1~ in modo che il complesso Università-Biblioteca, soprav-
E vissuto al Saccheggio, sopravvivesse anche alla Grande
E Rinascita. Anche le rovine del Palazzo erano state conser-
vate intatte. In quasi tutto il resto del pianeta, non c'era
~j più traccia di metallo. I grandi tunnel interminabili era-
no stati riempiti, ricoperti, distrutti, eliminati, sepolti
sotto rocce e terreno tranne lì, dove il metallo cingeva an-
cora gli antichi spazi aperti.
~` Si sarebbe potuto considerare quasi un monumento al-
la memoria delle glorie passate, il sepolcro dell'Impero,
ma per i trantoriani, per gli abitanti di Hame, si trattava
di un luogo sinistro, abitato dagli spiriti, che era meglio
evitare. Soltanto gli uomini della Seconda Fondazione
osavano mettere piede negli antichi corridoi, o toccare il
titanio luccicante.
Eppure, il Mulo per poco non aveva condotto alla rovi-
na di tutto.
Il Mulo era stato su Trantor, che cosa sarebbe successo
se avesse scoperto la natura di quel mondo? Le sue armi
materiali erano ben più potenti di quelle di cui disponeva
la Seconda Fondazione, e le sue armi mentali erano quasi
pari a quelle dei suoi avversari. La Seconda Fondazione
sarebbe stata ostacolata dalla necessità di ~are esclusiva-
mente ciò che era necessario e non di più, e dalla consa-
pevolezza che una vittoria immediata poteva determina-
re una perdita più grande in seguito.
Se non fosse stato per Bayta Darell e per il suo inter-
vento tempestivo... E anche quello si era verificato senza
alcun aiuto da parte della Seconda Fondazione!
E poi... era sopraggiunta l'Età d'Oro. I Primi Oratori
dell'epoca erano riusciti a trovare il modo di agire, di fer-
mare il Mulo nel suo iter di conquiste, di controllare infi-
ne la sua mente, di bloccare poi il passo alla stessa Prima
Fondazione quando questa si era fatta sospettosa e aveva
cominciato a domandarsi troppe cose sulla natura e l'
identità della Seconda. Preem Palver, diciannovesimo
Primo Oratore, il più grande di tutti, era riuscito, non
senza terribili sacrifici, a eliminare definitivamente ogni
pericolo e a salvare il Piano Seldon.
Ora, da centoventi anni, la Seconda Fondazione era
tornata a essere quello che era stata un tempo, si era na-
scosta nella parte di Trantor dove gli hamiani non mette-
vano piede. I suoi membri non sfuggivano ora gli impe-
riali, ma la Prima Fondazione, che si era allargata come
l'antico Impero Galattico e che era ancora più potente di
esso quanto a conoscenze tecnologiche.
Il Primo Oratore chiuse gli occhi, cullato dal piacevole
tepore della stanza e SciVola in quello stato mentale inde-
finito ma rilassante che stava a metà strada tra il sogno
allucinatorio e il pensiero cosciente.
Basta con i pensieri tetri, pensò. Sarebbe andato tutto
bene. Trantor era ancora la capitale della Galassia, per-
ché ospitava la Seconda Fondazione, che era più forte di
quanto non fosse stato l'Imperatore in passato, e più di
lui in grado di controllare la situazione.
Poi sarebbe venuto il Secondo Impero, che però non sa-
rebbe stato come il primo. Sarebbe stato un Impero Con-
federato, con i vari stati dotati di notevole autonomia,
sicché non si sarebbero avuti i difetti di un governo unita-
rio e centralizzato, apparentemente forte ma in realtà de-
bole. Il nuovo Impero sarebbe stato più flessibile, meno
monolitico. Sarebbe stato in grado di far fronte alle ten-
sioni, e sarebbe stato guidato sempre - sempre - dagli uo-
mini e dalle donne della Seconda Fondazione, che agiva-
no in segreto. Trantor sarebbe tornata a essere la capita-
le, e con i suoi quarantamila psicostorici sarebbe stata
più potente di quanto lo fosse mai stata con i suoi qua-
rantacinque miliardi di...
