Settore Giovani & MSAC
CONCLUSIONI FORUM sui GIOVANISSIMI
Chianciano Terme (Si) - 4.5.2003
GIOVANISSIMI…
Prima di concludere questo Forum, c’è ancora da svelare un mistero: che fine ha fatto Tatiana?
“NON PREOCCUPATEVI, STO BENE. VI HO SEGUITO IN TV. PENSAVO DI ESSERE SOLA, PER FORTUNA MI SBAGLIAVO: COMINCIATE A CAPIRMI. TVTTB. TATI”
Con questo sms un po’ oscuro si era chiuso il talk-show di ieri mattina, che ci ha fissato tanti punti importanti sulla vita di Tatiana, sul nostro ruolo educativo nei suoi confronti, sulla possibilità di rendere l’AC un’associazione missionaria a sua misura, tagliata per lei, e per il suo “compagno di banco di dietro” Paolo. Ma che fine abbia fatto Tatiana, questo ancora non si è saputo. Dov’è Tatiana?
Adesso crediamo di averlo capito. Tatiana è qui, fuori da questa sala. Tatiana è proprio appena qui fuori. Si, è fra la gente che cammina per le strade di Chianciano, per tutte quelle strade dei nostri paesi, delle nostre città che percorriamo sempre anche noi.
Potreste dire, giustamente: era tutto qui il mistero? Beh, il fatto è che troppo spesso la povera Tatiana, nonostante ci passasse praticamente sotto il naso in continuazione, non l’abbiamo proprio riconosciuta. Continuavamo a cercare giovanissimi supereroici, dotati di superpoteri ed in grado di vincere le forze del male, pensando che abbiamo a che fare con qualcuno che della vita e della sua fede ha capito più o meno tutto. Con questo identikit sbagliato è stato facile dimenticare che Tatiana, che i nostri ragazzi sono normali. Dove per normali si intende che sono identici ai loro coetanei, a tutti. Anche la nostra presidente Paola ce lo ha ricordato ieri nel suo intervento.
Sul perché non ce ne siamo accorti, beh, ci sarebbe tanto da dire. A partire dal fatto che questa per noi forse è una verità scomoda. Ma il pessimismo cosmico sui giovanissimi menefreghisti e fannulloni non deve trovare più posto fra i nostri pensieri: piuttosto accogliamo la loro realtà come una grande ricchezza, come una ricchezza inestimabile. E fra un po’ arriviamo al perché.
Ma allora, adesso che abbiamo la fototessera giusta, che il volto di Tatiana, che i volti dei giovanissimi non ci sono più così difficili da riconoscere, c’è bisogno di farsi innanzitutto una domanda.
Ma che vuol dire per un giovanissimo “missionarietà”?
È un parolone. E come con tutti i paroloni, potrebbe scapparci la tentazione di riempircene la bocca senza andare al cuore della faccenda.
È anche una specie di “parola magica”. E come con tutte le parole magiche, potrebbe scapparci la tentazione di pronunciarla aspettandoci che faccia effetto da sola, che ci spalanchi la strada del tesoro come “apriti sesamo!”, e che poi da lì sia tutto in discesa. Non è così, naturalmente.
Ma allora, si può sapere cos’è questa benedetta “missionarietà” a misura di giovanissimo?
Bisogna partire dalle domande. Quelle domande che ti sembrano alte come grattacieli, che ti dici “non sarò mai capace”, quelle domande che appena abbozzi un mezzo tentativo di risposta te ne spunta subito un'altra più tosta. Quei punti interrogativi che riempiono la vita in ogni suo momento e che spesso sono un tormento. Perché ci si ritrova da soli.
Partiamo dai dubbi che ti assalgono all’improvviso, e sempre in modo infame, alle spalle, e che ti inchiodano al muro perché il peso devi portarlo tutto da solo, e inciampa oggi, inciampa domani, il rischio è di non trovare più la forza di alzarsi.
