Politecnico di Milano
Facolta' di Architettura e Società
“Corso di Storia dell'architettura contemporanea”
Prof. Alessandro De Magistris
A.A. 2005/2006
EDILIZIA PUBBLICA IN ITALIA
Approfondimento della stagione INA-CASA del primo settennio
Studenti: Camattini Matteo , Trupia Giuseppe 203985
INDICE
< Introduzione Storica >
< Il diritto alla casa ieri e oggi
< Finanziamento e modalità del piano
< Spazi e forme
< Materiali
< Fascicoli normativi e tecniche edilizie
< Riflessioni socio – culturali sul quartiere
< Il quartiere Harrar in via Dessiè a Milano
< Edilizia sociale negli anni 2000
< Bibliografia >
< INTRODUZIONE STORICA >
La tematica della casa popolare e dell’edilizia pubblica si afferma in Italia a partire dal dopoguerra. Cominciano gli anni della ricostruzione e sono moltissimi gli edifici distrutti dai bombardamenti. L’Italia in naturale crisi economica affronta il tema con molte difficoltà di partenza: la carenza pregressa di vani e servizi, l’affollamento degli edifici esistenti, l’ arretratezza del settore edilizio e la mancanza delle materie prime sono i principali. Il tutto in un periodo di stasi della produzione.
Con il progetto di legge del 1949 (Legge Fanfani 28 Febbraio 1949 n°43; Norme D.P.R. 22 Giugno 1949 n° 340; Regolamento D.P.R. 4 Luglio 1949 n° 436) viene dato l’avvio al piano di settore Ina-casa. Il piano e la legge che ne decreta la nascita prendono il nome dall’allora ministro del lavoro e previdenza sociale del governo De Gasperi, Amintore Fanfani. L’idea principale del piano è quella di creare occupazione e manodopera costruendo case. Il piano Ina-Casa. Nasce quindi come “Piano di incremento dell’occupazione operaia” in risposta al “Piano del lavoro” proposto dal sindacato dei lavoratori C.G.I.L.
Non viene considerata l’idea di un possibile recupero e intervento sull’esistente o altre problematiche riguardanti la dislocazione dei quartieri e la forma complessiva delle città.
Si tratta quindi di una politica per l’occupazione attraverso la costruzione edilizia, l’occupazione operaia costituirà la base del cosiddetto “volano keynesiano” punto di inizio per un più generale sviluppo dell’economia Italiana. Lavoro, alloggi, allargamento degli sbocchi di mercato per tutti i beni legati direttamente all’edilizia (cemento, ferro, mattoni, calce, tubi, arredamenti) ma anche un generale aumento dei consumi visti la maggiore possibilità di acquisto. Frigoriferi, vespe e lambrette, automobili saranno i simboli di questo generale aumento del benessere e al tempo stesso opportunità di guadagno per imprenditori grandi e piccoli. Su questo processo-progetto di integrazione sociale si preparava il miracolo italiano, fondato sulla casa come epicentro del consumo individuale e sull’allargamento del mercato dei beni. (M.Fabbri)
I risultati si concretizzano quindi nel miglioramento delle condizioni di vita e nella disponibilità di case per i lavoratori. Ma non si tratta solo di questo. I quartieri Ina-Casa, posizionandosi nelle estreme periferie, fungono da apripista della rendita urbana e da avamposti per le future urbanizzazioni di raccordo città-periferia e nuova periferia.
Intervento di Amintore Fanfani a Milano nel 1948
1 952 Inaugurazione quartiere Ina-Casa in via Ungarelli a Ferrara
< IL DIRITTTO ALLA CASA IERI E OGGI
Ma prima di entrare nel merito della questione, occorre inquadrare il tema nell’ambito dei diritti sociali, tra i quali quello all’abitazione non solo è oggetto di patti e convenzioni internazionali ma si desume indirettamente anche dalla nostra Costituzione che presuppone un diritto all’abitazione come precondizione essenziale per la realizzazione dei diritti fondamentali dell’individuo.
