La vita e I miracoli



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Padre, datemi la vostra benedi­zione. Torno a casa. Era il 12 novembre 1959 commendator Alberto Galletti, mi­lanese, si era inginocchiato davanti a Padre Pio nella sacrestia della chiesetta di Santa Maria delle Grazie. "Figlio spirituale" del Pa­dre, aveva trascorso una settimana a San Giovanni Rotondo e si accingeva a rientrare a casa. - Vai, figliolo. E che l'Angelo del Signore ti accompagni e ti protegga. - E con la mano bendata il Padre tracciò una croce sul capo del "figlio spirituale". - Vorrei chiedervi una benedizione speciale anche per il nostro arcivescovo, il cardinale Montini - disse ancora il commendator Galletti. - Oh, non una benedizione, ma una fiumana di benedizioni -rispose Padre Pio. - E aggiungo la mia indegna preghiera. Ma tu dì all'arcivescovo che, dopo questo Papa, toccherà a lui salire sul trono di Pietro. Si prepari. Hai capito? Glielo devi dire! - Lo farò senz'altro, Padre. Tornato a Milano, il commendator Galletti come prima cosa andò a trovare l'arcivescovo e gli riferì l'ambasciata di Padre Pio. - Oh... le strane idee dei santi!... - commentò il cardinale Montini. Conosceva bene il Padre. Aveva imparato a stimarlo la­vorando accanto a Pio XII, di cui era stato segretario di Stato, e (…) era nota la grande stima che Papa Pacelli nutriva per quel reli­gioso. Fu contento quindi di sapere che il Padre pregava per lui, ma non diede peso alle sue previsioni. Eppure risultarono esatte. Quattro anni dopo, il 21 giugno 1963, al termine di un conclave brevissimo durato un solo giorno, il cardinale Montini fu eletto successore di Giovanni XXIII e pre­se il nome di Paolo VI. Il nuovo Papa si ricordò subito di Padre Pio. Sapeva tutto quel­lo che gli era capitato. Conosceva le polemiche, le accuse, i risul­tati della "visita apostolica" di Monsignor Maccari, le disposizio­ni emanate dal Sant'Uffizio. Ed era anche al corrente del modo in cui il Padre stava sopportando il suo calvario. Qualche mese dopo la sua elezione, il Papa convocò il cardinale Alfredo Ottaviani, segretario del Sant'Uffizio. - È mio desiderio - gli disse - che Padre Pio svolga il suo mi­nistero in piena libertà. - Sono d'accordo con lei, Santo Padre - rispose il cardinale Ottaviani, che era sempre Stato anche lui un difensore del Padre. Di colpo l'atmosfera a San Giovanni Rotondo cambiò radical­mente. Sparirono dalla chiesa le transenne, le sbarre, le catene. Caddero nel dimenticatoio le varie disposizioni che facevano del Padre un sorvegliato a vista, e gli fu di nuovo affidato un confra­tello che lo aiutasse negli spostamenti. Non tutti furono però solleciti ad uniformarsi ai desideri del Pa­pa, e allora Paolo VI convocò un'altra volta il cardinale Ottaviani e gli disse: - Faccia sapere ai Superiori religiosi dei Cappuccini che devo­no comportarsi con Padre Pio come se non fosse tenuto al voto d’obbedienza. Si trattava di un intervento perentorio, che rappresentava il de­siderio di concedere un pò di pace ad un uomo ormai anziano, tor­mentato da tutti durante tutta la sua esistenza. L’intervento risoluto di Paolo VI servì a rendere meno dolorosi gli ultimi anni di Padre Pio. Questi era ormai segnato in modo ir­reparabile dagli acciacchi e dalle sofferenze fisiche e morali. Gior­no dopo giorno andava perdendo il suo vigore. Faticava sempre più a camminare. Con i piedi gonfi come palloni si trascinava dolorosamente dall'altare al confessionale e, quando era chiamato alla finestra della sua cella per impartire la benedizione, cosa che avveniva molte volte al giorno, si alzava a fatica dalla poltrona e arrancava verso la finestrella trascinando i piedi. La notte non riu­sciva a dormire. Per quasi un anno lo