Isaac Asimov. L'Orlo della fondazione



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tro oggetto manimato che guardiate, in un aspetto diver-

so della sua coscienza.


Pelorat mise le lenti sugli occhi ed esse aderirono subi-

to. Pelorat sussultò al contatto, poi rimase immobile per

lungo tempo.
--Quando avete finito--disse Dom--posate le mani

su ciascun lato della Partecipazione e premete l'una verso


1. I'altra. Le lenti verranno via subito.
Pelorat seguì le istruzioni. 13atté gli occhi più volte, poi

se li stropicciò.


--Che cosa avete provato?--chiese Dom.
--E difficile da descrivere--disse Pelorat.--Il muro

sembra~va brillare e luccicare, e a volte diventare fluido.

Pareva avere nervature e simmetrie cangianti. Mi... mi

dispiace, Dom, ma non l'ho trovata un'esperienza affasci-

nante.
Dom sospirò.--Voi non siete partecipe di Gaia e quin-

di non vedete quello che vediamo noi. Avevo temuto che

potesse essere così. Peccato. Vi assicuro che queste Parte-

cipa~ioni, anche se assolvono soprattutto una funzione

estetica, hanno anche i loro usi concreti. Un muro felice e

un muro pratico, utile, e che dura a lungo.


--Un muro felice?--disse Trevize, con un sorrisino.
--Abbiamo la vaga sensazione che i muri provino qual-

cosa di analogo a quello che definiamo felicità--disse

Dom.--Un muro è felice quando è stato ben progettato

quando poggia solidamente sulle sue fondamenta quan-

do le sue parti sono simmetriche l'una rispetto all altra e
~ non ci sono spiacevoli tensioni. I princìpi matematici del-

t la meccanica consentono di elaborare sulla carta il pro-

getto giusto, ma l'uso di una Partecipazione adatta ci per-

mette di percepire il muro fin nelle sue dimensioni ato-

miche. Qui su Gaia nessuno scultore può produrre opere

di prima qualità senza una Partecipazione di ottima fat-

tura. Quelle che creo io, del tipo particolare che avete vi-

sto, sono considerate eccellenti, anche se non starebbe a

me dirlo.

« Le Partecipazioni animate, che non rientrano nel mio

campo--continuò Dom con l'entusiasmo di chi parla del

suo hobby preferito--ci procurano, analogamente, un'

esperienza diretta dell'equilibrio ecologico. L'equilibrio

ecologico su Gaia è abbastanza semplice, come su tutti

gli altri mondi del resto. Qui però, se non altro, abbiamo

la speranza di renderlo più complesso e di arricchire così

enormemente la coscienza globale.«

Trevize alzò una mano per prevenire Pelorat e impedir- 3

gli di parlare.--Come sapete che un pianeta può sostene-

re un equilibrio ecologico più complesso, se tutti quanti

ce l'hanno semplice?

--Volete mettermi alla prova, eh?--disse Dom con

una luce maliziosa negli occhi.--Sapete quanto me che

il pianeta d'origine dell'umanità, la Terra, aveva un equi- 3

librio ecologico straordinariamente complesso. Sono i

mondi. secondari, i mondi colonizzati in seguito, ad aver-

lo elementare.

Benché poco prima fosse stato messo a tacere da Trevi-

ze, Pelorat non poté fare a meno d'intervenire.--Ma è

proprio il problema che mi sono posto per tutta la vita!

Come mai solo la Terra aveva un'ecologia complessa?

Che cosa la rendeva diversa dagli altri mondi? Perché mi-

lioni e milioni di altri pianeti abitabili hanno dato origi-

ne unicamente a una vegetazione primitiva e a forme di

vita animale non intelligenti? 3

--Da noi c'è una storia che cerca di spiegare questo mi-

stero--disse Dom.--Una favola, prohabilmente: non sa-

rei pronto a giurare sulla sua veridicità. Anzi, tutto fa

pensare che si tratti di un racconto inventato.

In quella Bliss, che non aveva partecipato al pranzo,

entrò, sorridendo a Pelorat. Indossava una camicetta in-

tessuta d'argento, molto trasparente.

