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In Sarrasine, il narratore di Balzac confiderà alla sua accompagnatrice (lessia 547 del commento di Barthes) che la figura dell’Edimione di Girodet è ispirata all’Adone dipinto in un quadro di Vien; non dobbiamo cercare questo nome nell’enciclopedie o nelle storie dell’arte, ci basta ricordare quanto abbiamo già letto di Sarrasine per sapere che Joseph-Marie Vien non è solo un pittore nato nel 1716 e morto nel 1809, ma è anche l’aiutante di Sarrasine nel rapimento del castrato Zambinella (lessia 460). Un quadro di questo Vien, quello che dovrebbe essere l’ispirazione per l’Endimione di Girodet, è intanto rimasto appeso in un boudoir del palazzo Lanty in cui si svolge il ballo iniziale: appare magicamente nel momento (lessia 108) in cui è notato dalla marchesa, la donna in compagnia del narratore. Cosui le spiega che sta ammirando un ritratto della misteriosa persona di cui vorrebbe conoscere l’identità: una statua scolpita sulle membra del giovane Zambinella è stata infatti il modello per l’Adone di Vien, ricopiato su incarico dei discendenti di Zambinella (i Lanty) e di cui, nel frattempo, le tracce si fermano a quanto ci dice il narratore. Ad ogni modo, costui ci informa implicitamente che quando Girodet copia Vien, qualcosa della Zambinella si trasferirebbe sulla tela dov’è dipinto l’Endimione.

Quando il commento di Barthes arriva all’episodio, appare un sillogismo strano: da una copia all’altra (da Vien a Girodet), esiste allora al Louvre, il museo che ospita Le Sommeil d’Endymion e che migliaia di visitatori percorrono ogni anno, un’immagine del personaggio di Balzac, quel castrato, quel Zambinella immaginato da Balzac e ritratto inizialmente dentro Sarrasine, ma poi proiettato oltre i confini di quella finzione. Infatti, non solo noi possiamo leggere la descrizione romanzesca di Zambinella, ma possiamo addirittura guardare la sua immagine se usiamo la nostra vista in altro modo che per leggere e ci rivolgiamo, per esempio, ad osservare una fotografia del quadro di Girodet come quella posta sulla copertina di S/Z. Da Sarrasine passiamo così all’esplicitazione di S/Z, dal testo di Barthes risaliamo fino alla riproduzione di Le Sommeil d’Endymion e apprendiamo che si trova nel più importante museo francese e, se possiamo, facciamo una passeggiata nella galleria riservata alla pittura francese del Settecento oppure ci accontentiamo di sfogliare S/Z per ritrovarci davanti, traslato da un codice artistico (letterario descrittivo) ad un altro, ciò che avevamo lasciato su un altro supporto406. Questo spostamento di ordine percettivo, dal leggibile al visibile, lega assieme codice della letteratura e codice dell’arte come copie di un reale mancante, perché quel Zambinella resta introvabile tranne che nella finzione di Balzac. Allora quella trasfusione di significati, da leggibile a visibile, si compie a partire dalla lettura di Sarrasine e ha séguito nel commento di Barthes, fino alla sua esplicitazione come sistema di fruizione dei codici di un mondo senza originali nella realtà o nella Storia. Se il visibile apparterrebbe all’arte e il leggibile alla letteratura, Barthes concepisce un terzo stato fluido che integra le strutture di codici diversi. Con il riferimento a Girodet o Vien, forse Balzac ricerca soltanto l’effetto di realismo storico; ma con il suo commento Barthes tenta innanzitutto di cancellare l’esistenza di un reale con cui fare i conti per la costruzione di un finzione: l’esempio da Sarrasine gli permette di dire che la finzione non ha copiato dalla realtà, ma che la realtà potrebbe aver copiato al contrario dalla storia di Balzac dacché non c’è nessun originale ammissibile con cui confrontarle. La copia resta l’unico oggetto di esperienza e il regno dei simboli dovrà considerarsi come l’unico reale di cui si può far parola.