Se poi guardiamo alla risposta che l’ordinamento ha dato al problema della casa come “diritto all’abitazione” vediamo che la legislazione inquadra l’edilizia residenziale pubblica tra i servizi pubblici. D' altronde la legge Luzzatti del 1908, ma ancor prima la l.254/1903 attribuiva per la prima volta ai comuni il compito di realizzare abitazioni popolari nell’ambito delle prime politiche municipali per i servizi pubblici. La stessa Corte Cost. nella sent.221/75 nel definire la materia le attribuisce il carattere di prestazione e gestione del servizio casa, concetto ribadito ancora dalla stessa Corte nella sent.135 del 1998.
Sorge ora un quesito di qualità e requisiti minimi che la casa dovrebbe avere.
Se il diritto “all’abitazione” si pone come requisito minimo nell’ambito dei diritti di cittadinanza e spetta ai pubblici poteri la cura e soddisfazione del servizio pubblico alla casa, dobbiamo ricordare che l’art.117 1 co. L del Titolo V cost. attribuisce alla competenza esclusiva statale “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Tra questi vi rientra certamente il diritto all’abitazione sia come diritto sociale nel senso prima chiarito sia come prestazione ovvero come servizio pubblico alla casa.
D’altronde, lo stesso d. legsl.112/98 ancor prima del Titolo V riserva allo stato (art. 59) “la definizione dei livelli minimi del servizio abitativo, nonché degli standards di qualità degli alloggi di edilizia residenziale pubblica”.
< Finanziamento e modalitA' DEL Piano
Il piano Ina-Casa venne finanziato con un sistema misto che comprendeva Stato, datori di lavoro e lavoratori ai quali veniva trattenuta una parte di salario mensile. La logica utilizzata è quella di una politica corporativa, tale aspetto è riscontrabile anche nella distribuzione a sorteggio degli alloggi da assegnare alle famiglie.
Il prelievo fiscale avveniva così sia sui lavoratori che sugli industriali. Le abitazioni venivano poi messe sul mercato parte in proprietà e parte in affitto attraverso graduatorie di assegnazione.
Il piano si sviluppa in 2 fasi, dalla durata settennale. La prima fase comprende gli anni tra il ’49 ed il ’56, si tratta di una fase caratterizzata da una grande rapidità ed efficienza. Nel secondo settennio ’56-’63 i beneficiari del piano hanno la possibilità di riscattare l’abitazione che era in posizione di affitto. Durante tale fase il 70% delle abitazioni passarono a riscatto. Il 40% delle famiglie ottennero per la prima volta una casa. Il 63% delle famiglie beneficiarie erano immigrate dalle regioni del sud Italia. (A.Lanzani)
L’esperienza Ina-Casa fu una imponente politica pubblica integrata (interessò il 25% della produzione italiana degli alloggi) ma si tratta in realtà di una iniziativa modesta se paragonata a quello che accadeva nel resto dell’Europa.
La percentuale di edilizia pubblica sul resto delle costruzioni scese poi vorticosamente attorno alle percentuali del 10% negli anni ’80 fino ad arrivare ad un modestissimo 0,5% di questi ultimi anni.(A.Lanzani, A.Tosi)
Nel febbraio del ’63 si assiste alla fine e alla liquidazione del patrimonio edilizio Ina-Casa con relativo passaggio amministrativo-legale integralmente alla Gescal e ai comuni direttamente interessati.
C antiere Ina-Casa in Friuli
< SPAZI e forme
I quartieri di edilizia pubblica si basavano sulla idea di unità socio-abitativa primaria(vedi cap. Riflessioni socio-culturali sui quartieri).
Nei progetti viene prestata attenzione alla creazione di spazi abitabili anche al di fuori dell’alloggio. L’idea sta quindi nel creare e connettere questi spazi fino a farli diventare quartiere.
Oltre a dare una risposta ai possibili bisogni dei futuri residenti questa idea diventa la vera e propria sperimentazione progettuale dell’esperienza Ina-casa. Gli esiti, almeno da una analisi a posteriori, sono spesso deludenti, gli spazi tendenti al degrado.