tormentò un grosso forun­colo all'orecchio sinistro; gli fu bruciato più volte da specialisti, ma si riformava puntualmente. L’asma bronchiale gli provocava un fortissimo senso d’oppressione al petto che spesso lo lasciava senza respiro. L’artrosi gli procurava lancinanti dolori alle ginoc­chia e alla colonna vertebrale; ad un certo punto non riuscì più a muovere le gambe, e dovette ricorrere ad una sedia a rotelle. Non me le sento più - confidava a chi lo accompagnava. Anche il suo umore era cambiato. Sempre faceto e burlone, perfi­no nei momenti più difficili della sua vita, ora se ne stava in dispar­te, silenzioso, anche durante la ricreazione serale. Tuttavia temeva di essere lasciato da solo. Chiedeva a Padre Alessio, il confratello addetto alla sua persona, di non abbandonarlo. - Figlio mio, rimani qui, perché non mi lasciano in pace un secondo. - Chi vi tormenta, Padre? - Se vedessi quel che vedo io, moriresti di spavento. I "figli spirituali" gli si stringevano allora intorno con affetto. - Come sta, Padre? - Sto tutto fracassato - rispondeva con voce stanca. Il caldo, che era sempre stato suo acerrimo nemico, lo faceva soffrire moltissimo. D'estate andava spesso soggetto a collassi e svenimenti. - Padre, deve riposare, starsene a letto - gli consigliavano i medici. - Ma io non posso stare in cella mentre in chiesa le anime aspettano - rispondeva. Un giorno un gruppo di "figli spirituali" andò a trovarlo e a sa­lutarlo. - Figlioli - disse loro - un altro poco mi vedrete, e dopo non mi vedrete neppure con il cannocchiale. - Padre, per amor di Dio, non ci lasciate orfani. - Ricordatevi che in cielo posso aiutarvi di più. Dopo aver preparato i posti, verrò con Gesù e vi prenderò con me. Siate co­stanti e perseveranti, non abbandonate mai l'ovile. Dove sarò io, sarete anche voi. - Padre, potremo stare veramente vicino a voi in paradiso? - Non sapete quel che dite - rispose. - E che paradiso sarebbe per me, che luogo di perfetta totale felicità sarebbe, se i miei figli non fossero tutti vicini a me? Saremo vicini come se fossimo tutti quanti sulla punta di un ago. Quel che vi raccomando è di amarvi come io vi amo. La gioia più grande di un padre è che i figli si ami­no, che formino un solo cuore, una sola anima. Ve lo ripeto: amatevi come io vi amo. Il 20 settembre 1968 ricorrevano cinquant'anni dall'impressio­ne delle stigmate di Padre Pio. - Bisogna organizzare una grande festa - disse un confratello al Padre. - Altro che festa! Dovrei fuggire e scomparire per la confusio­ne che provo. Figliolo mio, sappi che io sono il più grande pecca­tore del mondo. - Ma Padre, se è da cinquant'anni che siete crocifisso come Cristo... - Cinquant'anni d’indegnità! Padre Pio desiderava che la ricorrenza passasse sotto silenzio. Ma i "figli spirituali" e i rappresentanti dei Gruppi di preghiera avevano deciso di affluire a San Giovanni Rotondo da ogni parte del mondo. I Superiori stabilirono di dedicare il 20 settembre, un venerdì, alla preghiera e alla celebrazione di una festa intima e spirituale. I giorni 21 e 22 però, vale a dire sabato e domenica, ci sarebbe stata festa grande. I figli spirituali avrebbero organizzato a San Giovanni un raduno di tutti i rappresentanti dei Gruppi di preghiera. E avrebbero festeggiato con amore il Padre. Il programma fu divulgato, e cominciarono ad arrivare preno­tazioni da ogni parte. Nel giro di poco tempo gli alberghi non ave­vano più un posto letto libero; andarono esauriti anche quelli dei paesi vicini e di Foggia. Molti fedeli, non avendo trovato per tem­po una sistemazione, decisero di dormire in automobile. La mattina del 20 settembre il Padre celebrò la Messa come sempre alle 5. La chiesa era stracolma. L'altare maggiore e il crocifisso