsi in che modo possiamo operare la contaminazione tra il mondo della politica e dei valori, espresso dalla associazione, e quello della economia. Lo spettacolo dell'Alma Teatro, per esempio, merita di essere rappresentato nei luoghi e nei circuiti del "grande teatro", non va lasciato nella marginalità.

E' necessario mettere in comunicazione l'anima politica e quella commerciale di queste esperienze. E che il lavoro politico vada riconosciuto sia in termini di valorizzazione, sia in termini economici. Forse vanno create anche nuove competenze, figure professionali nuove, in grado di coniugare questi due aspetti. Dobbiamo arrivare a contaminare la logica commerciale che regge le imprese classiche con una logica politica e culturale.



GABRIELLA BORDIN
Alma Teatro è stato creato con un progetto di doppia presenza: quella interna al mondo dell'associazionismo, dove il teatro è strumento di comunicazione, di benessere, di crescita; e quella dei circuiti ufficiali del teatro , dove vogliamo portare un prodotto: lo spettacolo.

La questione politica che affrontiamo con il nostro lavoro è la scommessa di incidere sulle politiche culturali per arrivare a un riconoscimento pieno di questo tipo di lavoro culturale che non è inferiore a quello svolto da compagnie e teatri stabili -i quali, sia detto per inciso, vengono tutti sovvenzionati, visto che in Italia la cultura vive di sovvenzioni. Questa quindi non è soltanto una nostra marginalità. Ma per arrivare alle sovvenzioni ci vuole un lavoro politico molto forte. E' su questo che bisogna puntare, ed è questo il compito delle associazioni.

Non credo che possiamo individuare qui un modello organizzativo per la associazione che fa impresa che sia valido per tutti. Ogni associazione ha problematiche diverse, a cui deve far fronte con un modello organizzativo specifico. Per esempio la complessità di Alma Mater è enorme. Allora la domanda è: riusciamo a riconoscere la complessità come ricchezza, e cercare un modello organizzativo che risponda alla complessità? O questa complessità è vissuta solo come pesantezza, e dobbiamo semplificare, darci una struttura meno complessa, e quindi meno ricca?

ANTONIETTA PAPPALARDO
E' sacrosanto affermare che ognuno ha una storia sua e un suo modello che risponde alle esigenze e problematiche peculiari di ogni associazione. Ma un modello comune dobbiamo trovarlo, se vogliamo diventare una forza politica

MARIA TERESA BATTAGLINO
Il nostro lavoro di stamattina non è però volto a creare un modello in positivo da proporre per tutte, ma a individuare dei passaggi chiave, dei nodi di crisi, delle questioni strategiche. Il confronto deve essere su possibili strategie comuni per affrontare questi nodi e per sviluppare le nostre imprese.

ELETTRA LORINI
Io credo che per lo sviluppo delle imprese sia centrale l'urgenza di portare questo nostro dibattito nelle sedi della politica, del mercato etc. Ma da questa esigenza generale debbono scaturire una serie di questioni su compiti e ruoli della associazione e dell'impresa, e che credo debbano essere poste in un'ottica di superamento delle dinamiche di maternità e figliolanza in cui ancora ci muoviamo.

MARIA VIARENGO
Mi sento stretta a parlare solo dello sviluppo economico delle nostre esperienze. Credo che dalla discussione sia emerso il bisogno di individuare strategie comuni alle associazioni formate da donne migranti e native, una sorta di piattaforma collettiva.

Noi donne possiamo avere piattaforme comuni su vari temi. L'ambiente può essere l'oggetto di una strategia comune: possiamo, per esempio, mobilitarci per evitare le manipolazioni genetiche? A me interessa una azione politica comune a tutte noi, migranti e native. Poi è vero che il discorso economico è quello che ci tocca tutti i giorni. Ma è sui grandi temi politici che dobbiamo creare una piattaforma. Se siamo una rete di donne, oltre a condividere i nostri problemi di gestione del quotidiano, dobbiamo condividere lotte, iniziative, momenti politici.



MARIA TERESA BATTAGLINO
Io penso sia necessario circoscrivere il discorso a degli aspetti più puntuali e soprattutto pratici. Io sono d'accordo con Maria, e anche la mia prospettiva è quella delle grandi problematiche politiche su cui sento che dobbiamo intervenire. Ma si può arrivare al grande partendo dal piccolo specifico che ci concerne. Per esempio arrivare a parlare dell'ambiente partendo dal nostro problema del mancato riconoscimento economico delle attività che facciamo, e delle modalità con cui le svolgiamo.