Pelorat si alzò subito.--Credevo che ve ne foste anda-

ta.


--No. Dovevo stendere alcuni rapporti, sbrigare del la-

voro. Posso unirmi anch'io alla conversazione, Dom?

Dom si era alzato a sua volta ~mentre Trevize era rima-

sto seduto).--Certo, sei la benvenuta. Tu incanti questi

miei vecchi occhi.

--E per incantarli che ho messo questa camicetta. Pel


è al di sopra di queste cose, e Trev le detesta.
Voi dite che sono al di sopra di queste cose, Bliss, ma

un giorno potrei sorprendervi--disse Pelorat.


--Sarebbe una sorpresa meravigliosa--disse Bliss, se-

dendosi.--Vi prego, continuate pure il vostro discorso.


I' I due uomini si sedettero. Dom disse:--Stavo per rac-
L contare ai nostri ospiti la storia dell'Eternità. Per capirla

bisogna partire dal concetto che esistano molti universi


L differenti, anzi un numero praticamente infinito di uni-

versi. Ogni singolo evento può verificarsi o non verificarsi

e, se si verifica, può verificarsi in un modo oppure in un

altro. E ciascuna delle innumerevoli alternative porterà a

svolgimenti futuri degli avvenimenti che saranno, alme-

no fino a un certo grado, diversi l'uno dall'altro.


- «Bliss sarebbe potuta non entrare in questo momento

avrebbe potuto indossare una camicetta diversa. O anco-

ra, pur avendo la stessa camicetta addosso avrebbe potu-

to non sorridere maliziosamente a noi anziani, come in-

vece il suo cuore generoso l'ha indotta a fare. A ciascuna

di queste alternative o a ciascuna delle innumerevoli al-

tre alternative che si possono contemplare per questo sin

golo evento corrisponde un differente corso dell'universo,


ii~ e !° stesso vale per tutte le altre variazioni di tutti gli al-

trl eventi, per quanto piccoli siano.«


Trevize si mosse sulla sedia.--Mi risulta che questa

sia una teorizzazione comune in meccanica quantistica.


L Una teorizzazione, anzi, di antichissima data.
--Ah, ne avete sentito parlare. Ma procediamo col rac-
C conto. Immaginiamo che agli esseri umani sia consentito

«congelare« tutti i vari universi, passare a proprio piaci-

mento dall'uno all'altro e scegliere quale di essi vada reso
E «reale«, qualunque significato si decida di dare a tale pa-

rola in questo contesto.


--Capisco il vostro discorso e riesco anche a immagi-

narmi quanto teorizzate--disse Trevize--ma non credo

neppure lontanamente che una cosa del genere possa ve-

rificarsi sul serio.


~ --Nemmeno io, in linea di massima--disse Dom--ed
E è per questo che dico che si tratta molto probabilmente

di una legge,nda. In ogni modo, la leggenda dice che esi-

stevano persone le quali erano in grado effettivamente di
' uscire dal tempo e di esaminare le innumerevoli gugliate

di realtà potenziale. Queste persone erano dette gli Eterni

e quando erano fuori dal tempo si diceva fossero nell'

Eternità.


«Loro compito era scegliere una Realtà che fosse parti-

colarmente adatta agli esseri umani. Operarono infinite

modifiche, descritte dettagliatamente dalla ieggenda, che

è in forma di interminabile poema epico. Alla fine tróva-

rono un universo in cui la Terra era l'unico pianeta della

Galassia ad avere un sistema ecologico complesso e a

ospitare una specie intelligente capace di evolversi e di

sviluppare una tecnologia avanzata.


«Decisero che quella era la situazione più sicura per gli

uomini. Congelarono quel particolare concatenamento di

avvenimenti, definendolo Realtà, e poi sospesero ogni in-

tervento. Oggi viviamo in una Galássia che è stata colo-

nizzata soltanto dagli esseri umani e, fino a un certo gra-

do, dalle piante, dagli animali e dagli organismi micro-

scopici che gli umani hanno portato volontariamente o

involontariamente con sé nella loro odissea spaziale, e

che irl genere hanno avuto il sopravvento sulle forme di

vita indigena.


