Guerra giudaica



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LIBRO VI

CAPITOLO QUARTO

Libro VI:220 - 4, 1. Intanto due legioni avevano completato la costruzione dei terrapieni, e l'ottavo giorno del mese di Loos Tito diede ordine di far avanzare gli arieti contro l'esedra occidentale del tempio esterno.


Libro VI:221 In precedenza l'elepoli più potente di tutte aveva ininterrottamente battuto per sei giorni la muraglia, ma senza alcun risultato perché la grandezza e la connessione dei blocchi avevano resistito ad essa come alle restanti macchine.
Libro VI:222 Altri si diedero a scalzare le fondamenta della porta settentrionale, e con enormi sforzi riuscirono a rimuovere i blocchi sul davanti. La porta però poggiava sui blocchi retrostanti e rimase in piedi. Alla fine, si persuasero che con le macchine e con le leve non avrebbero concluso nulla, e allora appoggiarono le scale ai portici.
Libro VI:223 I giudei non fecero in tempo a ostacolarli, ma li attaccarono quando essi erano già montati, e alcuni li respinsero facendoli precipitare all'indietro, altri che resistevano li uccisero.
Libro VI:224 Molti che cerca­vano di scendere per le scale li colpirono con le spade prima che potessero ripararsi con gli scudi, mentre alcune scale cariche di legionari le rovesciarono spingendole dalla sommità.
Libro VI:225 Ma anche le loro perdite non furono lievi. I romani che avevano portato in alto le insegne si battevano furiosamente intorno ad esse, stimando un grave smacco, oltre che un disonore, la loro per­dita.
Libro VI:226 Ma alla fine i giudei s'impadronirono anche delle inse­gne e sterminarono quelli che erano saliti; gli altri, atterriti dalla sorte dei caduti, si ritirarono.
Libro VI:227 Dei romani nessuno perì senza essersi battuto da valoroso; tra i giudei anche allora si segnalarono quelli che si erano distinti negli scontri precedenti, e ad essi si aggiunse Eleazar, nipote del tiranno Simone.
Libro VI:228 Ma ormai Tito, visto che per risparmiare un tempio straniero si causava il danno e la strage dei suoi uomini, ordinò di appiccare il fuoco alle porte.
Libro VI:229 - 4, 2. A questo punto arrivarono nel suo campo due disertori, Anano di Emmaus, il più sanguinario degli scherani di Simone, e Archelao figlio di Magaddato, i quali speravano di ottenere il perdono perché avevano disertato in un mo­mento in cui i giudei avevano la meglio.
Libro VI:230 Ma Tito fece carico a loro anche di questo astuto calcolo e, informato della loro fe­rocia verso i propri concittadini, stava per metterli entrambi a morte, dichiarando che essi erano stati spinti dalla necessità e non per libera scelta si erano presentati, e che non meritava grazia chi fuggiva dalla patria ormai in fiamme per colpa sua.
Libro VI:231 Tuttavia sullo sdegno prevalse il rispetto per i supplici, ed egli mandò liberi i due pur non riservando loro lo stesso trat­tamento che agli altri.
Libro VI:232 I soldati intanto avevano già appiccato l'incendio alle porte e l'argento, liquefacendosi, propagò ra­pidamente al legname il fuoco che divampò avvolgendo i portici in un mare di fiamme.
Libro VI:233 I giudei, vedendosi circondati dal fuoco, si sentirono senza più forza né coraggio, e per lo sbigottimento nessuno mosse un dito per porre riparo o per spegnere l'incendio, restandosene invece impietrito a guardare.
Libro VI:234 Ma sebbene avviliti di fronte a tanta rovina, non provarono alcuna resipiscenza per il futuro, anzi, come se già il tempio bruciasse, provavano un odio ancora più acerbo verso i ro­mani.
Libro VI:235 L'incendio divampò per tutto quel giorno e per la notte seguente perché i romani non poterono appiccare il fuoco al portico contemporaneamente da tutte le parti, ma in tratti successivi.
Libro VI:236 - 4, 3. Il giorno dopo, Tito comandò a una parte dell'esercito di spegnere le fiamme e di spianare una via verso le porte per rendere più agevole l'avanzata verso l'alto delle legioni, e quindi convocò a consiglio gli ufficiali.
Libro VI:237 Erano presenti sei dei comandanti più elevati, cioè Tiberio Alessandro prefetto di tutti gli accampamenti, Sesto Ceriale comandante della quinta legione, Larcio Lepido della decima, Tittio Frugi della quindicesima,
