Il commento ne riporta un caso concreto, che registra l’apparizione del discorso narrativo medesimo sulla scena rappresentata da Balzac e non solo all’interno di un personaggio, come nel veicolo aperto dall’ignoranza di Sarrasine. Quando costui vede il soggetto del suo amore abbigliato da uomo durante un concerto nel palazzo di un ambasciatore, declina ancora al femminile la Zambinella (egli vorrebbe ancora credere all’inganno), ma viene ragionevolmente confutato da uno degli astanti (lessia 466). Però, osserva Barthes, il narratore aveva omesso ogni articolo al nome già alla lessia precedente:
À son tour, après le camarade de Sarrasine, le discours se met au masculin, bien que la vérité n’ait pas encore été révélée à Sarrasine ni au lecteur; c’est qu’en fait le discours (réaliste) s’attache mythiquement à une fonction expressive: il feint de croire à l’existence antérieure d’un référent (d’un réel) qu’il a à charge d’enregistrer, de copier, de communiquer; or, à ce point de l’histoire, le référent, à savoir le sopraniste, est déjà, dans sa matérialité, sous les yeux du discours: le discours est dans le salon, il voit déjà la Zambinella habillée en homme: ce serait mentir un moment de trop que d’en faire encore un personnage au féminin. (Ivi: 272)
Lo svelamento ormai prossimo si intuisce; si deduce prima dall’assenza dell’articolo, poi dalla correzione del discorso da parte di altri e dal successivo cambio dell’articolo. All’inizio di questa catena, il discorso intima alla futura rappresentazione (Zambinella con vestiti maschili) di obbedire alla progressione del racconto che condurrà alla rivelazione finale. Quando Zambinella apparirà allo sguardo attonito di Sarrasine, dai suoi vestiti non si rivelerà soltanto un castrato; nascosto più sotto ci sarà ancora il discorso narrativo, che per Barthes giunge più per palesare l’errore e indurre il dramma psichico (la castrazione) di Sarrasine che per svelare una verità. I due indizi, uno linguistico (l’articolo) e uno descrittivo (il vestito), raccolgono le impercettibili movenze di una figura che viene trasportata lungo il tempo diegetico del racconto di Balzac, descrivendo ancora le tappe di un proprio intreccio, sovrapposto a quello della storia del testo-oggetto. Collegando tutti gli indizi sparsi nel tempo di una finzione, il commento di Barthes interseca le apparizioni dell’intenzionalità della narrazione in una figura preservata nei suoi caratteri attraverso varie sequenze e descrizioni: non invitata all’esibizione canora, la Figura del Discorso appare. D’altronde la sua potenza non solo narrativa, ma anche rappresentativa si fonda su una sua peculiarità. Il discorso raggiungerebbe lo sfondo di rappresentazione a seguito di una deduzione di Barthes, ma sorretta ancora dall’iniziale premessa di un’assenza: la narrazione continua nei vestiti di Zambinella soltanto perché non era fuoriuscito un articolo dalla bocca del narratore. S/Z può proporre la sua rappresentazione e racconto alternativo come un’articolazione discorsiva complementare al suo racconto-oggetto soprattutto perché Sarrasine è letto in tutto quello che non dice e che, invece, potrebbe o deve dire al lettore, come farebbe ogni altro testo se si assumesse a suo parametro relativo la visione delle infinite reticolazioni dell’intertesto. La sua completezza viene ricostruita nei punti necessari con una contaminazione discorsiva che inventa certe figure dal commento di Barthes, dopo le quali il suo discorso critico può insistere parallelamente tanto nell’affermazione quanto nell’applicazione della sua metodologia. Una certa dose di narratività del suo discorso consente di mantere commento e teoria coesistenti.
