Xxvii conferenza italiana di scenze regionali



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XXVII CONFERENZA ITALIANA DI SCENZE REGIONALI
PROGETTI E POLITICHE DI RIQUALIFICAZIONE URBANA FRA RILANCIO ECONOMICO E GENTRIFICATION. IL CASO DI BARCELLONA
Silvia INFUSINO
Facoltà di Architettura – Politecnico di Torino, Viale Mattioli 39, 10125, Torino
SOMMARIO

Oggetto del presente articolo sarà l’analisi dei progetti e delle politiche di riqualificazione urbanistica che hanno interessato Barcellona dalla metà degli anni settanta ad oggi. Per comprenderne appieno la portata e il significato delle trasformazioni di cui è stata oggetto la città in questo arco temporale appare però necessario un loro inserimento all’interno di un più ampio contesto. Sembra cioè importante porre l’accento non solo sulle operazioni urbanistiche in senso stretto e sugli strumenti che le hanno governate, ma sulle loro ragioni più profonde, intimamente connesse con processi di tipo economico di più ampio respiro. Processi all’interno dei quali la gentrification sembra giocare un ruolo fondamentale.

Del complesso fenomeno della gentrification, sulle cui cause e sui cui effetti non si è ancora trovato pieno accordo, si offrirà una interpretazione forzatamente parziale, privilegiando una prospettiva d’analisi che trova il suo riferimento teorico principalmente in autori quali Harvey e Smith.

1. INTRODUZIONE

Le relazioni che legano trasformazioni urbanistiche, gentrification e accumulazione capitalistica sono indubbiamente complesse e non possono quindi trovare una risposta univoca e valida per ogni realtà. Ognuno di questi processi si manifesta infatti con tempi e modalità differenti a seconda del contesto in cui si produce. Nell’articolo quindi, senza alcuna pretesa di esaustività, si fornirà una delle possibili chiavi di lettura per comprendere come tali processi interagiscano fra loro, analizzando il caso specifico di Barcellona.

L’ipotesi di partenza che viene proposta è dunque che la gentrification sia una possibile risposta alle crisi di sovraccumulazione che caratterizzano il sistema capitalistico e che le trasformazioni urbanistiche, spesso promosse dai governi locali e nazionali, siano lo strumento attraverso il quale innescare tale fenomeno. Le relazioni fra questi tre elementi costituiranno l’oggetto d’analisi del paragrafo 2.

Nel paragrafo 3 si indagherà invece come tali elementi interagiscano all’interno di una realtà specifica, quella di Barcellona, attraverso un esame approfondito delle trasformazioni urbanistiche che hanno interessato la città dalla seconda metà degli anni settanta ad oggi. Si cercherà quindi di mettere in luce il ruolo attivo giocato in tal senso dall’amministrazione pubblica. Inoltre si sottolineerà come i processi di gentrification legati agli interventi urbanistici si accompagnino ad un progressivo abbandono degli ideali e degli obiettivi di tipo sociale che avevano inizialmente animato i piani e progetti di riqualificazione. Ciò coincide peraltro con il ridimensionamento delle politiche del welfare state ad un livello più generale in ambito europeo, che il geografo americano Neil Smith indica come uno degli elementi peculiari caratterizzanti l’attuale ondata di gentrification.

Nel paragrafo conclusivo infine si tireranno le fila di quanto osservato nei paragrafi precedenti.
2. La gentrification oggi: fra strategie urbane locali e interessi economici globali

“Cosa sia la gentrification continua ad essere una domanda senza una risposta unica e valida per tutti i casi. Ciò che sembra accettato, è che si tratta di un processo di cambiamento sociale urbano, nel senso che alcune aree determinate della città sono trasformate, tanto morfologicamente che socialmente. Però, quali ne siano le cause, quali le conseguenze, quali gli attori che vi partecipano e anche quale sia il ruolo di questi cambiamenti nella trasformazione generale delle città sono questioni ancora aperte” (Martínez i Rigol, 2000, p. 6, trad. nostra). Concetto poliedrico e sfaccettato, la gentrification è stata fin dall’inizio oggetto di un vivace dibattito teorico, e non solo. Nel corso degli anni intorno al fenomeno e alle sue manifestazioni si sono susseguite analisi e posizioni differenti. Cercare di formulare un’univoca definizione, per quanto sommaria e imprecisa, di tale processo è quindi indubbiamente complesso e forse nemmeno possibile. Non rappresenta in ogni caso l’obiettivo di questo articolo, nel quale si è scelto quindi di privilegiare una particolare prospettiva di analisi, il cui riferimento teorico è costituito principalmente dagli scritti di David Harvey e Neil Smith. La gentrification verrà cioè letta e interpretata come una delle possibili riposte alle periodiche crisi di sovraccumulazione del capitale. Nel seguito si cercherà di argomentare tale posizione teorica.

Secondo Harvey (2003) il sistema capitalistico è periodicamente soggetto a crisi di sovraccumulazione: si ha cioè un eccesso di capitale che non riesce ad essere apparentemente reinvestito in maniera redditizia. Ciò rischia di provocare una svalorizzazione e talvolta una distruzione del capitale stesso. Due sono allora le possibili soluzioni per ovviare a questa situazione: (1) l’espansione geografica e la riorganizzazione spaziale, cioè la produzione di fix temporali, spaziali o spazio-temporali; (2) l’accumulazione per espropriazione. In entrambi i casi i governi, nazionali e/o locali, hanno un ruolo determinante nell’orientare i processi.
(1) La produzione fix temporali, spaziali o spazio-temporali

Ai fini del presente articolo sembra rivestire particolare importanza il fix temporale. L’attenzione si soffermerà quindi su questo primo tipo, rimandando per un’analisi più approfondita degli altri due ai testi di Harvey.

Il fix temporale permette di riassorbire le eccedenze di capitale prodottesi in un determinato sistema territoriale grazie ad un “dislocamento temporale tramite investimenti in progetti a lungo termine o spese sociali […] che differiscono il rientro dei valori di capitale in futuro” (Harvey, 2003, p. 94 della trad. italiana del 2006). Il capitale in eccesso viene cioè reinvestito nei circuiti (i) secondario – quindi in capitale fisso per la produzione o per la creazione di un fondo di consumo – e (ii) terziario – cioè in infrastrutture sociali. Se gli investimenti in questi due circuiti risultano essere produttivi, permettono un’ulteriore accumulazione di capitale. Affinché i capitali passino nel circuito secondario, sottolinea Harvey (1989), oltre ad un mercato funzionante, sembra essere necessario un governo, nazionale o locale, che finanzi grandi progetti per la produzione di ambiente costruito sul lungo periodo.
(2) L’accumulazione per espropriazione

Il concetto di accumulazione per espropriazione è sostanzialmente mutuato da ciò che Marx aveva definito come “accumulazione primitiva”. La differenza rispetto alla teoria marxista consiste nel fatto che, secondo alcuni autori fra cui lo stesso Harvey, tale forma di accumulazione non sarebbe caratteristica soltanto di una fase iniziale del capitalismo, ma anche di quella odierna. In modi in cui avviene sono vari.