Siamo all’abolizione della differenza tra due discorsi, ormai non più divisibili a seconda del loro legame con un reale introvabile: il discorso della Storia – quello del commento di Barthes dove Girodet e Vien sono personaggi storici e il dipinto Le Sommeil d’Endymion ci è messo addirittura sotto gli occhi – e il discorso del racconto. Essi si possono collegare a un medesimo sistema di riferimento. Sulla base di queste premesse, la scrittura critica deve costruirsi parallelamente a Sarrasine con una relazione di non dipendenza, ma di uguale potenziale creativo. Anzi, la critica può produrre un discorso soltanto collaborativo, mai esplicativo rispetto una narrazione che appare totalmente autonoma nella sua significazione. Perciò la definizione di relazione metatestuale per lo stile commentativo di Barthes risulterà insufficiente; infatti, l’autore conia uno dei suoi numerosi neologismi per affermare un’ontologia del discorso:

Le scriptible, c’est le romanesque sans le roman, la poésie sans le poème, l’essai sans la dissertation, l’écriture sans le style, la production sans le produit, la structuration sans la structure. Mais les textes lisibles? Ce sont des produits (et non des productions), ils forment la masse énorme de notre littérature. (Barthes 2002a: 122)

Nel leggibile confluirebbero i testi classici in quanto opere che ormai possono essere soltanto lette, non più scritte407: sarebbe insomma il materiale dello scriptible, che invece viene annunciato come scrittura contraria alle classificazioni tradizionali e per di più non attribuibile a un genere preciso, a un saggio ad esempio. Tra i due ordini interseca il campo dell’intertestualità, in cui pensare la lettura come il suo momento ricettivo e la scrittura come quello espressivo significherebbe un ritorno a una logica binaria. Si tratta piuttosto di un sistema complementare di due discorsi, racconto e commento, per la creazione di un nuovo testo dell’intertesto. Lo scriptible prevede infatti una lettura del testo classico come corpo totalmente indiziario e gli allega un commento che ne ricostruisca parallelamente allo svelamento la vera storia, una più completa rispetto quanto appare: quella che si può ricostruire dalle tracce lasciate su un singolo testo dal lontano sfondo del linguaggio (o di tutti i linguaggi) della cultura, nella quale critica e racconto, testo-soggetto e testo-oggetto sprofondano assieme nella lettura-scrittura di S/Z408.

Nell’intervista del marzo 1970, Barthes insisteva sull’idea che la critica deve rilanciare sempre ad altri testi, perché perfino il commento a quello leggibile di Balzac è creazione di una scrittura nuova, partecipe dell’intertesto o, appunto, di un discorso scriptible:

Ce que je crois tout de même, c’est que, pendant un certain temps, la critique restera une activité de type offensif, presque combatif. On se servira d’un texte pour écrire un autre texte qui ne sera plus de la critique littéraire. Autrement dit, la distinction entre l’œuvre littéraire et le commentaire critique disparaîtra peut-être. Voilà du moins ce que je souhaite. (Barthes 2002g: 648)

Pur accogliendo questo linguaggio, si può tuttavia dimostrare che un testo scriptible si forma in Barthes da una contaminazione di una struttura tipica del saggio con modi narrativi; né potrebbe essere altrimenti se l’autore rifiuta il solo discorso argomentativo come modo della critica in quanto alienante rispetto all’intertesto. Barthes dovrà servirsi di altri linguaggi per il completamento della sua interpretazione. Ciò non significa certo che una relazione metatestuale non sia mantenuta: come dicevamo, il commento di Barthes al racconto di Balzac è fitto e continuo. Al contempo, nello spirito del saggio (secondo cioè la sua struttura generica) il critico ricerca con un proprio stile, legato all’idea di ipertesto, di superare il linguaggio del testo-oggetto, incatenato ancora a una definizione di leggibile che rimanda quanto mai al racconto tradizionale, all’opera realista. Vere e proprie parti saggistiche sono visibili immediatamente perché isolate dal commento di S/Z. Un discorso critico e teorico occupa infatti novantatré capitoli attraverso 561 lessie. Quei brani formalmente autonomi dal commento (non seguono in calce le lessie) interrompono il dialogo serrato tra i due testi, rafforzando in realtà il discorso saggistico di Barthes; soprattutto in questi punti, infatti, il critico si fa teorico e propone un nuovo modello di analisi dei testi letterari, mentre lo applica direttamente a Sarrasine (ed inevitabilmente da questa almeno in parte lo ricava) durante il commento. Certamente i capitoli non sono disgunti dalle problematiche sorte durante l’analisi delle lessie, ma assumono una maggiore valenza esplicativa delle questioni estratte da Sarrasine e intanto ricavano una superficie di scrittura separata dove il discorso saggistico di Barthes persegue la propria autonomia stilistica.

