Guerra giudaica



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LIBRO IV

CAPITOLO DECIMO

Libro IV:585 - 10, 1. All'incirca nello stesso tempo anche Roma fu af­flitta da gravi disastri.


Libro IV:586 Era infatti arrivato dalla Germania Vitellio, che assieme all'esercito si trascinava dietro un'altra numerosa moltitudine e, non potendo sistemare tutti nei quartieri costruiti per i militari, trasformò l'intera Roma in un accampamento riempiendo ogni casa di soldati.
Libro IV:587 Questi all'inconsueto spettacolo dell'opulenza dei romani, e trovan­dosi in mezzo a tutto quell'argento e quell'oro, solo a gran fatica riuscirono a frenare i desideri, astenendosi dal saccheg­giare e dall'uccidere chi si opponeva. Tale era, dunque, la situazione nell'Italia.
Libro IV:588 - 10, 2. Quando fece ritorno a Cesarea dopo aver devastato la regione vicina a Gerusalemme, Vespasiano ebbe notizia della caotica situazione di Roma e dell'acclamazione a impera­tore di Vitellio.
Libro IV:589 Sebbene egli fosse bravo nell'ubbidire non meno che nel comandare, la cosa lo indignò perché non po­teva sopportare di stare agli ordini di uno che si era gettato come un forsennato sull'impero quasi fosse un deserto,
Libro IV:590 e afflitto da tale infamia non riusciva a sopportarne il tormento, né a pensare ad altre guerre mentre la patria andava in rovina.
Libro IV:591 Ma quanto più l'ira lo spingeva alla vendetta, tanto più lo tratteneva il pensiero della lontananza: prima di un suo sbarco in Italia - e si doveva affrontare una navigazione invernale ­- la fortuna avrebbe potuto giocare molti brutti tiri; perciò tenne a freno il suo prorompente furore.
Libro IV:592 - 10, 3. Ma gli ufficiali e la truppa adunandosi in riunioni amichevoli parlavano ormai apertamente di rivolta, sottoli­neando con sdegno che i soldati che stavano a Roma a gozzo­vigliare senza nemmeno voler sentire parlare di guerra innal­zavano al principato chi gli andava a genio, ed acclamavano gli imperatori in vista dei donativi,
Libro IV:593 mentre essi, che erano passati attraverso tante prove ed erano invecchiati sotto le armi, lasciavano fare agli altri quando invece avevano presso di loro chi era più degno della porpora imperiale.
Libro IV:594 A costui quale occasione più opportuna avrebbero avuto di ricambiare la benevolenza con cui li trattava, se si fossero lasciati sfuggire quella che allora si offriva? Inoltre era tanto più giusto che a salire al principato fosse Vespasiano anziché Vitellio, quanto loro erano superiori a chi aveva eletto quest'ultimo;
Libro IV:595 infatti essi, al paragone delle legioni di Germania, avevano soste­nuto guerre non meno importanti, né come forza stavano al di sotto di coloro che erano venuti da laggiù per insediare il tiranno.
Libro IV:596 E poi, non sarebbero sorti contrasti, perché né il senato né il popolo romano avrebbero sopportato la dissolu­tezza di Vitellio in luogo della temperanza di Vespasiano, né come capo avrebbero preferito a un capitano valente un cru­delissimo tiranno, e un uomo senza figli a chi invece ne aveva, poiché la successione al trono di eredi legittimi rappresenta la più salda garanzia di pace.
Libro IV:597 Se per governare si richiedeva l'esperienza degli anni maturi, allora essi avevano Vespasiano, se il vigore della giovinezza, allora avevano Tito: si sarebbero infatti assommati i pregi dell'età di entrambi.
Libro IV:598 Agli eletti, poi, avrebbero dato valido sostegno non soltanto loro, e si trat­tava di tre legioni con gli ausiliari inviati dai re, ma avrebbero anche collaborato tutto l'oriente, le province dell'Europa abbastanza lontane per non aver paura di Vitellio, gli alleati d'Italia, un fratello di Vespasiano e un altro figlio.