Il capitale sovraccumulato in questo caso viene investito nell’appropriazione di beni patrimoniali, capitali o di forza lavoro, svalutati e messi in vendita a basso costo grazie all’accumulazione per espropriazione. Tali beni vengono poi riportati ad un “uso redditizio”. Esempi significativi in tal senso possono essere le privatizzazioni di parte di servizi e patrimoni pubblici o il progressivo smantellamento del welfare state in molti paesi a capitalismo avanzato.

Anche in questo caso lo stato e le amministrazioni pubbliche locali giocano un ruolo determinante nel regolare i processi e nell’impedire che le crisi legate ai processi di svalutazione degenerino diventando dannose per l’accumulazione di capitale.


Quale il legame fra tale contesto teorico e i processi di gentrification? Prima di approfondire questo aspetto sembra necessario richiamare brevemente le principali caratteristiche di quella che Hackworth e Smith (2001) indicano come la “terza ondata” di gentrification. Una fase cioè, iniziata negli anni novanta e in cui riveste un ruolo fondamentale la pianificazione pubblica fortemente orientata alla costituzione di partnership pubblico-private per gestire le operazioni di trasformazione da essa contemplate. Partnership la costituzione delle quali procede parallela, soprattutto in Europa, al progressivo smantellamento del welfare state e più in generale delle politiche urbane progressiste. Elemento questo che sembra facilitare la diffusione del fenomeno grazie alla rimozione delle forme di aiuto e protezione sociale soprattutto per le fasce deboli di popolazione. Inoltre, fra gli elementi significativi che il fenomeno presenta in questa nuova fase due sembrano rivestire una particolare importanza ai fini del presente articolo: (1) “la dispersione geografica”, cioè una diffusione della gentrification oltre i confini dell’area centrale urbana legata soprattutto ai cicli di investimento e disinvestimento di capitale nel territorio; (2) la “generalizzazione settoriale della gentrification” (Smith, 2002). Quest’ultimo punto soprattutto sembra essere centrale. L’autore sottolinea come nel corso degli anni la gentrification si sia trasformata in un mezzo per trasformare ampie parti di città in paesaggi urbani complessi in cui si integrano residenza, commercio, attività di loisir e spazi pubblici, espressione del legame fra promotori immobiliari e mercati finanziari internazionali. In tal senso quindi il fenomeno non interessa più esclusivamente il comparto residenziale, ma anche altri settori. Soprattutto la gentrification si rivela essere un fiorente settore di investimenti di capitale produttivo per il mercato immobiliare delle aree centrali.

È alla luce di quanto finora esposto che si può meglio comprendere quindi l’affermazione di Smith (2004) quando osserva che la gentrification è una “strategia urbana cruciale per le amministrazioni comunali di concerto con il capitale privato” (p. 161, traduzione nostra), “una strategia d’accumulazione di capitale, per delle economie urbane in concorrenza” (p. 163, traduzione nostra). Fatto che sembra trovare un’ulteriore conferma nella politica di rigenerazione urbana promossa dall’Unione Europea negli anni novanta. Politica che l’autore legge come forma di gentrification, sottolineando come nei documenti ufficiali il termine non compaia a causa della sua connotazione fortemente negativa e sia stato invece sostituito da quello più asettico di regeneration. È in tal modo ribadito inoltre lo stretto legame con le operazioni di trasformazioni urbanistica contemplate nei piani e progetti urbanistici, elaborati per volontà delle amministrazioni pubbliche.

Si ripropone quindi la domanda iniziale: in che modo quindi la gentrification può essere letta come risposta alle crisi di sovraccumulazione di capitale?

1) La gentrification può essere interpretata come forma di riorganizzazione spaziale e, come si visto proprio la riorganizzazione spaziale è una delle soluzioni possibili alle crisi di sovraccumulazione.

2) Le operazioni di trasformazione urbanistica e le politiche di rigenerazione urbana promosse dai governi locali, con l’appoggio talvolta del governo nazionale e dell’Unione Europea, sembrano corrispondere a quegli investimenti nell’ambiente costruito programmati sul lungo periodo, indicati da Harvey come necessari per un trasferimento di capitali in eccesso nel circuito secondario.

3) Il processo di degrado socioeconomico e del tessuto edilizio cui sono sottoposte alcune aree centrali urbane, che comporta la svalutazione degli immobili in esse presenti, invertito grazie ad operazioni di riqualificazione urbanistica promosse dalle amministrazioni pubbliche e gestite attraverso partnership pubblico-private, sembra presentare forti analogie con la svalutazione di beni patrimoniali messi in vendita a basso costo e, una volta acquisiti, riportati ad un uso redditizio. Sembra cioè poter essere letto come una forma di accumulazione per espropriazione – processo all’interno del quale le amministrazioni pubbliche giocano un ruolo fondamentale.

4) Infine lo smantellamento del welfare state, possibile forma di accumulazione per espropriazione, che secondo Smith accompagna il fenomeno della gentrification della terza ondata stabilisce un ulteriore legame fra tali processi e l’accumulazione di capitale. I due processi sembrano infatti essere due modi fra loro interconnessi per riassorbire capitale sovraccumulato grazie all’accumulazione per espropriazione.

In conclusione quindi gli interventi di rigenerazione urbana e più in generale le operazioni di trasformazione urbanistica portate avanti nell’ultimo decennio in molte città in ambito europeo e fortemente interconnessi ai processi di gentrification possono essere riletti e interpretati alla luce del quadro teorico sopra descritto come forme di investimento per assorbire capitale sovraccumulato, sia come fix temporali sia come accumulazione per espropriazione.


3. Processi di gentrification e trasformazioni urbanistiche a Barcellona

I processi di gentrification che si sono manifestati e si manifestano tuttora in varie aree di Barcellona, connessi a quelli di processi di accumulazione del capitale, sono fortemente legati ai progetti e alle politiche di riqualificazione urbanistica che hanno interessato la città nel suo complesso. Un’analisi dei piani e delle trasformazioni urbanistiche principali di cui è stata oggetto la capitale catalana negli ultimi decenni appare quindi opportuna. Trasformazioni, rese possibili da cospicui investimenti sia pubblici sia privati, in parte legate ai cambiamenti di tipo economico-strutturale a livello internazionale prodottisi in quegli anni e declinatisi però in maniera specifica nella realtà urbana barcellonese anche in ragione del peculiare contesto socio-politico spagnolo e, più in particolare, catalano. Tre le fasi temporali in cui possono essere suddivise le recenti operazioni urbanistiche: (1) dalla seconda metà degli anni settanta al 1986 (par. 3.1); (2) dal 1986 al 1992, rispettivamente anno di aggiudicazione il primo e di celebrazione il secondo, dei Giochi Olimpici (par. 3.2); (3) dal 1992 ad oggi (par. 3.3). Di seguito tali fasi verranno esaminate in maniera approfondita, ma per quanto concerne le prime due l’attenzione si concentrerà soprattutto sugli interventi che hanno interessato il districte di Ciutat Vella, per la terza invece l’analisi comprenderà anche alcune operazioni esterne a tale perimetro. Una scelta dettata dal fatto che fino agli anni novanta i processi di gentrification si manifestano sostanzialmente nell’area centrale storica della capitale catalana e solo successivamente cominciano apparentemente a interessare anche altre zone di Barcellona: in linea cioè con una tendenza più generale alla diffusione del fenomeno oltre i confini del perimetro centrale rilevata da Smith (2004).



