La vita e I miracoli



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Monsignor Conti raggiunse Pari­gi in incognito. Viaggiava in borghese, com’era spesso costretto a fare per le sue missioni segrete. Vestiva in modo classico e misura­to. Andò a salutare il Nunzio, che era al corrente del suo arrivo. Prese alloggio in un albergo vicino alla sede della Nunziatura e telefonò subito ad Emanuele Brunatto. - Il mio ufficio si trova in bouleovard Hausmann, al 146 - dis­se Brunatto. – L’aspetto. Non si erano mai incontrati prima, ma si conoscevano. Brunat­to sapeva che Monsignor Conti era il giovane prelato nel quale il cardinale Merry Del Val riponeva gran fiducia, tanto da servir­sene per investigare su Padre Pio. Conti sapeva che Brunatto era un personaggio particolare, un pò misterioso, che godeva della stima e dell'affetto del Padre. - Lei sa già la ragione per cui sono qui - esordì Monsignor Conti dopo la calorosa accoglienza di Brunatto. - Perlomeno credo di poterlo facilmente immaginare - rispo­se Brunatto. - Il Papa desidererebbe che il suo libro non fosse divulgato - affermò con voce precisa Conti entrando subito in argomento. La personalità cui aveva fatto riferimento conferì immediatamente al­la conversazione un significato straordinario che spense la baldan­za di Brunatto, costringendolo ad una lunga pausa di silenzio. - Sono un figlio devoto della Chiesa - disse infine con voce sommessa. - Dio sa con quanto entusiasmo e quanto orgoglio vorrei servire il Papa. Ma in questa specifica occasione sono co­stretto a disobbedire. - Costretto! È una sua scelta. - Una scelta cui mi hanno indotto le innominabili ingiustizie e l'ignobile e vile comportamento d’alcuni alti prelati della Chiesa -affermò Brunatto alzando la voce. E con tono sprezzante e gelido continuò: - Credo che lei sia al corrente della storia. Non sto ad il­lustrargliela. Hanno scarnificato un povero frate innocente. Ho dimostrato che le accuse erano frutto di vili calunnie. I responsabili sono stati puniti perché non si poteva fare diversamente, in quanto le loro colpe erano state rese pubbliche. Ma l'innocente, invece di una doverosa riabilitazione, ha subito una nuova e più grave con­danna. Credo che si stia esagerando in modo rivoltante. - Capisco la sua amarezza - commentò Conti che non si aspet­tava una reazione così dura. - Prima di partire, mi sono sommaria­mente informato sugli ultimi sviluppi del "caso". Forse si è proce­duto con lentezza nel riconoscere che c'era stato un errore. Ma sono autorizzato ad assicurarla che le promesse saranno mantenute. - Mi permetta di non tenere in alcun conto quanto dice. Almeno per non sentirmi fesso di fronte a me stesso. L'avvocato Francesco Morcaldi nell'ottobre del 1931 ha consegnato al cardinale Rossi il mio precedente libro, con tutti i documenti originali. Mille copie stampate in Germania e duecento cliché. Faccia un rapido calcolo di quanto mi possono essere costati quei libri. Ha consegnato tutto perché il cardinale Rossi, a nome del Papa, gli aveva promesso, in cambio, l'immediata liberazione di Padre Pio. Sono trascorsi quasi due anni e non è accaduto niente. Ha capito? Due anni! Mi dispiace che abbia fatto un viaggio inutilmente. - Le posso dare un impegno scritto. - Non serve più. Ho investito una fortuna in questa nuova tre­menda fatica. Ci sono altre persone implicate, che si sono esposte con il loro lavoro e con soldi. Siamo legati da un giuramento. L’unico modo per fermare la macchina che ho messo in moto è la liberazione immediata di Padre Pio. Fatti concreti. Le parole m’infastidiscono. Monsignor