del coro erano stati letteralmente coperti di rose rosse. Poi, per tutto il giorno il Padre rimase in cella o in coro a pregare, e nella serata i "figli spirituali" gli manifestarono il loro affetto con una fiaccolata che parti dal piazzale davanti alla clinica e arrivò fin sotto le finestre della cella del Padre. Lui però fu costretto a resta­re a letto: un improvviso malore gli aveva tolto ogni forza. Il mat­tino successivo, quando cercò di alzarsi, fu colto da un attacco d'asma violentissimo, e fu chiamato di corsa il medico. Debo­le e spossato dalla tosse, il Padre non riuscì a celebrare la Messa. Il 22 settembre, domenica, il Padre si era un pò ripreso. Al mattino molto presto scese come il solito nella sacrestia per pre­pararsi a celebrare la Messa delle 5. Trattandosi di un giorno di grande festa, il Guardiano aveva ordinato che la Messa fosse solenne, cioè cantata. - Non posso farcela - si lamentò Padre Pio. Una Messa can­tata comportava per il sacerdote una fatica notevole. Il Padre si sentiva ancora debole, ma la sua richiesta non fu ascoltata. Arrivò all'altare sulla sedia a rotelle. La sua voce era stentorea e tremolante, e a mano a mano che il rito procedeva sul suo viso si notava uno sforzo enorme. Al "Prefatio" era così stremato che non riuscì a cantarlo e lo recitò. Poco dopo si smarrì: invece del "Pater noster" intonò il "Prefatio". Poi, quando la Messa era quasi al termine, ebbe un collasso. Barcollò vistosamente. - Oddio, il Padre sviene - gridarono coloro che gli erano vici­ni. La folla dei fedeli fu percorsa da un brivido. I confratelli che gli stavano accanto lo sostennero. Fra Guglielmo Bilì, un america­no gigantesco, lo prese tra le braccia possenti e lo adagiò delicata­mente sulla sedia a rotelle. Poi lo condusse in sacrestia. Qui il Pa­dre si riprese e chiese di poter fare il ringraziamento della Messa in sacrestia, e non nel coro, com’era sua abitudine. Sembrava non volesse allontanarsi dalla gente che si accalcava alla balaustra e alla porta della sacrestia per avere sue notizie. Continuava a guardare quei suoi "figli spirituali", quasi volesse riempirsi gli oc­chi con i loro visi preoccupati. - Ora vado a confessare - disse ad un certo momento. - Padre, non è prudente, siete affaticato - lo consigliarono i confratelli. - È il mio dovere, devo andare, le anime aspettano. Io accontentarono, ma il tragitto verso il confessionale dovette essere interrotto perché il Padre si sentì di nuovo mancare. Allora fu condotto in cella e messo a letto. Riposò tranquillo e alle 10 volle alzarsi. - Voglio salutare per l'ultima volta i miei figli - disse. Il piazzale della chiesa era gremito di gente. Era l'ora in cui, cin­quant'anni prima, nel corpo del Padre si era compiuto il grande mi­stero. Trascinandosi a fatica, sostenuto dai confratelli, entrò nel co­ro della vecchia chiesetta, sostò davanti al crocifisso di legno, poi si affacciò alla finestrella che dava sul sagrato. Agitò la mano coperta dal mezzo guanto. La folla rispose con un boato di grida, applausi e uno sventolare di fazzoletti bianchi. Padre Pio piangeva. Verso sera scese in chiesa e dal matroneo assistette alla Messa ve­spertina. Al termine tentò di alzarsi per benedire la gente, ma non ci riuscì. Rimase piegato in due, incapace di muoversi, e fu sollevato di peso, adagiato sulla sedia a rotelle e ricondotto in cella. Stava molto male. Chiese di avere accanto Padre Pellegrino da Sant'Elia a Pianisi, che da tempo lo vegliava durante la notte. Pa­dre Pellegrino occupava una cella vicina, comunicante con quella di Padre Pio, dove era stato installato un citofono. Così Padre Pel­legrino poteva sentire qualsiasi rumore e intervenire prontamente ad ogni richiamo del confratello. In genere Padre