Ecco dove si gioca la missionarietà per i giovanissimi. Sta tutta dentro la scelta di condividere questa ricerca. Di decidere di cercare insieme. Di sbattere insieme il muso a terra. Di trovare insieme la forza di ripartire.
È più facile a dirsi che a farsi, ma è più bello a farsi che a dirsi.
Ci vuole coraggio. È il coraggio che ci dobbiamo sentire di chiedere ai nostri ragazzi. Il coraggio di scrivere nero su bianco quel punto interrogativo che avvolge loro il cuore, il coraggio di accettare la domanda.
E poi c’è il coraggio di cercare le risposte, sempre insieme, sempre nella condivisione. E di essere capaci di mettere al servizio degli altri il poco o il molto che si conosce, di svelarsi l’un l’altro i piccoli tratti di strada percorsi a fatica, di gioire insieme per le scoperte, per le novità incontrate lungo il cammino.
La missionarietà per i giovanissimi parte dal cuore grande che batte dentro ciascuno di loro, alla faccia dei “giri” e dei luoghi della loro vita.
È solo la missionarietà che passa da cuore a cuore, come una fiamma da fiammifero a fiammifero, quella di cui c’è bisogno, quella che il Risorto ci chiede.
Non si tratta di semplici, banali note di stile. Non è una questione di modi o di maniere. È molto, ma molto di più: bisogna trovare le parole giuste per rendere la bellezza straordinaria dell’incontro con Cristo. I giovanissimi avranno pure tutti i difetti che volete, ma non si può dire che non nutrano una profonda sete di bellezza. C’è bisogno allora di testimoni credibili, affascinati, con gli occhi luminosi.
E non si tratta solo degli animatori. Ricordiamoci che i giovanissimi stessi sono anche protagonisti della missionarietà.
Certo, non devono mica girare per i corridoi della scuola gridando “Convertitevi e credete al Vangelo!”. Ma non possiamo dimenticare che il Concilio stesso, nell’Apostolicam Actuositatem, ci dice dell’importanza di quello che chiama “apostolato del simile verso il simile”. La testimonianza credibile del Vangelo viene dall’abitare insieme i momenti, gli spazi, i luoghi di vita, dalle esperienze comuni. Passa per i banchi e per le aule, e per i bagni della scuola, quel posto dove (e mi riferisco alla scuola, anche se in fondo vale anche per i bagni!) i ragazzi stanno insieme per tante e tante ore per tanti anni. Passa per la strada che riporta a casa. Passa per i mille incroci dei pomeriggi e delle serate.
Attenti: non c’è bisogno di una fede incrollabile, che è oltretutto è una cosa da santi e non da giovanissimi. Sono le domande che vanno condivise. È la strada, per quanto sia dissestata, che va percorsa insieme, buche comprese. Come dice un verso di una canzone cara ai msacchini, “c’è bisogno soprattutto di uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto”.
Il segreto di questo slancio, quello dei ragazzi, quello degli animatori, il segreto di tutto, è la speranza. Scrive Lorenzo Milani: “Il maestro” - ma qui vale ognuno ci metta il suo essere educatore – “deve essere per quanto può profeta, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani, e che noi vediamo solo in confuso”. Soltanto occhi e cuori capaci di speranza possono riuscirci davvero. È alla speranza, dunque, che non possiamo rinunciare; è alla speranza che proprio non possono rinunciare i nostri giovanissimi.
…DENTRO…
Il tema della settimana della comunità che stiamo celebrando in questi giorni lo conoscete tutti. Giovani e in parrocchia, giovani oltre la parrocchia. Noi con questo forum abbiamo scelto più direttamente i giovanissimi ed abbiamo tradotto il titolo a loro misura con giovanissimi dentro e fuori dal giro. Nel percorso dentro il titolo a me spetta appunto descrivere il “dentro” e per questo ho pensato di andare a visitare e poi condurvi nei 4 luoghi che costituiscono il dentro dell'esperienza di un giovanissimo. Lo abbiamo detto, secondo noi il giovanissimo non è ne dentro ne fuori dal giro. E' giovanissimo e basta con la sua originalità e i suoi casini come ci ha già spiegato Simone.