Prima di entrare nel merito delle tre fasi sembra però opportuno fornire, sulla scorta di quanto fatto da Tatjer Mir (2000), una sintetica descrizione dei principali piani per Ciutat Vella dalla seconda metà del XIX secolo fino agli anni settanta, sottolineando in particolare quegli aspetti che verranno ripresi nei progetti successivi e che sembrano aver avuto un’influenza decisiva sui processi di gentrification manifestatisi nell’area.
Tabella 1 Principali piani urbanistici per Ciutat Vella dalla seconda metà del XIX secolo fino agli anni settanta e loro principali caratteristiche (Tatjer Mir, 2000)


Piano

Anno

Principali proposte

Plan de reforma de la ciudad antigua (Cerdá)

1859

Apertura di tre vie, una di collegamento fra gli assi viari nord-sud delle avenidas Meridiana e Paralelo, due di collegamento mare/montagna attraverso l’Eixample e il porto

Plan Baixeras

1878-1889

Apertura dei tre assi del piano precedente oltre ad una serie di nuove vie e demolizioni per rettificare il tracciato di alcune vie e realizzare l’allineamento di vari edifici

Plan Darder

1918

Riduzione del numero di vie rettilinee previste nei piani precedenti o loro riformulazione secondo tracciati maggiormente sinuosi e rispettosi di edifici con riconosciuto valore di patrimonio storico

Plan de reforma, urbanización y enlace entre los puntos singulares del Casco Antiguo o Plan Vilaseca

1932

In modo analogo al piano precedente propone un progetto maggiormente attento agli edifici storici, optando talvolta per una loro messa in valore attraverso la creazione di piazze che comportavano spesso però la distruzione del tessuto medioevale circostante

Pla de sanejament del Casc Antic (GATCPAC)

1935-1937

Diradamento del tessuto urbano attraverso la demolizione di alcuni isolati considerati insalubri, migliorie a livello igienico-sanitario e creazione di servizi culturali locali

Plan Vilaseca

Adottato nuovamente nel 1941, ridefinito una prima volta nel 1956 in seguito al Plan Comarcal del 1953 e una seconda nel 1959

Apertura dei tre assi viari già contemplati nel piano di Cerdá e diradamento del tessuto urbano attraverso la creazione di piccoli spazi verdi e piazze

Plan de la Ribera

1965-1971

Proposte per il quartiere della Barceloneta in relazione ad un ripensamento in termini speculativi della fascia costiera

Fra gli interventi realizzati in base alle proposte previste da tali piani si possono segnalare sostanzialmente:



  • l’apertura dell’attuale via Laietana e del tratto iniziale di un asse di collegamento fra il porto e l’Eixample nella parte sud del Raval, entrambe previste dal Plan Baixeras e già contemplate in quello di Cerdá;

  • alcuni interventi previsti dal Plan Vilaseca. Nel Barrio Gótico, in particolare in aree bombardate durante la guerra civile, che permisero ad esempio l’apertura della via della Cattedrale; nel Raval invece soprattutto espropriazioni in previsione di future realizzazioni.

A ciò si devono aggiungere alcune operazioni di tipo speculativo – non sempre contemplate quindi nei piani vigenti – e risalenti agli anni sessanta. Si evince dunque come, nonostante i numerosi progetti, fino alla seconda metà del XX secolo non si intervenga in maniera consistente a Ciutat Vella. È però importante sottolineare tre elementi che emergono da quanto appena esposto e che si ritroveranno come costanti nei progetti e nelle realizzazioni future per l’area; i primi due maggiormente legati alla concezione, il terzo invece all’applicazione dei piani elaborati successivamente: (a) l’idea, da Cerdá in avanti, di diradare il tessuto urbano storico sostenendone l’insalubrità e basandosi prevalentemente su motivazioni di tipo igienista di matrice ottocentesca (Martínez i Rigol, 2002); (b) la convinzione che attraverso operazioni di tipo urbanistico si possano risolvere problematiche economico-sociali; (c) la difficoltà di realizzazione delle proposte di sventramento e/o di demolizione di alcuni edifici dovute principalmente a motivazioni di ordine giuridico-economico, fra cui ad esempio quelle legate all’indennizzo dei proprietari interessati dagli espropri.

Si entrerà ora nel merito delle tre le fasi temporali in cui possono essere suddivise le recenti operazioni urbanistiche cui si accennava in prima.

3.1 Dalla seconda metà degli anni settanta al 1986

La crisi economica internazionale della seconda metà degli anni settanta investe anche la città catalana, traducendosi come in altre realtà in un cambiamento nell’espressione territoriale dei modelli produttivi e quindi, fra le altre cose, nel parziale arrestarsi o quantomeno nel rallentamento delle dinamiche di espansione periferica delle aree urbane. Questa fase per la Spagna coincide però anche con un momento storico-politico particolare: la fine della dittatura in seguito alla morte di Francisco Franco. Un evento vissuto in maniera particolarmente intensa in Catalogna e a Barcellona, uno degli ultimi baluardi della resistenza antifranchista a cadere durante la guerra civile. All’entusiasmo per le prime elezioni comunali democratiche nel 1979, si accompagna così una decisa volontà di rottura col periodo precedente che si manifesta, fra le altre cose, nella pianificazione e nelle politiche urbanistiche, che riflettono quindi i cambiamenti economici e sociopolitici di quegli anni. Da un lato infatti esse si indirizzano alle aree centrali storiche degradate, le cui problematiche per anni trascurate acquistano un nuovo interesse in seguito alla “paralisi del regime urbanistico espansionista” dovuta alla crisi economica; dall’altro, con l’obiettivo di perequare le disparità socioeconomiche all’interno del contesto urbano, si rivolgono più in generale alle zone depresse e accolgono così al loro interno “una certa logica derivata dai principi normativi del welfare state nell’ambito dei consumi urbani di base” (Gomà, 1997, p. 295, trad. nostra). Traduzione pratica di quanto appena affermato, le trasformazioni urbanistiche portate avanti dall’Ajuntament sotto la direzione di Oriol Bohigas, teorico e protagonista indiscusso di questa stagione pianificatoria efficacemente sintetizzata nel binomio ‘recuperare il centro, monumentalizzare la periferia’. Trasformazioni concretizzatesi da un lato in una serie di interventi puntuali a scala di quartiere e dall’altro in operazioni di maggiori dimensioni, generalmente previste e governate attraverso uno specifico strumento urbanistico, il Pla Especial de Reforma Interior (PERI1).