Osserviamo da vicino la creazione del discorso di S/Z riprendendo alcuni suoi frammenti. Quando Barthes legge certe descrizioni del personaggio di Sarrasine, getta lo sguardo oltre le sue spalle. Nella sua dichiarata ignoranza rintraccia l’applicazione di un vincolo narrativo; quella connotazione del personaggio trascende l’indicazione della sua poca cultura mondana da parte del narratore:

Il est nécessaire (vraisemblable) que Sarrasine comprenne l’italien, car la remarque de sa maîtresse doit le rendre confus et faire cesser son délire; mais il est non moins nécessaire (vraisemblable) qu’il le sache mal, car il n’est que depuis vingt-quatre jours en Italie [Le lisible] prend la démarche précautionneuse et méfiante d’un individu qui craint d’être surpris en flagrant délit de contradiction; il surveille et prépare sans cesse, à tout hasard, sa défense contre l’ennemi qui l’acculerait à reconnaitre la honte d’un illogisme, un trouble du “bon sens”. (Barthes 2002a: 249)

Barthes s’accorge di indizi sparsi ovunque in Sarrasine e solidali tra i personaggi e le azioni409. Tutti collaborano – spiega Barthes – a impedire che Sarrasine s’accorga dell’enigma della Zambinella; la sua ignoranza lo aiuta a perseverare nell’errore, a vedere una donna, non un castrato. Da caratterizzazione del personaggio, il testo di Barthes rende quel disvalore un tema autonomo e il suo senso qualcosa di indipendente dal personaggio: questo compie difatti un’azione di contrasto agli interessi di Sarrasine e assiste piuttosto l’intenzionalità narrativa del testo a perseguire nella difesa del proprio segreto (ciò che sappiamo essere la forza del racconto tradizionale fino al suo necessario svelamento). L’ignoranza è un’aiutante del leggibile, un’antagonista della volontà del personaggio Sarrasine e assume soltanto temporaneamente lo statuto di sua caratterizzazione psicologica o culturale. Il lisible stesso diventa per Barthes quasi una figura (ci ritorneremo) che in virtù di un orientamento e sviluppo propri rispetto ai personaggi può reincarnarsi in loro secondo una serie di vite successive; il leggible contiene nel testo tante sue anime diverse, rappresentate dai personaggi e dalle azioni; viene infine raffigurato esplicitamente come un personaggio in continua metempsicosi.

Apparentarlo a un individuo permette a Barthes di legare gli indizi nascosti dal leggibile attorno a un termine identificativo reiterabile lungo il proprio commento, anche se assente dal testo di partenza. Perciò, quando Barthes raffigura il lisible dentro il racconto di Balzac, in realtà inserisce dal proprio atto critico un agente nell’intreccio di Sarrasine e ne racconta la storia parallela in un proprio racconto, come personaggio che compie le sue apparizioni lungo un filo temporale sovrapposto ma non riducibile a quello del testo-oggetto. Per evitare una semplice relazione metatestuale di commento, Barthes non si accontenta di associare a una lessia una sua interpretazione ottenuta con l’argomentazione di dati testuali di partenza, ma propone spesso una rappresentazione già interpretata, come quando vede l’apparizione di un agglomerato intenzionale che diventa l’“individuo” (scrive Barthes) in antitesi, e quasi alternativo, a quello finzionale di Sarrasine.

