Philip k. Dick la svastica sul sole (The Man In The High Castle, 1962)



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«Nel suo libro,» disse Juliana, «lei ha indicato che c'è una via d'uscita. Non è questo che intendeva dire?»

«Una via d'uscita,» riecheggiò lui ironicamente.

«Lei ha fatto molto per me,» disse Juliana. «Adesso capi­sco che non c'è niente di cui aver paura, niente da desiderare, da odiare o da evitare, qui, o da sfuggire. O da cercare.»

Lui la guardò in viso, muovendo gli occhiali, studiandola. «C'è molto, in questo mondo, secondo me, per cui il gioco valga la candela.»

«Io mi rendo conto di ciò che sta avvenendo nella sua mente,» disse Juliana. Era la vecchia, ben nota espressione che aveva visto tante volte sul volto degli uomini, ma il fatto di rivederla ora non la sconvolse più di tanto. Da molto tem­po, ormai, non provava più le stesse sensazioni di una volta. «Il dossier della Gestapo affermava che lei è attratto dalle donne come me.»

Abendsen, mutando espressione in modo quasi impercet­tibile, disse: «È dal 1947 che la Gestapo non esiste più.»

«SD, allora, o come diavolo si chiama.»

«Vorrebbe spiegarsi meglio?» intervenne Caroline in tono spiccio.

«Certo,» disse Juliana. «Ho viaggiato fino a Denver con uno di loro. E prima o poi arriveranno anche qui. Lei dovreb­be andare in un posto dove non possano rintracciarla, invece di lasciare la porta di casa aperta in questo modo e di fare entrare chiunque, come è successo con me. Il prossimo che arriverà qui... non ci sarà una come me, che lo fermerà.»

«Lei dice "il prossimo",» osservò Abendsen, dopo una pausa. «Che ne è stato di quello che è venuto fino a Denver con lei? Perché non si è fatto vedere?»

«Gli ho tagliato la gola,» disse Juliana.

«Questo è notevole,» disse Hawthorne. «Sentire una ra­gazza che ti dice una cosa del genere, una ragazza che non hai mai visto prima in vita tua.»

«Non mi crede?»

Lui annuì. «Ma certo.» Le sorrise in modo timido, gentile, quasi sconsolato. Sembrava che non gli fosse nemmeno pas­sata per la testa l'idea di non crederle. «Grazie,» disse.

«La prego, si nasconda da loro,» disse lei.

«Be',» spiegò lui, «noi ci abbiamo provato, come lei sa. Come avrà letto sulla sovraccoperta del libro... dove si parla delle armi e del filo di ferro elettrificato. E lo abbiamo fatto scrivere proprio perché sembrasse che prendevamo ancora tutte le precauzioni.» La sua voce aveva un tono stanco, asciutto.

«Potresti almeno portare un'arma con te,» disse sua mo­glie. «Io lo so che un giorno inviterai qualcuno, e mentre parli con lui quello ti sparerà addosso; qualche sicario nazista che vuole fartela pagare; e tu continuerai a prenderla con filosofia come stai facendo adesso, già lo vedo.»

«Se davvero vogliono,» disse Hawthorne, «possono sem­pre arrivare fino a me. Fil di ferro elettrificato o no, castello o no.»

Sei così fatalistico, pensò Juliana. Rassegnato alla tua stessa distruzione. Conosci anche questo, così come cono­scevi il mondo che hai descritto nel tuo libro?

«È stato l'oracolo a scrivere il suo libro, non è vero?» dis­se Juliana.

«Vuole sapere la verità?» disse Hawthorne.

«Voglio saperla e ho il diritto di saperla,» rispose lei, «per quello che ho fatto. Non è così? Lei lo sa che è così.»

«L'oracolo,» disse Abendsen, «era profondamente addor­mentato durante l'intera stesura del libro. Dormiva in un an­golo dell'ufficio.» I suoi occhi non mostravano nessuna alle­gria; il suo viso, invece, sembrava più lungo, più triste che mai.

