Translated by WordPort from ms word (Dos) document gi msw


Chiesa di san Pietro e casa del cappellano



Yüklə 0,89 Mb.
səhifə10/56
tarix03.08.2018
ölçüsü0,89 Mb.
#66686
1   ...   6   7   8   9   10   11   12   13   ...   56

3.2.2. Chiesa di san Pietro e casa del cappellano


Continuando il cammino si giunge alla cappella della fra­zione, dedicata a san Pietro.

Era la chiesa frequentata ordinariamente dalle famiglie dei Becchi, troppo lontane dalla parrocchia di Castelnuovo. Nella casa addossata al muro di levante abitava un cappellano stipendiato dalle famiglie della borgata e incaricato dal parroco della cura pastorale della zona.

Qui Giovannino, verso gli undici o dodici anni, durante la festa patronale, si preoccupa di convincere la gente a inter­rompere i divertimenti e partecipare alle funzioni vespertine (cf MB 1, 144-146). Ma, in modo particolare, il luogo è legato al ricordo di due persone che ebbero un ruolo decisivo nella vita del Santo: don Giovanni Calosso e san Giuseppe Cafasso.

Don Calosso e Giovannino Bosco


Nell'estate del 1829 giunge a Morialdo don Giovanni Mel­chiorre Calosso (Chieri 1760-Morialdo 1830) ed assume la cura pastorale della zona, come cappellano. Era stato parroco a Bruino (1791-1813), poi, dimessosi per una serie di calunnie ed incomprensioni, ave­va aiutato nel ministero prima il fratello Carlo Vincenzo, parroco di Berzano di San Pietro (Asti), poi il parroco di Carignano. Abitava la piccola canonica che ancora oggi vediamo.

Egli svolge un ruolo determinante nella formazione di Gio­vanni adolescente, reduce dalla cascina Moglia e in difficili rapporti col fratello Antonio.

Il primo incontro tra i due avviene lungo la discesa che da Buttigliera porta a Morialdo, tra il 5 e il 9 novembre 1829, mentre rincasano dopo aver partecipato alla predicazione delle missioni svolte nella zona per il Giubileo straordinario indetto da Pio VIII. Nel dialogo don Calosso scopre l'intelli­genza e la bontà d'animo di Giovanni e si offre di aiutarlo ne­gli studi. Incomincia così un'amicizia profonda e costruttiva, attraverso la quale l'anziano sacerdote, ancor più che i rudi­menti della lingua latina, insegna al quattordicenne contadino i primi passi di una autentica vita spirituale.

Don Bosco lo ricorda con particolare commozione:


“Io mi sono tosto messo nelle mani di D. Calosso, che soltanto da alcuni mesi era venuto a quella cappellania. Gli feci conoscere tutto me stesso. Ogni parola, ogni pen­siero, ogni azione eragli prontamente manifestata. Ciò gli piacque assai, perchè in simile guisa con fondamento pote­vami regolare nello spirituale e nel tempo­rale.

Conobbi allora che voglia dire avere una guida stabile, di un fedele amico dell'anima, di cui fino a quel tempo e­ra stato privo. Fra le altre cose mi proibì tosto una pe­nitenza che io era solito fare, non adatta alla mia età e condizione. M'incoraggì a frequentar la confessione e la comunione, e mi ammaestrò intorno al modo di fare ogni giorno una breve meditazione o meglio un po' di lettura spirituale. Tutto il tempo che poteva, nei giorni festivi lo passava presso di lui. Ne' giorni feriali, per quanto poteva, andava servirgli la santa Messa. Da quell'epoca ho cominciato a gustare che cosa sia vita spirituale, giacché prima agiva piuttosto materialmente e come macchina che fa una cosa senza saperne la ragione.

