Guerra giudaica



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LIBRO III

CAPITOLO NONO

Libro III:409 - 9, 1. Il quarto giorno del mese di Panemo Vespasiano arrivò con l'esercito a Tolemaide e di lì a Cesarea sul Mare, una delle più grandi città della Giudea, i cui abitanti erano per la maggior parte greci.


Libro III:410 Costoro accolsero l'esercito e il capo con ogni sorta di acclamazioni e di manifestazioni di giubilo, e ciò per simpatia verso i romani, ma ancor più in odio ai vinti. Per questo tutti uniti e a gran voce chiedevano anche di mettere a morte Giuseppe.
Libro III:411 Vespasiano però fece cadere nel nulla, ignorandola, questa richiesta che proveniva da una folla incapace di giudicare;
Libro III:412 delle legioni due le mise a sver­nare a Cesarea, città che vedeva adatta alla bisogna, mentre la legione quindicesima la sistemò a Scitopolis per non gra­vare con tutto l'esercito su Cesarea.
Libro III:413 Anche quest'ultima città era calda nella stagione invernale, così come soffocante d'estate per l'afa, essendo situata nel piano e sulla costa.
Libro III:414 - 9, 2. Intanto i giudei che in occasione dei disordini erano stati esiliati dalle loro città e, insieme, quelli scampati dalle città distrutte, una non piccola moltitudine, si raccolsero e ricostruirono come loro centro Ioppe, che era stata in prece­denza devastata da Cestio;
Libro III:415 poi, trovandosi esclusi dall'entro­terra, che era controllato dai nemici, decisero di rivolgersi al mare.
Libro III:416 Si costruirono un gran numero di vascelli adatti a esercitare la pirateria e si diedero a infestare le rotte lungo la Siria e la Fenicia e verso l'Egitto, rendendo quelle acque impraticabili per chiunque.
Libro III:417 Vespasiano, quando apprese ciò che avevano organizzato, inviò contro Ioppe fanti e cavalieri, che una notte piombarono nella città trovandola incustodita.
Libro III:418 I suoi abitanti erano stati informati per tempo dell'attacco e, presi dalla paura, avevano rinunziato a resistere ai romani e si erano rifugiati sulle loro navi, dove pernottarono stando­sene al largo fuori tiro.
Libro III:419 - 9, 3. Ioppe è per sua natura sprovvista di un porto; in­fatti si affaccia su un litorale pietroso e tutto diritto salvo che s'incurva leggermente alle due estremità,
Libro III:420 ove s'innalzano gros­se moli dirupate e scogli che si protendono verso il mare: vi si mostrano ancora le tracce delle catene di Andromeda a testimonianza dell'antica storia.
Libro III:421 Il vento del nord batte diret­tamente sulla costa e, sollevando enormi ondate che s'infran­gono sugli scogli contrapposti, rende l'approdo più pericoloso di una landa inospitale.
Libro III:422 In questo specchio d'acqua bordeggia­vano quelli di Ioppe quando verso l'alba furono investiti da un vento furioso, che dai naviganti di quella zona viene chiamato “borea nero”.
Libro III:423 Alcune navi le distrusse sul posto facendole cozzare l'una contro l'altra, altre le infranse contro gli scogli, e molte gli enormi flutti ne sommersero al largo, dove erano state spinte contro corrente per evitare la costa irta di scogli e i nemici che l'occupavano.
Libro III:424 Non v'era né luogo dove rifugiarsi né possibilità di salvarsi rimanendo sul posto, perché la violenza del vento li respingeva dal mare e i romani dalla città. Era un susseguirsi di tonfi sinistri per le navi che venivano a collisione fra loro e di cupi fragori quando si sfasciavano.
Libro III:425 Della moltitudine che s'era imbarcata alcuni peri­rono travolti dalle onde, molti impigliati fra i rottami; altri, considerando la spada meno orribile del mare, anticiparono la morte col suicidio.
Libro III:426 Ma il più gran numero di essi, strappati dai flutti, vennero sbattuti sulla scogliera e per larghissimo tratto il mare si arrossò di sangue mentre il litorale si riempiva di cadaveri; infatti i romani aggredivano e massacravano tutti quelli che erano spinti a riva.
