La vita e I miracoli



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Bernardo Rosini era un giovane di Offida, un paesino in provincia di Ascoli Piceno. Apparteneva a una famiglia da tempo devota di Padre Pio. Si era laureato e aveva trovato da poco un buon posto nell'apparato governativo. Allora si era sposato. Andò a fare visita a Padre Pio per ringraziarlo di quanto aveva. Era certo che il Padre, cui spesso si era raccomandato, avesse contribuito alla sua buona sistemazione. - Caro giovanotto - gli disse il Padre appena lo vide - se vuoi continuare ad avere un lavoro, devi lasciare il posto che oc­cupi adesso. - Ma, Padre, l'ho appena ottenuto! - ribatté Rosini meravi­gliato. - Te lo ripeto: se vuoi avere un lavoro, cambia. - La sistemazione che ho conseguito - cercò di spiegare Rosini - è veramente ideale. Un posto del genere uno se lo sogna per una vita. Oltre tutto, sono orgoglioso perché sono riuscito a otte­nerlo senza alcuna raccomandazione politica. Non vorrei proprio perderlo. - Siamo nel 1941 - disse Padre Pio. - L'Italia perderà la guerra, il fascismo cadrà, e i posti di lavoro che dipendono dal go­verno non esisteranno più. Tu devi entrare nell'aeronautica. Rosini rimase impietrito dalle parole del Padre e dalla sicurezza con cui le aveva pronunciate. Si senti mancare la terra sotto i pie­di. Credeva di essersi sistemato per tutta la vita, ma quelle parole facevano a brandelli le sue sicurezze. E suscitavano dubbi terribili sull'avvenire della patria. Gli italiani, a quel tempo, avevano la certezza della vittoria. Non tanto per la forza del loro esercito, ma soprattutto perché i loro alleati, i tedeschi, si erano impadroniti di buona parte dell'Europa centrale, avevano occupato la Polonia e la Francia, e le loro armate erano vittoriose anche sugli altri fron­ti. In quel momento era assurdo pensare che le parole di Padre Pio avessero un senso. - È sicuro, Padre, che perderemo la guerra? - domandò con angoscia. - Non c'è speranza quando si va contro il Papa e si bestemmia la Madonna. - La Germania, nostra alleata, sta conquistando l'Europa. - Hitler è manifestamente contro il Papa ed è un fanatico as­sertore della religione del sangue. Sarà punito. - E l'Italia? - Non resterà legata alla Germania fino alla fine. Se l'Italia vincesse la guerra con la Germania, i tedeschi, a guerra finita, ci schiaccerebbero sotto i piedi. Bernardo Rosini tornò a casa molto preoccupato. Sapeva pero che Padre Pio non si sbagliava mai e cominciò a darsi da fare per seguire i suoi consigli. La guerra seminava desolazione. Viaggiare era diventato diffici­le. Il flusso di pellegrini verso San Giovanni Rotondo era diminui­to, e in parte anche cambiato. Adesso si vedevano meno uomini, meno ammalati, ma erano cresciute in compenso le donne. Mam­me, nonne, giovani spose, fidanzate, si recavano dal Padre a chie­dere informazioni dei loro cari al fronte. - Padre, che debbo pensare di mio marito? - Di mio figlio? - Del mio fidanzato? Da tempo non ho notizie. E mostravano le foto. Il Padre guardava, rifletteva e dava loro una risposta. - Vai in pace. - Stai tranquilla.- Tornerà. - Preghiamo, figliola. La gente conosceva bene il preciso significato di quelle frasi sec­che. E sapeva che il Padre non sbagliava. I nemici lo accusavano di stregoneria. - Si comporta come le megere che fanno le carte - dicevano scandalizzati. Ma le loro critiche si perdevano senza significato nel dolore della fiumana di gente che accorreva dal Padre in cerca di una parola di speranza. Un giorno Padre Pio si trovò di fronte Cleonice, la sua «figlia spirituale". Anche lei teneva una foto tra le mani. - È mio nipote Giovannino - gli disse. - I suoi genitori stan­no impazzendo per il dolore. È il loro primogenito. È stato fatto prigioniero, e da un anno non ricevono più notizie. - Scrivigli una lettera - bisbigliò il Padre. - Non sappiamo dove si trovi, non sappiamo dove mandarla. - Affidala all'Angelo Custode - aggiunse lui sempre con voce sommessa.- Magari... Voi, Padre, potete servirvi dell'Angelo Custode, ma noi... Padre Pio la guardò severamente. Cleonice vide nei suoi occhi un rimprovero, ma anche una delusione. Capì che aveva dimo­strato ancora una volta di dubitare di lui, delle sue parole. - Be', Padre, se lo dite voi... - azzardò. - Allora, io scrivo la lettera. Cosa devo mettere al posto dell'indirizzo? - Il nome del destinatario. – E poi... - Basta. Cleonice non sapeva che altro chiedergli. Era imbarazzata. Con tutto l'amore e la stima che aveva per il Padre, non riusciva ad im­maginare che il suo consiglio potesse avere un senso concreto. Aveva avuto tante prove dell'incredibile forza della fede del Padre, ma ogni volta dubitava. La sua mente razionale si rifiutava di cre­dere, di ammettere che potessero accadere cose del genere. Con fatica decise di seguire il consiglio di Padre Pio. Quella sera stessa preparò la lettera, scrisse sulla busta il nome del nipote e la mi­se sul comodino, rivolgendo un pensiero all'Angelo Custode: "Pa­dre Pio mi ha detto di fare così, ora tocca a te eseguire i suoi ordini". Al