«Diglielo,» disse Caroline. «Lei ha ragione; ha il diritto di saperlo, per quello che ha fatto per te.» Poi, rivolta a Juliana, «Glielo dirò io, allora, signora Frink. Hawth ha fatto le scelte una a una. A migliaia. Utilizzando le linee. Periodo storico. Argomento. Personaggi. Intreccio. Gli ci sono voluti anni. Hawth ha anche domandato all'oracolo quale successo avreb­be avuto il libro. Gli ha risposto che sarebbe stato un grande successo, il primo vero successo della sua carriera. Perciò lei aveva ragione. Lei deve usarlo piuttosto spesso, per averlo capito.»

«Mi chiedo perché mai l'oracolo abbia voluto scrivere un romanzo,» disse Juliana. «Ha mai pensato di chiederglielo? E perché un romanzo in cui i tedeschi e i giapponesi hanno per­so la guerra? Perché proprio quella storia e non un'altra? Che cosa c'è che non può dirci direttamente, come ha sempre fat­to? Questo deve essere diverso, non crede?»

Né Hawthorne né Caroline risposero.

«L'oracolo e io,» disse alla fine Hawthorne, «abbiamo raggiunto un accordo da molto tempo per quanto riguarda i diritti d'autore. Se gli chiedo perché ha scritto La cavalletta, dovrò versargli la mia parte dei diritti. La stessa domanda presuppone che io mi sia limitato semplicemente a batterlo a macchina, e questo non è vero né decoroso.»

«Glielo chiederò io,» disse Caroline. «Se non vuoi farlo tu.»

«Non tocca a te chiederlo,» disse Hawthorne. «Lascia che sia lei a farlo.» Poi, rivolto a Juliana, «Lei ha una... mente in­naturale. Se ne rende conto?»

«Dov'è la sua copia dell'oracolo?» domandò Juliana. «La mia è rimasta in macchina, giù al motel. Andrò a prenderla, se non vuole lasciarmi usare la sua.»

Hawthorne si voltò e si allontanò, subito seguito da lei e da Caroline, attraverso la stanza affollata, verso una porta chiusa. Giunto alla porta, entrò senza di loro. Quando uscì di nuovo, tutti videro i due grossi volumi con la copertina nera.

«Io non uso gli steli di millefoglie,» disse a Juliana. «Non riesco a tenerli in mano, mi cadono sempre.»

Juliana si sedette a un tavolino in un angolo della sala. «Ho bisogno di una matita e di carta per scrivere.»

Uno degli ospiti portò carta e matita. I presenti si sposta­rono fino a formare un circolo attorno a lei e ad Abendsen, osservando e ascoltando.

«Lei può pronunciare la domanda a voce alta,» disse Hawthorne. «Qui non abbiamo segreti.»

Juliana cominciò: «Oracolo, perché hai scritto La caval­letta non si alzerà più? Che cosa dovrebbe insegnarci?»

«Lei ha un modo piuttosto sconcertante e superstizioso di porre le domande,» disse Hawthorne. Ma si era accucciato per assistere al lancio delle monete. «Vada pure avanti,» ag­giunse; le porse le tre monete cinesi di ottone con i fori nel mezzo. «In genere mi servo di queste.»

Juliana cominciò a lanciare le monete; si sentiva calma e molto sicura di se stessa. Hawthorne annotò le linee per lei. Quando le ebbe lanciate sei volte, Hawthorne abbassò lo sguardo e disse: «Sun in cima. Tui in fondo. Vuoto nel mez­zo.»

«Lo sa qual è l'esagramma?» gli domandò lei. «Senza usare le tavole?»

«Sì,» rispose Hawthorne.

«È Chung Fu,» disse Juliana. «La Verità Interiore. Lo so anch'io senza ricorrere alle tavole. E so che cosa significa.»

Hawthorne alzò la testa e la osservò. Adesso aveva un'espressione esasperata. «Significa che il mio libro è vero, non è così?»

«Sì,» rispose lei.

Con rabbia, lui disse: «La Germania e il Giappone hanno perso la guerra?»

«Sì.»

Allora Hawthorne richiuse ì due volumi e si alzò in piedi, senza dire altro.



«Nemmeno lei è in grado di accettarlo.»

Lui rifletté per un po'. Juliana notò che adesso aveva un'espressione vuota. È chiuso in se stesso, si rese conto. È preoccupato... poi i suoi occhi tornarono limpidi come pri­ma; grugnì qualcosa, si mosse.

«Non sono sicuro di niente,» disse.

«Ci creda,» disse Juliana.

Lui scosse la testa, in segno di diniego.

«Non ne è capace?» disse lei. «Ne è sicuro?»