Pellegrino prendeva servizio verso mezzanotte, ma quella sera Padre Pio chiese di lui intorno alle 9. - Dov'è Padre Pellegrino? Fatelo venire, per favore - si lamentava. - Eccomi, sono qui, Padre spirituale. - Per favore, figlio mio, non lasciarmi solo. - Non mi muovo, Padre, state tranquillo. Gli altri confratelli se ne andarono. Padre Pio sembrava assopi­to. Padre Pellegrino guardò la stanza soffermandosi sui particola­ri. La vedeva tutti i giorni, quella cella, eppure non l'aveva mai os­servata bene. Addossata alla parete c'era la branda semplice e povera su cui riposava il Padre. Accanto, un inginocchiatoio con sopra una sveglia, un orologio, il crocifisso. Sulla parete, in fondo ai piedi del letto, un grande dipinto della Madonna. Di fronte alla branda un tavolino, sul quale Padre Pio teneva i suoi oggetti per­sonali: una spazzola, un paio di limette per le unghie, un tagliacarte, una sveglia, due orologi, un breviario, le fotografie del Pa­pa, di parenti, di qualche amico e altre piccole cose. Accanto al tavolo, la poltrona. Guardando le sveglie e gli orologi, Padre Pellegrino sorrise. "La sua mania" pensò. "Ha sempre avuto paura di arrivare in ritardo!" Si avvicinò al letto. Il Padre si era addormentato. Allora spense la luce e andò nella stanza accanto. Verso le li sentì la voce di Padre Pio che lo chiamava. - Eccomi - disse entrando nella cella. - Che ore sono? - domandò il Padre. - Le 11. - Grazie, fratello. Dalle il a mezzanotte chiamò altre cinque volte, chiedendo sem­pre l'ora. Padre Pellegrino accorreva e scopriva che il Padre appari­va sereno, tranquillo, come le altre notti. I suoi occhi lacrimavano, ma questo succedeva spesso. Pregava in continuazione. Subito dopo la mezzanotte chiamò per la sesta volta. - Puoi restare con me, figlio mio? - Certo che posso. Padre Pellegrino si sedette sulla poltrona come faceva di solito. - No. Vieni qua, vicino a me - disse il Padre indicando con la mano la sedia. Padre Pellegrino accostò la sedia al letto e si sedette. U Padre gli prese la mano stringendola forte. Tremava come un bambino feb­bricitante. Continuava a chiedere l'ora, come se avesse un appuntamento e fosse impaziente. Non si era mai comportato così, e Padre Pelle­grino cominciò a preoccuparsi. - Guagliò, a dette Messe? - Padre spirituale, è presto per la Messa. - Stamattina la dirai per me. Poco dopo Padre Pio volle confessarsi. Al termine disse: - Figliolo, adesso vorrei rinnovare nelle tue mani l'atto della professione religiosa. Padre Pellegrino ebbe un attimo di sorpresa Si trattava di un gesto che i frati facevano per consuetudine sul letto di morte. Però non aveva l'impressione che Padre Pio fosse così grave. - Non è necessario - si affrettò a dire. - Sì, è proprio necessario - ribatté il Padre. Si raccolse in preghiera. Porse le mani giunte al confratello, che le strinse tra le sue, e con voce tremante pronunciò la formula di rito: - Io, Padre Pio, faccio voto e prometto a Dio Onnipotente, al­la Beata Maria sempre Vergine, al Beato Padre San Francesco, a tutti i santi, e a te, Padre, per tutto il tempo di vita mia, di osser­vare la Regola e la Vita dei Frati Minori, per il signor Papa Ono­rio confermata, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità. - E io - gli rispose Padre Pellegrino - se tutte queste cose os­serverai, ti prometto da parte di Dio la vita eterna. Una placida serenità avvolse il volto del Padre. - Figlio mio, se oggi il Signore mi chiama, chiedi perdono per me ai confratelli di tutti i fastidi che ho dato loro. Chiedi anche una preghiera per l'anima mia. - Sono sicuro, Padre, che il Signore vi farà vivere ancora a lun­go. Ma se doveste avere ragione voi, vi chiedo un'ultima benedi­zione per i confratelli, i "figli