Però alcune indicazioni concrete vorremmo darle su quelli che sono i tipici luoghi del dentro dell'esperienza ecclesiale del giovanissimo.
e quindi: il gruppo, l'associazione, la parrocchia, la Chiesa.
1. Il gruppo
E' il luogo fondamentale dell'esperienza associativa del giovanissimo. Quello in cui, come recita il cf issimi: “è possibile vivere direttamente la propria appartenenza alla chiesa e la propria formazione”. Il cammino formativo dei giovanissimi, quasi l'ex CF, è molto chiaro sul ruolo del gruppo per un giovanissimo arrivando a sostenere che esso costituisce un autentica esperienza di chiesa tanto da poterne svelare il volto e la natura intimi.
Oggi queste parole restano valide e continuiamo a sostenere che la formazione per un giovanissimo non può che scegliere come luogo preferenziale il gruppo. In fondo tale esperienza è stata ed è una delle scommesse vinte del Vaticano II (LG 13, DV 10), se siamo passati da una visione di chiesa piramidale ad una chiesa fatta di popolo, da un esperienza di chiesa come luogo in cui andare soltanto ad ascoltare a chiesa come luogo di incontro, confronto, scambio è stato anche grazie al gruppo che ci ha messo in cerchio e reso possibile il confronto fra pari. Pensate a quanto questo ha cambiato il volto delle nostre comunità fino all’esempio delle comunità ecclesiali di base dei paesi latino-americani. Fino a rendere in alcuni casi concreto e credibile l’esempio della prima comunità dei discepoli di cui parlano gli Atti degli Apostoli della liturgia di oggi.
Vale ancora oggi il detto mai senza il gruppo per un giovanissimo. Esso è un bisogno legittimo e comprensibile del giovanissimo, le domande, come si diceva ieri, bisogna farsele insieme e insieme trovare la risposta.
Quindi mai senza il gruppo ma anche mai di solo gruppo.
E’ innegabile che la centralità del gruppo giovanissimi e a volte la sua esclusività abbiano dimostrato dei limiti in questi anni. In particolare il gruppo ha limitato le altre due grandi risorse della proposta dell’AC: la formazione personale e la vita associativa nel suo insieme.
Sulla prima siamo oggi nella urgenza di ripensare anche per il giovanissimo una proposta personale, fatta di alcuni strumenti come il nuovo graffiti, ma anche ad altri specifici di formazione che lo aiutino ad accostarsi alla parola di Dio, ma anche ad alcuni grandi temi della vita cristiana ed infine al suo modo di vivere la città. Ciascun animatore qui presente dovrebbe chiedersi anche quanto tempo dedica personalmente ai suoi giovanissimi, se il tempo trascorso con ciascuno di loro non supera quella dedicato alla programmazione ed alla riunione c’è da farsi qualche domanda. Anzi c’è da mettere in discussione il proprio essere animatore.
2. L'associazione
L’altra dimensione che in questi anni ha ceduto alla centralità del gruppo è stata la vita associativa.
