Guerra giudaica



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LIBRO III

CAPITOLO SECONDO

Libro III:9 - 2, 1. I giudei, dopo la disfatta di Cestio, esaltati dagli insperati successi, non erano più capaci di frenare il loro ar­dore e, come infiammati dalla buona fortuna, spingevano ancor oltre il conflitto; pertanto raccolsero in fretta tutte le loro forze più combattive e mossero contro Ascalona.


Libro III:10 Que­sta è un'antica città, distante cinquecentoventi stadi da Geru­salemme, tenuta sempre in odio dai giudei, e anche perciò allora sembrò più vicina come obiettivo dei primi attacchi.
Libro III:11 Guidavano la spedizione tre uomini eminenti per il valore e l'intelligenza: Niger il Peraita, Silas il Babilonese e Giovanni l'Esseno.
Libro III:12 Ascalona era circondata da una potente cinta mu­raria, ma era pressoché priva di difensori; infatti era presi­diata da una coorte di fanteria e da una sola ala di cavalleria agli ordini di Antonio.
Libro III:13 - 2, 2. Quelli per il loro ardore aggressivo marciarono molto più speditamente e arrivarono come se fossero partiti da vi­cino.
Libro III:14 Antonio, che non ignorava la loro intenzione di attac­care, fece uscire i cavalieri e, senza lasciarsi per nulla impaurite né dal numero né dal coraggio dei nemici, affrontò animosa­mente i primi assalti e respinse quelli che avanzavano verso le mura.
Libro III:15 Poiché si trattava di un assalto di inesperti contro esperti di guerre, di individui a piedi contro soldati a cavallo, di gente disordinata contro uomini in ranghi compatti, di gente armata in maniera rudimentale contro soldati dotati di un regolare armamento, di una massa guidata più dalla furia che dalla riflessione contro soldati disciplinati che facevano tutto secondo gli ordini del comandante, gli attaccanti ebbero senz'altro la peggio;
Libro III:16 infatti appena le prime file si scompiglia­rono, furono volti in fuga dalla cavalleria e, scontratisi con quelli che alle loro spalle spingevano in direzione delle mura, diventarono gli uni i nemici degli altri fino a che, non resi­stendo alle cariche della cavalleria, si dispersero per tutta la pianura, che era ampia e interamente praticabile ai cavalli.
Libro III:17 Questo particolare, favorevole ai romani, causò un'immensa strage dei giudei; quelli infatti superavano in velocità i fug­giaschi, poi si voltavano e, passando attraverso le schiere che si erano accalcate nella fuga, ne uccidevano un numero ster­minato e poi, circondando i vari gruppi che cercavano scampo nelle varie direzioni e galoppando intorno a loro, li bersa­gliavano facilmente con le frecce.
Libro III:18 Ai giudei il loro gran nu­mero sembrava una solitudine per l'impotenza in cui si dibat­tevano, mentre i romani, sebbene fossero pochi, avevano nel loro trionfo l'impressione di essere superiori ai nemici anche nel numero.
Libro III:19 E poiché gli uni, nonostante le perdite, si ostinavano a combattere per la vergogna di essersi fatti così presto volgere in fuga e per la speranza di un rivolgimento, mentre gli altri non si stancavano di sfruttare il successo, la battaglia si protrasse fino a sera, quando restarono uccisi diecimila uomini dei giudei e due dei loro capi, Giovanni e Silas;
Libro III:20 tutti gli altri, per lo più feriti, insieme col capo super­stite Niger, si rifugiarono in una città dell'Idumea chiamata Chaallis.
Libro III:21 Anche alcuni pochi dei romani restarono feriti in questo combattimento.
Libro III:22 - 2, 3. I giudei non si lasciarono abbattere da un si grave disastro, anzi il rovescio subito ne esaltò l'audacia e, trascu­rando i cadaveri ai loro piedi, si fecero attirare dal pensiero dei precedenti trionfi a una seconda sconfitta.
Libro III:23 Senza nemmeno aspettare di curare le ferite, e raccolte tutte le forze, con mag­gior furia e in numero molto maggiore tornarono ad attac­care Ascalona.
Libro III:24 Ma con l'inesperienza e gli altri motivi di infe­riorità in guerra si portarono appresso la stessa fortuna di prima;
Libro III:25 avendo infatti Antonio teso agguati lungo le vie di accesso, quelli inavvertitamente incapparono nelle insidie e, accerchiati dai cavalieri prima di schierarsi a battaglia, di nuovo perdettero oltre ottomila uomini; tutti gli altri fuggirono, fra cui anche Niger, che nella fuga compì molti atti di valore, e incalzati dai nemici si raccolsero nella torre forti­ficata di un villaggio chiamato Belzedec.
Libro III:26 Gli uomini di An­tonio, per non logorarsi intorno alla torre che era difficil­mente espugnabile e, insieme, per non lasciar sopravvivere il comandante e il più valoroso dei nemici, diedero fuoco al muro.
Libro III:27 Incendiata la torre, i romani si ritirarono assai contenti al pensiero che anche Niger era perito; quello invece, saltando giù dalla torre, si era rifugiato nel sotterraneo più profondo della fortezza e tre giorni dopo si fece sentire da quelli che erano venuti a cercarlo in gramaglie per seppellirlo.
Libro III:28 Sbucato fuori, riempì di gioia insperata tutti i giudei che lo ritennero salvato dalla volontà di Dio perché li guidasse nelle future battaglie.
Libro III:29 - 2, 4. Vespasiano rilevò le sue forze da Antiochia, che è la capitale della Siria e per grandezza e opulenza occupa indi­scutibilmente il terzo posto fra le città del mondo romano - ivi aveva trovato ad attendere il suo arrivo anche il re Agrippa con tutte le sue milizie - e mosse alla volta di Tolemaide.
Libro III:30 In questa città fu raggiunto dagli abitanti di Sepphoris della Galilea, gli unici di quella regione che nutrissero intenzioni pacifiche;
Libro III:31 costoro, preoccupandosi e della loro salvezza e della potenza dei romani, prima che arrivasse Vespasiano avevano dato a Cesennio Gallo pegni di fedeltà e ne avevano ricevuto assicurazioni e avevano accolto una guarnigione.
Libro III:32 Al­lora poi fecero cordiali manifestazioni al comandante in capo e di buon grado promisero che lo avrebbero aiutato contro i loro connazionali;
Libro III:33 a loro richiesta il duce assegnò per la loro sicurezza fanti e cavalieri quanti ritenne sufficienti a respingere le incursioni, se i giudei avessero intrapreso qualche tenta­tivo;
Libro III:34 infatti per la guerra che si apriva appariva un rischio non piccolo la perdita di Sepphoris, che era la città più grande della Galilea, circondata da mura in una posizione fortissima e atta a vigilare tutta quella regione.


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