Guerra giudaica



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LIBRO IV

CAPITOLO SECONDO

Libro IV:84 - 2, 1. Non sottomessa restava soltanto Giscala, una pic­cola cittadina della Galilea; i suoi abitanti erano inclini alla pace, trattandosi per lo più di contadini tutti presi dal pensiero dei raccolti, ma erano stati rovinati dall'arrivo di una non piccola banda di briganti, che avevano anche guastato alcuni elementi della cittadinanza.


Libro IV:85 Li aveva incitati alla rivolta e organizzati Giovanni, figlio di un certo Levi, un ciarlatano dal carattere subdolo, pronto a concepire grandi speranze e abile nel realizzarle, noto a tutti come un partigiano della guerra per ambizione di potere.
Libro IV:86 Era stato lui a dar vita a Giscala al partito dei rivoluzionari, per colpa dei quali i pae­sani, che forse sarebbero venuti a patti di resa, aspettavano invece con sentimenti ostili l'arrivo dei romani.
Libro IV:87 Contro co­storo Vespasiano inviò Tito con mille cavalieri; poi mandò la decima legione a Scitopoli
Libro IV:88 e con le altre due legioni fece ritorno a Cesarea, per concedere ai soldati un po' di respiro dalle continue fatiche e pensando che gli agi della vita in città ne avrebbero rinvigorito il fisico e il morale per i prossimi cimenti.
Libro IV:89 Intuiva infatti che gli restava da affrontare una lotta non lieve per Gerusalemme, perché non soltanto questa era la città dei re e la principale dell'intera nazione, ma anche perché vi si andavano raccogliendo tutti quelli che fuggivano dinanzi alla guerra.
Libro IV:90 Il luogo, forte per natura e rafforzato dalla costru­zione di opere difensive, destava in lui una preoccupazione non comune; del resto capiva che la determinazione degli abi­tanti e il loro coraggio restavano difficili da superare anche senza la difesa di mura.
Libro IV:91 Perciò allenava i suoi soldati come atleti per una gara.
Libro IV:92 - 2, 2. Per Tito, arrivato con i suoi cavalieri a Giscala, sarebbe stato facile prendere d'assalto la città, ma egli ben sa­peva che in caso di espugnazione gli abitanti sarebbero stati sterminati in massa dai suoi uomini; allora, sazio di strage e impietosito per la popolazione che indistintamente avrebbe seguito nella rovina i colpevoli, preferì impadronirsi della città venendo a patti.
Libro IV:93 Perciò, essendo le mura gremite di uomini che per lo più appartenevano alla banda dei rivolu­zionari, egli disse loro che si domandava con meraviglia su che cosa facevano affidamento quando, caduta ormai ogni città, essi solo resistevano alle armi romane.
Libro IV:94 Eppure avevano visto che città molto più forti erano state prese con un solo assalto, mentre chi si era fidato di venire a patti con i romani si godeva tranquillamente i suoi beni; tali patti egli allora tornava ad offrir loro senza volerli punire per la loro pervi­cacia.
Libro IV:95 Si poteva infatti perdonare l'aspirazione alla libertà, ma non l'ostinazione in progetti irrealizzabili;
Libro IV:96 se infatti non si fossero piegati alle sue parole di clemenza e alle sue offerte di pace avrebbero sperimentato la spietatezza delle armi e capito in breve tempo che per le macchine dei romani era uno scherzo quel muro in cui confidavano quando, unici fra i giudei, si comportavano da prigionieri pieni di boria.
Libro IV:97 - 2, 3. A questo discorso non solo nessuno degli abitanti poté rispondere, ma nemmeno accostarsi alle mura; infatti erano state tutte occupate dai banditi, e alle porte vi erano sentinelle per impedire che qualcuno potesse uscire per trat­tare o fare entrare dei cavalieri nella città.
Libro IV:98 Fu invece Giovanni in persona a rispondere dicendo che le proposte gli piacevano e che con le buone o le cattive le avrebbe fatte accettare da chi non le condivideva;
Libro IV:99 bisognava però lasciar passare quel giorno, che era di sabato, quando in omaggio alla legge dei giudei non era loro lecito né di combattere né di trattare la pace.
Libro IV:100 Anche i romani sapevano bene come la ricorrenza del settimo giorno comportasse l'astensione da tutti i lavori, e che in caso di trasgressione l'empietà di chi costringeva al lavoro non era minore dell'empietà di chi vi era costretto.
Libro IV:101 Al duce poi, il rinvio non avrebbe causato alcun danno: nella notte si poteva al massimo organizzare una fuga, ma egli avrebbe potuto impedirla facendo accampare l'esercito in­torno alla città.