Già subito dopo S/Z, Barthes inserisce in Sade, Fourier, Loyola (1971) un discorso critico che affianca anche qualche cornice narrativa, con modi dunque diversi eppure sostanzialmente analoghi al parallelismo perseguito da S/Z. Si tratta sempre di studiare i margini di manovra per una scrittura antagonista al discorso culturale tradizionale, non più identificato in un testo classico o nel regime discorsivo del lisible, ma assunto direttamente come linguaggio dell’ideologia borghese:
Il n’y a aujourd’hui aucun lieu de langage extérieur à l’idéologie bourgeoise: notre langage vient d’elle, y retourne, y reste enfermé. La seule riposte possible n’est ni l’affrontement ni la destruction, mais seulement le vol: fragmenter le texte ancien de la culture, de la science, de la littérature, et en disséminer les traits selon des formules méconnaissables, de la même façon que l’on maquille une marchandise volée […] L’intervention social d’un texte (qui ne s’accomplit pas forcément dans le temps où ce texte paraît) ne se mesure ni à la popularité de son audience ni à la fidélité du reflet économico-social […] mais plutôt à la violence qui lui permet d’excéder les lois qu’une société, une idéologie, une philosophie se donnent pour s’accorder à elles-mêmes dans un beau mouvement d’intelligible historique. Cet excès à nom: écriture. (Barthes 2002b: 706-707)
La proposta di Sade, Fourier, Loyola è esplorare linguaggi alternativi, rintracciati negli stili di quei tre scrittori, che hanno mirato anche alla sostituzione di paradigmi tipici in teoria della cultura borghese. La più evidente analogia con S/Z è nella strategia di scrittura, a tratti frammentaria anche in quest’opera per facilitare la messa in risalto degli aspetti oppressivi del linguaggio convenzionale. Il dividi et impera non funziona soltanto se rivolto su un singolo testo-oggetto, ma anche contro il testo collettivo sede di una critica più generale. Sade, Fourier e Loyola sono quindi tre logoteti per Barthes: fondatori di un gergo o di un linguaggio che scardina la visione borghese a partire dalle sue costruzioni linguistiche415. Ora Barthes, dopo aver riaperto in S/Z un singolo testo al principio di pluralità, elabora l’analisi dei metodi di liberazione linguistica intrapresi dai tre scrittori nel tempo di formazione della società moderna. Studia quelle logothesis come sistemi autonomi rispetto quello dominante della cultura odierna, pur se esse vengono costruite a partire dal nostro stesso linguaggio. Il problema diventa perciò rappresentare il mondo visto dai loro occhi, o meglio letto con la loro lingua.
Nondimeno, nel primo dei saggi che compongono il volume416 Barthes antepone un proprio aneddoto autobiografico. In un frammento isolato in un paio di pagine e intitolato “Départs”, il critico ricava dalla propria memoria uno sfondo rappresentativo che sembrerebbe introdurre una logica induttiva; procede da un caso singolo per argomentare l’idea di società di Fourier:
On m’a convié un jour à manger un couscous au beurre rance; ce ranci était régulier; dans certaines régions il fait partie du code du couscous […] Que faire? En manger, bien sûr, pour ne pas désobliger l’hôte, mais du bout des lèvres, pour ne pas désobliger la conscience de mon dégout (car pour le dégoût lui-même, il suffit d’un peu de stoïcisme). À ce repas difficile, Fourier m’eût aidé […] il m’aurait persuadé […] que le ranci du couscous n’est nullement une question oiseuse, futile ou triviale et qu’il n’est pas plus ridicule d’en débattre que de la Transsubstantiation; […] qu’en m’acculant à mentir sur mes goûts (ou mes dégoûts) la société manifesta sa fausseté, c’est-à-dire non seulement son hypocrisie (ce qui est banal) mais aussi le vice du mécanisme social […] D’autre part, pratiquement, Fourier eût immédiatement mis fin à ma gêne (être partagé entre ma politesse et mon peu de goût pour le ranci) en me tirant de mon repas […] et en me renvoyant dans le groupe des Anti-rancistes […] ce qui ne m’aurait pas empêché d’avoir les meilleurs rapports avec la sectine des Rancistes, jugés par moi, dès lors, nullement folkloriques, étrangers, étranges. (Ivi: 769-770)