Conti avverti che la trattativa era già finita. Brunat­to aveva accumulato nel cuore una tale rabbia e un tale odio che sarebbe stato impossibile anche solo scalfirli. Fece un ultimo ten­tativo per tenere aperta la conversazione: - Posso chiederle - disse con molta gentilezza - di riflettere alla mia proposta fino a domani? - Questa è la mia unica decisione, adesso e domani - rispose secco Brunatto. Monsignor Conti si guardò le mani. Provava un notevole imba­razzo sentendosi preso di mira dallo sguardo feroce di Brunatto. A quel punto si sarebbe dovuto alzare, salutare e andarsene. Ma gli dispiaceva. Decise di cambiare argomento. Fece un leggero sor­riso di circostanza.- Sono spiacente - aggiunse con tono malinconico - che questo nostro incontro si esaurisca così in fretta e in modo tanto freddo. Sono undici anni, esattamente dal 1922, quando sono sta­to a San Giovanni Rotondo, che desideravo conoscerla. Brunatto abboccò, anche perché aveva capito che le parole del Monsignore erano sincere. - Anch'io, forse proprio fin da allora, desideravo parlare con lei - rispose con voce pacata. - Ebbi modo di sapere quanto lei, in quell’occasione, aveva riferito al cardinale Merry Del Val su Padre Pio. Tutte le sue informazioni erano esatte. - Chissà che un giorno non troviamo un pò di tempo per scambiarci qualche parere su questa vicenda senza avere posizioni da difendere e persone da rappresentare. - Mi farebbe piacere. Credo che tutti e due avremmo delle co­se interessanti da confidarci. - Be”- disse Conti alzandosi dalla sedia - allora, piacere d’averla conosciuta e speriamo di incontrarci presto. - Dove alloggia? - All'hotel Napoléon. - Non è lontano. Questa sera dove cena? - In albergo, credo. - Non ha impegni? - Di nessun genere. Conto di prendere un rapido per l'Italia domattina. - Se accetta, vorrei invitarla a cena, così potremmo parlare in modo disteso. - Con grande piacere - rispose Conti dimostrandosi molto fe­lice per l'invito. - La vengo a prendere alle 20,30. - A dopo, allora. Monsignor Conti camminava lento verso l'albergo. Sembrava un turista pigro e assonnato. In realtà, continuava a pensare alla ragione del suo viaggio. Nel fondo del suo cuore sperava ancora di convincere Brunatto a desistere dalla pubblicazione del libro. Gli sarebbe dispiaciuto tornare a Roma per dire al Papa: "La mia missione è fallita". Aveva capito che Brunatto era un tipo inflessibile. Ma la spe­ranza è l'ultima a morire. Del resto, una lunga conversazione a quattr'occhi al ristorante poteva offrire nuovi spunti di riflessione. E chissà, alla fine, anche suggerire ripensamenti. Inoltre, al di là dei risultati, era molto interessato a parlare di una vicenda che lo aveva sempre affascinato e cui aveva, in passato, dedicato tanto tempo. Brunatto era l'uomo che sapeva tutto. Alle 20,30 si fece trovare pronto nella hall dell'albergo. Brunat­to aveva cambiato espressione. Era disteso, rilassato, quasi felice. - Le piacciono le famose lumache alla bourgugnonne? - Le conosco solo di fama. Mai mangiate. - La porto in un localino dove le cucinano alla perfezione. Hanno il miglior cuoco di questa specialità. E anche il miglior Beaujolais, il vino che meglio si sposa con questo piatto. Non presero il taxi. Il locale non era lontano. Camminare per il centro di Parigi, in una sera di fine maggio, era uno spettacolo. L'aria, la gente, l'allegria, i colori, formavano un paesaggio indi­menticabile. Brunatto si destreggiava tra i passanti agile e veloce. Sembrava indifferente allo spettacolo. In realtà lo assaporava con voluttà. - Monsieur Emmanuel, che