«Vuole che le faccia un autografo su una copia della Ca­valletta disse Hawthorne Abendsen.

Anche lei si alzò in piedi. «Penso che andrò via,» disse. «La ringrazio molto. Mi dispiace di averle rovinato la serata. È stato molto gentile, da parte sua, lasciarmi entrare.» Oltre­passò Abendsen e Caroline e si fece strada in mezzo al circo­lo di persone, attraversò il soggiorno e si diresse verso la stanza da letto, dove c'erano la pelliccia e la borsa.

Mentre si infilava la pelliccia, dietro di lei apparve Haw­thorne. «Lo sa che cosa è lei?» Poi si rivolse a Caroline, che era in piedi accanto a lui. «Questa ragazza è un demone. Un piccolo spirito ctonio che...» Alzò la mano e si grattò un so­pracciglio, spostando in parte gli occhiali. «Che vaga inces­santemente sulla faccia della Terra.» Si risistemò gli occhiali. «Fa ciò che per lei è istintivo, si limita a esprimere il suo esse­re. Non aveva intenzione di venire qui a fare del male; le è successo e basta, così come avviene per noi quando cambia il tempo. Sono felice che sia venuta, e non mi dispiace di aver fatto questa scoperta, di conoscere questa rivelazione che lei ha avuto attraverso il libro. Lei non sapeva che cosa avrebbe fatto qui o che cosa avrebbe scoperto. Penso che siamo tutti fortunati. Perciò non perdiamo la calma per questo, va bene?»

«È una donna dirompente, tremendamente dirompente,» commentò Caroline.

«Anche la realtà lo è,» disse Hawthorne. Porse la mano a Juliana. «Grazie per ciò che ha fatto a Denver,» aggiunse.

Lei gli strinse la mano. «Buonanotte,» disse. «Faccia come dice sua moglie. Si procuri un'arma, almeno.»

«No,» disse lui. «L'ho già deciso molto tempo fa. Non vo­glio lasciarmi sopraffare da questa cosa. Posso appoggiarmi all'oracolo, ogni tanto, quando mi sento nervoso, soprattutto a notte tarda. Non è male, in una situazione come questa.» Accennò a un sorriso. «In tutta franchezza, l'unica cosa che mi preoccupa, a questo punto, è sapere che mentre noi ce ne stiamo qui a parlare, tutti quegli scrocconi che sono di là ad ascoltare mi fanno fuori la scorta di liquori.» Si voltò e si di­resse a grandi passi verso la credenza, in cerca di ghiaccio fresco per il suo drink.

«Dove andrà, adesso che ha finito qui?» chiese Caroline.

«Non lo so.» Juliana non se ne preoccupava. Devo essere un po' come lui, pensò; non mi lascerò angustiare da certe cose, per quanto possano essere importanti. «Forse tornerò da mio marito, Frank. Ho cercato di telefonargli, stasera, e forse ci proverò di nuovo. Vedrò come mi sento più tardi.»

«Nonostante quello che ha fatto per noi, o quello che ha detto di avere fatto...»

«Preferirebbe che non fossi mai venuta in questa casa,» concluse per lei Juliana.

«Se lei ha salvato la vita di Hawthorne, è orribile ammet­terlo, da parte mia, ma sono così sconvolta; non riesco ad ac­cettarlo, quello che ha detto lei e quello che ha detto Haw­thorne.»

«È strano,» disse Juliana. «Non avrei mai pensato che la verità la facesse arrabbiare.» La verità, si disse. Terribile come la morte. Ma più difficile da trovare. Io sono fortunata. «Credevo che lei fosse contenta ed eccitata come me. È un malinteso, non è vero?» Sorrise, e dopo una pausa la signora Abendsen riuscì a ricambiare il sorriso. «Be', buonanotte, in ogni caso.»

Un attimo dopo Juliana ripercorreva il vialetto lastricato in pietra, camminando sulle macchie di luce che provenivano dalle finestre del soggiorno, e poi nelle ombre del giardino che circondava la casa, fino al marciapiede buio.



Camminò senza voltarsi indietro verso la casa degli Abendsen e, mentre camminava, continuò a guardare su e giù per la strada in cerca di un taxi o una macchina, qualcosa di mo­bile, vivo e lucente che la riportasse al motel.
FINE
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