Il Primo Oratore si svegliò all'improvviso dal suo tor-
pore. Il sole era più basso nel cielo. Che avesse parlato,
nel sonno? Che si fosse lasciato sfuggire qualche conside-
razione ad alta voce?
Se la Seconda Fondazione doveva sapere molto e dire
poco, gli Oratori che la governavano dovevano sapere di
più e dire di meno. E il Primo Oratore doveva sapere più
di tutti e dire meno di tutti.
Shandess fece un sorriso ironico. Era sempre allettante
l'idea di diventare patrioti trantoriani. Era allettante
pensare che l'intero scopo del Secondo Impero fosse quel-
lo di dare origine all'egemonia trantoriana. Seldon aveva
lanciato un avvertimento in merito; aveva previsto perfi-
no una simile eventualità con cinque secoli di anticipo.
Il Primo Oratore si rese conto di non aver dormito trop-
po a lungo, non era ancora l'ora fissata per l'udienza. Era
ansioso di parlare in privato con Gendibal. Gendibal era
abbastanza giovane da considerare il Piano con occhi
nuovi, e abbastanza intelligente da intuire cose che agli
altri sfuggivano. Non era da escludersi che Shandess stes-
so avesse da Imparare qualcosa da lui.
Nessuno poteva dire con sicurezza quanto Preem Pal-
ver in persona, il grande Preem Palver, avesse tratto van-
taggio da Kol Benjoam che, non ancora trentenne, era ve-
nuto a parlargli dei vari modi in cui si poteva fronteggia-
re la Prima Fondazione. Benjoam, che in seguito era stato
riconosciuto come il più grande teorico dopo Seldon, non
aveva mai parlato di quel colloquio privato negli anni
successivi, ma alla fine era diventato il ventunesimo Pri-
mo Oratore. Alcuni attribuivano a lui, anziché a Palver, il
merito delle grandi realizzazioni dell'amministrazione
palveriana.
Shandess si chiese che cosa Gendibal avrebbe potuto
dirgli. Di solito i giovani in gamba che incontravano per
la prima volta da soli il Primo Ora-tore mettevano tutto il
succo delle loro teorie nella prima frase. E certo non chie-
devano mai quella prima, importante udienza per motivi
banali, non potevano rischiare di fare cattiva impressio-
ne sul Primo Oratore e di rovinarsi così la carriera.
Quattro ore dopo, Gendibal si trovava davanti a Shan-
dess. Non mostrava segni di nervosismo e aspettò con
calma che il Primo Oratore iniziasse il discorso.
--Avete chiesto un'udienza privata per discutere di
una questione importante, Oratore--disse Shandess.--
Vi spiace dirmi in sintesi di che si tratta?
E Gendibal, con la stessa tranquillità con cui avrebbe
potuto descrivere che cosa aveva mangiato a cena, disse:
--Primo Oratore, il Piano Seldon non ha senso.
Stor Gendibal non aveva bisogno del riconoscimento de-
gli altri per sentirsi in gamba. Si era sempre considerato
una persona eccezionale. Era stato reclutato all'età di
dieci anni da un agente della Seconda Fondazione che
aveva riconosciuto le potenzialità della sua mente.
Si era dimostrato bravissimo negli studi, e con la psico-
storia si era trovato perfettamente a suo agio reagendo
come un'astronave reagisce a un campo gravitazionale.
La psicostoria lo aveva attratto, e lui si era diretto ver-
so di essa con naturalezza. Aveva letto il testo di Seldon
sui fondamenti di quella scienza quando gli altri ragazzi
della sua età stavano ancora a pensare sulle equazioni
differenziali.
All'età di quindici anni aveva cominciato a frequentare
l'Università Galattica di Trantor (I'antica Università di
Trantor era stata ribattezzata così), dopo avere superato
un colloquio nel corso del quale, alla domanda quali fos-
sero le sue ambizioni, aveva risposto fermamente:--Di-
ventare Primo Oratore prima dei quarant'anni.