piacere! - I camerieri si prodiga­vano in profondi inchini e grandi sorrisi. Arrivò anche il maitre. "Brunatto è molto conosciuto" pensava Monsignor Conti. - Le abbiamo riservato il solito tavolo - disse il maitre. - Grazie, Francois - rispose Brunatto ricambiando il sorriso cordiale del maitre. E poi, rivolgendosi a Conti: - Venga, le pre­sento il cuoco. - Si avviò verso la cucina. Entrò deciso, si avvicinò allargando le braccia a un giovane dai capelli rossi, lo abbracciò con affetto. - Devi prepararmi delle lumache super - disse parlando spe­ditamente in francese. - Questo mio amico che viene dall'Italia è un intenditore, un buongustaio. Guai se mi fai fare brutta figura. Il giovane cuoco era felice. Brunatto gli diede una manata sulle spalle. Sapeva trattare con la gente e riscuoteva un grande succes­so. Tutti gli volevano bene, lo servivano, e lui dimostrava cordia­lità e simpatia verso tutti. Sì sedettero al tavolo riservato, uno di fronte all'altro. Brunatto era ridiventato di colpo pensieroso. Monsignor Conti capì che in realtà non aveva mai dimenticato, neppure per un attimo, i propri problemi. "È uno di quegli individui" pensò "che non staccano mai. La­vorano ventiquattr'ore su ventiquattro. Sono come i segugi: fiuta­no la preda anche quando dormono." Il cameriere servì due calici di spumante bianco come aperitivo. Brunatto assaggiò e annuì con il capo. Alzò il calice guardando l'ospite, che rispose al gesto senza parole, poi gli domandò all'im­provviso: - Che cosa pensa di Padre Pio? - Non saprei. Non lo conosco - rispose il Monsignore. - Non lo conosce personalmente, ma ha studiato il caso per an­ni. Ha letto relazioni, accuse, calunnie, ha sentito giudizi, ha incon­trato persone che conoscono il Padre, si sarà certo fatto un'idea. - La cosa che mi ha sorpreso fin dall'inizio è che intorno a lui si siano formate fazioni con opinioni diametralmente opposte e ir­riducibili. Per alcuni è un santo, per altri un demonio. E quando ci si trova di fronte a prese di posizione così esasperate, è difficile che la verità stia nel mezzo. - I calunniatori sono andati giù pesanti, e le loro affermazioni sono state ampiamente divulgate anche dalla stampa. Mentre, a parte le stigmate, che di per sé fanno notizia, non si sa quasi nien­te della sua santità, perché lui non parla di se stesso. - Lei naturalmente lo considera un santo - disse Conti. - Non ho dubbi - rispose Brunatto. - Anzi, lo considero un grande santo. Dirò di più, un santo fuori da ogni schema. Un per­sonaggio che ha ricevuto una missione, per certi versi ancora sco­nosciuta, per la salvezza del mondo. - Ricordo di aver sentito parole del genere dal cardinale Augu­sto Silj e anche dal vescovo monsignor Kenealy, al rientro dalle lo­ro visite a San Giovanni Rotondo. Erano quasi spaventati da quel­lo che avevano potuto riscontrare. - Non sono un esperto di santi, ma ho letto tanti libri. Intorno a Padre Pio si sente aleggiare un mistero imperscrutabile. Le stig­mate sono un segno. Il mondo ne parla tanto perché le vede. Sono certamente una cosa immensa, un marchio divino. Ma, in un cer­to senso, ostacolano una visione globale della fenomenologia mi­stica che si riscontra in Padre Pio. Tutte le cose straordinarie che si leggono nelle vite dei santi, in lui sono presenti in maniera massic­cia. E ciò nonostante è una persona umanissima, semplice, molto affettuosa. - Da tredici anni è sotto la lente di ingrandimento di studiosi e di giudici, ed è piuttosto strano che non si sia ancora riusciti a far luce su di lui. - E io non ho ancora capito perché la Chiesa