In questa direzione ci viene in aiuto la bozza del nuovo statuto, ancora da rivedere e comunque non approvata, che all'art.3.4 recita: “il luogo della formazione è la stessa vita associativa”. Cioè è tutta la vita dell'associazione che deve essere capace di formazione in ogni suo momento offrendo relazioni stabili ed orientate alla maturazione dei singoli e una graduale ma intensa esperienza di vita comunitaria. Ecco dunque il compito più grande dell'associazione: rendere visibile e comprensibile l'esperienza della comunità. Non so voi ma nel mio percorso in AC io credo di aver conosciuto la comunità quando mi sono accorto di non essere solo perché tante persone e di diversa età facevano la strada con me. L'esperienza ed il dono dell'unitarietà è una delle chiavi del rinnovamento dell'AC. Essere AC "una" aiuterà soprattutto noi giovani a costruire una associazione che cammina con il passo degli ultimi. Ci esporrà meno a quella solitudine pastorale che brucia tanti di noi. Che fa passare la chiesa come una somma di cose da fare, che ci spreme come limoni nella responsabilità, che ci fa ammalare di esaurimento e di iperattività. La strada per superare questo è sicuramente costruire delle vere e proprie o comunità educative. Ricordiamoci che non educhiamo mai da soli, e se ad un certo punto del cammino ci viene il dubbio che il nostro gruppo potrebbe incontrarsi anche a casa nostra, che tanto sarebbe la stessa cosa anche qui facciamoci delle domande sul nostro servizio educativo. Delle grandi domande. E' il noi che educa come diceva ieri Il Vescovo Francesco. E’ il noi che converte. Quel guardate come si amano. Sono convinto che davvero oggi per pensare in maniera nuova alla pastorale sia necessario cambiare prospettiva. Sia necessaria una vera e propria conversione pastorale da realizzare prima di tutto in parrocchia.
3. La parrocchia
Ed eccoci al terzo dei nostri dentro. La parrocchia.
Una parrocchia che vive in una diocesi, che è articolazione di quella chiesa locale disegnata dal vaticano II. Una parrocchia che non dimentica il primato della diocesi come cuore della vita dell’ac.
Ma che allo stesso tempo vede nella mitica parrocchia di Don Quirino il luogo in cui vivono e camminano l'educatore e la giovanissima. Quella in cui ci sono le famiglie, gli anziani. La parrocchia è la Chiesa di tutti, anche dei poveri e dei semplici, di chi pensa e di chi ha la responsabilità di decidere per gli altri, dei bambini e degli anziani…; è la Chiesa quotidiana. Quella che davvero non può mancare nella vita di un giovanissimo. La parrocchia è per lui il luogo dell'amicizia. Un luogo fisico, spesso il punto d'incontro dei suoi giri. Un luogo da rendere abitabile il più possibile. Per lui casomai anche da sfruttare. Il Luogo dei primi impegni, delle prime piccole responsabilità. Ma è anche il luogo del cuore. Il luogo degli affetti e della nostalgia. Il luogo in cui tornare quando si sarò più avanti negli anni. Quel monumento perenne al primo incontro con Gesù Cristo, ai valori assaporati nella giovinezza. Non smettiamo di proporre la parrocchia al giovanissimo. Anzi in essa continuiamo a proporre la vicinanza ai sacerdoti. Ieri qualcuno si è lamentato della nostra idea sui don. Su don Quirino come dicevo prima. Ci siamo fatti tante domande sui giovanissimi in questi giorni. Ma forse davvero ne manca una: qual'è il ruolo dell'assistente in parrocchia con i giovanissimi?
Credo se ne potrà ancora parlare nel solco della riflessione avviata con il convegno assistenti ma credo di non correre rischio di smentita dicendo che se c'è una cosa che i giovanissimi cercano da un don nella parrocchia è l'ascolto. Senza di questo non si fa niente. Sul come riuscire a fare questo certo molto spetta a ciascuno ma forse molto di più spetterà alla chiesa italiana nel suo insieme, a come immaginerà la pastorale in futuro, a come l’aiuteremo ad immaginarla.
4. La chiesa
Ecco allora la conversione che mi sento di indicare sulla scia di tante riflessioni fatte in questi mesi, grazie al contributo del convegno assistenti, ma anche all’intervento di Fratel Enzo Biemmi ad un consiglio nazionale.