Alla metà di settembre ho cominciato regolarmente lo studio della grammatica italiana, che in breve ho potuto compiere e praticare con opportune composizioni. A Natale ho dato mano al Donato (ndr.: la grammatica latina), a Pa­squa diedi principio alle traduzioni dal latino in italia­no e vicendevolmente. In tutto quel tempo non ho mai ces­sato dai soliti trattenimenti festivi nel prato, o nella stalla d'inverno. Ogni fatto, ogni detto, e posso dire o­gni parola del maestro serviva a trattenere i miei udito­ri” (MO 47-48).
Giovanni, dopo aver fatto per un po' la spola tra casa e canonica, dividendo il suo tempo nei lavori campestri e nello studio, si stabilisce presso il cappellano, offrendo in cambio i suoi servizi. Vive così alcuni mesi di serena pace e di in­tenso studio, pur continuando ad aiutare i familiari (cf MO 50).

Purtroppo il 21 novembre 1830 un infarto stronca don Ca­losso. Giovanni consegna ai parenti del sacerdote la chiave della piccola cassaforte, che pure gli era stata donata dal mo­rente. Lo scrigno contiene ben 6000 lire (cf MB 1, 217), una cifra notevole se si pensa che al tempo lo stipendio annuo di un pro­fessore di scuola pubblica si aggirava sulle 600-700 lire.

Si trova a dover affrontare nuovamente da solo le diffi­coltà di studio e di maturazione vocazionale, anche se ora le idee sono più chiare e il suo spirito più maturo e forte:
“La morte di D. Calosso fu per me un disastro irrepara­bile. Io piangeva inconsolabile il benefattore defunto. Se era sveglio pensava a lui, se dormiva, sognava di lui; le cose andarono tanto oltre, che mia madre, temendo di mia sanità, mandommi alcun tempo con mio nonno in Capriglio.

A quel tempo feci un altro sogno, secondo il quale io era acremente biasimato, perchè aveva riposta la mia spe­ranza negli uomini e non nella bontà del Padre celeste” (MO 52).




Incontro tra il chierico Cafasso e Giovannino Bosco


A Morialdo, durante una festa religiosa (forse nel 1830?), di fronte alla porta della chiesa, Giovanni fa la conoscenza con il chierico Giuseppe Cafasso, premessa di un'altra fecondissi­ma amicizia:

“Era la seconda Domenica di ottobre e dagli abitanti di Murialdo si festeggiava la Maternità di Maria SS., che era la Solennità principale fra quegli abitanti. Ognuno era in faccende per le cose di casa o di chiesa, mentre altri e­rano spettatori o prendevano parte a giuochi o a trastulli diversi.

Un solo io vidi lungi da ogni spettacolo; ed era un chie­rico, piccolo nella persona, occhi scintillanti, aria af­fabile, volto angelico. Egli era appoggiato alla porta della Chiesa. Io ne fui come rapito dal suo sembiante, e sebbene io toccassi soltanto l'età di dodici anni (ndr.: in realtà Giovanni doveva avere tra i 13 e i 15 anni, poiché il Cafasso vestì l’abito più tardi), tutta­via, mosso dal desiderio di parlargli, mi avvicinai e gli indirizzai queste parole: Signor abate, desiderate di vedere qualche spettacolo della nostra festa? Io vi con­durrò di buon grado ove desiderate.

Egli mi fe' grazioso cenno di avvicinarmi, e prese ad interrogarmi sulla mia età, sullo studio, se io era già promosso alla Santa Comunione, con che frequenza andava a confessarmi, ove andava al Catechismo e simili. Io rimasi come incantato a quelle edificanti maniere di parlare; ri­sposi volentieri ad ogni domanda; di poi, quasi per rin­graziarlo della sua affabilità, ripetei l'offerta di ac­compagnarlo a visitare qualche spettacolo o qualche novi­tà.

Mio caro amico, egli ripigliò, gli spettacoli dei preti sono le funzioni di Chiesa; quanto più esse sono di­votamente celebrate, tanto più grati ci riescono i nostri spettacoli. Le nostre novità sono le pratiche della reli­gione, che sono sempre nuove e perciò da frequentarsi con assiduità; io attendo solo che si apra la Chiesa per poter entrare.

Mi feci animo a continuare il discorso, e soggiunsi: È vero quanto mi dite; ma v'è tempo per tutto: tempo di andare in chiesa, e tempo per ricrearci.