Dire semplicemente «diventare Primo Oratore« gli sa-
rebbe sembrato troppo poco; di poter arrivare a quella
carica, infatti, gli pareva scontato. Il difficile era arrivar-
ci in giovane età. Perfino Preem Palver ci era riuscito solo
a quarantadue anni.
Quando Gendibal aveva risposto in quel modo, un'om-
bra appena percettibile era apparsa sul viso di chi lo in-
terrogava; il giovane, che aveva già una certa padronanza
della psicolingua, era stato in grado di interpretarla. Ave-
va capito perfettamente, come se l'altro glielo avesse an-
nunciato a voce alta, che nella documentazione a lui rela-
tiva sarebbe stato annotato soggetto difficile da trattare.
Certo, perché no? Gendibal aveva tutte le intenzioni di
essere un soggetto difficile da trattare.
Adesso aveva trent'anni, ne avrebbe compiuti trentuno
di lì a pochi mesi, ed era già membro del Consiglio degli
Oratori. Aveva al massimo nove anni di tempo per diven-
tare Primo Oratore, ma sapeva che ce l'avrebbe fatta. L'
udienza con Shandess era fondamentale per i suoi piani;
perciò, sforzandosi di dare l'impressione giusta al suo in-
terlocutore, aveva cercato in tutti i modi di migliorare la
propria padronanza della psicolingua.
Quando due Oratori della Seconda Fondazione comu-
nicavano tra loro, la loro lingua era diversa da qualsiasi
altra lingua della Galassia. Non entravano in gioco sol-
tanto le parole, ma anche i gesti più apparentemente insi-
gnificanti, nonché la comprensione di ogni minima sfu-
matura mentale.
r~ l
~ Un estraneo avrebbe udito ben poche parole, ma in un
tt breve lasso di tempo si verificava un intenso scambio
mentale e in una forma comunicativa che, almeno lette-
~ . ralmente, riusciva comprensibile soltanto a un altro Ora-
F`' tore.
i' La lingua degli Oratori aveva il vantaggio della veloci-
~i tà e della infinita gamma di sfumature, ma aveva anche
~' uno svantaggio: rendeva praticamente impossibile ma-
I'` scherare le proprie opinioni reali.
" Gendibal sapeva bene qual era la propria opinione sul
Primo Oratore. Shandess, secondo lui, era un uomo che si
era lasciato alle spalle il periodo di massimo rigoglio
!r mentale. Non si aspettava crisi di sorta né era preparato
!~ a fronteggiarle. Gli mancavano l'acutezza e la prontezza
l~ che s.ervivano a risolvere le situazioni difficili. Benché
E fosse affabile e armato di buona volontà, era la tipica per-
sona che poteva provocare un disastro irrimediabile.
Gendibal doveva allontanare quei pensieri non solo dalle
parole, dai gesti e dall'espressione del Yiso, ma anche dal-
la sua stessa mente. Però non era sicuro di poterlo fare co-
t sì bene da impedire a Shandess di captare tracce delle
sue opinioni segrete.
Del resto, nemmeno Gendibal poteva evitare di captare
tracce dell'opinione che il Primo Oratore aveva di lui. 01-
tre la facciata di affabilità e cordialità, in fondo abba-
stanza sincera, Gendibal colse in lui un atteggiamento
vagamente divertito e paternalistico, e rafforzò le difese
mentali per non rivelare il proprio risentimento.
Il Primo Oratore sorrise e si appoggiò allo schienale
della poltrona. Non arrivò al punto di mettere i piedi sul-
la scrivania, però manifestò una tranquilla disinvoltura,
una noncuranza amichevole che indussero Gendibal a
chiedersi quale fosse il reale effetto della sua affermazio-
ne.
Poiché non era stato invitato a sedersi, il giovane aveva
a disposizione una rosa limitata di azioni e atteggiamenti
atti a ridurre al minimo la sua incertezza. Ed era impos-
sibile che il Primo Oratore non se ne rendesse conto.