Si deve sottolineare che i PERI redatti negli anni ottanta assumono una rilevanza particolare e possono, per certi versi, essere considerati un simbolo di questo periodo: infatti, elaborati in alcuni casi su richiesta delle stesse associacions de veïns2 delle aree interessate dalle trasformazioni, furono a volte un mezzo per dar voce alle istanze della popolazione in un ritrovato clima democratico (Bocquet, De Pieri e Infusino, 2006).

I piani e progetti di recupero e riqualificazione urbanistica previsti per Ciutat Vella, zona centrale fortemente degradata, sono dunque da leggere e interpretare all’interno del contesto sopra descritto. All’inizio degli anni ottanta l’area presentava una situazione complessa ed eterogenea dal punto di vista (a) economico, (b) della popolazione e (c) del patrimonio edilizio e abitativo.


(a) In relazione alla dimensione economica si potevano riscontrare varie differenze al suo interno: in particolare, nella zona nord si concentravano attività legate al terziario avanzato, e in quella della Rambla e in alcuni assi interni del districte si segnalava la presenza del settore alberghiero e di un commercio tradizionale e frammentato; ma in buona parte di Ciutat Vella – soprattutto nella Barceloneta e nelle aree centrali del Raval, del Casc Antic e del Gòtic – erano in atto seppur con diversa intensità dinamiche economiche negative (Gomà e Rosetti, 1998).

(b) Si registravano inoltre un calo e un invecchiamento della popolazione. Al tempo stesso però la densità di popolazione restava elevata.

(c) Per concludere, infine, il patrimonio edilizio e abitativo era fortemente degradato e ciò principalmente in ragione di due fattori: (i) il congelamento per legge degli affitti a partire dagli anni venti fino al 1985, quando la situazione si modifica in seguito alla Ley Boyer (Capel, 2005); (ii) la prevista demolizione di interi edifici per l’apertura di alcune vie o per il recupero di spazio libero nel compatto tessuto urbanistico, ipotesi contemplate dal vecchio Pla d’ordenació de Barcelona del 1953 e in parte ripresa dal PGM del 1976. Idee peraltro mutuate, come si è già visto, dai precedenti piani a partire dalla metà del XIX secolo in avanti. Questi due fattori avevano portato ad un progressivo disinteresse da parte dei proprietari degli stabili che avevano cessato ogni forma di manutenzione non ritenendo più redditizia la cosa. Il pessimo stato di conservazione del parco immobiliare, allora come oggi, rendeva così appetibile l’area per un’immigrazione con scarse risorse economiche (López Sánchez, 1986).
Un insieme di elementi, insomma, che creava un terreno fertile per i futuri processi di gentrification. Si cominciava infatti a produrre in tal modo quel differenziale di rendita (rent gap) individuato da Smith (1979) come fattore chiave alla base di tali processi. La differenza cioè, in determinate aree urbane, fra rendita potenziale del suolo (in relazione alla prospettiva di un rinnovamento o di una ristrutturazione) e la sua rendita attuale, molto bassa a causa di una mancanza di investimenti protrattasi per parecchi anni.

È proprio all’inizio degli anni ottanta che l’Ajuntament decide di intervenire. Si giunge così all’elaborazione finale di una serie di PERI. Elaborazione che, ad esempio nel caso di quelli della Barceloneta e del Sector Oriental, era cominciata talvolta addirittura prima dell’avvento della democrazia. La loro redazione viene affidata da Bohigas ad alcuni architetti spagnoli di fama. Nonostante la loro approvazione iniziale sia del 1981 e quella definitiva del 1985 (Ajuntament de Barcelona, 1987), alcune delle trasformazioni in essi previste sono state realizzate soltanto di recente. Soggetti ad alcune modifiche nel corso degli anni, la loro impostazione in linea generale è comunque valida tuttora. È sempre del 1985 inoltre la proposta, approvata l’anno seguente, di dichiarare Ciutat Vella Àrea de Rehabilitació Integrada (ARI). Aree urbane, cioè, nelle quali intervenire con l’obiettivo di un miglioramento delle condizioni economiche e sociali attraverso operazioni di ristrutturazione edilizia e urbanistica, aumento della dotazione di servizi ecc., portate avanti di comune accordo fra il settore pubblico e quello privato (Cabrera i Massanés, 1998).


3.2 Dal 1986 al 1992

Cifre caratteristiche dell’evoluzione economica della Regione metropolitana di Barcellona3 anche in questa fase sono, come in altre realtà, “la terziarizzazione della base economica, la flessibilizzazione della produzione e la decentralizzazione dell’occupazione” (Ferrer e Nel·lo, 1998). Fattori questi che si riflettono nel processo di diffusione urbana sul territorio. Al tempo stesso però, Gomà (1997), sottolinea la tendenza dei servizi avanzati, con alto valore aggiunto, a localizzarsi in spazi urbani centrali, con conseguente espulsione della residenza e aumento del prezzo dei suoli. Questo in linea generale. Oltre a ciò sembra però necessario porre l’accento su due elementi specifici che fanno del 1986 un anno di fondamentale importanza per la Spagna e per Barcellona in particolare: (a) l’ingresso nella CEE; (b) l’aggiudicazione dei Giochi Olimpici da parte della capitale catalana.


(a) L’ingresso nella CEE, come afferma Sánchez (1998) rappresenta “un cambiamento nelle posizioni relative delle città spagnole in relazione al nuovo spazio comunitario” (p. 61, trad. nostra) e, per Barcellona e la Catalogna, un miglioramento dei vantaggi di localizzazione in rapporto proprio a tale spazio. Al tempo stesso però, con l’apertura ai mercati europei, significa un aumento della competizione fra città e la parziale ridefinizione delle loro politiche economiche.

(b) L’aggiudicazione dei Giochi Olimpici fornisce a Barcellona l’occasione per cercare di ridefinire il suo ruolo e il suo peso nello scacchiere internazionale in uno scenario generalizzato di aumentata competitività fra realtà urbane differenti. Permette inoltre alla città un rilancio d’immagine grazie alla costruzione di una nuova identità che mira a cancellare il suo passato industriale.