Libro VI:238 Eternio Frontone delle due legioni alessan­drine e Marco Antonio Giuliano procuratore della Giudea; intervennero inoltre anche procuratori e tribuni militari. Con tutti costoro Tito mise in discussione il problema del tempio.
Libro VI:239 Alcuni manifestarono l'avviso che esso dovesse subire i rigori delle leggi di guerra, poiché i giudei non avrebbero mai cessato di ribellarsi finché restava in piedi il tempio nel quale si radunavano da ogni parte;
Libro VI:240 altri espressero il parere che se i giudei lo evacuavano e nessuno vi piazzava sopra delle armi poteva essere risparmiato, mentre se vi montavano sopra per continuare la resistenza bisognava incendiarlo: così infatti non era più un tempio, ma diventava una fortezza, e da quel mo­mento l'empietà sarebbe stata non dei romani, ma di chi ve li costringeva.
Libro VI:241 Tito però sentenziò che neppure se i giudei avessero preso posizione sul tempio per continuare a resister­gli egli si sarebbe sfogato contro le cose invece che contro gli uomini, né mai avrebbe dato alle fiamme un edificio così maestoso; la sua rovina sarebbe stata una perdita per i romani così come la sua conservazione era di ornamento per l'impero.
Libro VI:242 Confortati da tali argomenti si espressero allora in favore di tale risoluzione anche Frontone, Alessandro e Ce­riale.
Libro VI:243 A questo punto Tito sciolse l'adunanza e ordinò ai comandanti di far riposare tutti i loro uomini, per averli più gagliardi in battaglia, tranne i soldati scelti delle coorti, cui diede l'incarico di aprire una strada attraverso le macerie e di spegnere l'incendio.
Libro VI:244 - 4, 4. Per quel giorno la stanchezza e la costernazione paralizzarono la foga dei giudei, ma il giorno dopo, raccolte le forze e ripreso coraggio, verso l'ora seconda attraverso la porta orientale fecero una sortita contro gli uomini schierati a guardia del piazzale esterno.
Libro VI:245 I romani sostennero vigorosa­mente il loro assalto e serrarono le file formando con gli scudi come un muro sulla loro fronte, anche se era chiaro che non avrebbero resistito a lungo cedendo al gran numero e alla furia degli assalitori.
Libro VI:246 Allora Cesare, che osservava lo scontro dall'Antonia, prima che lo schieramento romano venisse tra­volto, inviò in appoggio la cavalleria scelta.
Libro VI:247 I giudei non re­sistettero alla carica e, caduti i primi, per la gran parte si die­dero alla fuga.
Libro VI:248 Quando però i romani si ritrassero essi si vol­sero a riprendere l'assalto, e poi, avendo quelli di nuovo ca­ricato, essi ancora una volta retrocedettero finché verso l'ora quinta furono travolti e, mentre venivano bloccati nel piaz­zale interno,
Libro VI:249 - 4, 5. Tito si ritirava nell'Antonia deciso a scatenare all'alba del giorno dopo un assalto con tutte le forze per investire da ogni parte il tempio.
Libro VI:250 Questo già da parecchio tem­po era stato dal Dio condannato alle fiamme, e col volger degli evi ritornò il giorno fatale, il dieci del mese di Loos, quello in cui una volta esso era già stato, incendiato dal re dei babilonesi.
Libro VI:251 Le fiamme ebbero inizio e furono causate ad opera dei giudei; infatti, ritiratosi Tito, i ribelli dopo un breve riposo si scagliarono di nuovo contro i romani e in­furiò uno scontro fra i difensori del santuario e i soldati in­tenti a spegnere il fuoco nel piazzale interno. Costoro, volti in fuga i giudei, li inseguirono fino al tempio,
Libro VI:252 e fu allora che un soldato senza aspettare l'ordine e senza provare alcun ti­more nel compiere un atto così terribile, spinto da una forza sovrannaturale afferrò un tizzone ardente e, fattosi sollevare da un commilitone, lo scagliò dentro attraverso una finestra dorata che dava sulle stanze adiacenti al tempio sul lato set­tentrionale.
Libro VI:253 Al levarsi delle fiamme i giudei proruppero in un grido terrificante come quel tragico momento e, incuranti della vita e senza risparmio di forze, si precipitarono al soc­corso perché stava per andar distrutto quello che fino allora avevano cercato di salvare.
Libro VI:254 - 4, 6. Qualcuno corse ad avvisare Tito, che s'era anch'egli ritirato sotto la tenda per concedersi un po' di riposo dopo la battaglia; balzato in piedi, egli corse come si trovava verso il tempio per cercare di domare l'incendio.