ostacola Padre Pio con tanta violenza. - La Chiesa è una grande società. Deve essere prudente. - Benissimo. Ma sono trascorsi ben tredici anni! - Sono stati anni di accuse. - Di calunnie! - Non è facile classificarle tutte in questo modo: pensi alle di­chiarazioni del vescovo di Manfredonia. - È stato dimostrato con un inchiesta svolta dalla Chiesa stessa che era lui il capo dei calunniatori, ed è stato rimosso dall'incarico. - Lo so. Ero a Roma allora. Ma pensi a Padre Gemelli. Il car­dinale Merrv Del Val doveva tener conto delle accuse che veniva­no da Manfredonia, ma furono soprattutto i giudizi di Gemelli e del professor Bignami a convincerlo. Ed erano giudizi negativi. - Gemelli non ha mai visto, e quindi non ha mai visitato, le stig­mate di Padre Pio. - Dice sul serio? - Ero presente quando venne a San Giovanni Rotondo nell'aprile del 1920. - Ma presentò una relazione scientifica ferocissima... - Perché? Ecco un'altra domanda cui non riesco rispondere. Non credo che per Gemelli fosse importante prendersela con un povero confratello che vive sulle montagne. - È strano che si sia comportato così. Comunque, nel comples­so le varie accuse erano gravissime, non si potevano ignorare. - Ma poi la Chiesa ha scoperto che si trattava solo di calunnie. Ha trovato i responsabili e li ha puniti. Si è però rifiutata di rende­re giustizia all'innocente. Invece di reintegrarlo nella sua dignità, riconoscendo di avere sbagliato, lo ha "ricondannato" con pene più severe, dimostrando di volerlo distruggere a ogni costo. Di fronte a una simile aberrante ingiustizia, io mi sono ribellato. - Nella storia dei santi si trovano tanti altri casi del genere. - Non mi interessa la storia. Io vivo questa vicenda e non ac­cetto di essere complice di malvagità innominabili. Ma perché, mi domando, la Chiesa, una società guidata dallo Spirito Santo, com­mette ingiustizie così atroci? - Non è la Chiesa a sbagliare, sono gli uomini della Chiesa. - Diciamo pure gli uomini della Chiesa, se le fa piacere. E io continuo a domandarmi: perché persone che dovrebbero ispirare la loro condotta al Vangelo si comportano in questo modo? - Siamo tutti dei poveri peccatori. Vittime di passioni, di interes­si, di egoismi. E vittime anche delle forze del male. Non dovremmo mai dimenticare che la cronaca e la storia hanno risvolti teologici. - Che significa? - Che sono frutto dell'azione degli uomini, ma anche di quella degli "esseri invisibili". Recitando il "Credo" noi diciamo: "Credo in Dio, Creatore del cielo e della terra", cioè tutto ciò che esiste la terra, il mondo visibile, degli uomini; il cielo, quello invisibile di Dio, degli spiriti. Nell'altra versione, detta "Simbolo di Nicea-Co­stantinopoli", quella che si recita nella Messa, si pronuncia un'altra frase che spiega la prima: "Credo in Dio, Creatore di tutte le cose vi­sibili e invisibili". E quindi verità di fede che esista un mondo invisi­bile, che ha una certa influenza su quello visibile. Noi sappiamo che è costituito dagli spiriti, dagli Angeli, alcuni dei quali sono "angeli decaduti", cioè demoni: Lucifero e i suoi seguaci. La visione cristia­na della realtà comporta la presenza costante, nella vita degli uomi­ni, della Provvidenza, di Dio, degli Angeli, ma anche delle forze del male. La Chiesa ha sempre messo in guardia contro la nefasta in­fluenza di Lucifero, che Gesù chiama "omicida fin dal principio". È, questo, un grande e imperscrutabile mistero cristiano, su cui si ri­flette poco. Eppure, è la chiave per capire molte cose. - In parole semplici, vorrebbe dire che Satana sta manovrando questa