«Da qualche parte tra le nebbie vaghe della probabilità

ci sono altre Realtà in cui la Galassia ospita molte intelli-

genze, ma tali Realtà non sono raggiungibili. Noi, nella

nostra, siamo soli. Da ogni azione e da ogni evento di que-

sta Realtà si dipartono nuove diramazioni, fra le quali, in

ciascun caso separato, solo una è la continuazione della

Realtà stessa. Così, ci sono innumerevoli, forse addirittu-

ra inflniti universi potenziali che derivano dal nostro, ma

tutti quanti probabilmente hanno, come noi, una Galas-

sia dove domina un'unica intelligenza. O magari dovrei

dire invece che solo una percentuale infinitesima di uni- I

versi potenziali è accomunata dalla suddetta caratteristi-

ca, perché è pericoloso escludere ipotesi quando si è di

fronte a un numero pressoché infinito di possibilità.«


S'interruppe, si strinse lievemente nelle spalle, e ag-

giunse:--Ecco, questa è la storia, che risale a prima del-

la fondazione di Gaia. Come vi ho detto, non sarei pronto

a giurare sulla sua veridicità.


Gli altri tre avevano ascoltato con attenzione. Bliss fece

un cenno di assenso con la testa, come se, avendo già sen-

tito altre volte la storia, stesse controlland~ l'esattezza

del racconto di Dom.


Pelorat rimase zitto per quasi un intero minuto, poi
strinse la mano a pugno e la batté sul braccio della pol-
trona.
~4
--Questa storia lascia le cose come stanno--disse, con

voce roca.--Non c'è modo di dimostrare che è~ vera ne

con osservazioni pratiche, né col ragionamento,` per cui

non può avere altro valore che quello di una speculazione

teorica. Ma supponiamo che sia vera e partiamo dall'ipo-

tesi che l'universo in cui ci troviamo sia un universo in

c~ui solo la Terra ha dato origine a una specie intelligente.

E evidente allora che, sia il nostro universo l'unico in as-

soluto o solo uno dei tanti possibili, la Terra dovrà avere

qualcosa di particolare che la distingue da tutti gli altri

pianeti. E il nostro desiderio di sapere che cosa sia questa

particolarità resta immutato.


Dopo qualche attimo di silenzio, Trevize scosse la testa

e disse:--No, Janov, non è così che stanno le cose. Ponia-

mo che ci fosse una probabilità su dieci alla ventunesima

che fra gli innumerevoli pianeti abitabili della Galassia

unicamente la Terra, a opRra del caso, sviluppasse un'

ecologia complessa e ospitasse alla fine una specie intelli-

gente. Allora solo uno su dieci alla ventunesima dei vari

percorsi di Realtà potenziali corrisponderebbe a una Ga-

lassia del genere, e gli Eterni la sceglierebbero. Che cosa

si deduce da questo? Che viviamo in un universo dove la

Terra è l'unico pianeta ad avere dato origine a una specie

intelligente non perché la Terra stessa abbia qualcosa di

speciale, ma perché per puro caso la vita intelligente si è

sviluppata su essa e non altrove. Anzi, credo che ci sianò

percorsi di Realtà nei quali solo Gaia, o Sayshell, o Ter-

rninus hanno dato origine a una specie intelligente, solo

pianeti, insomma, che in questa Realtà erano sterili. E

tutti questi casi specialissimi sono una percentuale infi-

nitesima del numero totale di Realtà in cui le specie in-

telligenti della Gal~ssia sono diverse. Penso che esami-

nando più a lungo le varie possibilità gli Eterni avrebbe-

ro trovato un percorso potenziale di Realtà in cui ogni

singolo pianeta abi~abile avrebbe dato origine a una spe-
cie intelligente.
--Però si potrebbe anche sostenere questo--disse Pe-

Iorat--e gli Eterni hanr;o trovato una Realtà in cui la

Terra non era come in altri percorsi, ma era per qualche

motivo particolarmente adatta allo svilupparsi di una

specie intelligente. Anzi, si può andare più in là e affer-

mare che hanno trovato una Realtà in cui la Galassia si

trovava a uno stadio di sviluppo tale da permettere alla

sola Terra di produrre l'intelligenza.