Questa cornice non sarà l’introduzione di una sequenza diegetica da cui, come abbiamo visto in Renato Serra, si passerà a un cambio di modo discorsivo e alla fase del commento critico; rappresenta direttamente un esempio di applicazione della filosofia di Fourier. Il brano autobiografico di Barthes ne mostra l’utilità da un punto di vista già relativo ad una sfera alquanto personale, dove il proprio passato serve come un interessante caso di studio. In quel contesto straniero, la conoscenza della filosofia di Fourier ha concesso a Barthes di compiere una scelta morale – l’accettazione – differente dalle facili logiche di comportamento improntate a difendere l’egemonia culturale di provenienza; ha conferito maggiore consapevolezza all’auto-personaggio di Barthes. Il terzo movimento dello stesso capitolo approfondisce il collegamento tra Fourier e il contenuto storico estratto dal Marocco, che si dota di un particolare sfondo di rappresentazione. Barthes si domanda come diventerebbe quel luogo nel mondo immaginato da Fourier:
En tout lieu où nous voyageons, en toute occasion où nous éprouvons un désir, une envie, une lassitude, une vexation, il est possible d’interroger Fourier, de se demander: qu’en aurait-il-dit? Que ferait-il de ce lieu, de cette aventure? Me voici, un soir, dans un motel du Sud marocain: à quelques centaines de mètres de la ville populeuse, haillonneuse, poussiéreuse, un parc d’essences rares, une piscine bleue, des fleurs, des bungalows silencieux, des serviteurs discrets en foule. En Harmonie, qu’est-ce que cela donnerait? Tout d’abord ceci: viendraient dans ce lieu tous ceux qui ont ce goût bizarre, cette manie subalterne d’aimer les lumignons dans les bosquets, les dîners aux bougies, la domesticité folklorique, les grenouilles nocturnes et un chameau dans un pré sous votre fenêtre. Puis cette rectification: les Harmoniens n’auraient guère besoin de ce lieu, luxueux en raison de sa température (le printemps en plein hiver), puisque, par action sur l’atmosphère, par modification de la couronne boréale, ce climat exotique pourrait être transporté à Jouy-en-Josas ou Gif-sur-Yvette. Enfin ce compromis: à certains moment de l’année, les hordes, par goût du voyage et de l’aventure, convergeraient vers le motel idyllique et y tiendraient des conciles d’amour et de gastronomie (ce serait un lieu tout désigné pour notre repas de thèse sur les couscous). (Ivi: 771)
Il risultato è un mondo concorrente a quello della Storia e rappresentato in uno spazio condiviso anche da Barthes; costui si cala nella finzione da lui stesso ricreata con una rappresentazione non più realista, ma alterata dalle strutture immaginarie di Fourier. Quella cornice che sembrava dover introdurre una situazione narrativa viene arrestata in una descrizione già interpretata secondo la filosofia di Fourier. Ma la rappresentazione applicata è ottenuta attraverso una precisa trinità logica e argomentativa: ogni descrizione, infatti, corrisponde a uno dei tre momenti di ipotesi, antitesi e sintesi (nel testo di Barthes si susseguono una prima proposizione, una rettifica e un compromesso) con cui far convergere il mondo della Storia in quello utopico di Fourier. Perciò, a differenza della cornice narrativa, in cui il discorso saggistico sembrerebbe collocarsi nella finzione per poi ribaltarla a oggetto interno di critica, questo tipo di cornice si apparenta soprattutto al genere narrativo dell’aneddoto417.