In un altro esempio, all’ottantaseiesima lessia il critico taglia la narrazione in modo da concentrarsi sul riso del vecchio Zambinella: «un rire fixe et arrêté, un rire implacable et goguenard, comme celui d’une tête de mort» ha scritto Balzac. Anche qui Barthes rilancia subito un prolungamento descrittivo, come ad impedire che quel breve brano di testo possa bastare a se stesso e terminare in un così misero investimento di linguaggio e di significati:

Le rire arrêté, figé, conduit à l’image de la peau tendue (comme dans une opération de chirurgie esthétique), de la vie à laquelle il manque ce peu de peau qui est substance même de la vie. Dans le vieillard, la vie est sans cesse copiée, mais la copie présente toujours le moins de la castration (ainsi les lèvres auxquelles il manque le rouge franc de la vie). (Ivi: 168)

Il commento integra quel corpo con dettagli mancanti, come se la descrizione di Balzac fosse troppo riduttiva rispetto ai molteplici sensi che ancora nasconde. Per introdurre una spiegazione più minuziosa e più esauriente di Zambinella da vecchio, il critico non ha altra scelta che cambiare l’argomentazione per il registro descrittivo e rappresentare, per quanto accennata, un’altra anatomia del personaggio (o un altro personaggio), provvista anche di pelle, labbra e per di più di colore rosso. Rappresentazione su rappresentazione, il parallelismo talvolta (come in questo caso) si fa instabile e assomiglia di più a un’avvenuta mutazione del testo-oggetto (e non a una sintesi narrativa ad hoc del materiale letterario, come accadeva in Debenedetti). Barthes direbbe che non ha molta importanza perché si tratta ancora di una copia di cui l’originale risulta perso o scomparso. A partire da quest’immagine personale, il critico può attribuire altri significati alla sottrazione di certi motivi da lui introdotti, soltanto perché lo stesso Balzac nel suo originale (ormai sprovvisto di ogni autorità) mai li cita. Completando l’apparente imperfezione del discorso lisible, S/Z presenta una critica dell’intertesto come un discorso latente nella narrazione di Balzac.

Ritornando al piano generale dell’opera, Barthes vuole mostrare le tracce di un discorso potenzialmente infinito nella sua repressione narrativa, ideologica e psicologica (la castrazione dell’individuo) nascoste dentro un testo ben finito e definito nei suoi limiti strutturali. In un certo senso, Sarrasine presenta una gabbia linguistica che incita il critico immediatamente all’evasione. C’è perciò anche un discorso culturale alle fondamenta di S/Z, che riguarda l’analisi del linguaggio o del modo narrativo come strumento linguistico dell’alienazione borghese. Ma se ogni discorso della cultura, anche quello del saggio in quanto storico genere istitutore di una sola interpretazione, nasconde un ruolo oppressivo rispetto la libertà che consentirebbe ogni testo (letto come intertesto), non resta che rappresentare con qualche indizio i temi di un’altra narrazione, stavolta emancipata dagli statuti dei personaggi e degli eventi fissati nella trama di Balzac. Anzi, la discrezione, la moderazione e la logica sono marchi di fabbrica del discorso borghese, presenti anche nella narrazione. Scovarlo nelle pieghe del discorso altrui dovrà essere lo scopo del commento; esibirlo con lo stesso discorso che lo inabissa con una rappresentazione che vi si proietta sulla sua superficie narrativa.

