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Radio Black Out: contro la libertà di stampa - Ghiglia e la stampa



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Radio Black Out: contro la libertà di stampa - Ghiglia e la stampa


Radio Black-Out nasce nel 1992. Nello stesso anno aprono altre due radio, una a Milano (Radio Onda Diretta) e una a Bologna (Radio K Centrale). Tengono compagnia ad altre emittenti di “movimento” sopravvissute agli anni ’70: Radio Onda Rossa di Roma, Radio Sherwood di Padova, Radio Onda d’Urto di Brescia. Radio diverse tra loro, di cui poco ci si è occupati. A Torino ne parlano solo ogni tanto i giornalisti musicali: Alberto Campo su “Repubblica” e Gabriele Ferraris sulla pagina degli spettacoli de “La Stampa”. Il Comune finanzia addirittura le sue feste annuali. Tutto bene quindi. Fino al marzo ’98.

Agostino Ghiglia (consigliere regionale e comunale di An, per inciso è stato in galera per aver picchiato uno studente del Liceo Volta e ne è uscito dopo aver chiesto scusa, ci sono ancora in giro le scritte “Ago infame” per le scuse) chiede con un’interpellanza un controllo da parte dell’Escopost (la polizia dell’etere) sulla legalità della radio. Peccato che l’Escopost sia di casa a Radio Black-Out (che ha da alcuni mesi un contenzioso con i Ros dei carabinieri per un documento riservato dell’inchiesta Marini che ha reso pubblico). Finirebbe tutto lì se Radio Black-Out non fosse diventata la radio più famosa d’Italia, radio squat, riblobbata su Tg nazionali, Radiorai, programmi sul “disagio giovanile”. Ma soprattutto la radio dai cui microfoni è stato urlato “Giornalisti assassini”, “Magistrati macellai”, e altre rozzezze simili, giocattolo di quel gioco di simulazione che i redattori di Radio Black-Out sono stati contenti di giocare appieno, vedendosi confermare la loro identità “antagonista”. Non riuscendo o non potendo andare al di là di questo.

E allora si chiede di chiuderla: come al solito la Magistratura indaga, i politici di destra la indicano come capro espiatorio, l’ordine dei giornalisti apre il suo fronte.

Lo scontro coi giornalisti


Lo scontro con i giornalisti ha caratterizzato l’intera vicenda. E questo scontro si è manifestato in un susseguirsi di episodi. Da un lato la semplificazione dei media che ha “provocato” le risposte degli squat (a partire dalla costruzione della categoria di eco-terrorista fino alla mediatizzazione della figura dello squatter). Dall’altro l’escalation: l’irruzione al salone de “La Stampa” con il lancio dei vermi, la conferenza stampa con la carne macellata offerta ai cronisti, le botte ai giornalisti al funerale di Massari a Brosso, l’accusa ai giornalisti di essere tra agli assassini di Edoardo Massari, la pubblicazione sul manifesto di convocazione del corteo del 4 aprile dell’elenco dei giornalisti “nel mirino”, l’allontanamento dei giornalisti dal corteo stesso.

Comunque i fatti di Brosso hanno rappresentato un vero spartiacque per l’opinione pubblica: Daniele Genco, cronista dell’Ansa e della “Sentinella del Canavese” (giornale di Ivrea), è stato aggredito ed è finito all’ospedale con gravi lesioni.

Certo questo Genco non è un’aquila: sulla “Sentinella” ha attaccato Massari all’epoca del primo arresto [9], ha testimoniato contro gli anarchici per degli incidenti a Ivrea durante un corteo legato a quell’arresto, insomma era ragionevole che lui a Brosso non ci andasse proprio. Certo era un suo diritto (anche professionale) esserci. Rompergli una vertebra a calci è certo un atto pericoloso. Soprattutto è pericoloso toccare una categoria che in un pestaggio “politico” (come in un elenco di giornalisti su un manifesto associati alla parola “Assassini!”) sente vibrare dentro una paura e una ferita più antica, l’eco dei vari Casalegno e Tobagi, uccisi dal terrorismo, dei Montanelli, dei direttori del GR1, dei giornalisti dell’Unità feriti negli anni Settanta. Gli “squatters” questo non l’hanno certo calcolato. Ed è stato un errore di opportunità. Dando calcioni e sberle ai giornalisti peraltro è difficile poi non costringersi in un autoisolamento ed essere oggetto di una mediatizzazione assurda.

La risposta ai giornalisti


La risposta degli squat all’azione di mediatizzazione/spettacolarizzazione è stato l’autismo e il rifugiarsi nella comunicazione propria (radio, volantini, manifesti). Silenzio stampa con i giornalisti. Inutile cercare di spiegarsi. Dibattito vecchio questo e sempre aperto.

Unica eccezione il Centro Sociale Gabrio: prima l’intervista con Gad Lerner, poi la lettera aperta alla ministra Turco sul “Manifesto”, infine l’intervento a Mixer. Un passo coraggioso perché li differenzia dagli altri (e tenderà a riisolarli), comunque debole (perché è intrinseca la debolezza dei centri sociali).

La questione del silenzio stampa è accettata da tutti gli antagonisti torinesi, ma da alcuni mal volentieri, specialmente da chi vorrebbe differenziarsi dagli squatter (come il Centro Sociale dei Murazzi) e di utilizzare il palcoscenico nazionale raggiunto per interpretare la parte dell’autonomo verace. In attesa della prossima occasione.

Un sondaggio della stampa


Ma “La Stampa” del 10 marzo ci stupisce, pubblica un sondaggio dal quale emerge, a tre giorni dalle vetrine rotte, che il 70% dei torinesi vuole che si continui il dialogo con gli squatter (c’è da chiedersi che dialogo, quello informale?). Ecco il sondaggio:
Dopo le vicende della scorsa settimana, lei condivide la scelta del sindaco e del Comune di continuare comunque un dialogo con i giovani dei centri sociali o ritiene che la violenza possa essere arginata solo con l’intervento delle Forze dell’Ordine?

- continuare il dialogo con i giovani dei centri sociali 69,3 %

- intervento delle Forze dell’Ordine 12,8 %

- mi è indifferente 3,5 %

- non sa / non risponde 14,4 %
Lei sa che attività svolgono i centri sociali gestiti dagli squatters ?

- sì, completamente 15 %

- sì, in parte 25,2 %

- no 59,8 %


Lei conosce i centri sociali gestiti dagli squatters ?

- sì 71,2 %

- no 28,8 %
Per quello che Le è dato di sapere qual è il Suo giudizio sui centri sociali?

- positivo 32,8 %

- negativo 28,4 %

- indifferente 13 %

- non sa / non sono informato 20 %

- non sa / non risponde 5,8 %


La domanda interessante è perché “La Stampa” con questo sondaggio e l’intervento di Gallino sostanzialmente appoggia la linea del dialogo per poi ritrarsi così evidentemente? Bisognerebbe farselo spiegare seriamente per capire cosa influenza così decisamente la linea editoriale della cronaca di Torino, quella cioè che fa davvero opinione


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