Prima di illustrare quest’altra forma, soffermiamoci su più di un esempio sparso nel libro, compiendo anche una manovra di avvicinamento alla sua ultima parte dove troveremo un discorso costruito programmaticamente per aneddoti. Per ora, ancora al centro di Sade, Fourier, Loyola il Marocco non è il solo sfondo storico che l’autore utilizza come cornice autobiografica in relazione a Fourier. In un altro capitolo-frammento (“Nombres”) su questo scrittore, Barthes convoca anche il contesto accademico, con cui fornisce un altro esempio di applicazione delle varianti proposte dalla classificazione sociale di Fourier. Lo sfondo rappresentato si costruisce su un altro ricordo personale:
Bien entendu, pour qui aurait la manie contraire et ne tolérerait ni le nombre, ni le classement, ni le système […] l’Harmonie fouriériste serait l’Enfer même: en repas de thèse (repas-concours), chaque plat n’aurait-il pas deux étiquettes, écrites en gros caractères, visibles de loin et placées sur pivot, en sens opposés, “afin que l’une soit lisible par le travers de la table et l’autre dans sa longueur” (l’auteur de ces lignes a connu un petit enfer de ce genre: dans le collège américain où il prenait ses repas – mais le système était sorti d’un cerveau français –, pour obliger les étudiants à converser profitablement tout en s’alimentant et pour les faire bénéficier égalitairement de la verve du professeur, chaque convive devait à chaque repas avancer sa place d’un cran vers le soleil professoral, “dans le sens des aiguilles d’une montre”, disait le règlement; il est à peine besoin de précise qu’aucune “conversation” ne sortait de ce mouvement astral). (Ivi: 792)
Il racconto autobiografico racchiuso dalla parentesi viene nuovamente implicato nell’argomentazione. Esistono associazioni tra mondi improbabili, per le quali la società utopista immaginata da Fourier condivide alcuni tratti, come ferrei regolamenti dei pasti, con una società chiusa in un suo universo ideale, com’è o com’era l’Università e il mondo accademico ai tempi di Barthes. Anche in questo caso, per dimostrare la validità di un’interpretazione secondo l’utopia fourieriana, è necessario convocare dai ricordi una scena che si presti a una particolare interpretazione. La presentazione narrativa deve restare autonoma in un episodio, ma abbastanza debole per poter essere subordinata all’argomentazione della filosofia di Fourier. Barthes convoca situazioni già narrate ma prive all’interno del suo discorso degli elementi dell’autonomia narrativa: la loro narrazione ricerca spiegazioni esterne per gli eventi che esprime. Come dicevamo, si tratta soltanto di un’applicazione, di esempi che usano le risorse della rappresentazione e del racconto da un punto di vista retorico più che cognitivo (non sono già costruzioni del testo-oggetto che vi sarà commentato). Quel ricordo, cioè, esiste nel discorso saggistico soltanto per mostrare il grado di applicabilità della logothesis di Fourier alla nostra vita (e le nuove prospettive che essa consente).
In un altro saggio di Sade, Fourier, Loyola, “Sade II” (inedito prima della pubblicazione e ultimo nella disposizione del volume) troviamo un frammento in cui Barthes immagina la proiezione di corpi sadiani (ridotti cioè alla descrizione tipica di Sade) su uno scenario reale:
Pris dans sa fadeur, son abstraction (“la plus sublime gorge, de très jolies détails dans les formes, du dégagement dans les masses, de la grâce, du moelleux dans l’attachement des membres”, etc.), le corps sadien est en fait un corps vu de loin dans la pleine lumière de la scène; c’est seulement un corps très bien éclairé, et dont l’éclairement même, égal, lointain, efface l’individualité (les imperfections de la peau, les couleurs mauvaises du teint), mais laisse passer la pure vénusté […] Quoi qu’il en soit, il m’a suffi d’éprouver une vive commotion devant les corps éclairés du Cabaret parisien, pour que les allusions (apparemment fort plates) de Sade à la beauté de ses sujets cessent de m’ennuyer et éclatent à leur tour de toute la lumière et l’intelligence du désir. (Ivi: 813)
Contenuti descrittivi in Sade vengono valutati nella loro credibilità e interesse informativo al contatto con un’ambientazione contemporanea: dai loro castelli inespugnabili, da quelle prigioni senza speranza di evasione, i corpi dei personaggi di Sade sono trasferiti a un Cabaret di Parigi; commutazione della loro topica originaria, che illumina contestualmente sull’utilità di una lingua estranea al tempo della Storia e pur tuttavia agibile anche nella nostra vita quotidiana. Quelle cornici narrative sono i racconti di un'altra realtà intravista, scritta e interpretata con il linguaggio letto in Sade (o in Fourier). Con la loro proposizione, il critico fornisce aneddoti del reale che vengono interpretati tramite una riscrittura e una descrizione finzionali. Storia e Utopia si incontrano in una scrittura di raccordo418.