vicenda di Padre Pio? - Potrebbe essere. Satana cerca di distruggere l'opera di Dio e degli uomini di Dio. Non si accanisce contro persone che stanno già dalla sua parte. Concentra tutte le sue forze contro quegli indi­vidui che rappresentano un ostacolo ai suoi progetti di distruzio­ne. I santi sono il bersaglio primo. Più grandi sono, più violenta è la sua lotta. "Satana è un puro spirito, quindi ha un'intelligenza acutissima che gli permette di intuire il futuro. Sa quale influenza può eserci­tare ogni singolo individuo sulla storia del mondo. Ed è chiaro che combatte con ogni mezzo i migliori collaboratori di Cristo. "Ammettiamo, per ipotesi, che sia vero ciò di cui lei è piena­mente convinto, e cioè che Padre Pio sia realmente un sacerdote”segnato”dal mistero di Cristo per volere di Dio, quindi un grande mistico; un messaggero del cielo con una straordinaria missione da compiere. In questo caso sarebbe il nemico numerò uno di Satana, ed è logico che la battaglia del Maligno contro di lui diventi feroce. Più eccelsa è la missione che Dio ha affidato a questo”messaggero speciale', più potente sarà l'ostilità di Satana per cercare di distruggerla. E per riuscire nel suo scopo, Satana ricorre ai mezzi più efficaci. Nel caso specifico, non esiterebbe a servirsi anche delle massime autorità della Chiesa, perché così il”messaggero”verrebbe”totalmente squalificato”agli occhi dei cristiani. "Questa è un'ipotesi, ma è anche un modo di guardare la crona­ca da un punto di vista teologico. Però, come si fa, oggi, a dire che Padre Pio è un”messaggero celeste”inviato da Dio per la salvezza del mondo? Potrebbe anche essere un”mezzo diabolico”guidato dal Maligno per creare confusione tra i credenti. Solo in futuro, tra cinquanta, cent'anni, potremo sapere la verità. E gli uomini di Chiesa, che devono decidere oggi, possono anche sbagliare." - Ciò che lei dice è interessantissimo. Una spiegazione filosofico-teologica molto suggestiva. Io mi attengo a cose terra terra, e dico che i giudizi emessi dalle autorità della Chiesa su Padre Pio sono volutamente ciechi. - Perché? - Vanno contro ogni logica, contro una realtà di fatto che le stesse autorità ecclesiastiche hanno scoperto e constatato. - Se così fosse, ci troveremmo veramente di fronte a un abilis­simo lavoro del Maligno. Satana sarebbe riuscito a coinvolgere nella sua ragnatela contro Padre Pio perfino la massime autorità della Chiesa, compreso il Papa. Non lo posso ammettere. - Perché? Lo ritiene impossibile? - In teoria, come ho già detto, tutto è possibile, ma in pratica... - Sono state le autorità ecclesiastiche a scoprire che le accuse a Padre Pio erano false. Hanno anche smascherato gli autori di quelle calunnie e li hanno condannati. A questo punto, logica vuole che sì renda giustizia al calunniato reintegrandolo nella sua dignità. No, signori! Le autorità ecclesiastiche lo hanno nuova­mente condannato. Ha capito? Lo hanno condannato una secon­da volta pur sapendo, con certezza assoluta, che è innocente. - Non ho dati per contraddirla, ma nello stesso tempo non posso ammettere una cosa del genere. Comunque, le posso dire che già nel 1922 questa storia aveva risvolti strani. Un giorno il cardinale Merry Del Val, proprio mentre si parlava del "caso Pa­dre Pio" e aveva davanti il fascicolo con le varie accuse, mi disse: "Sono tanti e talmente violenti gli attacchi a questo religioso che non mi meraviglierei se un giorno si scoprisse che sono inventati. Ho come l'impressione che non siano i singoli individui ad acca­nirsi contro di lui, ma le forze del male". Vede? Perfino il