Libro III:427 Il numero dei corpi rigettati dal mare fu di quattromila e duecento. Così i romani presero senza combattere la città e la distrussero.
Libro III:428 - 9, 4. In poco tempo, dunque, Ioppe fu per la seconda volta presa dai romani.
Libro III:429 Vespasiano, per impedire che i pirati vi si annidassero di nuovo, costruì un accampamento sull'acro­poli sistemandovi la cavalleria con pochi fanti,
Libro III:430 e affidò a questi il compito di restare sul posto a guardia del campo men­tre i cavalieri dovevano devastare il territorio circostante e distruggere i villaggi e le cittadine attorno a Ioppe.
Libro III:431 Secondo gli ordini costoro fecero ogni giorno delle scorrerie mettendo a ferro e fuoco tutto il paese.
Libro III:432 - 9, 5. Quando a Gerusalemme arrivarono le prime voci sulla distruzione di Iotapata, dapprincipio i più restarono in­creduli sia per l'entità del disastro sia perché non v'era alcun testimone oculare di quanto si sentiva dire;
Libro III:433 infatti non era scampato nemmeno uno che potesse portare le notizie, e a divulgare l'espugnazione era stata solo la fama, che per sua natura s'accompagna ai casi più luttuosi.
Libro III:434 Ma un po' alla volta la verità si fece strada tra le genti circonvicine e ben presto la cosa fu per tutti fuori di ogni dubbio; si mescolavano però ai fatti realmente accaduti altri che non erano veri, e così per esempio si sentiva dire che nella presa della città era ca­duto anche Giuseppe.
Libro III:435 Ciò riempì Gerusalemme di grandis­simo cordoglio; tutti i morti vennero pianti nelle case e nella famiglia cui appartenevano, mentre per il comandante il lutto fu pubblico:
Libro III:436 chi lamentava la perdita di un ospite, chi di un parente, chi di un amico, chi di un fratello, ma a rimpiangere Giuseppe erano tutti;
Libro III:437 per trenta giorni nella città non cessa­rono le lamentazioni, e moltissimi assoldarono i flautisti per farsi intonare i canti funebri.
Libro III:438 - 9, 6. Ma quando col tempo emerse la verità e si seppe come erano andati i fatti di Iotapata, e non solo si appurò che la morte di Giuseppe era un'invenzione e che egli era in vita, ma che anzi stava con i romani e dai comandanti aveva un trattamento superiore a quello che si usa a un prigioniero, allora nei riguardi di lui, visto che era ancora vivo, concepi­rono un odio non meno grande della simpatia che gli avevano testimoniato quando lo credevano morto.
Libro III:439 Chi imprecava contro di lui chiamandolo vigliacco, chi traditore, e tutta la città era piena di sdegno e di maledizioni al suo indirizzo.
Libro III:440 Erano inaspriti dalle sconfitte subite e s'infuocavano al pensiero dei loro insuccessi: gli infortuni, che infondono in chi ha senno cautela e circospezione di fronte a casi analoghi, furono per loro di stimolo ad altri disastri e la fine di una calamità segnò sempre l'inizio di un'altra.
Libro III:441 Contro i romani furono pervasi da un maggiore accanimento al pensiero di colpire assieme a loro anche Giuseppe:
Libro III:442 tali erano dunque i fermenti che intor­bidivano la situazione a Gerusalemme.
Libro III:443 - 9, 7. Per visitare il regno di Agrippa, che lo aveva invi­tato desideroso di accogliere il duce e l'esercito con la muni­ficenza della casa reale e, insieme, di riportare l'ordine col loro aiuto in alcuni territori che erano in rivolta, Vespasiano mosse da Cesarea a Mare e raggiunse Cesarea di Filippo.
Libro III:444 Quivi per venti giorni fece riposare l'esercito, passando anch'egli da un festino all'altro e facendo offerte di ringraziamento agli dei per i successi riportati.
