Guerra giudaica



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LIBRO VII

CAPITOLO TERZO

Libro VII:37 - 3, 1. Durante il soggiorno in tale città, egli festeggiò splendidamente il compleanno di suo fratello, dando anche corso in suo onore a gran parte della punizione dei giudei.


Libro VII:38 Infatti furono più di duemila e cinquecento quelli che caddero nei combattimenti contro le fiere o duellando gli uni contro gli altri o perirono tra le fiamme. Ma ai romani, che li stermi­navano in mille maniere, tutto ciò sembrava una punizione troppo lieve.
Libro VII:39 Cesare si trasferì poi a Berito, che è una città della Fenicia colonia dei romani, e vi si trattenne più a lungo celebrando con maggiore sontuosità il compleanno del padre sia per la magnificenza degli spettacoli, sia per le altre forme di liberalità escogitate.
Libro VII:40 La gran massa dei prigionieri trovò la stessa morte che ho detto prima.
Libro VII:41 - 3, 2. In quei tempi accadde che anche i superstiti giudei di Antiochia vennero incolpati e corsero pericolo di essere sterminati, essendosi la città degli Antiocheni rivoltata contro di essi sia per le accuse mosse loro in quel momento, sia a causa degli episodi verificatisi poco tempo prima.
Libro VII:42 A questi debbo accennare brevemente per far meglio intendere il rac­conto degli avvenimenti successivi.
Libro VII:43 - 3, 3. La stirpe dei giudei è fittamente mescolata con gli indigeni di tutto il mondo, ma lo è massimamente nella Siria per la vicinanza del paese, e soprattutto in Antiochia per la grandezza di tale Città. Furono specialmente i re che succes­sero ad Antioco quelli che permisero a loro di risiedervi senza timore.
Libro VII:44 E’ pur vero che Antioco soprannominato Epi­fane saccheggiò Gerusalemme e spogliò il tempio, ma i suoi successori restituirono ai giudei di Antiochia tutti i doni votivi fatti di bronzo collocandoli nella loro sinagoga e con­cessero a loro di godere i diritti di cittadinanza in parità con i greci.
Libro VII:45 Lo stesso trattamento essi ottennero da parte dei suc­cessivi sovrani, crebbero di numero e arricchirono il tempio coi loro doni magnifici e sontuosi; essi inoltre attiravano continuamente ai loro riti religiosi un gran numero di greci, facendone in qualche modo una parte della loro comunità.
Libro VII:46 Al tempo, dunque, in cui era stata dichiarata la guerra e Ve­spasiano era da poco sbarcato in Siria, mentre dappertutto era salita al massimo la marea dell'odio contro i giudei,
Libro VII:47 un tale Antioco, uno di loro, che era tenuto in grandissima consi­derazione perché suo padre era magistrato dei giudei d'An­tiochia, si presentò nel teatro, ove si teneva un'assemblea del popolo antiocheno, e denunziò suo padre e gli altri giudei accusandoli di aver tramato di dare alle fiamme tutta la città in una sola notte, e consegnò alcuni giudei forestieri dichia­rando che avevano preso parte al complotto.
Libro VII:48 All'udir tali cose, il popolo non seppe contenere il furore: decretò che gli indi­vidui consegnati morissero subito tra le fiamme e immediata­mente quelli furono tutti bruciati nel teatro;
Libro VII:49 poi si scagliarono contro la massa dei giudei, convinti che per salvare la patria bisognava affrettarsi a punirli.
Libro VII:50 Antioco intanto attizzava il loro furore e, per dimostrare che s'era convertito e che aveva abiurato alla religione giudaica, pensò di celebrare sacrifici secondo il rituale greco;
Libro VII:51 poi avanzò la proposta di costrin­gere anche gli altri a fare lo stesso perché il rifiuto avrebbe svelato i partecipi del complotto. Gli Antiocheni accettarono un tal mezzo di prova, e solo pochi si piegarono mentre quelli che si rifiutavano vennero massacrati.
Libro VII:52 Antioco, poi, si fece dare dei soldati dal governatore romano e si diede a oppri­mere spietatamente i suoi concittadini, vietando di rispettare il riposo del sabato e costringendoli a fare tutti i lavori come gli altri giorni.
Libro VII:53 Impose il divieto con tanta severità, che non soltanto l'osservanza della festività del sabato fu abolita ad Antiochia, ma, cominciando di lì, l'abolizione fu sancita in breve anche nelle altre città.
Libro VII:54 - 3, 4. Tali i flagelli che in questi anni avevano colpito i giudei di Antiochia quando su di loro si abbatté la nuova calamità, per raccontare la quale ho premesso la narrazione precedente.
Libro VII:55 Accadde, dunque, che andassero in fiamme la piazza quadrata, il palazzo del governo, l'archivio e le basi­liche, sì che a stento si riuscì a impedire che il fuoco si appic­casse con grande vigore all'intera città, e di ciò Antioco diede la colpa ai giudei.
Libro VII:56 Gli Antiocheni, anche se non li avessero avuti in odio già da prima, nell'emozione causata dall'incendio sarebbero stati prontissimi a credere alla calunnia; tanto più, dopo ciò ch'era successo prima, prestarono fede alle accuse di Antioco e, quasi mancasse solo che avessero visto coi propri occhi i giudei appiccare l'incendio,
Libro VII:57 come presi da una smania ossessiva, con impeto frenetico si scagliarono tutti contro i calunniati.
Libro VII:58 A fatica il legato Gneo Collega riuscì ad arginarne la furia, chiedendo di lasciare che Cesare venisse informato dell'accaduto;
Libro VII:59 infatti non era ancora arrivato Cesennio Peto, il nuovo governatore della Siria, che Vespasiano aveva già inviato.
Libro VII:60 Esperita un'accurata indagine, Collega scoprì la ve­rità: dei giudei denunziati da Antioco nessuno aveva avuto alcuna parte nella macchinazione,
Libro VII:61 che era stata tutta opera di alcuni sciagurati oppressi dai debiti, i quali avevano creduto di liberarsene dando alle fiamme la piazza e le pubbliche scrit­ture.
Libro VII:62 Con tali accuse sospese sul loro capo i giudei spiavano ancora ansiosamente il futuro ed erano agitati dai più gravi timori.