Alla luce di quanto appena affermato si può meglio comprendere quindi come, nonostante e parallelamente ad un impulso alla diffusione sul territorio dovuto a mutate esigenze produttive, Barcellona decida comunque di investire anche sulle aree centrali urbane, riservando una particolare attenzione alle attività culturali e di loisir. Si punta, più in generale, alla trasformazione dello spazio urbano in senso terziario e ad un aumento dell’attrattività della città attraverso operazioni urbanistiche rese possibili dagli ingenti investimenti legati dalle Olimpiadi (Brunet, 2002). Ciò comporta, fra le altre cose, la necessità di un cambio di scala: non più interventi micro soprattutto a livello di quartiere, non più l’“agopuntura urbanistica”, bensì trasformazioni di intere parti di città – maggiormente impattanti sotto il profilo socioeconomico – accompagnate dalla creazione di una nuova rete viaria, le rondes, e dal miglioramento di infrastrutture quali l’aeroporto. In questa fase temporale è però importante sottolineare anche un altro cambiamento, legato proprio al salto di scala e alla contingente necessità di tempi relativamente brevi di realizzazione. Un mutamento che rappresenta, fra l’altro, un elemento di importanza cruciale per la comprensione dei processi di gentrification attualmente in corso a Ciutat Vella: il coinvolgimento di capitali privati nelle operazioni di riqualificazione urbanistica. Come osserva Montaner (2004), insomma, “a partire da quel momento, l’Ayuntamiento doveva negoziare direttamente con i grandi operatori capaci di promuovere le ampie e urgenti operazioni della Barcellona olimpica e doveva eludere quelle più lente e conflittive con i piccoli operatori e le rivendicazioni popolari” (p. 19, traduzione nostra).

Un’ulteriore considerazione appare però necessaria. L’intervento privato, per quanto concerne Ciutat Vella, è infatti legato anche alla difficoltà dell’amministrazione pubblica di far fronte ai costi e alla gestione della ristrutturazione urbanistica. È significativo in tal senso il fatto che nel 1987 solo il 5% degli interventi previsti dai PERI fosse in esecuzione (Gomà, 1997). Bisogna osservare inoltre che la distruzione di vari edifici degradati prevista, come già detto nel par. 3.1, da tali piani comportava la necessità di rialloggiare chi veniva in tal modo privato di un’abitazione e l’obiettivo, almeno nelle intenzioni iniziali dell’amministrazione, era di garantire una nuova sistemazione, più dignitosa, nel quartiere stesso. Inoltre, parallelamente, fra gli interventi previsti per ovviare alle condizioni di degrado del parco immobiliare e al disagio sociale si era tentata una blanda politica di incentivo agli interventi di ristrutturazione privata. In entrambi i casi il settore pubblico non era riuscito però a garantire l’operatività di tali progetti.

Nel settembre del 1988 si decide così di istituire Procivesa – acronimo di Promoció de Ciutat Vella – società municipale mista a prevalenza di capitale pubblico (51% inizialmente) che vede la partecipazione di diversi agenti economici: promotori, entità finanziarie e, in minor misura, commerciali, come ad esempio l’associazione dei commercianti dell’area chiamata Barnacentre nel Gòtic, ecc. Ciò permette di disporre di capitali privati senza limiti di indebitamento. Procivesa dovrà occuparsi principalmente dell’esproprio e dell’abbattimento degli immobili in cattivo stato di conservazione, quindi di assicurare una sistemazione in edifici ristrutturati o di nuova costruzione agli inquilini interessati da tali operazioni (Alexandre, 2000). Da questo momento in avanti sarà tale società a gestire praticamente tutti gli interventi di trasformazione a Ciutat Vella. Interventi che saranno in alcuni casi aspramente contestate dagli abitanti del districte e che vedranno Procivesa accusata di favorire comportamenti di tipo speculativo e, più o meno indirettamente, processi di gentrification.

Nel gennaio del 1990 viene inoltre creata la Oficina de Rehabilitació Ciutat Vella (ORCV), un organo di gestione dei finanziamenti pubblici con lo scopo di incentivare le ristrutturazioni private di edifici, la modernizzazione di locali e attività turistiche, la pedonalizzazione di alcune vie (Abella i Pere e Brunet i Cid, 1998).

Da quanto sopra emergono quindi le ragioni del perché, in seguito all’ingresso di capitali privati, proprio in questi anni si dia un deciso impulso alla realizzazione di alcuni interventi previsti nei PERI elaborati nel periodo precedente. Significativo in tal senso è l’esempio della Barceloneta, la parte di Ciutat Vella che affaccia sul mare, una delle aree maggiormente degradate del districte. È qui che si realizzano interventi quali quelli del Port Vell e della Vila Olímpica – spazio per attività commerciali e di loisir il primo, nuovo quartiere residenziale d’élite il secondo – entrambi espressione della nuova politica dell’Ajuntament da un lato e di una nascente urbanistica neoliberale dall’altro, che concorreranno ad un aumento del prezzo degli alloggi di seconda mano in questa zona dell’85,07% fra il 1988 e il 1994 (Abella i Pere e Brunet i Cid, 1998). Passano invece in secondo piano la creazione di spazi pubblici all’interno di un tessuto compatto e deficitario in tal senso, e le politiche per la casa, aspetti invece contemplati nella fase precedente.

Al tempo stesso è necessario osservare però come, nonostante quanto appena affermato, a Ciutat Vella si cerchi comunque di mantenere almeno in parte gli obiettivi formulati nella fase precedente: di fronte ad una deriva in parte neoliberista, nel districte “il patto urbano preesistente salva i suoi valori centrali” (Equip d’Anàlisi Política, 1998, p. 245, trad. nostra). Sembra importante mettere in luce due fattori che potrebbero aver influito in questa direzione: (i) un tessuto associativo forte che offre uno spazio per dar voce alle rivendicazioni degli abitanti di Ciutat Vella; (ii) una generazione di tecnici, sostanzialmente la stessa che nella fase precedente ha dato il via ad una serie di progetti di miglioramento per l’area. Un esempio in tal senso può essere la campagna di denuncia Aquí hi ha gana, letteralmente Qui c’è fame, lanciata nel 1987 da un gruppo di abitanti e professionisti del districte e che riportò all’attenzione pubblica e politica le problematiche irrisolte di questa parte di città in un momento di generale euforia per le Olimpiadi (Diputació de Barcelona, 2002). L’idea di una perequazione urbanistica del disagio economico e sociale quindi sembra in parte resistere.

Secondo Tello Robira (1997), però, tale concezione può portare di contro anche ad un approfondimento delle disuguaglianze sociali e porta ad esempio in merito proprio il caso di Ciutat Vella. Il districte negli anni preolimpici compresi fra il 1987 e il 1991 è infatti uno di quelli che riceve la maggior quantità di investimenti per l’attuazione di varie riforme urbanistiche. Ciò però comporta negli stessi anni un deciso aumento del prezzo del parco immobiliare complicando ulteriormente l’accesso alla casa per le fasce di popolazione più deboli. La rivalorizzazione dell’intorno urbano, cioè, provoca spesso un rincaro del prezzo degli alloggi. Come già accennato quindi, le trasformazioni urbanistiche possono influire in maniera decisiva nell’innescare processi di gentrification che a Barcellona, scrive Claver (2003), sembrano infatti manifestarsi proprio nelle aree interessate dalle trasformazioni olimpiche e a Ciutat Vella.