Si tratta di passare da una pastorale puerocentrica alla scelta preferenziale di una pastorale degli adulti. Io credo che davvero sia questa la rivoluzione che la Chiesa deve pensare al suoi interno. Ripensare la pastorale a misura di adulti e famiglie, rispettandone i tempi. Senza è impensabile costruire la comunità. Ieri le parole di Nisia sono state chiare. E' la parrocchia di persone che ci interessa non quella di servizi. La parrocchia dei testimoni non quella degli operatori pastorali. Per farlo però dobbiamo ripensare i tempi e l'organizzazione. Si tratta come spesso ricorda la presidente di destrutturare la pastorale, di dare consistenza ad un comunità diversa. Una comunità che crede che il suo tesoro è la fede dei suoi figli molto più e prima delle proprie iniziative; che costruisce dei momenti di unità in cui sia possibile raccontare la bellezza e la fatica di questa testimonianza solitaria e dispersa nel mondo; che si ritrova attorno all’Eucaristia domenicale come attorno al cuore del proprio essere Chiesa.
Paradossalmente credo che sia davvero questa la sfida anche per i giovani. Se ci sarà una comunità l'animatore non soffrirà più di solitudine. Sentirà che i suoi pesi pastorali sono condivisi. Non avrà paura del futuro soprattutto perché lo vede realizzato nella vita delle persone che gli stanno davanti. Perché l’ideale e la grandezza della vita cristiana non saranno solo parole ma la vita e la carne dei discepoli che ti sono affianco. Si riuscirà ad essere discepoli e ancor di più si potrà essere apostoli. Degli splendidi apostoli che vivono profondamente l’amore alla propria Chiesa. Che sapranno distinguersi per l'amore alla Chiesa una, che non avranno difficoltà ad attaccar bottone, come diceva Paola ieri, che non sapranno contenere la gioia di raccontare a tutti dell’incontro che hanno fatto personalmente e comunitariamente.
Dentro
Ed infine l’ultimo luogo. L’ultimo dove quello più importante più decisivo. Quel dove abitato dalla Sua presenza. Il luogo vero dell’incontro con Lui.
Il cuore, l’intimo, la coscienza. Il profondo.
Non c’è dubbio che la vera conversione la facciamo dentro di noi, o meglio Lui la fa dentro di noi.
E' lì che si coltivano i sogni e le speranze, che si decide il proprio futuro.
E' questo il luogo da abitare.
Non ci illudiamo che cambiando la chiesa, la pastorale, l’associazione, il gruppo, i nostri preti risolveremo i nostri problemi.
Nessuno ci toglierà la personale fatica di farci cambiare dall’annuncio del Signore, è solo nel rapporto con lui che faremo cose grandi.
…E FUORI DAL GIRO
L’orologio segnava le 6.06 questa mattina, quando mi accingevo a spegnere il mio computer che insieme ai miei pensieri, mi ha tenuto compagnia in questa ultima notte del nostro forum. E si, è già finito, tanti preparativi, tanti sogni… È stato bello incontrarvi, conoscervi… Grazie per aver accolto il nostro invito, ma soprattutto grazie per aver dato un senso al nostro lavoro.
Mi sono chiesta cosa porterete a casa con voi da questo Forum, cosa farete una volta tornati in diocesi; penso agli occhi nuovi con cui guarderete i g.ssimi che incontrerete, quelli dentro e fuori dal giro. E penso alle scelte missionarie ormai necessarie, non più rinviabili, che siete chiamati a compiere, se volete davvero prendervi cura della loro vita. E’ tempo di mettersi a coniugare il verbo “cambiare”. Un verbo scomodo che costringe a lasciare cose che prima sembravano essenziali e ad accorgersi di realtà che finora erano rimaste nascoste. Un verbo impegnativo, esigente, che ama la compagnia di un avverbio: “subito”.
Alla fine di questo Forum possiamo dire che l’Azione Cattolica sceglie la scuola come luogo preferenziale della missione a misura di g.ssimo e voi nei laboratori di ieri lo avete confermato. Sceglie la strada di tutti i giorni, sceglie la quotidianità.