Libro IV:599 Di questi due il secondo avrebbe attirato il consenso di molti giovani, appartenenti alla nobiltà, mentre il primo, fra l'altro, rivestiva la carica di prefetto urbano, un elemento di non poca importanza per la conquista del potere imperiale.
Libro IV:600 Insomma, se loro non si decidevano, poteva accadere che fosse il senato a eleg­gere l'uomo che i soldati invecchiati al suo fianco non stima­vano degno di tale onore.
Libro IV:601 - 10, 4. Questi i discorsi che si scambiavano i soldati nelle loro riunioni; poi si radunarono tutti insieme e, facendosi coraggio l'un l'altro, acclamarono imperatore Vespasiano scongiurandolo di salvare l'impero in pericolo.
Libro IV:602 Egli da gran tempo si preoccupava della situazione politica, ma non aveva mai pensato di assumere il potere, e non perché non se ne stimasse degno per le prove già date, ma perché preferiva la sicurezza di una condizione privata ai pericoli del fasto impe­riale.
Libro IV:603 Al suo rifiuto, però, i generali moltiplicarono le loro insistenze mentre i soldati gli si stringevano intorno con le spade in pugno minacciando di ucciderlo se non voleva vi­vere in maniera degna di lui.
Libro IV:604 Vespasiano, dopo aver a lungo esposte le ragioni che lo inducevano a respingere il potere, alla fine, non riuscendo a convincerli, si lasciò sopraffare dalle loro acclamazioni.
Libro IV:605 - 10, 5. Poiché Muciano e gli altri generali lo incitavano a intraprendere la sua azione da principe, mentre dal canto suo l'esercito lo spronava a mettersi alla sua testa per ab­battere qualunque rivale, Vespasiano per prima cosa rivolse la sua attenzione ad Alessandria: egli ben sapeva che l'Egitto rappresentava una delle regioni più importanti dell'impero per l'approvvigionamento del grano,
Libro IV:606 e contava che, una volta assicuratosene il controllo, avrebbe alla lunga costretto Vi­tellio ad arrendersi perché il popolo di Roma non si sarebbe assoggettato a patir la fame.
Libro IV:607 Inoltre mirava ad attirare dalla sua parte le due legioni di stanza in Alessandria, e a fare di quel paese un riparo contro i colpi della fortuna. L'Egitto è infatti di difficile accesso per via di terra, mentre sul mare è privo di porti.
Libro IV:608 Verso occidente è al riparo dei deserti dell'Afri­ca; a sud della frontiera con l'Etiopia, Siene e le cateratte non navigabili del Nilo;
Libro IV:609 ad oriente del Mar Rosso, che si pro­tende fino a Copto; a nord le sue barriere sono la regione fino alla Siria e il cosiddetto Mar Egizio, completamente sprovvisto di porti.
Libro IV:610 In tal modo l'Egitto risulta protetto da ogni lato. Fra Pelusio e Siene la sua lunghezza è di duemila stadi; la distanza per via di mare tra Plintina e Pelusio di tre­milaseicento stadi.
Libro IV:611 Il Nilo è navigabile fino alla città chia­mata Elefantina, oltre la quale impediscono di spingersi le suddette cateratte.
Libro IV:612 Il porto di Alessandria è difficilmente accessibile alle navi anche in tempo di pace perché ha l'in­gresso stretto e tortuoso a causa di scogli sottomarini.
Libro IV:613 Il suo fianco sinistro è protetto da moli artificiali, mentre sulla destra c'è l'isola chiamata Faro ove sorge una torre grandissima che fa luce ai naviganti in arrivo fino a trecento stadi di distanza, in modo che essi nella notte si fermino lontano per la difficoltà di entrare.
Libro IV:614 Attorno a quest'isola sono stati alzati immensi bastioni, e il mare, battendovi contro e infrangendosi sulle scogliere antistanti, fa ribollire il canale e per la stret­tezza rende difficile l'ingresso.