Un’ultima osservazione in merito. È interessante notare infatti come uno dei districte che insieme a Ciutat Vella hanno ricevuto i maggiori investimenti in fase preolimpica, quello di Nou Barris, sia oggi secondo alcuni autori (cfr. fra gli altri Marrero Guillamón, 2003) analogamente soggetto a processi di gentrification.


3.3 Dal 1992 ad oggi

Negli anni immediatamente successivi alle Olimpiadi Barcellona entra in un periodo di parziale crisi. Una crisi sostanzialmente attesa in una fase segnata dal debito pubblico, generato in parte dalle trasformazioni urbanistiche richieste dall’evento olimpico. Come scrive Fernández-Galiano (2004), infatti, proprio i grandi eventi lasciano una città “esausta dopo lo sforzo”, una città che “tarda nel recuperare l’energia sociale e finanziaria che esige il processo urbanizzatore” (p. 34, traduzione nostra).

Nella decade dei novanta quindi si portano a termine interventi talvolta previsti già nella seconda metà degli anni ottanta e si assiste ad un sostanziale rallentamento nella realizzazione dei nuovi progetti. In particolare lo sforzo sembra concentrarsi sugli edifici a carattere culturale, probabilmente anche nell’ottica, come sottolinea Capel (2005), di “potenziare il ruolo della città come centro di servizi” (p. 29, traduzione nostra) ampliando, fra le altre cose, l’offerta museale di Barcellona. È proprio in questi anni ad esempio che si concludono i lavori di Plaza dels Àngels, nel quartiere del Raval a Ciutat Vella, su cui affacciano: il Centre de Cultura Contemporania de Barcelona (CCCB), la cui ristrutturazione iniziata nel 1990 viene terminata nel 1993; il Museu d’Art Contemporani de Barcelona (MACBA), inaugurato nel 1995, e la Facoltà di scienza delle comunicazioni nel 1996. E ancora l’edificio Jaume I e la biblioteca dell’Università privata Pompeu Fabra; l’auditorium, la cui costruzione dura quasi dieci anni e si conclude nel 1999 ma il cui progetto risale al 1988, e il giardino botanico, l’elaborazione del quale inizia anche in questo caso a fine anni ottanta, nel 1989, e la cui realizzazione è del 1998-99 (Costa, coord., 2004).

È interessante rilevare che, ad esclusione degli ultimi due, gli interventi citati si concentrano tutti nel districte di Ciutat Vella. Elemento che appare particolarmente significativo in relazione ai processi di gentrification presenti nell’area e ciò in ragione di una serie di fattori, fra cui: (a) il ruolo spesso attribuito in letteratura alla cultura come elemento che concorre all’innescare tali processi, si pensi in tal senso a quanto osservato ad esempio da Zukin (1982); (b) il fatto che circa un terzo delle risorse investite nella riqualificazione del districte di Ciutat Vella sono state destinate a servizi per la città nel suo complesso.


(a) In merito al primo punto, a prescindere dall’osservazione più generale sul ruolo giocato dall’elemento culturale in senso lato, è necessario approfondire e distinguere ulteriormente in due livelli: (i) quello dei musei e delle istituzioni culturali inerenti soprattutto l’arte e (ii) quello delle università, cui agli interventi sopra citati bisogna aggiungere quelli della Ramon Llul e della Facoltà di geografia e storia dell’Università di Barcellona.

(i) In questo caso l’attenzione è rivolta in particolare al MACBA che ha funzionato come polo d’attrazione intorno al quale hanno aperto, ad esempio, gallerie d’arte. Un tipo di commercio che in precedenza non era indubbiamente presente nel quartiere e che attrae una popolazione proveniente, probabilmente, da altre zone della città. Da sottolineare inoltre come tale museo, insieme anche al CCCB e alle altre istituzioni culturali presenti, costituisca un richiamo turistico, aprendo in tal modo il Raval alla frequentazione di un pubblico più ampio ed eterogeneo. Più in generale sembra comunque possibile mettere in relazione l’intervento del MACBA con il ruolo che è stato spesso riservato agli artisti nella letteratura sulla gentrification: un gruppo, cioè, la cui presenza in determinate aree è stata in alcuni casi incentivata e sfruttata dalle amministrazioni comunali per attrarre gruppi con maggiore capacità di spesa. Ad esempio secondo Smith (2000) nel Lower East Side furono utilizzati come ‘esca’ per attrarre investimenti di capitale nel quartiere e innescare il processo; a Vancouver, Montreal e Toronto sembra abbiano avuto il ruolo di “pionieri” nell’occupare aree urbane centrali che sarebbero state in seguito gentrificate (Ley, 2003). Non appare improbabile, quindi, che la strategia adottata dell’amministrazione nel caso del Raval sia stata analoga a quella impiegata in altre realtà geografiche.

(ii) In merito agli interventi relativi all’inserimento di poli universitari nel contesto di Ciutat Vella è interessante la lettura fatta da Carreras i Verdaguer (2001) sul ruolo degli attori pubblici nei processi di gentrification e, in particolare, sull’azione gentrificatrice che svolgerebbe l’Università. In questo caso sarebbero gli studenti stranieri a ricoprire il ruolo di “pionieri”: dei 6500 presenti a Barcellona nell’anno 1999/2000, ad esempio, la maggior parte avrebbe trovato alloggio proprio nei quartieri in cui erano e sono in atto processi di gentrification.

(b) Come osserva Claver (2003), circa un terzo delle risorse pubbliche investite nella riqualificazione del districte di Ciutat Vella fra il 1988 e il 1997 sono state destinate a servizi per la città nel suo complesso. Secondo i dati ufficiali forniti dalla ORCV e riportati da Cabrera i Massanés (1998), infatti, su un totale di 714,7 milioni di euro, 156,3 – pari al 22% – sono stati impiegati per servizi alla città; ma a questi, sottolinea Claver (2003), devono essere aggiunti 79,7 milioni di euro – cioè l’11% – destinati all’università e quindi, ancora una volta, ad un servizio per la città. Un po’ meno dell’11% – 78,8 milioni – sono stati invece utilizzati per servizi di quartiere, in un’area in cui è stata più volte segnalata un’infradotazione di servizi.