Pensando ai modi in cui questa missionarietà si realizza concretamente mi viene in mente un’icona, quella dell’incontro di Gesù con la samaritana, al pozzo. Mi è saltata in mente quando ieri Paola diceva: “…non possiamo essere cristiani se non attaccando bottoni…”.
Ebbene, Gesù, assetato, ma senza un recipiente per prendere l’acqua, è seduto vicino al pozzo. Quando arriva la samaritana, con la brocca per prendere l’acqua, Gesù attacca subito bottone. L’acqua è l’argomento che fa partire il discorso. La samaritana non immaginava di certo che quel dialogo le avrebbe cambiato la vita.
Rivolgendosi alla samaritana Gesù usa le parole di tutti. Il linguaggio è quello solito.
Questo incontro ai margini di un pozzo reca il marchio del quotidiano. Niente di programmato. Non c’è alcuna traccia di schemi di azione pastorale elaborata in qualche ufficio studi. Si avverte la sensazione dell’improvvisazione. Il tutto avviene in uno stile di spontaneità, all’insegna dell’occasionalità e della sorpresa, senza seguire alcun copione prefabbricato.
Bene, immaginate che il pozzo sia uno dei luoghi in cui trascorrono il loro tempo gli adolescenti di oggi, magari la scuola o altro, gli stessi luoghi frequentati dai nostri g.ssimi, e immaginate le occasioni che potrebbero crearsi semplicemente “attaccando bottone”.
Se noi riuscissimo solo ad aiutare i g.ssimi che abbiamo a fissare degli appuntamenti con Gesù, ad accompagnarli in questo cammino, se li aiutassimo ad incontrarlo, sicuramente poi sarebbe talmente incontenibile la loro gioia da non riuscire a trattenerla, da non riuscire a non coinvolgere i loro amici… Chi meglio dei g.ssimi può raggiungere i loro stessi coetanei.
Ritornando alla samaritana, era andata al pozzo per attingere acqua, era questa la cosa più urgente per lei. Poi scopre un compito più importante cui dedicarsi. Ecco i segni inconfondibili dell’incontro. Ecco le conseguenze dell’incontro. Che non è mai innocuo. Che non lascia le cose come stavano.
Ecco ciò che fa il MSAC a scuola; i nostri g.ssimi hanno l’esigenza di raccontarsi, sentono la responsabilità di un compito più importante cui dedicarsi e il MSAC dà loro l’argomento per attaccare bottone in quel luogo specifico.
Di certo siamo tutti convinti della sfida missionaria che il settore giovani attraverso il MSAC fa a tutti i g.ssimi di AC. Spesso però avvertiamo, e anche i laboratori di ieri lo confermano, che non siamo del tutto convinti di attuarla perché crea problemi, perché se ne ha il triste ricordo di un lontano passato, perché forse, in fondo abbiamo paura di complicarci l’esistenza, di appesantire il nostro impegno.
E allora, perché fosse chiaro una volta per tutte: un settore giovani diocesano senza msac è un settore senza proposta missionaria che il centro nazionale propone per i g.ssimi. Inoltre il MSAC non è un gruppo parallelo al gruppo parrocchiale di AC. Esiste solo all’interno delle scuole. Qui i g.ssimi di AC che scelgono di spendersi concretamente organizzano appuntamenti per i loro coetanei non di AC e quando questi domanderanno loro il perché del loro darsi da fare per vivere la scuola come una gran bella esperienza di partecipazione e responsabilità, i nostri g.ssimi si racconteranno e li inviteranno al gruppo parrocchiale, luogo da dove è partito il loro cammino.
Il settore giovani e l’AC tutta ha solo da guadagnare nell’investire sul MSAC.
Se il gruppo parrocchiale è accompagnato da un educatore formato non potrà che dare buoni frutti, testimoni autentici in grado di accendere una scintilla, come diceva Paola ieri, “con una fede capace di generare la fede di altre persone.”