Di aneddoti lo stesso Montaigne se ne serviva (per esempio sono tali molte sue digressioni), per cui non appare strano rintracciarne la presenza all’interno di un saggio419. Storicamente l’aneddoto viene dall’exemplum, una forma retorica (come abbiamo visto già codificata da Aristotele) trasformata in racconto esemplare a partire dalla seconda metà del Duecento, soprattutto per le esigenze di predicazione religiosa420. Questa forma tramandava già dalle sue origini una forte componente narrativa per Jacques LeGoff; l’exemplum aveva la temporalità diacronica caratteristica del narrato, mentre rivendicava anche lo statuto di verità storica (si raccontava un fatto successo realmente). Ma soprattutto LeGott ne sottolinea la funzione di collage per la sua dipendenza dal genere del sermone, quindi la sua finalizzazione al raggiungimento di scopi di persuasione o di didattica, oppure anche, laddove previsto dalla comunicazione predicatoria, di veri e propri obiettivi escatologici, come la salvezza eterna dei fedeli421. Partendo dall’exemplum in quanto sua provenienza formale, Marie-Pascale Huglo ha scritto un interessante studio sull’aneddoto. A differenza dell’exemplum, l’aneddoto non divulga una morale, ma tende ad appagare lo spirito di curiosità del lettore:
D’un point de vue paradigmatique, la composition interne de l’exemplum reproduit, en effet, l’opposition rhétorique entre l’unité narrative événementielle et l’unité argumentative du raisonnement: l’anecdote (ou le récit) relate une histoire dont la leçon tire les conséquences morales. D’un point de vue historique, le déclin de l’exemplum semble coïncider avec l’avènement de l’anecdote ou de la nouvelle, c’est-à-dire avec l’avènement de l’événement désormais dépourvu de portée exemplaire. (Huglo 1997: 126)
L’aneddoto esprime il moderno gusto dell’evento senza articolarlo in una struttura narrativa superiore. Si tratta perciò di una scrittura che necessita, se vuole essere investita di un qualche valore o significato, di una spiegazione successiva o di un commento specifico. Proprio per questa sua naturale discrezione e propensione alla dipendenza da altri discorsi, l’aneddoto avrebbe trovato nel Novecento un momento di particolare valorizzazione “generica” in quanto forma narrativa incline all’inserimento in tipi di discorso dimostrativo422. Nei saggi di Sade, Fourier, Loyola l’aneddoto autobiografico o storico di Barthes assume proprio questa funzione, costituendosi ad elemento narrativo volto ad esplicitare un’evidenza probatoria della logica dell’argomentazione.
Il tentativo di costruire un discorso per soli aneddoti trova nel capitolo “Vite” di Sade, Fourier, Loyola un originale momento di sperimentazione (anche se questa parte finale resta separata come compendio finale dei suoi saggi). Ma con la semplificazione delle vite e delle biografie di Sade e Fourier (quella di Loyola è assente) in frammenti svincolati da una qualsiasi sequenzialità narrativa, Barthes tenterà stavolta di raggiungere l’obiettivo già preconizzato in S/Z423: trasformare anche la figura dell’autore in un personaggio romanzesco, ricamando sopra la finzionalità del suo concetto (una qualità che ritroveremo traslata anche nelle monografie di Sartre e radicalizzata poi in Manganelli). Di quei frammenti cui è ridotta la biografia, Barthes dà il nome di biografemi: aneddoti che hanno soprattutto la funzione di appiattire la storia della loro vita sull’esperienza delle finzioni create.
Dapprima, in un biografema della vita di Sade, troviamo un annullamento dello iato temporale sullo sfondo di una stessa ambientazione: «en 1777, sur lettre de cachet, c’est à l’hôtel de Danemark, rue Jacob (la rue même d’où est édité ce livre), que Sade est arrêté, c’est de là qu’on le conduit au donjon de Vincennes»424. In quel punto dello spazio del Quartiere Latino di Parigi dove Sade passò in manette e dove le Éditions du Seuil si sono insediate coi loro uffici, il passato di un autore incrocia (194 anni dopo) il momento della contemporaneità in cui un altro, Barthes, ha pubblicato Sade, Fourier, Loyola per quell’editore. Due biografemi sono riportati entrambi sullo stesso sfondo di rappresentazione, il cui intervallo temporale risulta come azzerato.