Prendiamo l' esempio del servizio di "accompagnamento" che molte delle nostre associazioni svolgono, in convenzione con le amministrazioni: è un servizio rivolto alle donne immigrate, che consiste nella accoglienza, nella assistenza, nell'informazione, nella mediazione.

Questo lavoro consiste nel mettersi al servizio di enti e persone per affrontare problemi che hanno a che vedere con la qualità della vita. Nella attuale organizzazione dei servizi, questo tipo di servizio non ha posto, se non nelle parole e nelle belle intenzioni. Quando ne parliamo, quando andiamo a sviscerare e raccontare in dettaglio in cosa consiste questo lavoro di "accompagnamento", tutti ci battono le mani. Ma il passaggio al riconoscimento di questo come lavoro è molto più difficile. Si pensa che , in quanto donne, siamo motivate politicamente ad affrontare le problematiche delle donne, ed è come se per il fatto di fare un discorso bello e giusto fossimo obbligate ad assumercene interamente il peso della realizzazione pratica, in termini di azione politica e volontaria. Non ci sono risorse economiche se non per piccoli pezzi di questo lavoro, ma non lo si riconosce nella sua globalità che è anche la sua peculiarità.

I soldi pubblici vengono spesi per altre cose, si operano scelte diverse. Per esempio infiniti soldi vengono spesi oggi per le terapie dure del cancro, invece di agire positivamente sulla qualità della vita e sull'ambiente.

Anche l'azione politica necessaria per cambiare questo stato di cose, il lavoro di trasformazione e cambiamento della pubblica amministrazione, è un lavoro vero e proprio, che va riconosciuto economicamente.

CRISTINA CAPPELLI
Mi sembra che un dato comune a tutte noi sia la condivisione dell'idea che sociale, politico ed economico camminino insieme.

Le forme che rappresentano le azioni pratiche che stanno dietro a queste parole possono essere diverse. E lo sono anche perché ciascuna di noi, ogni donna, sente in modo più pregnante uno dei termini a seconda della sua collocazione nel mondo: la sua storia, il suo percorso, i processi cui appartiene, i valori, le motivazioni. Credo che la forza di queste differenze sta nel fatto che questi tre elementi possono coniugarsi tra di loro sia nell'esperienza individuale sia nelle strutture collettive, associazioni, imprese o altro. La risultante finale è l'impresa associativa in cui questi tre elementi si articolano in forme diverse all'interno di cui ognuno può trovare un posto per sé.

Abbiamo dunque una postazione singola individuale che si traduce in una associazione o in una impresa, e la strategia consiste nel mettere insieme le postazioni individuali di singoli soggetti collettivi che mettendosi in relazione con altri soggetti riunificano i tre elementi.

Per ogni tipo di attività forse sarà possibile immaginarsi chi gioca in modo più trainante l'aspetto politico, o quello economico o quello sociale. Ma non necessariamente queste priorità scelte devono trasformarsi in contrapposizioni. E la separazione o la priorità data non è una scelta una volta per sempre, ma un elemento di trasformazione.

Forse il problema del modello organizzativo è quello del reciproco riconoscimento tra donne che si trovano all'interno di un soggetto collettivo che è l'associazione e donne che si trovano nell'impresa, e quello di individuare un comune obiettivo che le riunisca. Un obiettivo che va raggiunto a partire dalla collocazione diversa di associazione e impresa.

La domanda è: possono essere le persone che sono nell'una o nell'altra a costruire il terzo soggetto che non c'è? A definire un orizzonte comune, e degli obiettivi comuni.?

O forse la difficoltà sta proprio nel fatto che manca un soggetto politico che costruisca percorsi comuni alla associazione e all'impresa?

Il desiderio, la tensione che si avverte in tutti i nostri interventi è quello di coniugare impresa e associazione: creare qualcosa che oltre a produrre da una parte posti di lavoro e dall'altra politica, metta insieme i due fattori in un'ottica di trasformazione. Questa è la nostra novità. Noi non parliamo solo di un soggetto collettivo o associativo che produce attività economiche.



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