La dimensione missionaria per un cristiano non è un lusso, un’appendice facoltativa, ma un’urgenza.
E TU?
Le ultime riflessioni di questa relazione finale sono vedono come soggetti gli animatori giovanissimi: voi.
La prima sera Giovanni di Brindisi-Ostuni apriva il dibattito dicendo che l’Ac va bene, dobbiamo cambiare noi. Nisia nel tal show di ieri mattina insisteva dicendo che il primo strumento formativo che come Ac offriamo ai giovanissimi siamo proprio noi, gli animatori.
La convinzione che ci portiamo dentro in questo forum è che quando si parla di missionarietà a misura di giovanissimi, i primi a essere interpellati sono proprio gli animatori, la loro fede, la loro speranza, la loro formazione.
Vogliamo allora ridare centralità all’animatore, renderlo il soggetto delle nostre riflessioni vederlo protagonista.. e lo facciamo attraverso tre piste, che voliamo assumere come settore giovani nazionale e come Msac nazionale, ma che chiediamo anche a voi di condividere e progettare:
1. innanzitutto vogliamo sottolineare l’importanza della formazione dell’animatore: animatori non ci si improvvisa, tanto meno animatori di giovanissimi! C’è una formazione che è richiesta all’animatore che è molto di più della formazione tecnica, o della “formazione specifica”. C’è una formazione fondante che va nutrita continuamente. L’animatore è responsabile dei giovanissimi nella misura in cui si prende responsabilmente cura di sé e della propria formazione, nella misura in cui sa essere esigente con la propria qualità di vita, nella misura in cui è instancabile nel cercare una misura alta di vita cristiana. Sappiamo bene che gli animatori la maggior parte delle volte non hanno un gruppo giovani… dove trovano possono allora trovare cose buone, esperienze che gli facciano assaporare la bellezza di prendersi sul serio?
Capita che un animatore viva una profonda solitudine, perché si ritrova a gestire il gruppo da solo, perché magari in parrocchia il parroco non ha tempo, e non c’è un cappellano/vice-parroco… a volte è proprio la solitudine, l’avere ridotto il servizio educativo a un elenco di cose da fare che non dice piu’ niente né alla nostra vita, né alla nostra fede, che ci ritroviamo a mollare, e vediamo gente ch si è spesa con passione per anni allontanarsi come se tutto le fosse scivolato addosso. Questi sono spazi importanti, spazi che ci è chiesto di abitare come associazioni diocesane, come ac nazionale… la domanda che ci può allora guidare è quali sono gli strumenti che possiamo dare all’animatore perché non crolli sotto il peso delle cose da fare, ma gusti la bellezza del vivere-per?
E’ importante pensare e progettare percorsi di formazione specifica per l’animatore, ma è altrettanto importante preoccuparsi che abbia la possibilità di vivere una formazione generale solida e radicata… una formazione che gli permetta di essere radicato nella fede, nella comunità, nella vita.
2. Il secondo punto focale è il ruolo di accompagnamento che l’animatore vive nei confronti dei ragazzi, quello verso cui ci orientava ieri anche Paola Bignardi. Se c’è una consapevolezza che stiamo maturando è che l’animatore non è solo l’animatore dell’incontro. Non si è animatori solo nelle due ore del incontro in parrocchia, o in quelle ore di programmazione… ecco perché negli ultimi anni si è andato affermando come termine sintetico di tutte le responsabilità e attenzioni che l’animatore vive quello di responsabile educativo. E’ una responsabilità scelta perché offerta, è la risposta affermativa a un invito della comunità e dell’associazione, ed è davanti a loro che si risponde del modo di prendersi cura dei giovanissimi. E’ all’interno proprio della cura, della responsabilità come “abilità della risposta” che prende forma il ruolo di accompagnatore, non solo anima il gruppo, ma si pone come interlocutore e come responsabile dell’intero cammino dei giovanissimi, cammino spirituale, ma anche di vita.