--Il Piano Seldon non ha senso?--disse Shandess.--
Che affermazione singolare! Avete guardato di recente il
Radiante Primario, Oratore Gendibal?
--Lo studio di frequente, Primo Oratore. E mio dovere
e anche mio piacere farlo.
--Per caso studiate solo quelle parti che rientrano nel
vostro campo visivo? Lo osservate in micro-metodo, un
sistema di equazioni qui, un piccolo aggiustamento là?
Oh, non dico, è importantissimo farlo, ma ho sempre pen-
sato che di tanto in tanto osservare l'intero corso costitui-
sca un esercizio eccellente. Studiare acro per acro il Ra-
diante Primario è indubbiamente utile, ma osservarlo co-
me un continente è davvero stimolante. A dir la verità è
da lungo tempo che non lo guardo in questo modo nem-
meno io, Oratore. Volete farmi compagnia?
Gendibal non osò indugiare troppo. Bisognava accetta-
ré, e accettare di buon grado, altrimenti sarebbe stato co-
me avere detto di no.--Sarà per me un onore e un piace-
re, Primo Oratore.
Shandess premette un pulsante sul fianco della scriva-
nia. Tutti gli uffici degli Oratori erano forniti di congegni
analoghi e quelli che si trovavano nell'uf`ficio di Gendibal
erano esattamente identici a quelli della scrivania di
Shandess. La Seconda Fondazione era una società eguali-
taria in tutte le sue manifestazioni formali, cioè in quelle
poco importanti. Anzi, ufficialmente l'unico privilegio
del Primo Oratore era quello deducibile dal suo titolo.
prendeva sempre la parola per primo.
La stanza divenne buia, ma quasi subito l'oscurità si
attenuò, diventando perlacea. Entrambe le lunghe pareti
si colorarono di una tinta chiara che sfumò in un bianco
luminoso e alla fine apparvero, stampate nettamente, le
equazioni, così piccole da non poter essere lette facilmen-
--Se non avete obiezioni--disse il Primo Oratore, la-
sciando intendere che non ne avrebbe ammessa alcuna--
ridurrei l'ingrandimento perché si possa vedere quanto
più «continente« possibile.
Le equazioni diventarono ben presto linee sottili, spira-
li scure sullo sfondo perlaceo.
Shandess sfiorò i tasti della piccola consolle incorpora-
ta nel bracciolo della sua poltrona.--Lo riporteremo all'
inizio, all'epoca in cui viveva Hari Seldon, e lo regolere-
mo in modo che proceda a piccoli passi, diciamo di un de-
cennio alla volta. Così si ha la sensazione meravigliosa
del fluire della storia, e non si è distratti dai dettagli. Mi
chiedo se l'abbiate mai fatto...
--Non esattamente in questo modo, Primo Oratore.
--Ma avreste dovuto, sapete? La sensazione è fantasti-
ca. Osservate la scarsità di tracciati scuri all'inizio. Non
~rano possibili molte alternative, nei primi decenni. I
~i punti di ramificazione, però, crescono esponenzialmente
col tempo. Se non fosse per il fatto che, appena viene scel-
'ii ta una particolare ramificazione, nel suo futuro si estin-
F` gue una vasta schiera di altre alternative, tutto divente-
~h` rebbe ben presto ingovernabile. Naturalmente, nell'af-
F3' frontare il futuro, dobbiamo stare bene attenti a quali
siano le estinzioni su cui contare.
--Lo so, Primo Oratore.--Gendibal non poté fare a
meno di rispondere con una nota lievemente brusca nella
voce.
Il Primo Oratore fece finta di non averla avvertita.
--Notate le linee sinuose dei simboli in rosso. Seguono
uno schema preciso. Secondo ogni apparenza, il loro or-
dine dovrebbe essere casuale, dato che ciascun Oratore si
guadagna il suo posto aggiungendo particolari sottili al
Piano originario di Seldon. In fin dei conti sembrerebbe
non esserci modo di prevedere dove si possa aggiungere
facilmente un par ticolare o dove un certo Oratore troverà
i suoi interessi o le sue disposizioni, eppure io sospetto da
tempo che il miscuglio di Seldon ~Iero e Oratore Rosso
segua una legge inderogabile dipendente quasi esclusiva-
mente dal tempo.