D’altronde è Barthes stesso che parla di “figure” trapassanti i personaggi del racconto. Quando si narra di come il maestro scultore Bouchardon prenda Sarrasine sotto la propria ala e lo educhi durante l’infanzia (lessia 172), il critico attribuisce al precettore un codice simbolico, La mère et le fils, che gli conferisce un comportamento materno: «Bouchardon ne remplace pas le père, mais la mère, dont le manque (n. 153) a dévoyé l’enfant dans la licence, l’excès, l’anomie; comme une mère, il devine, recueille, assiste»410. Il commentatore spiega che si tratta di una castrazione preventiva compiuta da Bouchardon ma ordinata dal racconto, affinché Sarrasine fosse mantenuto nell’ignoranza riguardo i costumi internazionali e in particolare quelli dell’Italia papale (come la funzione dei castrati nei teatri e nelle corti411). Così, il discorso critico infonde allo stesso Bouchardon sensibilità che dovrebbero essere materne, come il dispiacere alla partenza di Sarrasine per completare il suo periodo di formazione da scultore in Italia:

La douleur, la crainte de Bouchardon est celle d’une mère qui aurait maintenu son fils en état de virginité et le verrai tout à coup appelé à faire son service militaire dans un pays à passions chaudes. (Ivi: 203)

Ma il dispiacere non è di per sé materno; resta ammissibile che il maestro sia dispiaciuto per la separazione dall’allievo. Passando per questo sentimento dell’attaccamento, Barthes giunge a un altro collegamento e spiega che la vera funzione materna di Bouchardon è rappresentata proprio dalla castrazione. Non solo le descrizioni nei personaggi o le azioni continuamente sospese e riprese, ma anche certi codici simbolici e in particolare quello dominante della castrazione sono motivi portanti di un discorso taciuto ma che scorre in profondità, di cui si vede il passaggio attraverso i fori aperti tra le maglie del racconto. Potendo avvicinare con la sua lettura, pur sempre strutturalista (ricordiamo fatta per ritagli e coordinamenti), gli estremi delle storie, il critico commenta retrospettivamente le lessie alla luce delle successive e trasfonde sensi posteriori in punti posti altrove nel racconto. Barthes ha questo vantaggio: conosce tutto il racconto e perciò sa leggere sempre il vero racconto; è anche più informato dello stesso narratore (che racconta la storia di Sarrasine alla marchesa). Quei salti creano la continuità dei sensi, che investe gli stessi personaggi in un rapporto da plurale a figura singolare.

Così, come un “seme materno” trapasserebbe anche in Bouchardon dopo enormi semplificazioni, un’altra figura emerge più distintamente nella rappresentazione di Barthes: la Femmina Castratrice. Quando Sarrasine dice a Zambinella che detesterebbe una donna forte e una Saffo coraggiosa (lessia 443), Barthes commenta

il serait difficile à Sarrasine d’identifier plus clairement la femme dont il a peur: c’est la femme castratrice […] On se rappelle que le texte a déjà livré quelques images de cette femme active: Mme de Lanty, la jeune femme aimée du narrateur et substitutivement Bouchardon, mère possessive qui a cloîtré son enfant loin du sexe. (Ivi: 265)

Se le figure si nascondono nel testo lisible, senza il commento non saranno mai rappresentate; Barthes ne argomenta l’esistenza sempre per sottrazione: Sarrasine non ha una madre, il giovane non sa degli attori castrati, la marchesa non conosce il segreto del vecchio Zambinella, il narratore non avrà ciò che desidera in cambio del suo racconto… Da queste privazioni, che impedirebbero uno stato di godimento paradisiaco e di onniscienza spirituale proprio di un mondo perfetto (e dell’essenza creativa dell’intertesto), si derivano le necessarie presenze. Barthes è consapevole che si tratta di connotazioni ricostruite dai vari personaggi e quindi propone una figura distinta da essi come la Femmina Castratrice. Più precisamente, l’autore ci spiega che la figura è

une configuration incivile, impersonnelle, achronique, de rapports symboliques. Comme figure, le personnage peur osciller entre deux rôles, sans que cette oscillation ait aucun sens, car elle a lieu hors du temps biographique […] il n’est qu’un lieu de passage (et de retour) de la figure. (Ivi: 175)