C’è allora un accompagnamento nella crescita, forse questa definizione è abbastanza esplicativa di suo.
C’è un accompagnamento nel discernimento. Venendo a mancare sempre più la possibilità di avere assistenti, almeno in parrocchia, e quindi venendo meno la possibilità per i giovanissimi di cominciare ad avere una guida spirituale, o anche solo la possibilità di qualche dialogo spirituale fatto con regolarità, all’animatore è richiesta questa cura, la capacità di educare il giovanissimo ad avere un sguardo spirituale sulla realtà. Come possiamo mediare questa categoria dell’accompagnatore nel discernimento a misura di animatore? Questa forse è una delle sfide che ci sono poste… questo è uno di quei tratti della formazione specifica del responsabile educativo che siamo chiamati a sostenere.
3. Simone ci ha detto che i giovanissimi devono essere “capaci di speranza”. All’animatore allora spetta il compito di educare alla speranza. Innanzitutto è un atteggiamento dell’animatore che deve allenarsi a guardare lontano, Paola ieri ci ricordava del seme e dei frutti che quasi mai si vedono in campo educativo, tanto piu’ quando a dover essere educata è la coscienza. Guardare lontano significa portare nel cuore desideri sani verso i giovanissimi, significa desiderare non solo che siano giovanissimi in gamba adesso, ma che diventino giovani in gamba, che diventino adulti in gamba. Educare alla speranza significa aprire al futuro e aprire il futuro.. Educare alla speranza significa riuscire a dare ai giovanissimi delle strutture spirituali che i aiutino a resistere alle fatiche della vita, che li rendano persone non eroiche ma virtuose. La regola spirituale per i giovanissimi (ma anche per l’animatore) è uno strumento che allena a strutturarsi.
Nella prima lettera di Pietro 3,5 si legge “pronti sempre a rendere conto della speranza che è in voi”. La speranza è categoria missionaria, educare alla speranza crea possibilità di annuncio e di missionarietà, è di essa che rendiamo conto prima ancora che della fede. A chi vive con speranza sarà chiesta la ragione e questa domanda si trasformerà in annuncio. Le strade che questa educazione alla speranza saprà trovare sono da cercare insieme, è l’orizzonte che vogliamo sognare insieme.
In ogni mia relazione c’è almeno una citazione di Bonhoeffer… è arrivato il momento, non sarà una citazione puntuale… non avevo il libro con me questa notte… ma è la speranza con cui desidero chiudere la mia parte di relazione…
Bonhoeffer scrive in una delle sue lettere dal carcere preoccupato di chi annuncia Cristo solo nelle situazione “limite”, quelle in cui finiscono le possibilità dell’uomo di capire… a un dio che tappa buchi delle nostre incomprensioni non ci sta lui vuole che “i cristiani annuncino al centro del villaggio”, cioè nella pienezza di vita, nell’autenticità della vita.. il sogno che io ho per l’Ac e per il settore giovani e il msac è che sappiano formare persone capaci di annunciare con resistenza Gesu’ risorto al centro del villaggio!
Ricordate sempre che l'Azione Cattolica trova il suo punto di massima espressione non quando siete nelle pareti della vostra parrocchia: è il mondo lo spazio in cui vi giocate la vostra identità. Quale mondo? Quello della scuola dove state, della fabbrica dove lavorate, dell'ufficio, dei campi: e poi la spiaggia quest'estate, il bar questa sera, la piazza. Se vi dicono che afferrate le nuvole, che battete l'aria, che non siete pratici, prendetelo come un complimento. Non fate riduzioni sui sogni. Non praticate sconti sull'utopia. Se dentro vi canta un grande amore per Gesù Cristo e vi date da fare per vivere il Vangelo, la gente si chiederà: " Ma cosa si cela negli occhi così pieni di stupore di costoro?"
don Tonino Bello
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