Il quartiere pubblico viene visto come materiale per comporre lo spazio urbano e dargli nuove forme. Queste idee comuni conferiscono ai quartieri una certa riconoscibilità in relazione a:
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Relazione con il contesto (a volte imponenti)
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Collocazione nella fascia peri-urbana delle città medio-grandi
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Elemento fondamentale dello spazio aperto dal ruolo apparentemente preciso ma dall’esito incerto
I quartieri Ina-Casa avevano la possibilità intrinseca di creare un vero e proprio contesto urbanistico e nuove modalità di sviluppo urbano.
Nell’idea di base vi è anche la possibilità di identificarsi e comportarsi come “città satellite” si parla di uno spazio abitabile “guidato” attraverso suggerimenti, norme e punti di partenza inseriti in precisi “Fascicoli normativi”.
I quartieri Ina-Casa si presentano così come corpi distinti ma all'interno di una costellazione unitaria, esito dello stesso piano.
L’ente Ina-Casa (il cui presidente era Filiberto Guala) aveva il compito di curare gli aspetti urbanistici, architettonici, gestionali e degli incarichi.
Il piano si manifesto’ come una grande opportunità per tutti gli architetti presenti nel territorio italiano. Si assistette quindi ad un massiccio coinvolgimento e ad un rilancio delle professioni. In prima istanza però furono geometri o studi tecnici comunali a farla da padrone assieme alle numerose piccole e medie imprese costruttive. Successivamente 2 professionisti su 3 furono coinvolti. In particolare si pensa, da stime, che più di 1/3 degli architetti fu impegnato attivamente nella stagione.
Si sviluppa quindi attorno alla tematica Ina-Casa una riflessione linguistica con tratti comuni e altri caratteristici di ogni singola esperienza. Comincia a nascere una cultura del progetto come luogo di ricerca ed approfondimento dell’architettura e della comunicazione. In prima istanza il tema del disegno organico nella composizione e disposizione. Poi via via altri temi sui quali verteva il dibattito e tramite i quali si intendeva raggiungere un certo grado di innovazione vista l’opportunità e la portata del piano di edificazione.
Temi come la creazione di edilizia aperta, la rottura del rapporto fronte edilizio-fronte strada, la novità introdotta dalla scala corridoio, la volontà di riformulazione di spazi pubblici, privati, spazi aperti (che verranno poi, con gli anni successivi, recintati)
Quartiere Falchera a Torino, Giovanni Astengo, R.Renacco e altri, 1951-56
Quartiere Tuscolano a Roma, M.De Renzi, S.muratori e altri, 1950-60
< MATERIALI
Nelle modalità di costruzione ci si trova innanzi ad una scelta: la via della sperimentazione e quindi della prefabbricazione o le tecniche di costruzione tradizionali?
Lo stesso Piano Fanfani orienta la ricostruzione in maniera opposta alla modalità innovativa (almeno in grande scala perché già sperimentata nel quartiere milanese QT8) . “Il piano, infatti, individua nella costruzione di case per i lavoratori, prima ancora che l’obiettivo di soddisfare il fabbisogno abitativo, il mezzo per incrementare l’occupazione operaia [..] con un modo di costruire a bassa meccanizzazione e ad alto impegno di mano d’opera[..] l’innovazione sta nella tipizzazione degli elementi costruttivi. E’ una strategia singolare questa basata sul blocco dell’ innovazione nell’edilizia, ben diversa da quelle adottate per la ricostruzione post-bellica negli altri paesi europei.” (P. De Biagi)
Strategia anacronistica ma quantomeno comprensibile rispetto agli obiettivi del piano.
Cosa si intende però con l’aggettivo “tradizionale”?
Intendiamo un modello delineato con relativa precisione nei suggerimenti costruttivi emessi dalla Gestione Ina-Casa nel capitolo generale e più dettagliatamente nelle sezioni speciali.
