CAPITOLO SESTO
Libro III:110 - 6, 1. Vespasiano insieme col figlio Tito si trattenne qualche tempo a Tolemaide per completare la preparazione dell'esercito mentre Placido, che faceva scorrerie per la Galilea, dopo aver messo a morte la maggior parte dei prigionieri - si trattava dei più deboli fra i Galilei. sfiniti dalle fughe -,
Libro III:111 vedendo che quelli capaci di combattere trovavano sempre scampo nelle città fortificate da Giuseppe, marciò contro la più munita di quelle, Iotapata, pensando di poterla facilmente prendere d'assalto e di procacciare in tal modo a sé gran fama presso i capi e a costoro un vantaggio per il futuro: anche le altre città si sarebbero arrese per paura, una volta caduta la più forte.
Libro III:112 Ma si sbagliò di grosso nei suoi calcoli; infatti gli Iotapateni, informati in precedenza del suo arrivo, lo aspettarono dinanzi alla città e, scagliatisi sui romani che non se li aspettavano mentre essi erano numerosi e pronti alla battaglia, e per di più animati d'ardore per la difesa della patria in pericolo e delle mogli e dei figli, ben presto li sbaragliarono.
Libro III:113 Dei romani ne ferirono molti, ma soltanto sette ne uccisero, sia perché quelli si ritirarono ordinatamente, sia perché toccarono ferite superficiali essendo protetti in ogni parte dalle armature, e inoltre i giudei li colpirono a distanza senza azzardare il corpo a corpo con uomini di pesante armatura mentre essi erano armati alla leggera.
Libro III:114 Anche dei giudei caddero tre uomini, e alcuni rimasero feriti. Placido, visto che era troppo debole per prendere d'assalto la città, si affrettò a battere in ritirata.
Libro III:115 - 6, 2. Vespasiano, muovendo in persona per invadere la Galilea, fece uscire da Tolemaide l'esercito disponendolo nell'ordine di marcia consueto ai romani.
Libro III:116 Pertanto comandò che in testa avanzassero gli ausiliari di lieve armatura e gli arcieri per respingere improvvisi attacchi nemici ed esplorare i boschi sospetti e adatti agli agguati; assieme a costoro procedeva anche un contingente di soldati romani armati alla pesante, parte a piedi e parte a cavallo.
Libro III:117 Dietro a questi venivano dieci uomini di ogni centuria, che portavano il proprio bagaglio e gli attrezzi per la misurazione dell'accampamento,
Libro III:118 e quindi i genieri delle strade sia per raddrizzare le tortuosità dei percorsi, sia per colmare i dislivelli, sia per abbattere la vegetazione ingombrante, affinché l'esercito non avesse a soffrire i danni di una marcia difficile.
Libro III:119 Dietro a questi dispose le salmerie sue e dei comandanti dipendenti, proteggendole con una numerosa scorta di cavalieri.
Libro III:120 Dietro cavalcava lui in persona attorniato dai fanti e dai cavalieri scelti e dai lancieri. Veniva poi la cavalleria legionaria: centoventi cavalieri per ogni legione.
Libro III:121 Seguivano i muli che trainavano le elepoli e le altre macchine.
Libro III:122 Dietro a questi i legati e i prefetti delle coorti con i tribuni, scortati da soldati scelti;
Libro III:123 quindi le insegne che circondano l'aquila, la quale viene portata in testa a ogni legione dei romani: è la regina e il più forte di tutti gli uccelli, e quindi rappresenta per loro il simbolo dell'impero e un auspicio di vittoria contro qualsiasi nemico.
Libro III:124 Dietro alle sacre insegne venivano i trombettieri e quindi il grosso della fanteria legionaria incolonnata su sei file. Secondo l'uso, un centurione li accompagnava per sorvegliare che stessero a posto nei ranghi.
Libro III:125 Dietro alla fanteria veniva l'insieme dei servi di ciascuna legione, portando i bagagli dei soldati sui muli e sulle bestie da soma;
Libro III:126 alle spalle di tutte le legioni la massa dei mercenari, protetti da una retroguardia composta di fanti leggeri e pesanti e di parecchia cavalleria.
Libro III:127 - 6, 3. Avanzando con l'esercito incolonnato nel modo suddetto, Vespasiano arrivò ai confini della Galilea. Quivi si accampò e tenne a freno i soldati impazienti di combattere mettendo ben in vista le sue forze per atterrire i nemici e offrendo loro la possibilità di riflettere nel caso volessero cambiare idea prima di venire a battaglia; nello stesso tempo egli si apprestava a investire d'assedio le città fortificate.
Libro III:128 L'apparire del capo in effetti fece nascere in molti il rammarico per la ribellione, in tutti poi lo sbigottimento;
Libro III:129 infatti gli uomini di Giuseppe che stavano accampati non lontano da Sepphoris presso la città di Garis, quando sentirono che la guerra si avvicinava e che fra breve i romani li avrebbero attaccati, si dispersero in fuga non prima della battaglia, ma addirittura prima di aver visto gli avversari.
Libro III:130 Giuseppe rimase con pochi, e vedendo di non aver una forza sufficiente per contrastare il passo al nemico e, inoltre, che i giudei erano abbattuti e che i più di essi volentieri si sarebbero arresi se avessero avuto qualche affidamento, fu preso da timore per l'esito della guerra;
Libro III:131 per il momento ritenne di dover allontanare il più possibile i rischi di una battaglia e, raccolti quanti erano restati con lui, si rifugiò a Tiberiade.
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