Gendibal guardò gli anni passare e le linee nere e rosse
disegnare uno schema intrecciato quasi ipnotico. Lo
schema in se stesso non significava nulla, naturalmente.
Quello che contava erano i simboli da cui era compostD.
Qui e là apparvero alcuni ruscelletti azzurri: si gonfla-
rono, si ramificarono, acquistarono sempre più rilievo,
poi si disgregarono, confondendosi con le linee nere e ros-
se.
--Deviazione Azzurra--disse il Primo oratore, con un
senso di disgusto che Stor Gendibal condivise con lui.--
Ce ne saranno sempre di più, adesso, finché arriveremo al
Secolo delle Deviazioni.
Ci arrivarono.
Si poté dedurre con esattezza quando fosse cominciato
il fenomeno disgregante del Mulo, perché il Radiante Pri-
mario d'un tratto si riempì di ruscelletti azzurri che si ra-
mificavano a vista d'occhio. Alla flne sembrò che la stan-
za stessa fosse diventata azzurra: le linee si erano ispessi-
te e segnavano la parete col loro disegno luminoso che de-
nunciava un tragico inquinamento (inquinamento era in-
dubbiamente la parola giusta).
Il fenomeno raggiunse il suo apice, poi cominciò a de-
clinare, diminuì di intensità, persistette per un lungo se-
colo, e infine, ridotto agli sgoccioli, terminò. Quando fu
scomparso, e quando il Piano fu tornato alle consuete li-
nee nere e rosse, apparve chiaro che nella situazione era
stato determinante l'intervento di Preem Palver.
Avanti, avanti, avanti...
--Ecco il presente--disse tranquillo il Primo Oratore.
Avanti, avanti, avanti...
Lo schema si ridusse a un vero e proprio groviglio di li-
nee nere strettamente intrecciate, con tracce di rosso in
mezzo
--La nascita del Secondo Impero--disse il Primo Ora-
tore, e spense il Radiante Primario. La stanza fu inondata
di nuovo dalla luce normale.
--E stata un'esperienza emozionante--disse Gendi-
bal.
--Sì--disse il Primo Oratore--e si tende, fin che si
pub, a cercare di non riconoscere il~ tipo di emozione che
viene suscitato in noi. Ma lasciamo stare questo; permet-
tetemi invece di riassumere i punti salienti. Innanzitutto
avrete notato la totale assenza di Deviazioni Azzurre do-
po I'epoca di Preem Palver, vale a dire negli ultimi cento-
venti anni. Avrete visto anche che non ci sono probabilità
ragionevoli di Deviazioni superiori alla quinta classe nei
prossimi cinque secoli. Inoltre, non vi sarà sfuggito che
abbiamo cominciato a calcolare gli sviluppi della psico-
storia successivi alla fondazione del Secondo Impero. Co-
me certo saprete, Hari Seldon, benché fosse un genio ec-
celso, non era ovviamente onnisciente. Noi abbiamo per-
fezionato le sue teorie. Sappiamo sulla psicostoria più co-
se di quante non ne sapesse lui.
«Seldon fece arrivare i suoi calcoli fino al Secondo Im-
pero. Noi siamo andati più in là. In effetti, mi sia conces-
so dirlo senza~con questò offendere nessuno, il nuovo
Iper-Piano che va oltre l'epoca della fondazione del Se-
condo Impero è in gran parie opera mia, ed è a esso che
devo la mia attuale carica.
«Vi dico tutto questo perché mi risparmiate chiacchie-
re inutili. Davanti a una situazione del genere, come po-
tete concludere che il Piano Seldon è senza senso? E inve-
ce senza pecche. Il solo fatto che sia sopravvissuto al Se-
colo delle Deviazioni, sia detto con tutto il necessario ri-
spetto per il genio di Palver, dimostra che non ha pecche.
~ Quali sono i suoi punti debo}i? Come potete mai afferma-
;~ re che non è valido?"