--Sì, questo si pub sostenere--disse Trevize--ma mi

pare che la versione che ho dato io sia più plausibile.


--E un punto di vista del tutto soggettivo, ovviamen-

te...--replicò Pelorat, piuttosto accalorato, ma Dom l'in-

terruppe dicendo:--Sono disquisizioni logiche che la-

sciano il tempo che trovano. Su, non roviniamo quella

che si sta rivelando, almeno per me, una piacevole serata.
Pelorat si sforzò di reprimere l'irritazione che il discor-

so di Trevize gli aveva procurato e alla fine riuscì a sorri-

dere.--Come volete voi, Dom--disse.
Trevize, che nel frattempo aveva lanciato ripetute oc-

chiate a Bliss, la quale se ne stava seduta con le mani in

grembo e con un'aria di tranquillo sfottò, disse:--E ~ue-

sto vostro mondo com'è nato, Dom? Com'è nata Gaia, con

la sua coscienza collettiva?
Dom buttò la testa indietro e proruppe in una risata

lievemente stridula. Poi corrugò la fronte e disse:--Fa-

vole, ancora favole! Ogni tanto rifletto su questo fatto,

quando leggo i documenti che parlano della storia uma-

na. Per quanto il materiale sia tenuto con cura negli ar-

chivi, e computerizzato, col tempo i suoi contorni si fan-

no sempre più indistinti e non si riesce più a capire che

cosa sia vero e che cosa falso.


«Nuovi racconti si aggiungono in continuazione, come

la polvere sui mobili. Più il tempo passa, più la storia di-

venta polverosa, fino a che degenera in favola.«
--Noi storici conosciamo bene questo processo, Dom

--disse Pelorat.--C'è come una preferenza per la favola.

Il suggestivo frutto d'immaginazione scaccia il monotono

che.risponde a realtd, disse Liebel Gennerat circa quindici

secoli fa. Oggi la chiamano la Legge di Gennerat.
--Davvero?--disse Dom.--E io che credevo di essere

l'unico a nutrire questa sfiducia nella storia. Bene, la

Legge di Gennerat riempie il passato di Gaia di fascino e

incertezza~ Sapete che cos'è un robot?


--L'abbiamo imparato su Sayshell--disse Trevize,

secco. -
--Ne avete visto uno?


--No. Ci è stata rivolta questa stessa domanda, e quan-

do abbiamo risposto negativamente, ci sono state date


spiegazloni.
--Capisco. Gli esseri umani un tempo vivevano con i

robot, sapete, ma era una convivenza d~fficile.

--Così ci è stato detto.
_ I robot seguivano strettamente le cosiddette Tre Leg-
L gi della Robotica, la cui formulazione risale addirittura

alla preistoria. Ci sono giunte diverse versioni di queste

Tre Leggi. Quella reputata esatta dice che, primo: il robot
1 non può né fare del male agli esseri umani, né permettere

che, a causa della propria colpevole inerzia, gli esseri

umani subiscano un danno; secondo: il robot deve obbe-
L dire agli ordini ricevuti dagli esseri umani, tranne nel ca-

so in cui tali ordini contravvengano alla Prima Legge

terzo: il robot deve difendere la propria esistenza, purché

COSi facendo non contravvenga alla Prima o alla Seconda

Legge.
«A mano a mano che i robot diventavano più intelli-

genti e versatili, interpretavano le Tre Leggi e soprattutto

la Prima, che condiziona le altre, in senso sempre più la-

to; in una parola, finirono per considerarsi i protettori

dell umanità. La loro protettività diventò soffocante per

la gente, o addirittura insopportabile. I robot erano di


~ una gentilezza squisita. I loro servizi erano chiaramente

E dettati da spirito altruistico e volti a beneficare tutta la

l` comunità umana, il che, per qualche motivo, li rendeva

ancora più intollerabili.