Libro IV:615 Dentro, però il porto è quanto mai sicuro e lungo trenta stadi; ivi confluiscono tutti i pro­dotti che mancano al benessere del paese e di lì partono per tutto il mondo i prodotti locali sovrabbondanti.
Libro IV:616 - 10, 6. Ben a ragione Vespasiano mirava ad assicurarsi il controllo di questo paese a sostegno di tutto l'impero, e scrisse subito a Tiberio Alessandro, governatore dell'Egitto e di Alessandria, informandolo della devozione manifestatagli dal­l'esercito e aggiungendo che, avendo dovuto sobbarcarsi al peso del principato, contava sulla sua collaborazione e sul suo aiuto.
Libro IV:617 Alessandro diede pubblica lettura del messaggio e prontamente chiese che le legioni e il popolo giurassero fe­deltà al nuovo imperatore: ciò che essi fecero di buon grado avendo conosciuto le sue qualità dal modo come aveva esercitato il comando in una regione tanto vicina.
Libro IV:618 Quindi Alessandro, che ormai era investito di responsabilità di go­verno, si dedicò ai preparativi per accogliere Vespasiano, mentre più veloce del pensiero si diffondeva la notizia dell'imperatore eletto in oriente, e ogni città festeggiava la lieta novella e compiva sacrifici per lui.
Libro IV:619 Le legioni della Mesia e della Pannonia, che poco tempo prima avevano dato segni d'insofferenza per l'audacia di Vitellio, con tanto più entu­siasmo giurarono fedeltà a Vespasiano.
Libro IV:620 Questi da Cesarea si trasferì a Berito, ove lo raggiunsero molte ambascerie pro­venienti dalla Siria e dalle altre province recandogli dalle singole città corone e decreti gratulatori.
Libro IV:621 Arrivò anche Mu­ciano, il governatore della provincia di Siria, a testimoniare il favore popolare e a comunicare che tutte le città avevano prestato giuramento.
Libro IV:622 - 10, 7. Ora che la fortuna assecondava dappertutto i suoi desideri e le circostanze in linea di massima cospiravano in suo favore, a Vespasiano venne fatto di riflettere che non senza un divino volere egli era salito al principato, e che era stato un giusto destino a farlo signore del mondo.
Libro IV:623 Infatti fra gli altri presagi - molti ne aveva ricevuti da ogni parte a predirgli l'impero - si ricordò delle parole di Giuseppe, che aveva avuto il coraggio di chiamarlo imperatore mentre Ne­rone era ancora in vita.
Libro IV:624 Turbato al pensiero di tenerlo ancora in prigione, convocò Muciano assieme agli altri generali e amici, e dopo aver ricordato la sua bravura e tutto il filo da torcere che aveva dato loro a Iotapata accennò alle sue predi­zioni,
Libro IV:625 che sul momento egli aveva credute un'invenzione det­tata dalla paura, mentre il tempo e i fatti ne avevano dimo­strato l'origine divina.
Libro IV:626 “Mi sembra una vergogna” concluse “che chi mi predisse l'impero e fu ministro della voce di Dio sopporti ancora la condizione di prigioniero e l'umiliazione di stare in catene. “Ciò detto, mandò a chiamare Giuseppe e diede ordine di togliergli i ceppi.
Libro IV:627 Mentre la ricompensa data allo straniero faceva balenare agli occhi dei generali gli splen­didi doni che a suo tempo anch'essi avrebbero ricevuto, Tito, che stava presso suo padre, gli rivolse tali parole:
Libro IV:628 “E’ giusto, padre, che Giuseppe sia liberato, oltre che dei ceppi, anche della vergogna: se le sue catene noi non le scioglieremo, ma le spezzeremo, sarà come se non fosse mai stato incatenato”. Così infatti si usa fare con chi è stato incatenato ingiustamente.
Libro IV:629 La richiesta venne accolta e a colpi di scure la catena fu spez­zata. Così Giuseppe, dopo aver ricevuto la libertà a ricom­pensa della sua predizione, godette di credito anche come profeta.


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