Libro VI:255 Lo seguivano tutti i generali e dietro a questi le legioni in preda all'eccitazione, fra grande schiamazzo e confusione, com'era inevitabile nel muoversi disordinato di forze così numerose.
Libro VI:256 Sia con la voce, sia con la mano, Cesare diede ordine ai combattenti di spe­gnere il fuoco, ma essi né udirono le sue parole, assordati dai clamori più forti, né badarono ai segni della mano, essendo tutti presi alcuni dal combattimento, altri da una smania fu­riosa.
Libro VI:257 A frenare l'impeto delle legioni non valsero né esorta­zioni né minacce, ma tutti si lasciavano trasportare dalla furia. Accalcandosi intorno alle entrate, molti si calpestarono fra loro, e molti furono anche quelli che, sospinti verso le rovine ancora calde e fumanti dei portici, subirono la stessa sorte dei vinti.
Libro VI:258 Quando poi furono vicini al tempio fecero mostra di nemmeno udire gli ordini di Cesare, e a quelli che stavano davanti a loro gridavano di scagliarvi dentro il fuoco.
Libro VI:259 I ri­belli ormai non potevano più mettere riparo, e dovunque era strage e fuga. La maggior parte degli uccisi furono popolani deboli e inermi, tutti trucidati sul posto dove venivano presi; intorno all'altare si accumulò un mucchio di cadaveri mentre lungo la scalinata del tempio correva un fiume di sangue e rotolavano i corpi di quelli che venivano massacrati su in alto.
Libro VI:260 - 4, 7. Cesare, nell'impossibilità di arginare la furia dei soldati mentre d'altro canto l'incendio si sviluppava inesorabil­mente, accompagnato dai suoi generali entrò nel tempio per vedere il luogo sacro e gli oggetti in esso contenuti, che supe­ravano di gran lunga la fama che ne correva fra gli stranieri e non erano inferiori al vanto e alla gloria che se ne facevano i giudei.
Libro VI:261 Poiché le fiamme non erano ancora penetrate da nessuna parte all'interno del tempio, ma stavano devastando solo le stanze adiacenti tutt'intorno, Tito giudicò che l'edificio poteva ancora essere salvato, come in realtà era, e, affrettatosi a uscire,
Libro VI:262 si mise a esortare personalmente i soldati a spegnere l'incendio dando ordine contemporaneamente a Liberale, centurione dei suoi lancieri di guardia, di mettere a posto a colpi di bastone chi non ubbidiva.
Libro VI:263 Ma, nei soldati, sull'osse­quio a Cesare e sul timore per le minacce del centurione ave­vano il sopravvento il furore, l'odio contro i giudei e un in­contenibile ardore guerresco; inoltre i più erano spinti dalla speranza di far bottino,
Libro VI:264 convinti che dentro fosse un ammasso di tesori, anche perché fuori vedevano tutto incorniciato d'oro.
Libro VI:265 Improvvisamente uno di quelli che erano entrati nel tempio, quando già Cesare era uscito per cercare di fermare i soldati, gettò nell'oscurità un tizzo sopra i cardini della porta;
Libro VI:266 all'improvviso balenò del fuoco all'interno, i duci insieme con Cesare si ritirarono e più nessuno impedì ai soldati che stavano fuori di propagare l'incendio. E così, contro il volere di Cesare, il tempio fu distrutto dalle fiamme.
Libro VI:267 - 4, 8. Chi fosse afflitto dal più vivo rimpianto per un capolavoro che per la sua struttura e per la sua grandiosità, nonché per la magnificenza di tutte le sue parti e per la fama del suo luogo santo, era mirabile al di sopra di tutti quelli che noi abbiamo visto o di cui abbiamo sentito parlare, potrebbe tro­vare un grandissimo conforto pensando al fato, a cui come gli esseri viventi, così anche le costruzioni e i luoghi non pos­sono sottrarsi.
Libro VI:268 Una cosa che colpisce è poi il corso preciso della ruota del destino; infatti, come ho già notato, esso at­tese il ritorno dello stesso mese e dello stesso giorno in cui il tempio era stato precedentemente incendiato dai babilonesi.
Libro VI:269 Dalla sua prima fondazione, ad opera del re Salomone, fino alla presente distruzione, avvenuta nel secondo anno di regno di Vespasiano, si ha un totale di millecentotrent'anni, sette mesi e quindici giorni; dalla seconda fondazione,
Libro VI:270 fatta da Aggeo nel secondo anno di regno di Ciro, fino alla distruzione sotto Vespasiano passarono seicentotrentanove anni e quaran­tacinque giorni.


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