«I miglioramenti tecnici che furono messi a punto nel

campo della Robotica peggiorarono la situazione. Furono

costruiti robot con capacità telepatiche; ciò significava

che anche il pensiero umano poteva essere sottoposto a


E controllo, sicché il comportamento degli uomini era sem-

pre più soggetto alla supervisione dei robot. Inoltre, i ro-


~; bot diventarono sempre più simili d'aspetto agli uomini

tuttavia nel comportamento erano inconfondibilmenté

robot, per cui il contrasto li rendeva ripugnanti. Era ine-

vltabile, quindi, che si dovesse giungere a un epilogo

amaro. «
-- Perché inevitabile?--chiese Pelorat, che aveva

ascoltato con molta attenzione.


--Perché l'epilogo lo vuole la logica della vicenda--

disse Dom.--I robot, ulteriormente perfezionati, diven-

tarono abbastanza umani da capire perché gli uomini si

seccassero moltissimo di essere privati di tutto ciò che

era umano in nome del loro bene. A lungo andare essi fi-

nirono per pensare che l'umanità sarebbe stata meglio la-

sciata a se stessa, anche se questo l'avrebbe portata ad

agire sconsideratamente e inefficacemente. Furono quin-

di loro, secondo la leggenda, a fondare l'Eternità e a di-

ventare gli Eterni. Scelsero la Realtà che ritenevano più

sicura per gli esseri umani, quella in cui l'uomo era l'uni-

ca creatura intelligente della Galassia. Poi, avendo fatto

ciò che potevano per proteggerci, in ottemperanza totale

alla Prima Legge decisero di comune accordo di smettere

di funzionare. E da allora ci siamo stati soltanto noi uo-

mini; abbiamo fatto progressi nei limiti delle nostre pos-

sibilità, ma sempre da soli.
Dom fece una pausa. Guardò prima Trevize, poi Pelo-

rat, e disse:--Allora, credete a tutta questa storia?


Trevize scosse lentamente la testa.--No. Di queste vi-

cende non si parla in nessun documento storico di cui ab-

bia anche vaga conoscenza. E voi, Janov, che ne pensate?
--Ci sono miti che per certi versi sono simili a questo

--disse Pelorat.


--Via, Janov, ci sono miti che possono somigliare a

qualunque cosa uno di noi decida di inventare, basta es-

sere abbastanza ingegnosi e tendenziosi nell'interpreta-

zione. Io vi chiedo se i documenti storici degni di affida-

mento accennano ad avvenimenti del genere.
--No, che io sappia.
--Non mi sorprende--disse Dom.--Prima che i robot

si ritirassero definitivamente, numerosi gruppi di esseri

umani partirono alla volta di pianeti senza robot, da co-

lonizzare; era il loro modo di affrancarsi e di riconquista-

re la libertà. Questi gruppi provenivano soprattutto dalla

sovrappopolata Terra, la quale aveva alle spalle una lun-

ga storia di lotta contro gli automi. I nuovi mondi colo-

nizzati preferirono dimenticare, non tenere alcuna docu-

mentazione di quanto era successo, i colonizzatori non

avevano nessuna voglia di ricordare l'amara umiliazione

subita da parte dei robot, i quali in pratica avevano fatto

da bambinaia agli esseri umani.


--Lo ritengo assai improbabile--disse Trevize.
Pelorat si girò verso di lui.--No, Golan, non è affatto

improbabile. Ciascuna società crea la sua propria storia e

tende a cancellare le tracce delle sue origini poco gloriose

o facendo finta che non ci siano mai state, o inventando

storie completamente fittizie piene di imprese eroiche e

incomparabili. Il governo imperiale cercò di sopprimere

le notizie riguardanti il passato pre-imperiale per accre-

ditare l'idea mistica che l'Impero esistesse da sempre.

Poi, per esempio, non abbiamo quasi nessun documento

che testimoni dell'epoca precedente il volo iperspaziale.