“E’ un sistema composto da un’equilibrata combinazione di elementi murari e di elementi in cemento armato, tutti realizzati prevalentemente in opera.[…] Negli edifici di 2 o 3 piani la funzione portante è solitamente affidata a pareti di mattoni o blocchi lapidei con un effetto innovativo dovuto alla capacità dei solai laterocementizi di svolgere la funzione di controventamento, con la conseguente possibilità di alleggerire le pareti non portanti.[...] Nelle case alte o torri invece, la stabilità è affidata a una struttura a scheletro indipendente in cemento armato a nche se si mantiene la conformazione tipica della costruzione muraria.” (P. De Biagi)
Si davano agli italiani case migliori ma che peccavano per mancanza di inquadramento urbanistico. Forse case ben fatte ma che poco si adattavano o non inserivano nell’ambiente circostante, senza tener conto delle differenze di insediarsi in città industriali o agricole. Anche se i quartieri vengono costruiti in ambiti geografici differenti si assiste ad una tendenza alla omogeneità.
La terminologia tradizionale Ina-Casa è quindi un modello diverso al generico modello internazionale moderno ma non riflette nemmeno la costruzione muraria ottocentesca.
“In realtà è solamente il modo di costruire più facilmente disponibile nell’ Italia del dopoguerra.” (P. De Biagi)
< FASCICOLI NORMATIVI E TECNICHE EDILIZIE
Come abbiamo detto ci fu un piccolo ammodernamento con leggera industrializzazione nei processi edilizi-costruttivi. In realtà con poco uso delle tecniche di pre-fabbricazione.
I quartieri Ina-casa all’interno delle città Italiane hanno come abbiamo già detto una loro riconoscibilità. Questa spiccata “personalità” urbanistica è conseguenza ovvia dell’unitarietà dell’intervento sulla scala nazionale. Unitarietà che è stata frutto di una volontà di indirizzo ben precisa, di una “strategia normativa” (P.Gabellini) che faceva di manuali e fascicoli normativi il proprio strumento. Nati con lo scopo di agevolare il compito delle stazioni appaltanti e dare un più preciso orientamento ai progettisti tali manuali hanno finito per costituire “la grammatica e la sintassi necessarie alla formazione di un savoir faire”.
Nei fascicoli si può leggere la manifesta volontà di produrre insediamenti dal carattere inedito, di orientare i progetti senza bloccarli in rigidi schemi. Il linguaggio è molto spesso il disegno, per la rappresentazione di idealtipi ma anche il testo scritto, nel descrivere regole prestazionali ed il numero per definire standard. Responsabilità dei progettisti adattare gli schemi alle situazioni specifiche, sottolineata la necessaria attenzione al locale (materiali, clima, cultura, abitudini).
I manuali hanno avuto un ruolo fondamentale nella produzione Ina-casa e sono stati lo strumento per l’attuazione di una strategia centralizzata.
Alcune indicazioni costruttive dei fascicoli normativi
< RIFLESSIONI SOCIO-CULTURALI DEL QUARTIERE
“L’estensione più immediata dei problemi gravitanti attorno alla casa è il gruppo residenziale, “ il quartiere”, inteso come unità nella vita urbana. Ad esso è dedicata la sezione urbanistica della IX triennale di Milano. […]
Parliamo di nucleo, quartiere, unità residenziale autonoma. Sono qualcosa di più della semplice somma di singoli addendi case e palazzi. Essi sono unità sociali.
Intendo per nucleo la più piccola unità di raggruppamento (100-200 famiglie) eventualmente articolata in sotto-unità ( sottonuclei), per quartiere un raggruppamento di 2 o più nuclei. Per autonomo la presenza di servizi e attrezzature. Un insieme di quartieri verrà così chiamato borgo o unità residenziale e potrà essere da 6000 a 8000 abitanti 8 a livello indicativo.
( Urbanistica 1951 n° 7, Introduzione di Giovanni Astengo)
Politica articolata per quartieri. Riflessioni sulla dimensione e sulle pratiche sociali dell’abitare.
Quartiere e abitare:
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Famiglie
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Spazi
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Assistenza e bisogni sociali
Se la città è da sempre un luogo di meditazione per tutte le complesse pratiche che vi interagiscono, il quartiere diventa strumento attraverso il quale le differenti provenienze sociali e geografiche vengono ricondotte in unità in un organismo che controlla e seleziona i soggetti sociali , integrandoli ne l complesso urbano.