spirituali" e gli ammalati. - Sì, sì. Li benedico tutti. Chiedi al Superiore che sia lui a dare per me questa benedizione. Il Padre chiuse gli occhi e per alcuni minuti rimase immobile in silenzio. - Non respiro bene a letto, aiutami ad alzarmi. - Forse non è prudente, Padre. - Mi sentirò meglio in piedi. Padre Pellegrino lo aiutò a sedersi sul letto e poi a vestirsi. Il Pa­dre andò al lavabo e si passò dell'acqua sul volto prendendola con le mani dalla brocca. Si pettinò la barba e si sedette in poltrona. - Guarda se il cielo è stellato. - Sì, Padre, è pieno di stelle - disse Padre Pellegrino dopo aver sbirciato dalla finestra della cella. - Allora usciamo. - Il Padre si alzò dalla poltrona da solo. Si raddrizzò completamente, cosa che non faceva da anni. Padre Pel­legrino si avvicinò per sostenerlo, ma si accorse con stupore che non ne aveva bisogno. Camminava dritto e spedito come un giovane. Il confratello lo seguiva allibito. "Non l'ho mai visto così bello e leggero" disse fra sé. Il Padre uscì nel corridoio, si avvicinò alla porta della veranda e accese la luce con le sue mani, cosa che non faceva mai. - Che meraviglia! - mormorò guardando il cielo stellato. Ri­mase alcuni minuti in contemplazione silenziosa, poi sedette sulla poltrona di vimini dove spesso, di pomeriggio, si fermava a pregare. All'improvviso cominciò ad impallidire. - Torniamo in camera - disse. Il confratello si avvicinò per aiutarlo ad alzarsi e si accorse che si era appesantito. Non aveva più energia per reggersi, e da solo Padre Pellegrino non riusciva a sostenerlo. - Stia fermo qui sulla poltrona che vado a prendere la sedia a rotelle. Anche in camera faticò molto a spostarlo dalla sedia a rotelle alla poltrona. Sembrava diventato un corpo morto, come se anche la più piccola briciola d’energia lo avesse abbandonato. Il suo viso era pallido, le labbra cianotiche. Ripeteva con voce sempre più debole: - Gesù, Maria, Gesù, Maria... Padre Pellegrino si spaventò. - Vado a chiamare il Guardiano. - No, figlio mio, non disturbare nessuno, va già meglio. Seduto in poltrona il Padre guardava fisso la parete di fronte, dove c'erano il ritratto della madre e altre fotografie. - Chi c'è lì? - domandò al confratello. - È il ritratto di sua madre. - Io vedo due mamme. "Gli si è annebbiata la vista" pensò Padre Pellegrino sempre più allarmato. Si avvicinò al quadretto e lo indicò con il dito. - Vede, Padre, questo è il quadretto con il ritratto della sua mamma. Mentre queste sono altre fotografie. - Non preoccuparti, ci vedo benissimo. Lì vedo due mamme. Padre Pellegrino ebbe un sussulto. Tutti i confratelli che cono­scevano bene Padre Pio sostenevano che vedesse spesso la Madon­na. Dicevano che la Vergine era sempre presente nella sua cella e che a volte gli serviva la Messa. Lui stesso lo aveva sorpreso men­tre parlava come se davanti a lui avesse avuto la Vergine, e ne era rimasto sorpreso. "Forse il Padre in questo momento vede la Madonna" pensò. Voleva rivolgergli delle domande per avere la certezza di quella vi­sione, ma si accorse che le forze stavano per abbandonarlo. In po­chi attimi le condizioni di Padre Pio erano precipitate. Padre Pelle­grino andò a bussare alla vicina cella di Padre Guglielmo. Questi avverti il Guardiano e altri confratelli. Qualcuno telefonò in clini­ca. Accorsero i medici trafelati, cercarono di dare ossigeno al Pa­dre per tenerlo in vita e gli fecero delle iniezioni. Ma fu tutto inu­tile. Alle 2,30 Padre Pio, senza un sussulto, senza un respiro affannoso, chinò dolcemente il capo ed esalò lo spirito a Dio. Nella cella si fece un gran silenzio. Dopo una decina di minuti fu necessario iniziare le operazioni per la preparazione della sal­ma. Il corpo del Padre fu disteso sul