cardinale Merry Del Val ipotizzava una spiegazione di tipo teologico. - Io sono stato molto vicino a Padre Pio. Quando vivevo in convento, trascorrevo ore e ore nella sua cella. Io e lui soli. Parla­vamo apertamente. Mi considerava come un figlio. A proposito di Satana, mi raccontava cose che mi facevano rizzare i capelli. Le sue lotte con il Demonio erano continue e feroci, all'ultimo san­gue. Ogni mattina si alzava bastonato e a volte pieno di lividi e di sangue. Diceva di aver lottato contro Satana per strappargli delle anime. In questi tempi di confusione, Padre Pio è il nemico princi­pale delle forze del male. Le combatte a viso aperto e senza tre­gua. E loro tentano di farlo fuori, di toglierlo di mezzo, servendosi anche delle autorità ecclesiastiche che, al contrario, dovrebbero proteggerlo. - Non ho elementi per darle ragione. È un fatto che questo fra­ticello, che vive in un paese disperso sul Gargano, da una decina d'anni richiama l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale sui valori spirituali e su verità altrimenti trascurate. - Padre Pio fa riflettere sulla figura di Cristo Salvatore, sul mi­stero della sofferenza fisica di Gesù e sulla sua Morte in croce. Ma la nostra società non vuole sentir parlare di queste realtà. È in at­to, nel mondo, una feroce battaglia contro Cristo; è guidata da Satana e affidata agli atei, in particolare alla massoneria. Io sono diventato molto amico dell'avvocato Cesare Festa, il quale, prima di essere convertito da Padre Pio, era il Gran Maestro della loggia massonica di Genova, una delle più importanti d'Italia. Mi ha rac­contato cose spaventose a proposito della lotta che la massoneria sta conducendo contro Cristo. Mi ha confidato che lui aveva l'or­dine di combattere il Padre, di calunniarlo, proprio perché è un "testimone vivente" di Cristo. E mi ha anche rivelato che ci sono vescovi e cardinali iscritti alla massoneria. - Non è il caso di esagerare. - Certo, non si deve esagerare. Ma ciò che le dico è realtà, con­statata da una persona che viveva dentro la massoneria. Contro Padre Pio hanno inventato di tutto, e lei lo sa bene. Se fosse una persona qualsiasi, che bada soltanto ai propri interessi, lo lasce­rebbero in pace. "Nel 1928 sono stato convocato da Don Orione, il fondatore dell'Opera della Divina Provvidenza, perché lo aiutassi a togliere un sacerdote da uno scandalo terribile. Don Orione aveva seguito il mio lavoro in difesa di Padre Pio, si era convinto che ho qualche capacità, e mi chiese aiuto piangendo. Quel sacerdote, Padre Riccardo Gild, da tredici anni reggeva il Santuario della Catena a Cassano Ionico, in Calabria. Era considerato un santo, un misti­co, e al santuario accorreva molta gente. Questo dava fastidio agli anticlericali, che erano scatenati contro di lui. Nel maggio del 1928 fu orribilmente violentata e uccisa una bambina di due anni, e il corpicino fu trovato ad un centinaio di metri dal santua­rio. Bastò questo particolare per far subito cadere i sospetti su Pa­dre Gild, che fu arrestato e condotto in carcere. Scoppiò uno scandalo enorme. La massoneria soffiava sul fuoco, aiutata dal clero locale che non vedeva di buon occhio un estraneo alla gestione del santuario. Padre Gild fu accusato anche d’altri quattro delitti, di cui erano state povere vittime altrettante bambine di Roma. Fu una vicenda spaventosa di cui parlarono i giornali di tutta Italia. "Quando cominciai ad indagare, dovetti scontrarmi con le auto­rità massoniche, atei che andavano d'accordo con il clero. Subii minacce, attentati. E quando dimostrai che il sacerdote