Un’ idea di città-giardino come proposta di gestione autonoma applicandosi ad una città a piccole dosi, integrata ma separata dalla realtà urbana.
L’ideologia del quartiere viene tradotta in immagini: a Torino Falchera con Astengo, a Mestre S.Giuliano con Picconato e Samona’ e ovunque nelle maggiori città italiane.
Nella ideologia si ripete l’ispirazione dei villaggi della riforma agraria: famiglia contro società con la mediazione del quartiere e delle sottocomunità.
L’immagine deve essere urbana ma in modo moderato: con il ricordo del borgo.
Il quartiere rappresenta il filtro più adatto per isolare anche visivamente, per connotare i consumi e divulgare una forma ideologica che corrisponda ad un modello di vita. […]
Il risultato più significativo di questo processo produttivo-progettuale fu il quartiere Tiburtino a Roma. Qui la poetica del quartiere e la produzione artigianale confluiscono nel populismo sotto l’influenza di Wright e dei principi della architettura organica.
(Marcello Fabbri “L’urbanistica italiana dal dopoguerra ad oggi”)
Mestre (Venezia) Villaggo S.Marco, G.Samonà, L.Piccinato e altri, 1951-61
< IL quartiere harrar in via dessie’ a milano
a Milano l’iniziativa dell’Ina-casa costituisce i capisaldi per una crescita urbana incomparabile con le precedenti. Incomparabile non tanto per l’estensione e la quantità di abitanti insediati quanto per l’ampiezza e la complessa relazione tra le parti che andranno a costituire l’odierna metropoli. Non vi è in quel periodo un quadro normativo adeguato per affrontare la nuova scala dei problemi urbani. Il prg ed altri strumenti normativi (salvo far appello ad un generale decentramento funzionale) non risultano incisivi.
Gli architetti di matrice razionalista non trovano occasioni di concreta ricerca progettuale se non nel quartiere autosufficiente.
In questo quadro il quartiere Ina-casa Harrar in via Dessiè occupa un posto di spicco. Figini, Pollini e Ponti che hanno avuto l’incarico nel 1951 si pongono in polemica contro la decisione di esiliarlo rispetto alla città consolidata. “Non è da considerarsi un satellite ma come un nuovo quartiere urbano a contatto del quale si verranno saturando le altre aree adiacenti” è scritto nella relazione illustrativa.
L’edificazione viene concentrata in pochi edifici multi piano al fine di liberare suolo, vengono realizzati percorsi pedonali e le vie di grande traffico allontanate dagli spazi di vita. Attorno a questi edifici vengono realizzate delle insulare di case unifamiliari a schiera. Si tratta di complessi “basati sulla libertà compositiva svincolata da schemi geometrici troppo rigidi, o meccanicamente ripetuti, degli elementi-tipo.”Al centro verde e servizi ed un “asse vitale del quartiere”. La struttura a turbina degli insediamenti è riferibile ad alcuni schemi di Le Corbusier. La variazione è ottenuta attraverso la giustapposizione di case alte e basse.
Di particolare interesse l’edificio a ballatoio (elemento dominante) in cui “il tema del telaio, che segnala un desiderio di continuità con il rigorismo del razionalismo anteguerra, viene riformulato: da strumento misuratore (reticolo geometrico) diventa elemento di modulazione della luce.” (S. Protasoni)
Il quartiere grazie alla negazione dell’idea di città satellite ha contribuito con la sua presenza alla strutturazione della crescita della città nel quartiere S. Siro.
P lanimetria generale del quartiere
F oto aerea del quartiere e zona S.Siro di Milano
Q uartiere a Milano di via Harrar, L.Figini, G.Pollini e Gio Ponti, 1951-55
Foto dal quartiere oggi, via Varenna
F oto dal quartiere oggi, via Monte Baldo
I l centro sociale e la biblioteca , via Val Valtena
< EDILIZIA SOCIALE NEGLI ANNI 2000
L’edilizia sociale (pubblica) è entrata in Italia in una crisi profonda. Attualmente il governo centrale non ha una politica per il rilancio dell’edilizia sociale e non c’è alcun finanziamento in previsione.