~: Ritto in piedi davanti a Shandess, Gendibal disse:--
,~ Avete ragione voi, Primo Oratore. Il Piano Seldon non ha
1;,, pecche.
--Allora ritirate quanto avete detto?
--No, Primo Oratore. La pecca del Piano Seldon è pro-
prio la sua mancanza di pecche. E la sua perfezione a es-
sere fatale.
1l9
Il Primo Oratore osservò calmo Gendibal. Aveva impara-
to a controllare la propria espressione e lo divertiva il fat-
to che Gendibal, al contrario, non ci riuscisse. Il giovane,
mentre parlava con il suo interlocutore, faceva di tutto
per nascondere i suoi sentimenti, ma ogni volta, imman-
cabilmente, li rivelava.
Shandess lo studiò spassionatamente. Era un ragazzo
magro, di statura leggermente superiore alla media; ave-
va labbra sottili e mani ossute che non stavano mai fer-
me. Gli occhi neri erano seri, e lo sguardo tendeva a esse-
re torvo.
Sarebbe stato difficile, pensò, indurre un tipo del gene-
re ad abbandonare le proprie convinzioni.
--Vi esprimete per paradossi, Oratore--disse.
--Sembra un paradosso perché riteniamo il Piano Sel-
don così importante, che diamo per scontate certe cose e
le accettiamo in modo acritico.
--Cos'è che mettete in dubbio, allora?
--La basè stessa del Piano. Sappiamo tutti che esso
non può funzionare se la sua natura, o anche la sua esi-
stenza, sono note a troppe delle persone il cui comporta-
mento è destinato a prevedere.
--Questo non sfuggì ad Hari Seldon, mi pare. Diventò
anzi uno dei due assiomi fondamentali della psicostoria.
--Seldon non previde l'intervento del Mulo, Primo
Oratore, e quindi non previde nemmeno quanto i membri
della Prima Fondazione sarebbero stati ossessionati dall'
idea della Seconda Fondazione, della cui funzione erano
venuti a conoscenza tramite il Mulo.
--Hari Seldon...--disse Shandess, e d'un tratto rab-
brividì e s'interruppe.
Tutti i membri della Seconda Fondazione sapevano
quale fosse stato l'aspetto fisico di Hari Seldon. Dapper-
tutto si potevano vedere riproduzioni a due o a tre dimen-
sioni, fotografiche e olografiche, in bassorilievo e a tutto
tondo, dello scienziato. Le immagini, che lo rappresenta-
vano in tutte le pose, sia in piedi sia seduto, risalivano
agli ultimi anni della sua vita. Seldon appariva in esse un
vecchio benevolo con un viso grinzoso e saggio che era co-
me il simbolo della genialità pienamente maturata.
Ma il Primo Oratore si era appena ricordato di avere vi-
sto una volta una foto che si riteneva essere di Seldon gio-
vane. Era una foto che circolava poco, poiché un Seldon
giovane sembrava quasi una contraddizione in termini.
Eppure Shandess l'aveva vista, e d'un tratto gli era parso
che Stor Gendibal somigliasse straordinariamente all'uo-
mo ritratto.
Era ridicolo, naturalmente. Era una di quelle idee irra-
zionali che ogni tanto affliggevano anche le persone più
ragionevoli. Per un attimo, assurdamente, aveva pensato
che Seldon da giovane avesse più di un tratto in comune
con Gendibal, ma se avesse avuto davanti la foto in quel
momento avrebbe constatato subito che la somiglianza
era solo un'illusione. Come mai, però, quell'idea sciocca
gli era venuta in mente proprio adesso?
Shandess si riprese dal suo momentaneo disorienta-
mento. Era stata una pausa brevissima, un'incertezza co-
sì fuggevole, da poter essere notata solamente da un Ora-
tore. Gendibal l'avrebbe interpretata secondo la sua par-
ticolare sensibilità.
--Hari Seldon--ripeté Shandess, questa volta con
molta decisione--sapeva bene come ci fosse un numero
Dostları ilə paylaş: |