letto. Dalle mani gli furo­no sfilati i mezzi guanti e dai piedi le calze. I presenti erano curio­si di poter finalmente ammirare quelle piaghe che per mezzo secolo avevano costituito il mistero del Padre. Ma rimasero senza parole. Le mani e i piedi erano perfettamente intatti. Nessun se­gno di ferite, neppure una piccola cicatrice. La pelle era liscia e ro­sea come quella di un bambino. I frati si guardavano in faccia perplessi. Nella mente di qualcu­no che non aveva mai creduto a Padre Pio si fece vivo un pensiero beffardo: "Era tutto un imbroglio". Solo i medici continuarono ad osservare attenti e profondamente colpiti. Giravano e rigiravano quelle mani e quei piedi. Li palpavano, li piegavano, li scrutavano alla ricerca di un piccolissimo segno. Os­servarono anche il costato, che appariva perfettamente sano. - Che ne pensate? - azzardò ad un certo momento il Padre guardiano. - È accaduto un nuovo grande prodigio - rispose con voce commossa il dottor Francesco Valdi. - Le piaghe sono scomparse senza lasciare cicatrici. Una cosa inaudita, inconcepibile dal punto di vista scientifico. Che le piaghe ci fossero, ne siamo certi, perché esistono le relazioni mediche di diversi colleghi che le hanno stu­diate. Qualsiasi ferita lascia sempre un segno. Nel nostro caso non è avvenuto. Perché la ferita si richiudesse in questo modo, si è do­vuta verificare una "ricostruzione" dei tessuti, una "creazione" di nuove cellule, di nuova carne, di nuova epidermide. Solo in virtù di un intervento miracoloso poteva succedere una cosa del genere. La notizia della morte di Padre Pio trapelò qualche ora dopo. At­traverso le radio e i giornali fu diffusa in ogni parte del mondo. E come per incanto il mondo scoprì quanto popolare e amato fosse il Padre. Tutti piangevano la scomparsa del «frate con le stigmate" e dicevano che era morto un "grande santo". La salma fu esposta nella chiesa di San Giovanni Rotondo alle 8,30 di quel mattino, e per quattro giorni ci fu una processione continua di devoti e ammi­ratori che volevano rendere omaggio al Padre. Passavano davanti alla bara, depositavano un fiore, piangevano, lo salutavano, lo ba­ciavano. Non potevano fermarsi perché l'afflusso era ininterrotto. Giovedì 26 settembre, alle 15,30, un corteo funebre di oltre 100.000 persone sfilò per le vie di San Giovanni Rotondo. Dall'al­to, una pioggia di petali: dagli elicotteri della polizia e dell'avia­zione alcune persone gettavano dei fiori. A sera la salma fu tu­mulata nella cripta della chiesa di Santa Maria delle Grazie, sotto un blocco monolitico di granito azzurro del Labrador. "E adesso?" si domandò Padre Pellegrino smarrito. Era rimasto solo accanto alla tomba, nel silenzio freddo della cripta illuminata fiocamente. Sembrava che non riuscisse a staccarsi da quel luogo. Negli ultimi anni aveva trascorso molte notti accanto a Padre Pio, era stato testimone difatti arcani, di scene inspiegabili, di presenze invisibili e aveva ricevuto confidenze preziose che adesso, nella sua mente, tornavano con interrogativi, domande, dubbi, speranze. "Adesso, Piuccio, dove sei?" si domandava. La risposta gli sem­brava lampante: "Certamente tu sei già in paradiso. Dopo tutto quello che hai sofferto e patito su questa terra!". Tuttavia gli ven­ne anche un dubbio. Ricordò alcune frasi che il Padre aveva detto qualche settimana prima ad una delle sue «figlie spirituali": - Quando sarò morto, pregherò San Pietro di poter aspettare sulla porta del paradiso, per far entrare tutti i miei figli quando arriveranno. Poi entrerò anch'io. Padre Pellegrino sorrise. - Eh, sì, saresti capace di fare anche questo, Piuccio - disse commosso e salutò con un gesto della mano.



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