A lorenzo Artico


Una città sull’orlo di una crisi di nervi



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Una città sull’orlo di una crisi di nervi


(Luther Blissett Project Torino, febbraio-aprile 1998)


Una guerra civile virtuale


Se Baudrillard aveva definito la guerra del Golfo una guerra virtuale, in piccolo possiamo definire la vicenda torinese che va sotto il nome di “problema squatter” una guerra civile virtuale. Ovviamente virtuale perché non è mai esistita nei termini in cui è stata presentata. Non che non sia successo nulla: tutto è partito da un fatto atroce, il suicidio in carcere di Edoardo Massari, anarchico fatto arrestare dal Magistrato Laudi e accusato di essere un “eco-terrorista”.

Alcune date che scandiscono questa vicenda:

27 febbraio: al termine del concerto dei 99 Posse alla Lega dei Furiosi [2], cinquecento autonomi sfilano per le vie del centro chiedendo la liberazione di Salvatore Ricciardi e dei detenuti politici degli anni ’70. Il corteo non è autorizzato e via Po si riempie di scritte.

5 marzo: operazione dei Ros, che sgomberano tre case occupate e arrestano tre anarchici (Edoardo Massari, Maria Soledad Rosas e Silvano Pellissero) accusati di aver messo delle bombe contro l’Alta Velocità in Valle di Susa [3].

6 marzo: presidio in centro contro lo sgombero delle case (prima apparizione degli squatter come “nemico pubblico numero uno”), scontri con la polizia, vengono infrante diverse vetrine e sette manifestanti vengono fermati ma poco dopo rilasciati.

28 marzo: si uccide in carcere Edoardo Massari, dopo che il giorno precedente il Tribunale per la Libertà ne aveva confermato l’arresto. Corteo in centro.

3 aprile: funerale di Massari a Brosso, paesino del Canavese. Viene consentito di partecipare anche a Maria Soledad Rosas, fidanzata argentina di Massari, ancora agli arresti. Sette giornalisti vengono assaliti e picchiati e uno di questi finisce in ospedale con gravi lesioni.

4 aprile: corteo nazionale di oltre cinquemila persone a Torino. Infranti i vetri del Palazzo di Giustizia.

6 aprile: il sindaco Castellani ritira la delega all’assessore Alberione (di Rifondazione Comunista) che ha partecipato al corteo, dopo la presa di posizione dei commercianti e de “La Stampa”.

11 aprile: la crisi di Giunta rientra.

Questi i fatti essenziali, tra cui molti meno rilevanti: cortei, prese di posizione, tensioni, articoli e servizi televisivi. L’evento è stato creato dal poco ed è stato in grado di far interagire tutti gli attori di questo rapporto sociale, consolidando identità prima deboli, cristallizzandole in azioni eseguite come da copione. I carabinieri cattivi che pisciano sui materassi dei centri sgomberati, la polizia brava che fa svolgere il corteo, la Giunta Comunale che vuol dialogare, la Giunta Comunale ricattata dai commercianti, la Giunta Comunale ricattata da Rifondazione Comunista, la Giunta Comunale che punisce chi sbaglia, la destra che chiede ordine e polizia, i commercianti che difenderanno i loro negozi coi bastoni, il prete che vuole dialogare nella legalità, gli intellettuali che spiegano, i giornalisti avvoltoi, i giornalisti vittime, gli anarchici che “sono sempre bastonati, dal clero e dallo Stato”. Tutti nel loro ruolo, nel gioco di ruolo a beneficio dei media, per amplificare paure e tensioni molto reali, drammatizzandole, concretizzandole nello stesso momento in cui le rendono virtuali, pure immagini. Una grande paura che rinvigorisce gli spiriti, una “grande esperienza” in attesa della prossima.

In questo grande gioco, Edoardo Massari invece è morto realmente.

Torino però non è mai stata nel marzo-aprile 1998 sull’orlo della guerra civile, non siamo tornati indietro negli anni Settanta, nessun clima cupo, la gente continuava a girare per strada, chiedendosi certo cosa stava succedendo.

La parola “squatter” ha sostituito nel nostro immaginario “somatostatina”, esattamente come questa aveva sostituito c’è crisi, c’è molta crisi, oppure ho vinto quacchecosa? Pronta ad essere dimenticata. Parole mediatizzate dalla vita breve.