La scelta dell’amministrazione sembra quindi significare non solo il mantenimento ma anche il rafforzamento del carattere di centralità dell’area di Ciutat Vella e puntare sull’introduzione di un elemento di rottura all’interno di alcune zone particolarmente problematiche del districte. Al tempo stesso tale decisione può essere letta però come una volontà di invertire la tendenza al degrado di alcune aree di Ciutat Vella favorendo il fenomeno della gentrification: investire meno risorse per il miglioramento e/o la risoluzione dei problemi sociali della zona e una quantità di denaro maggiore invece in operazioni di più ampio respiro, sembra infatti da un lato significare una minor tutela delle fasce deboli di popolazione residenti e dall’altro aumentare l’attrattività dell’area per nuovi gruppi di popolazione con maggiori risorse economiche e/o culturali.
È importante sottolineare però che, oltre alla situazione di relativa crisi maggiormente legata alla conclusione del momento olimpico, Barcellona negli anni novanta deve misurarsi anche con cambiamenti di più ampio respiro. Secondo Curtis (2004) gli anni novanta sono infatti quelli in cui la città si deve direttamente confrontare “con le implicazioni economiche e urbanistiche che nei paesi più industrializzati stava avendo l’abbandono della fabbricazione di oggetti e prodotti per dedicarsi alla trasmissione di informazione elettronica” (p. 12, trad. nostra). Nonostante quindi, come osservato, si dedichi ampio spazio alle realizzazioni in ambito culturale, parallelamente dal punto di vista progettuale si riserva una particolare attenzione alle aree dismesse, industriali e non. Fra i progetti che sembrano rivestire carattere di maggior interesse in questi ultimi anni si possono citare quelli per le aree di Plaza de Les Glòries Catalanes, La Sagrera, Diagonal-Besós e Poble Nou.

Particolare attenzione merita la zona di Diagonal-Besós. L’area interessata, fra la foce del fiume Besòs e il tratto finale della avenida Diagonal, in linea con l’ipotesi contenuta già nel piano per le aree di nuova centralità del 1987 dovrebbe trasformarsi a sua volta in una nuova polarità urbana. L’intervento è di grandi dimensioni e interessa infatti oltre al comune di Barcellona quello contiguo di Sant Adrià del Besòs. Un progetto ambizioso, quindi, che fra le altre cose prevede: la risistemazione del fronte mare, la costruzione di un campus universitario, di un complesso per congressi, di alcuni hotel, di un centro commerciale, di un porto turistico, ecc. Si formula inoltre un piano in cui si contemplano interventi di miglioramento sotto il profilo residenziale nel contiguo e degradato quartiere de La Mina e si decide la costruzione di abitazioni di edilizia pubblica. Nell’operazione dovrebbero così essere compresi anche obiettivi di tipo sociale.

Tale intervento – in parte già realizzato – come nel caso delle trasformazioni olimpiche viene legato ad un grande evento, quello omonimo del Fórum universal de les cultures. Nonostante la decade dei novanta rappresenti una fase di relativo stallo per Barcellona, l’idea della manifestazione nasce già nel 1996 – a distanza di soli quattro anni dalle Olimpiadi quindi – su suggerimento dell’allora sindaco Pasqual Maragall.

Per essere pienamente compresa l’operazione del Fórum 2004 deve però essere inserita all’interno di un contesto più ampio. Non bisogna dimenticare infatti che l’ingresso della Spagna nella Cee nel 1986 e le Olimpiadi del 1992 avevano proiettato la capitale catalana in una dimensione di competizione internazionale fino a quel momento sostanzialmente sconosciuta. Nelle parole di Curtis (2004), gli anni novanta sono per Barcellona quelli del “compromesso con l’Europa e la globalizzazione”. Come osserva Capel (2005), quindi, la situazione di forte competitività fra città a livello internazionale per guadagnarsi un posto all’interno della rete di città mondiali e per essere luogo di investimenti richiede un atteggiamento nuovo da parte dei gestori urbani ed una loro capacità di proporre azioni speciali in ambito urbano. Un’occasione fornita, fra le altre cose, proprio dai grandi eventi e dalla possibilità che offrono di giustificare operazioni di trasformazione urbanistica (Fernández-Galiano, 2004). Un elemento che non sembra sfuggire ad un osservatore attento eppure esterno alle logiche di governo urbano, lo scrittore Vásquez Montalbán. In un romanzo del 1993 descrive infatti ironicamente un delirante Maragall inerpicato sulla torre di Foster, uno dei simboli delle Olimpiadi, che si rifiuta di cedere i Giochi Olimpici ad Atlanta urlando “Ma se ormai tutto è stato fatto! Tra quattro anni li potremmo ripetere!” (p. 105, dell’ed. italiana del 2006).

È in tal senso importante sottolineare, fra l’altro, come l’idea che gli interventi urbanistici rappresentino una possibile risposta a problematiche di tipo socioeconomico, costituisca una sorta di fil rouge che lega operazioni a volte anche diverse fra loro (Capel, 2005). Un elemento ricorrente e fortemente radicato nel contesto barcellonese se, come si è messo in luce in precedenza, si può rintracciare in parte già nella concezione dei piani a partire da metà ottocento. Tale convinzione emerge chiaramente anche in quanto affermato da Acebillo (2004) il quale sostiene che ai cambiamenti legati alla rilocalizzazione dell’attività economica della base industriale in altre realtà, “si deve rispondere con trasformazioni urbane urgenti”, se non si vuole “cadere in un’autentica recessione urbana” (p. 44, traduzione nostra). È in quest’ottica, quindi, che come sottolinea Bohigas (2002) il Fórum rappresenta solo un tassello di una più ampia strategia di ridisegno urbano: Diagonal Mar, Glorias-Poblenou o La Sagrera sono “punti situati strategicamente, la cui rigenerazione produrrà cambi sostanziali nel futuro immediato di Barcellona” (pp. 24-25, traduzione nostra).

Nonostante quanto appena affermato, l’intervento del Fórum sembra tuttavia segnare un momento di rottura piuttosto che non di continuità con le trasformazioni urbanistiche dei decenni predenti ed è come tale riconosciuto da più parti, anche se con accenti e sfumature differenti. Tale operazione infatti è apparentemente il riflesso di un nuovo metodo progettuale, di una diversa maniera di fare urbanistica all’interno del quale, secondo Bohigas (2002) si riconosce una maggior autonomia dell’architettura: l’iter progettuale avrebbe il suo punto di partenza in un piano urbanistico meno definito e quindi vincolante rispetto al passato; in un secondo tempo verrebbe sottoposto ad un parziale adeguamento in base ai progetti architettonici degli edifici maggiormente significativi spesso affidati ed elaborati da architetti di fama. Questo nuovo metodo progettuale sembrerebbe tradursi nella produzione di una città fatta di oggetti fra loro slegati – ciò che Fernández-Galiano (2002) definisce significativamente passaggio “dalla trama al totem” – uno degli aspetti maggiormente stigmatizzati da Montaner e Muxí (2002). Secondo gli autori infatti nell’impostazione urbanistica di Busquets negli anni ottanta o di Borja Carreras negli anni novanta era chiaramente riconoscibile un disegno d’insieme fortemente legato alla città esistente; oggi invece – e la polemica è con Acebillo – si tratta di un’urbanistica “parziale e frammentata”, composta “di oggetti indipendenti che non sono messi in relazione da una trama urbana quanto piuttosto da assi infrastrutturali” ai quali si cerca di dar coesione attraverso interventi di tipo paesaggistico, attraverso una “nuova topografia verde” (p. 28, traduzione nostra). A ciò si accompagnano due aspetti fra loro interconnessi: (a) un maggior peso dei promotori immobiliari, ai quali sempre più spesso viene affidata la realizzazione di progetti il cui costo, in ragione delle grandi dimensioni e dell’incerta definizione, può essere difficilmente sostenuto da amministrazioni pubbliche con risorse limitate e con tempi di programmazione generalmente poco flessibili; (b) il ricorso più frequente ad architetti appartenenti allo star system dell’architettura, fatto che sovente garantisce un maggior consenso da parte dei cittadini e quindi un minor livello di opposizione. Un escamotage che viene infatti ultimamente utilizzato anche dai promotori immobiliari, i quali in tal modo ottengono con maggior facilità licenze e permessi dalle amministrazioni pubbliche. Inoltre ciò offre ai politici locali l’occasione di promuovere se stessi e l’immagine della città a livello internazionale (Bohigas, 2004).