LIBRO VII

CAPITOLO QUARTO

Libro VII:63 - 4, 1. A Tito Cesare intanto arrivarono notizie del padre, che era stato festosamente accolto in tutte le città d'Italia e specialmente a Roma aveva ricevuto accoglienze entusiastiche e magnifiche, e ne provò una vivissima soddisfazione, essendosi liberato nel modo più felice delle preoccupazioni nutrite per lui.


Libro VII:64 Infatti, mentre Vespasiano si trovava ancora molto lon­tano, tutti gli abitanti dell'Italia lo riverivano nei loro cuori come se già fosse arrivato, a causa del grande desiderio scam­biando l'attesa di lui con il suo effettivo arrivo e provando uno spontaneo sentimento di attaccamento nei suoi riguardi.
Libro VII:65 E così il senato, memore dei tragici eventi che avevano accompagnato i cambiamenti degli imperatori, auspicava l'av­vento di un principe ornato dalla gravità dell'età matura e dalla gloria di imprese guerresche, la cui esaltazione ben sa­pevano che sarebbe servita solo ad assicurare il bene dei sud­diti.
Libro VII:66 Il popolo, poi, travagliato dagli affanni delle guerre civili, attendeva con ansia ancora maggiore il suo arrivo, consape­vole che allora soltanto si sarebbe liberato definitivamente dei suoi mali e fiducioso di recuperare la sicurezza insieme con la prosperità.
Libro VII:67 Ma era soprattutto l'elemento militare che te­neva gli occhi appuntati su di lui. Costoro più di ogni altro conoscevano la grandezza delle guerre da lui vinte e, avendo sperimentata l'inesperienza e la viltà degli altri imperatori, ardevano dal desiderio di essere liberati da tanta infamia e pregavano di avere a capo colui che solo era capace di garantire a loro sicurezza e prestigio.
Libro VII:68 In una simile atmosfera di favorevole disposizione da parte di tutti, le personalità più eminenti non sopportarono più di starsene ad aspettare, ma si affrettarono ad andargli incontro ben lontano da Roma.
Libro VII:69 Del resto, anche fra gli altri nessuno resistette all'attesa dell'incontro, e a tal punto si riversarono tutti in massa fuori della città e il partire sembrò a ognuno più facile e agevole del restare, che allora per la prima volta l'urbe provò la piacevole sensazione di non essere sovraffollata; infatti coloro che ri­masero furono meno di quelli che si misero in viaggio.
Libro VII:70 Quando poi arrivò la notizia che era vicino, e quelli che erano an­dati avanti riferirono la cordialità del suo tratto con chiunque, allora tutto il resto della popolazione con le mogli e i figli si disposero ad attenderlo sui margini della strada e,
Libro VII:71 quando egli passava, per la contentezza di vederlo e per la mitezza del suo aspetto tutti lanciavano ogni sorta di grida festose, acclamandolo benefattore, salvatore e unico degno signore di Roma. Tutta la città, poi, era piena di corone e d'incensi come un tempio.
Libro VII:72 A gran fatica, per la folla strabocchevole che gli si accalcava intorno, riuscì a entrare nel palazzo, e celebrò di persona alle divinità domestiche sacrifici di ringraziamento per il ritorno,
Libro VII:73 mentre il popolo dava inizio ai festeggiamenti e, banchettando diviso per tribù, per casate e per vicinati, supplicava con libagioni il Dio, affinché mantenesse il più a lungo possibile Vespasiano alla testa dell'impero romano e conservasse incontrastato il potere ai suoi figli e a tutti i loro discendenti.
Libro VII:74 E la città dei romani, dopo aver fatto accoglienze così calorose a Vespasiano, s'innalzò rapidamente a grande prosperità.
Libro VII:75 - 4, 2. Ma qualche tempo prima, allorché Vespasiano stava ad Alessandria e Tito stringeva d'assedio Gerusalemme,
Libro VII:76 una gran parte dei Germani si mise sulla strada della ribellione, e i vicini Galli con gli stessi intendimenti concepirono al pari di quelli grandi speranze, finanche di scuotere il giogo dei romani.
Libro VII:77 A dare inizio alla rivolta e a entrare in guerra i Ger­mani vennero istigati anzitutto dalla loro natura, che è inca­pace di fare un accorto ragionamento e pronta a gettarsi fra i pericoli sia pure per la più piccola speranza di successo;