Una città che vive sull’orlo di una crisi di nervi


Torino è una città che attraversa la crisi che segna la fine della città-fabbrica fordista in senso classico, crisi che la proietta verso un limbo indefinito, costringendola a cercare nuove identità. La fine della città-fabbrica segna anche la fine del soggetto che l’aveva egemonizzata: la classe operaia Fiat sconfitta nell’ottobre 1980 e le sue organizzazioni storiche. Emergono nuove figure che andranno a sostituirla sul palcoscenico civico e sociale: prima i quadri-Fiat, quelli della “marcia dei 40.000” e dell’Associazione Quadri di Arisio, più tardi i commercianti dell’Ascom, l’Associazione Commercianti guidata da De Maria, e poi i Comitati Spontanei [4].

La città in crisi significa soprattutto la rottura del legame sociale, l’atomizzazione, la frammentazione, la distruzione degli ultimi elementi di culture autonome nella città, la fine della differenziazione spaziale cittadina per come si era consolidata negli ultimi ottant’anni e più, la fine delle cinture operaie, delle barriere operaie. La crisi della rappresentanza, del ruolo dei partiti e del sindacato.

D’altra parte a Torino non si assiste all’esplosione del lavoro autonomo di seconda generazione, Torino non ha il fascino del bacino di lavoro immateriale che hanno altre metropoli.

Emerge una grossa paura come frutto della crisi e dell’isolamento. L’interruzione della comunicazione sociale ha come frutto la “balcanizzazione” della città: ogni quartiere, ogni fetta di quartiere, ogni isolato ragiona all’interno di logiche difensive, vivendo una condizione di “stato d’assedio” continuo e virtuale, una sindrome di invasione e di impoverimento costante che genera il “rancore come forma politica di massa” così ben descritta da Aldo Bonomi.

Assistiamo così non alla fuga dalla città, ma ad un costante allontanamento dalla città: non più centro unico produttivo, non più capace di attrarre, di affascinare: la città perde la sua egemonia, non è più il luogo della possibilità, della libertà, della circolazione delle idee, diventa il luogo del disagio, la città “sporca”, crogiolo di disordine. La provincia prende la sua rivincita.

Prevale la paura. E negli ultimi anni la politica torinese ha vissuto di queste paure.

Farne l’elenco a partire dal 1993 ghiaccia il sangue nelle vene: gli immigrati di San Salvario [5] (a più riprese), i tossici e gli spacciatori di San Salvario, dei Murazzi del Po (ogni estate), Piazza Carlo Felice [6], Porta Palazzo (immigrazione e spaccio), le prostitute della Pellerina, i bidellli “tossici” delle Cooperative B nelle scuole elementari, i violentatori del Parco del Valentino, i barboni di Santa Rita [7], quelli di via Roma e Piazza Castello, i venditori abusivi alla sera in Piazza Castello, i lavavetri, gli squatter.

Nessun’altra città è riuscita a crearsi una tale quantità di capri espiatori in così pochi anni.

Una città che sembra riuscire a tenersi insieme solo in un clima d’emergenza, da invasione o guerra civile simulata. Il laboratorio, il precedente sembra essere stato la Torino “assediata” dal terrorismo, alla fine degli anni Settanta, quella del processo alle Br, dell’omicidio Casalegno, di Peci. È quel clima che si replica.

Guerre civili simulate che lasciano a terra delle vittime. In piena campagna, artificialmente creata, sull’emergenza immigrazione a San Salvario, viene ucciso un orefice durante una rapina: sono arrestati due tossicodipendenti italiani (immaginiamoci cosa sarebbe successo in quel clima se gli assassini fossero stati due immigrati!); ai Murazzi del Po prima muore un immigrato, annegando nel fiume dopo essere stato ammanettato dalle forze dell’ordine, intervenute in una rissa tra immigrati e buttafuori dei locali; l’anno dopo muore annegato un altro immigrato, mentre un gruppo di italiani gli impedisce di raggiungere la riva e salvarsi. Questa volte a morire è stato Edoardo Massari, anarchico, uccisosi in carcere.




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