Egli si pose a ridere, e conchiuse con queste memorande parole, che furono come il programma delle azioni di tutta la sua vita: Colui che abbraccia lo stato ecclesiastico si vende al Signore; e di quanto avvi nel mondo, nulla de­ve più stargli a cuore, se non quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime” (MO 51-52).
San Giuseppe Cafasso (1811-1860) sarà maestro di teolo­gia pastorale, confessore e direttore spirituale di don Bosco durante i primi vent'anni del suo sacerdozio. Quando nel 1841, dopo l'ordinazione sacerdotale, Giovanni Bosco si troverà a de­cidere su alcune proposte di impiego pastorale - tra le quali quella di cappellano proprio a Morialdo - il Cafasso lo convin­cerà a frequentare il Convitto Ecclesiastico di Torino per un perfezionamento culturale e pastorale. Egli infatti intuiva la missione particolare che il Signore riservava al giovane prete dei Becchi.
“Sul finire di quelle vacanze mi erano offerti tre im­pieghi, di cui doveva scegliere uno: l'uffizio di Maestro in casa di un signore genovese collo stipendio di mille franchi annui; di cappellano di Murialdo, dove i buoni po­polani, pel vivo desiderio di avermi, raddoppiavano lo stipendio dei cappellani antecedenti; di Vice curato in mia patria. Prima di prendere alcuna definitiva deliberazione ho voluto fare una gita a Torino per chiedere consiglio a D. Caffasso (ndr.: don Bosco utilizza sempre questa gra­fia al posto di "Cafasso"), che da parecchi anni era dive­nuto mia guida nelle cose spirituali e temporali. Quel santo sacerdote ascoltò tutto, le profferte di buoni sti­pendii, le insistenze dei parenti e degli amici, il mio buon volere di lavorare. Senza esitare un istante egli mi indirizzò queste parole: “Voi avete bisogno di studiare la morale e la predicazione. Rinunciate per ora ad ogni proposta e venite al Convitto”. Seguii con piacere il sa­vio consiglio, e il 3 Novembre 1841 entrai nel mentovato Convitto” (MO 115-116).

La chiesa di san Pietro e Domenico Savio


Qualche anno dopo, la piccola chiesetta del borgo vede an­che le preghiere e il fervore di Domenico Savio fanciullo, che nei dieci anni circa di permanenza a Morialdo si presta ordina­riamente a servir Messa a don Giovanni Zucca (1818-1878) cap­pellano. Don Bosco, nella biografia di Domenico riporta un gu­stoso quadretto:

“Di cinque anni egli aveva già imparato a servire la santa Messa e la serviva divotissimamente. Ogni giorno vi andava, e se altri voleva servirla, egli la sentiva, al­trimenti vi si prestava con un contegno il più edificante. Siccome era giovine di età e piccolo di statura, non poteva trasportare il messale; ed era cosa curiosa il vederlo av­vicinarsi ansioso all'altare, levarsi sulla punta dei pie­di, tendere quanto poteva le piccole braccia, fare ogni sforzo per toccare il leggio. Se il sacerdote od altri avesse voluto fargli la cosa più cara del mondo, doveva, non già traspor­tare il messale, ma solo avvicinargli il leggio tanto che lo potesse raggiungere, ed allora egli con gioia lo portava all'altro lato dell'altare” (DS 16-17).


Don Zucca funge anche da maestro elementare per i ragazzi della frazione. La scuola - aperta nell'anno scolastico 1847-1848 in seguito ad una serie di provvedimenti legislativi sfociati poi nella Legge Boncompagni del 1848 - era collocata in una stanza al pian terreno della canonica. Vi si accede dall’interno della chiesa, sul lato desto della porta d’ingresso. Domenico la frequenta dal 1848 al 1850. Quando l'età e la salute glielo permetteran­no, continuerà i suoi studi nelle scuole elementari superiori di Castelnuovo (1852 -1853).



Yüklə 0,89 Mb.

Dostları ilə paylaş:
1   ...   6   7   8   9   10   11   12   13   ...   56




Verilənlər bazası müəlliflik hüququ ilə müdafiə olunur ©muhaz.org 2024
rəhbərliyinə müraciət

gir | qeydiyyatdan keç
    Ana səhifə


yükləyin