Libro VII:78 in secondo luogo anche dall'odio contro i dominatori, perché sanno che soltanto i romani li hanno costretti a ubbidire. Ma più di tutto a incoraggiarli fu l'occasione propizia;
Libro VII:79 vedendo infatti che l'impero romano era internamente sconvolto dai continui cambiamenti dei sovrani, e sapendo che ogni parte del mondo ad essi soggetto era in stato di dubbia fedeltà e di fermento, stimarono che era un'ottima opportunità quella che veniva loro offerta dalle difficoltà e dalle discordie degli av­versari.
Libro VII:80 Consolidarono tali propositi, e li esaltarono con sif­fatte speranze, un tal Classico e un certo Civile, due dei loro capi,
Libro VII:81 i quali evidentemente da gran tempo pensavano a questa ribellione e, incoraggiati ora dalle favorevoli circostanze a scoprire il loro piano, stavano per mettere alla prova le masse impazienti d'insorgere.
Libro VII:82 Quando la maggior parte dei Germani aveva già raggiunto l'accordo sull'insurrezione, e nessuno degli altri aveva manifestato la sua opposizione, Vespasiano, come per un'ispirazione divina, scrisse a Petilio Ceriale, che era stato precedentemente legato della Germania, conferendogli la dignità consolare e ordinandogli di recarsi ad assumere il governo della Britannia.
Libro VII:83 Quello partì per raggiungere la sede che gli era stata destinata e, venuto a sapere della rivolta dei Germani, piombò sulle loro forze già raccolte e, attac­cata battaglia, lasciò un gran numero di nemici sul campo, costringendo gli altri ad abbandonare quella folle politica di ribellione e a rinsavire.
Libro VII:84 Ma anche se egli non fosse arrivato sul posto così rapidamente, non avrebbero tardato molto a essere puniti;
Libro VII:85 infatti, appena giunse a Roma la notizia della loro ribellione, Domiziano Cesare nel sentirla non ebbe un attimo di esitazione ad accollarsi un tale peso, come invece avrebbe fatto chiunque altro della sua età, perché era ancora assai giovane.
Libro VII:86 Ma egli aveva una naturale bravura ereditata da suo padre unita ad un'esperienza superiore ai suoi anni, e mosse subito contro i barbari.
Libro VII:87 Costoro, presi dallo sgomento alla notizia del suo arrivo, gli si arresero trovando che per liberarsi dai loro terrori il meglio era ritornare nuovamente sotto lo stesso giogo evitando disastri.
Libro VII:88 Così Domiziano, dopo aver dato una conveniente sistemazione a ogni cosa in Gallia per evitare che colà potessero facilmente verificarsi nuovi disordini, tornò a Roma onusto di gloria e grandemente am­mirato per le imprese che erano state bensì superiori alla sua età, ma degne di un figlio di tanto padre.
Libro VII:89 - 4, 3. Contemporaneamente alla predetta rivolta dei Germani si verificò anche un'invasione dell'impero romano ad opera degli Sciti.
Libro VII:90 Infatti la popolazione scitica che ha il nome di Sarmati, ed è assai numerosa, passò nascostamente al di qua dell'Istro e, piombata con grande violenza sui romani, temibile anche perché l'attacco era del tutto inaspettato, ster­minò un gran numero dei soldati disposti a guardia del con­fine;
Libro VII:91 uccisero anche il legato consolare Fonteio Agrippa, che s'era fatto loro incontro attaccandoli bravamente, e devastarono l'intero territorio che gli si apriva davanti, saccheg­giando e spogliando tutto ciò che trovavano.
Libro VII:92 Vespasiano, informato dell'accaduto e della devastazione della Mesia, inviò a punire i Sarmati Rubrio Gallo.
Libro VII:93 Da costui molti di quelli furono uccisi in battaglia, e i superstiti si ritirarono atterriti nel loro territorio.
Libro VII:94 Terminata in tal modo la guerra, il con­dottiero provvide anche alla sicurezza per il futuro; dispose infatti in quella zona delle guarnigioni più numerose e più forti, sì che passare il fiume era per i barbari del tutto impos­sibile.
Libro VII:95 Così la guerra in Mesia fu rapidamente conclusa.


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