Non basta al discorso di Barthes derivare logicamente le assenze o i risultati oppressivi del racconto. Il critico crea i propri personaggi per raccontare una storia che procede asincronica alla trama di Sarrasine. Per come viene rappresentata, la figura è ciò che sopravvive ai personaggi. La sua presenza corrisponde a un’esigenza del discorso di Barthes: salvare i personaggi della finzione; essi non hanno colpa del loro destino: una figura Castratrice li tormenta. Ma se costei si prende la responsabilità di tutto il destino narrativo, anche li redime dalle loro singole castrazioni e dalle loro morti individuali. In particolare, il salvataggio avviene proprio nel finale della novella; d’altronde il momento di chiusura anche per il discorso saggistico, poiché forzatamente è l’ultima occasione di commento per Barthes. Al punto fermo di Balzac, il critico afferma che la storia iniziata con Sarrasine non è finita, ma continua… in altri racconti (di Balzac). Quando il racconto arriva all’agnizione (lessia 552), la marchesa dice di essere rimasta disgustata dalle passioni umane e con tale scusa viola il patto narrativo, concedendo il nulla come premio al racconto del suo spasimante; anzi, aggiunge a capricciosa tutela della propria virtù che è sua intenzione prolungare questa condizione di astinenza per molto tempo ancora, fino alla completa purificazione. Strana questa ultima promessa – osserva Barthes – che subito rettifica:



Pour longtemps? Mais non. Béatrix, comtesse Arthur de Rochefide, née en 1808, mariée en 1828 et très vite lassée de son mari, amenée par le narrateur au bal des Lanty vers 1830 – et frappée alors, dit-elle, d’une castration mortelle – n’en fera pas moins trois ans plus tard une fugue en Italie avec le ténor Conti, aura une aventure célèbre avec Calyste du Guénic pour faire enrager son amie et rivale Félicité des Touches, sera encore la maîtresse de la Palférine, etc.: la castration n’est décidément pas une maladie mortelle, on en guérit. Seulement, pour en guérir, il faut sortir de Sarrasine, émigrer vers d’autres textes (Béatrix, Modeste Mignon, Une fille d’Eve, Autre étude de femme, Les Secrets de la princesse de Cadignan, etc.). Ces textes forment le texte balzacien. (Ivi: 295-296)

Anche se Sarrasine ha impresso cicatrici sui suoi personaggi, è sempre possibile una salvezza: vuoi che una figura prenda in carico le loro responsabilità perché soltanto lei ne guida, come una forza onnisciente, la comune intenzionalità; vuoi che un margine venga riaperto alla loro esistenza per strappare il tempo di un finale diverso dalla castrazione. Da qualche parte, c’è sempre posto nell’universo parallelo della Comédie humaine per far continuare una storia e trovare un momento in cui qualcuno riappare e compie la propria salvezza, aggiungendo un altro segmento a un tragitto che, se anche ben definito all’inizio, si può sempre allungare di qualche passo grazie ai mille stratagemmi della narrazione. Confortato allora da come agisce Balzac nella Comédie humaine, anche Barthes si impegna ad allungare la vita dei personaggi di Sarrasine sottraendo ancora una volta la paternità al loro autore (d’altronde in accordo con quanto scritto nel 1968 in La mort de l’auteur). Proprio nelle note preparatorie del corso su Sarrasine da cui scaturirà S/Z412, Barthes annotava che «le récit est un tissu prédicatif sans sujet, à sujet migrant, évanescent. Ce qui parle, ce n’est ni l’auteur, ni le personnage (ce n’est donc pas le “sujet”), c’est le sens»413. I personaggi devono continuare perché la lingua del senso non venga arrestata o terminata, benché non nasca da essi o provenga414. Il capitolo settantasei, intitolato “Le personnage et le discours”, enuncia infatti il principio di solidarietà tra il discorso di Sarrasine e i suoi personaggi; una sorta di intesa narrativa, di interscambiabilità tra loro condivisa:

S’il produit des personnages, ce n’est pas pour les faire jouer entre eux devant nous, c’est pour jouer avec eux, obtenir d’eux une complicité qui assure l’échange ininterrompu des codes: les personnages sont des types de discours et à l’inverse le discours est un personnage comme les autres. (Ivi: 268)


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