In realtà la riduzione del ruolo e dei finanziamenti dell’impegno pubblico è in corso da tempo. Gli investimenti in edilizia pubblica hanno raggiunto un picco del 26% sugli investimenti totali negli anni ’50. Dopo di allora un calo costante.
Il settore dell’affitto è stato tradizionalmente limitato in Italia con un ulteriore calo a partire dagli anni ’80. Nei primi anni ’90 un relativo piccolo dinamismo, grazie ai residui finanziamenti provenienti da precedenti programmi, poi la definitiva battuta d’arresto.
Oggi la competenza è passata alle regioni e comuni che soffrono, a loro volta, di un processo di incorporamento delle prassi e delle modalità operative.
In questo senso siamo di fronte ad un processo di lungo periodo. Il quadro quindi rimane stabile in modo pericoloso e preoccupante.
E’ interessante leggere come già nel 1951 su “Urbanistica” Astengo affermasse che “non si tratta solo di costruire case, ma di istituire una nuova vita sociale” e che fosse necessario pensare a forme di assistenza sociale “per evitare che i futuri abitanti di questi quartieri giungano all’alloggio completamente impreparati alla nuova vita e per stimolare in essi forme di mutua cooperazione sociale” Si tratta di un auspicio piuttosto lungimirante e che forse non è stato molto ascoltato.
Le politiche abitative stanno diventando sempre più integrate e il riferimento al capitale sociale ed alle relazioni di comunità sono sempre più al centro delle preoccupazioni delle amministrazioni mentre i quartieri pubblici degli anni ’50 sono spesso sinonimo di degrado e marginalità.
In uno degli edifici simbolo della produzione Ina-Casa, il Corviale a Roma (che per la scala può essere considerato alla stregua di un quartiere) è stata avviata una iniziativa piuttosto interessante. Si tratta di “Corviale network” una "street tv" che oltre al proprio ruolo di tv di quartiere si occupa di iniziative sociali il cui effetto “socializzante” viene amplificato dalla emittente. Il caso risulta particolarmente interessante per l’originalità e l’efficacia.
“Per le sue particolarità, per la sua storia e per quella dei suoi abitanti, Corviale è oggi un territorio ideale per ridefinire le interazioni tra questi tre mondi e sperimentarne di nuove.” (www.corvialenetwork.net)
“Corviale è, da sempre, una grande sfida: l'occasione di agire tra valori e forme di un’ideologia dell'architettura che qui ha trovato un’estrema espressione, e forse anche la sua fine. La ricca e a tratti drammatica esperienza umana di chi abita Corviale è ciò che può dare luce e significato ad una ricerca interdisciplinare che prenda le mosse proprio da certi fallimenti e si reinventi attraverso il metodo dell'apertura e della condivisione.”
< BIBLIOGRAFIA >
- V. De Sica, “ Il tetto” ,Titanius, Italia 1956, dur. 101’
- V.Sala,“045 Ricostruzione edilizia 1952” ,Istituto Luce, Italia 1952 ,dur.9’05’’
- V.Sala, “Una casa per tutti”, Istituto nazionale Luce, Italia 1962 , dur. 9’25’’
-Di Biagi Paola , “La grande ricostruzione : Il piano Ina-Casa e l'Italia degli anni cinquanta”i Donzelli Editore, Roma 2001
- Fabbri Marcello, “L'urbanistica italiana dal dopoguerra a oggi: storia, ideologie, immagini”, De Donato Bari 2001
- Gabellini Patrizia,“Tecniche urbanistiche” , Carocci 2001
- Tosi Antonio, “Case, quartieri, abitanti, politiche.” Libreria Clup, Milano 2005.
- Urbani Paolo ,“Le politiche abitative. Una grande priorità”, convengo nazionale dei
DS, Roma 2006.
- “Urbanistica n° 7” 1951
- “Urbanistica n° 17” 1955
- www.corvialenetwork.net
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