~: E voi sapete che la maggior parte della gente, oggi, non sa

nemmeno dell'esistenza della Terra.


Il vostro discorso non è logico, Janov--disse Trevi-

E ze.--Se tutta quanta la Galassia si è dimenticata dei ro-

bot, come mai Gaia se ne ricorda?
Bliss scoppiò d'un tratto in una risata argentina.--

Perché noi siamo diversi--disse.


--Sì?--disse Trevize.--In che senso~
--Su, Bliss, questo argomento lascialo a me--disse

Dom.--Noi siamo effettivamente diversi, uomini di Ter-

minus. Fra tutti i profughi che cercavano di sfuggire alla

dominazione dei robot, noi che raggiungemmo Gaia (se-

guendo l'itinerario di altri che raggiunsero Sayshell) era-

vamo gli unici ad avere imparato dai robot l'arte della te-


L lepatia. Perché è un'arte, sapete. E una facoltà innata nel-
E la mente umana, ma va coltivata con cura e meticolosità
E estreme. Perché raggiunga il suo potenziale massimo oc-

corrono gli sforzi di molte generazioni, ma una volta che

il meccanismo è avviato, si alimenta da solo. Noi prati-
E chiamo quest'arte da più di ventimila anni e il giudizio-

di-Gaia è che il potenziale massimo non è stato ancora

raggiunto. Fu tanto tempo fa che l'esercizio della facoltà

telepatica ci portò a capire che esisteva una coscienza

collettiva. Prima ci rendemmo conto soltanto dell'appor-

to degli esseri umani, poi di quello degli animali e delle

piante, e infine, non molti secoli fa, di quello della strut-
F tura inanimata del pianeta.
apoiché sapevamo che l'arte ci era stata trasmessa dai
~ robot, non ci dimenticammo di loro. Li consideravamo
L non già delle bambinaie, ma dei maestri, perché avevano

aperto la nostra mente a qualcosa di prezioso cui non ci

saremmo sentiti di rinunciare neanche un momento. Li

ricordlamo con gratitudine.«


~` --Però--disse Trevize--proprio come una volta era-

vate dei bambini rispetto ai robot, adesso siete dei bam-

bini rispetto alla coscienza collettiva. ~on avete perso la

vostra umanità, così come la perdeste allora.


--E diverso, Trev. Ciò che facciamo ora lo facciamo
er nostra libera scelta, ed è questo che conta. Nessuno ci

orza dall'esterno; è la nostra volontà che ci guida dall'in-


~ terno. E un fatto importante, questo, che abbiamo sem-
-~ pre presente. E siamo diversi anche sotto un altro profilo:
L il nostro pianeta è unico, nella Galassia. Non ci sono altri

mondi come Gaia.

--Come potete esserne sicuro?
--Perché se così non fosse lo sapremmo. Capteremmo

una coscienza planetaria come la nostra anche se si tro-

vasse all'altro capo della Galassia. Abbiamo a esempio

individuato i primi segni di una coscienza del genere nel-

la Seconda Fondazione, circa due secoli fa.
--All'epoca del Mulo?
--Sì, uno di noi--disse Dom, torvo.--Era un crimi-

nale e se ne andò. Fummo abbastanza ingenui da pensare

che non l'avrebbe mai fatto, così non intervenimmo in

tempo per fermarlo. Poi, quando rivolgemmo la nostra

attenzione verso i Mondi Esterni, ci accorgemmo di quel-

la che chiamate la Seconda Fondazione e lo lasciammo

nelle sue mani.
Trevize rimase con gli occhi fissi nel vuoto per ~ualche

attimo, poi mormorò:--Ecco a che cosa servono i nostri

libri di storia!--Scosse la tesra e a voce più alta, disse:--

E stato un comportamento abbastanza vile da parte di

Gaia, no? In fondo, la responsabilità era la vostra.
--Avete ragione. Ma quando finalmente ci mettemmo

a osservare la Galassia, vedemmo quello che sino allora

non eravamo riusciti a vedere, per cui la tragedia del Mu-

lo si rivelò salutare per la nostra esistenza. Fu infatti in


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