Da quanto sopra quel che sembra emergere però è non soltanto il divorzio fra architettura e urbanistica, fra edificio e città, ma anche, e forse soprattutto, il divorzio ben più grave di architettura e urbanistica da ideali e motivazioni di tipo sociale. È in quest’ottica che sembrano dover essere letti fatti quali l’affidamento a promotori privati della realizzazione di undici progetti pilota di abitazioni oggetto di un programma di promozione pubblica o la messa in secondo piano degli interventi nel quartiere de La Mina rispetto alle realizzazioni più “urgenti” degli edifici per congressi firmati da Herzog & De Meuron e da Mateo. Come osserva Curtis (2004), a partire dagli anni novanta “sotto l’impatto delle forze della privatizzazione, la città come civitas” sembra “importare sempre meno” e trasformarsi piuttosto “in un pretesto per l’investimento e la pubblicità” (p. 12, traduzione nostra).

In questa prospettiva l’intervento del Fórum sembra allora aver piuttosto fornito il pretesto per una riflessione ben più ampia. Oggetto della contesa che ha visto protagonisti intellettuali con formazioni diverse, ciò che sembra essere stato realmente messo in discussione, è il “modello Barcellona” o, forse, la sua fine. La fine di quella sintesi quasi perfetta fra ideali sociali, architettura e urbanistica che aveva portato alla costruzione di una Barcellona di grande qualità architettonica e urbanistica basata su un forte substrato democratico. Di un modello che, nelle parole di Cohen (1998), non aveva “nulla del modello regolamentare o iconico, […] un modello non formale ancorato nella democrazia urbana, o piuttosto un’esperienza collettiva di cui ci si può appropriare al di là dei monti e dei mari” (p. 107, traduzione nostra). La difficoltà di architetti quali Bohigas o Acebillo nel formulare una critica dura nei confronti dei nuovi interventi urbanistici e il loro tentativo di attribuire anche a queste nuove operazioni il potere taumaturgico che si era creduto di riconoscere nelle trasformazioni degli anni ottanta sembra risiedere in parte proprio nella mancata ammissione della chiusura di una felice stagione progettuale.

Sembra essere significativo in tal senso quanto affermato da Capella (2004), in relazione proprio all’intervento del Fórum. Nonostante un giudizio complessivamente positivo, osserva infatti come si sia teso a sostenere la buona riuscita dell’operazione accentuandone aspetti di tipo dimensionale: l’aver cioè realizzato piazze o edifici di gigantesche dimensioni e per questo meritevoli di ammirazione. Un’ammirazione che dovrebbe invece scaturire dall’aver progettato un intorno urbano umano, bello, utile, poiché non bisogna dimenticarsi che “è un progetto di un governo di sinistra” (p. 39, traduzione nostra). Proprio il richiamo ad un governo di sinistra sembra sottolineare in maniera dolorosa la sensazione di una rottura drammatica fra quegli ideali che avevano costituito la spina dorsale degli interventi e delle operazioni urbanistiche negli anni precedenti e che sembrano oggi irrimediabilmente abbandonati. Fagocitati dalle esigenze di competitività e dai compromessi con i grandi promotori immobiliari internazionali.

È a tale contesto che deve essere quindi ricondotta la scelta di trattare l’episodio del Fórum in questo articolo. Nonostante infatti si parli di gentrification come un fenomeno generalmente legato alle aree centrali urbane e la zona del Fórum si trovi invece nell’estrema periferia nord della città, sembra però possibile rintracciare in tale intervento alcuni elementi che spesso in letteratura sono stati interpretati come caratteristici del processo. Fra questi si segnalano: (a) la riqualificazione urbana di un’area parzialmente soggetta a processi di degrado socioeconomico; (b) il ricorso alla cultura; (c) il parziale abbandono di motivazioni di tipo sociale.


(a) Come nel caso delle trasformazioni urbanistiche di cui è stata ed è tuttora oggetto Ciutat Vella o di quelle che interessano il Poble Nou, anche in questa occasione sembra che le politiche relative alla riqualificazione urbana possano comportare l’espulsione delle fasce deboli di popolazione residenti nell’area. È in tal senso importante sottolineare infatti come molti degli interventi previsti – come ad esempio quelli del centro congressi, degli hotel o del porto turistico – non sembrino essere rivolti alla popolazione locale, quanto costituire piuttosto il richiamo per un’élite internazionale.

(b) Il ricorso alla cultura è leggibile ad un duplice livello: (i) quello della retorica del grande evento; (ii) quello relativo all’inserimento di un campus universitario.

(i) La retorica legata al grande evento sembra essere stata impiegata per costruire e rinforzare l’immagine di un’operazione che troverebbe le sue motivazioni in ideali universalmente riconosciuti e interpretati positivamente, come la convivenza fra culture diverse, la pace ecc. Una legittimazione che avrebbe potuto abbassare il livello di conflittualità generato dalla parziale espulsione della popolazione residente.

(ii) In merito a questo secondo punto si è già analizzato quale ruolo possa avere l’inserimento di polarità universitarie nell’innesco di processi di gentrification in relazione agli interventi relativi a Ciutat Vella.

(c) Il parziale abbandono di motivazioni di tipo sociale sembra essere il riflesso di un più ampio processo di smantellamento delle politiche urbane progressiste da parte dei vari governi nazionali, sia negli Stati Uniti sia in Europa, indicato da Smith (2002) come uno dei fattori caratterizzanti la terza, attuale, fase di gentrification.
Nonostante l’attenzione si sia qui concentrata su nuovi interventi, non bisogna però dimenticare che parallelamente continua la riqualificazione dell’area urbana centrale storica di Barcellona. È proprio in questi ultimi anni infatti che si sono portate a termine o che sono iniziati i lavori per alcune delle operazioni contemplate nei PERI degli anni ottanta: si pensi ad esempio alla Rambla del Raval, al mercato di Santa Caterina o all’Illa del Robador.


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