Libro III:445 Ma quando gli fu riferito che a Tiberiade si pensava alla ribellione e che Tarichee era già insorta - facevano parte entrambe del regno di Agrippa ­- Vespasiano, che aveva deciso di sedare dappertutto l'insurre­zione dei giudei, ritenne opportuno d'intraprendere una spedizione contro di quelli anche per compiacere Agrippa, pro­ponendosi di restituire alla sua obbedienza le città in cambio dell'ospitalità ricevuta.
Libro III:446 Pertanto inviò il figlio Tito a Cesarea con l'incarico di trasferire le forze di lì a Scitopoli, che è la città più grande della Decapoli e dista non molto da Tiberiade.
Libro III:447 Quivi si portò anch'egli per ricongiungersi col figlio e, messosi in marcia con tre legioni, si accampò a trenta stadi da Tiberiade in una località ben visibile dai rivoltosi, che ha nome Sennabris.
Libro III:448 Mandò quindi il decurione Valeriano con cinquanta cavalieri a fare proposte pacifiche agli abitanti e a convincerli a trattare; infatti aveva sentito dire che il popolo era desideroso di pace e che si agitava perché costretto alla guerra da una minoranza.
Libro III:449 Quando Valeriano fu vicino alle mura, smontò da cavallo e fece smontare gli uomini che erano con lui non volendo dare l'impressione che fossero venuti per attaccare una scaramuccia. Prima che si cominciasse a par­lamentare, gli piombarono addosso con le armi in pugno i più facinorosi dei ribelli.
Libro III:450 Li guidava un tale di nome Gesù, figlio di Safat, l'uomo più in vista in quella banda di briganti.
Libro III:451 Valeriano considerò imprudente di attaccar battaglia in con­trasto con le istruzioni ricevute dal comandante, seppure la vittoria sarebbe stata sicura, e pericoloso misurarsi in pochi contro tanti e per di più già pronti mentre loro non lo erano; poi sbigottito dall'inaspettato ardire dei giudei,
Libro III:452 si diede a fuggire a piedi e così anche altri cinque perdettero i loro ca­valli, che gli uomini di Gesù portarono trionfalmente in città come se li avessero presi in combattimento, non in un ag­guato.
Libro III:453 - 9, 8. Preoccupati di ciò, gli anziani del popolo e i notabili accorsero nell'accampamento dei romani e,
Libro III:454 facendo interve­nire in loro aiuto il re, si gettarono supplici ai piedi di Vespa­siano scongiurandolo di non abbandonarli a loro stessi, di non credere che la follia di pochi fosse condivisa dall'intera città,
Libro III:455 di risparmiare il popolo che aveva sempre provato ami­cizia per i romani, di punire i responsabili della rivolta da cui fino a quel momento erano stati tenuti sotto sorveglianza per via delle loro pacifiche inclinazioni.
Libro III:456 A queste preghiere il ge­nerale si piegò, sebbene per la perdita dei cavalli fosse sde­gnato contro l'intera città; del resto vedeva quanto essa stesse a cuore ad Agrippa.
Libro III:457 Avendo costoro ottenuto garanzie per il popolo, gli uomini di Gesù stimarono che non era più prudente restare a Tiberiade e fuggirono a Tarichee.
Libro III:458 Il giorno dopo Vespasiano inviò Traiano con forze a cavallo sulle alture per esplorare le intenzioni del popolo e vedere se nu­trivano tutti sentimenti di pace.
Libro III:459 Quando fu informato che erano tutti concordi con quelli che erano venuti a supplicarlo, mise in moto l'esercito e avanzò verso la città. Gli abitanti gli spalancarono le porte e gli vennero incontro con espres­sioni di giubilo, acclamandolo salvatore e benefattore.
Libro III:460 Poi­ché l'esercito era ostacolato dall'angustia delle porte, Vespa­siano diede ordine di abbattere una parte delle mura verso mezzogiorno e in tal modo agevolò i suoi movimenti,
Libro III:461 ma nello stesso tempo comandò di astenersi dal saccheggio e da atti di violenza per far cosa gradita al re. Fu anche per com­piacere a lui che risparmiò la cinta delle mura, perché il re si rese garante della futura fedeltà degli abitanti assicurando in tal modo la ripresa della città dopo i danni subiti per l'in­surrezione.


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