Libro IV:102 Per loro, invece, sarebbe stato di grande conforto il non violare le leggi patrie. Infine era bello che chi inaspettatamente faceva offerte di pace rispettasse anche le leggi di coloro cui faceva grazia della vita.
Libro IV:103 Con tali discorsi abbindolò Tito, e infatti egli non si preoccupava tanto del sabato quanto di farla franca; temeva di essere catturato non appena la città fosse caduta, mentre sperava di mettersi in salvo fuggendo col favore della notte.
Libro IV:104 Ma era certo volontà di Dio che Giovanni si salvasse per la rovina di Gerusalemme, e perciò da quel pretesto Tito fu indotto non soltanto al rin­vio, ma anche ad accamparsi lontano dalla città, a Cidasa.
Libro IV:105 Questo è un forte villaggio dei Tiri nell'entroterra, sempre in contrasto e in conflitto con i Galilei, che dall'esser popoloso e fortificato traeva alimento alle sue lotte contro la nazione giudaica.
Libro IV:106 - 2, 4. Durante la notte Giovanni, poiché non si vedeva una sentinella intorno alla città, colse la buona occasione e prese la fuga verso Gerusalemme seguito non soltanto dai suoi armati, ma anche da parecchi popolani inermi con le loro famiglie.
Libro IV:107 Per una ventina di stadi riuscì a trascinarsi dietro quella caterva di donne e bambini, nonostante fosse assillato dal terrore di esser catturato e messo a morte; ma poi, mentre egli proseguiva, quelli restarono indietro lanciando terribili grida di lamento al vedersi abbandonati.
Libro IV:108 Quanto più uno ve­deva allontanarsi i suoi, tanto più gli sembrava di essere vicino ai nemici; credendo di avere già addosso quelli che li avrebbero fatti prigionieri, erano in preda al panico e cambiavano dire­zione a ogni rumore fatto dai compagni di fuga come se già fossero arrivati i nemici da cui fuggivano.
Libro IV:109 I più finirono su terreni impraticabili, mentre sulla strada molti perirono nella lotta per passare avanti agli altri.
Libro IV:110 Le donne e i bambini face­vano una fine pietosa e alcune ebbero l'ardire di invocare a gran voce i mariti e i parenti, supplicandoli in lacrime di aspet­tarle.
Libro IV:111 Ma prevalse l'ordine di Giovanni, che comandò agli uomini di mettersi in salvo là dove un giorno avrebbero potuto vendicarsi sui romani anche dei congiunti caduti in pri­gionia, se fossero stati presi. Così la massa dei fuggiaschi si diradò a seconda delle forze e della sveltezza di ognuno.
Libro IV:112 - 2, 5. Il giorno dopo Tito si presentò dinanzi alle mura per concludere le trattative.
Libro IV:113 I cittadini gli spalancarono le porte e, uscendo fuori con i familiari, lo acclamarono come benefattore e liberatore della città dall'oppressione;
Libro IV:114 lo infor­marono anche della fuga di Giovanni, e lo pregarono di aver pietà di loro e di entrare invece per punire i rivoluzionari che erano rimasti dentro.
Libro IV:115 Tito stimò che la loro richiesta aveva un'importanza secondaria e inviò una parte dei cavalieri a inseguire Giovanni. Essi non lo catturarono, perché quello riuscì a raggiungere Gerusalemme, ma dei suoi compagni di fuga ne uccisero circa seimila e circondarono e riportarono in­dietro poco meno di tremila donne e bambini.
Libro IV:116 Tito fu contra­riato di non aver potuto punire subito Giovanni per la sua frode, ma trovando sufficiente conforto alla sua delusione nel gran numero dei prigionieri e degli uccisi, entrò fra un coro di acclamazioni nella città e,
Libro IV:117 dopo aver fatto abbattere dai soldati un tratto delle mura in segno di presa di possesso, provvide a colpire gli agitatori della città più con le minacce che con i castighi.
Libro IV:118 Pensò infatti che, se avesse sottoposto a processo i meritevoli di pena, molti per odi privati o per ini­micizie personali avrebbero sporto accuse contro innocenti; pertanto era meglio lasciare i colpevoli sospesi nel timore che coinvolgere nella loro punizione qualche innocente.
Libro IV:119 Quelli infatti sarebbero forse anche rinsaviti per la paura del castigo e per il rispetto verso chi aveva perdonato i loro trascorsi, mentre la pena capitale inflitta ingiustamente era irrimediabile.
Libro IV:120 Ad ogni modo si assicurò della città stabilendovi una guarni­gione destinata a tenere a bada i rivoluzionari e ad appoggiare i fautori della pace. Così fu completato l'assoggettamento della Galilea, che per i romani rappresentò una severa prepa­razione all'attacco a Gerusalemme.


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