Invece, il quarto biografema di Sade esplicita l’unificazione non dei tempi, ma degli spazi di rappresentazione, ricercando ancora uno stadio intermedio del registro discorsivo e sospeso ancora tra finzionale e non-finzionale (cioè affine all’aneddoto che compariva in Fourier). Come ormai sappiamo, per la sua storia il saggio si propone come genere particolarmente incline a queste concilazioni tra modi espressivi:
Le dimanche de Pâques 1768, à 9 heures du matin, place des Victoires, abordant la mendiante Rose Keller (qu’il fustigera quelques heures plus tard dans sa maison d’Arcueil), le jeune Sade (il a vingt-huit ans) est vêtu d’une redingote grise, il porte une canne, un couteau de chasse – et un manchon blanc. (Ainsi, dans un temps où la photographie d’identité n’existe pas, c’est bien paradoxalement le rapport de police, tenu de décrire le costume du suspect, qui libère le significat: tel ce délicieux manchon blanc, objet mis là sans doute pour satisfaire au principe de délicatesse qui semble avoir toujours présidé à l’activité sadique du marquis – mais non forcément à celle des sadiques.) (Barthes 2002b: 854)
Barthes si sofferma su un dettaglio esemplificativo dell’uomo Sade che rivelerebbe anche alcuni codici della sua poetica. Quel dettaglio del suo carattere e prelevato dalla sua biografia partecipa integralmente al processo di costruzione letteraria, semantica, linguistica dei suoi mondi di finzione: ciò in Sade è particolarmente evidente per la creazione di un vero e proprio lessico, definizioni e concetti che vengono derivati dal nome proprio di Sade. Nel quarto biografema il vestito rivela la sua delicatezza, un aspetto della sua personalità che trascende lo stesso Sade nel tempo della Storia e continua nella lingua, nella sua e nella nostra con il termine “sadismo”. Ugualmente, anche un biografema dalla Vie de Fourier rimanda a un aspetto della vita che diventa una significazione creativa (“la brillantezza”) nella parola, nel mondo del linguaggio:
Eblouissements de Fourier: la Cité et ses jardins, les plaisirs du Palais-Royal. Un rêve de brillant passe dans son œuvre: la brillance sensuelle, celle de la nourriture et de l’amour: ce brillant qui se trouve déjà, par jeu de mots, dans le nom de son beau-frère, en compagnie duquel il voyagea et découvrit sans doute les mirlitons parisiens (petits pâtés aux aromates): Brillat-Savarin. (Ivi: 862)
In questo caso, la biografia dell’autore viene legata da Barthes alla costituzione delle sue opere grazie a un ponte particolarmente ardito tra descrizione della città utopica e nome di un parente di Fourier. L’aneddoto biografico è allora la forma di una gestione discorsiva combinata tra il registro della Storia (la biografia di Fourier) e quello della scrittura; a differenza di quando sono inseriti nel discorso critico dei saggi di Sade, Fourier, Loyola, qui il biografema-aneddoto ricerca una qualche autonomia testuale, che prometterà successive evoluzioni nella scrittura di Barthes, ma che intanto nasce da un suo originario inserimento nel discorso argomentativo. In definitiva, lo scopo dei suoi diversi usi può essere ridotto a uno soltanto; vita e opera tracciano discorsi paralleli, nella biografia e nella letteratura, lasciando indietro non più un reale, ma soltanto una scrittura che riformula continuamente da se stessa:
Il suffit de lire la biographie du marquis après avoir lu son œuvre pour être persuadé que c’est un peu de son œuvre qu’il a mis dans sa vie – et non le contraire, comme la prétendue science littéraire voulait nous le faire croire […] Les scènes réelles et les scènes fantasmées ne sont pas dans un rapport de filiation; elles ne sont toutes que des duplications parallèles, plus ou moins fortes (plus fortes dans l’œuvre que dans la vie) d’une scène absente, infigurée, mais non inarticulée, dont le lieu d’infiguration et d’articulation ne peut être que l’écriture: l’œuvre et la vie de Sade traversent à égalité cette région d’écriture. (Ivi: 855)
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