era real­mente innocente, facendo arrestare il vero colpevole, nessuno prese le difese del prete. Erano quasi tutti arrabbiati perché era risultato innocente. "Durante quel periodo, seppi da Don Orione che anche lui era stato vittima di feroci calunnie. All'epoca del terremoto che scon­volse la Sicilia e la Calabria, nel 1908, era stato tra i primi ad ac­correre e si era fermato a lungo per portare aiuto. Con il suo zelo e le sue capacità organizzative si attirava le simpatie e la stima del­la gente. Questo dava fastidio alle autorità, agli atei e anche al cle­ro. Decisero di distruggerlo. Cominciarono a dire che frequentava donne di malaffare. Arrivarono a contraffare la sua firma sui regi­stri di un albergo notoriamente frequentato da prostitute. Ma fe­cero di più: con la complicità di un barbiere presso il quale Don Orione andava a radersi, gli inocularono il virus della sifilide. Il barbiere infettò il rasoio e provocò a Don Orione un piccolo ta­glio. L'infezione scoppiò violenta devastando il volto del povero prete. I suoi nemici divulgarono la notizia ovunque, creando uno scandalo incredibile. La notizia arrivò in Vaticano, e il Papa or­dinò un'inchiesta. Per fortuna Pio X aveva la più grande stima di Don Orione e lo difese. Poi il barbiere si pentì e confessò i retro­scena di quel crimine facendo i nomi dei mandanti. "Come vede, si svolge una lotta continua e terrificante contro gli uomini di Dio. E in questa lotta spesso gli atei si trovano stra­namente d'accordo con certo clero. Io credo che Padre Pio sia tan­to combattuto dagli uomini di Chiesa perché è un vero santo." - Quel che mi racconta è terribile. In un certo senso spiega le mie teorie sui risvolti teologici della storia. Ma le sue conclusioni mi sembrano esagerate. - Non lo sono, glielo assicuro. - Parliamo un pò di Padre Pio: è vero che legge nel pensiero? - E come! Non sono mai riuscito a nascondergli niente. - Allora sa anche che cosa sta facendo ora. - Certo che lo sa. Anche perché io ho agito in modo che lui fosse sempre al corrente delle mie iniziative. - Come giudica il Padre il suo comportamento? - Lo condanna. Mi ha anche scritto lettere molto cattive. Ogni giorno mi aspetto che arrivi la punizione. Perché lui punisce. Non è sempre tenero, soprattutto con i suoi "figli spirituali". Lui ha sem­pre obbedito, ha sempre difeso la Chiesa, gli ecclesiastici, ha sem­pre chinato il capo. Mi ha sempre detto: "Bisogna baciare sempre la mano dolce della Chiesa, anche quando ti percuote". Ha tentato in tutti i modi di trasmettere anche a me questo suo amore sublime per la Chiesa. E ci è riuscito. Quando stavo con lui, ragionavo come lui. Ma dopo, quando ho visto le ingiustizie, e ne ho viste tante, gli imbrogli, le cattiverie, mi sono ribellato. Ho ricominciato a ragio­nare con la mia testa e me ne sono dovuto andare. Se fossi rimasto con lui, non avrei certo potuto fare quel che sto facendo. - Non le viene mai il dubbio che forse i consigli di Padre Pio sono giusti? - Mi viene, ma lo caccio. Io voglio che il Padre torni a essere libero. - E lo sarà. Io sono venuto per offrirle la libertà di Padre Pio. E gliela offro a nome e per conto del Papa. Credo che non sia mai accaduto che il Papa abbia mandato un suo messaggero personale a un laico, un privato, per chiedergli un favore. - Comprendo. Mi sento un verme a rifiutare un favore al Pon­tefice, ma la mia risposta è no e resta no. Solo la liberazione del Padre può cambiarla. Comunque, non è di questo che dovevamo parlare. L'argomento Padre Pio è chiuso.

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