mattino, con sua gran sorpresa, la lettera non c'era più. "Sarà caduta" disse fra sé Cleonice e la cercò sul pavimento, sotto il letto, dietro il comodino. Niente. Corse al convento da Padre Pio. Ho scritto la lettera e non la trovo più - gli disse concitata. - Ma che credi? Che gli Angeli siano dei fannulloni? Se hai scrit­to e l'hai affidata all'Angelo Custode, lui sta facendo il suo dovere. Cleonice non riusciva a seguire il Padre in questi suoi ragiona­menti. Non lo contraddiceva per rispetto, ma, pur sforzandosi, non riusciva ad avere la sua stessa fede cieca nel soprannaturale. Una quindicina di giorni più tardi ricevette una lettera di Gio­vannino. Il giovane ringraziava la zia per avergli scritto e dava precise notizie di sé, di dove si trovava e del suo stato di salute. - Mio Dio! - esclamò Cleonice coprendosi il viso con le mani mentre un brivido le percorreva tutto il corpo. E rivolgendo gli occhi al cielo, disse: - Signore, ma Padre Pio chi è veramente? Cleonice era sconvolta per quanto aveva constatato. Era l'ennesi­ma volta che s’imbatteva in quell'alone di mistero che avvolgeva l'esistenza di Padre Pio, e n’era rimasta ancora profondamente col­pita. Non dubitava che il Padre fosse una grande anima, un essere privilegiato e amato da Dio. Ma i continui interventi del cielo, così clamorosi, che accadevano intorno a lui con tanta naturalezza le fa­cevano paura. La costringevano a credere che la normale esistenza di ciascun essere umano è in realtà attorniata da presenze meravi­gliose, che neppure la più fervida delle fantasie potrebbe immagina­re. E il Padre non solo conosceva quelle presenze, ma era in contatto con loro, parlava con loro, e poteva servirsi di loro, della loro poten­za, come ci si serve dell'aiuto di cari amici. Cleonice non riusciva a tenere per sé gli eventi misteriosi legati a Padre Pio di cui veniva a conoscenza. Sia pure con molta pru­denza, raccontava quanto sapeva. Spesso, però, dalle persone con le quali sì confidava veniva a conoscere altri fatti portentosi, che aumentavano il suo stupore e la sua ammirazione. - Sono andata da Padre Pio disperata - le raccontò una gio­vane sposa di Foggia. - Pochi giorni dopo il matrimonio mio ma­rito era stato costretto ad imbarcarsi su un incrociatore diretto in Grecia. E dai giornali avevo saputo che, lungo il viaggio, la nave era stata silurata dagli inglesi. Piangevo chiedendo al Padre noti­zie. "Calmati" mi disse lui. "Tra due giorni riceverai una bella no­tizia." Due giorni dopo mio marito telefonò dall'Inghilterra, di­cendo che era stato raccolto dal sottomarino che aveva silurato l'incrociatore, e che stava bene. - Il mio fidanzato era impegnato sul fronte iugoslavo - le rac­contò Caterina, una sua amica. - Da mesi non ricevevo sue noti­zie. Sono andata da Padre Pio con la sua foto, e lui mi ha detto: «Stai tranquilla, ritornerà". È tornato. A Spalato lo avevano con­dannato a morte, ma è riuscito a fuggire ed è tornato a casa. Un giorno, sul sagrato della chiesa, Cleonice si imbatté nella si­gnora Luisa Vairo in lacrime. - Che cosa le succede, signora Luisa? - le domandò preoc­cupata. - Niente, niente, sono lacrime di felicità. Luisa Vairo era italo-inglese. Apparteneva ad una famiglia ricchis­sima. Era stata famosa per la sua bellezza e aveva frequentato tutti i migliori salotti d'Europa. Poi aveva incontrato Padre Pio, aveva ab­bandonato il mondo e si era stabilita definitivamente a San Giovan­ni per essere vicina al Padre che le aveva fatto trovare Dio. - Mio figlio è ufficiale della Marina britannica - racconto trattenendo a stento il pianto di consolazione. - Un paio di setti­mane fa avevo letto sui giornali che la nave sulla quale era imbar­cato era stata affondata e molti marinai erano morti. Piangendo ero corsa da Padre Pio e lui mi aveva detto: "Non piangere, tuo fi­glio non è morto" e mi aveva dato l'indirizzo di dove si trova. Ho scritto, ma non avrei mai creduto che mio figlio si trovasse vera­mente a quell'indirizzo, e invece ecco, è arrivata la sua risposta. È vivo, sta bene, non so come ringraziare il Padre". E la signora Vài­ro, vinta dalla commozione e dalla felicità, riprese a piangere a dirotto, mentre Cleonice ruminava nella mente i propri interrogativi sul "mistero" di Padre Pio. Cercò qualche spiegazione dai confratelli del Padre. - Ha sentito che cos'è accaduto alla signora Vairo? - domandò a Padre Agostino, il confessore di Padre Pio, che dal 1944 era anche Superiore del convento di Santa Maria delle Grazie. - Padre Pio non finisce mai di sorprendermi. - Ogni giorno arrivano lettere con testimonianze sconvolgenti - rispose Padre Agostino. - Un signore ha scritto che, mentre stava confessandosi dal Padre, avrebbe voluto rivolgergli una domanda, ma non osava. Riguardava la salvezza eterna d’alcune persone di fa­miglia che avevano perso la vita in un bombardamento. «Quelle sono salve" disse Padre Pio, rispondendo alla domanda che quel signo­re aveva nel cuore ma che non aveva avuto il coraggio di fare. "Un sacerdote ha avvicinato il Padre in sacrestia mentre stava to­gliendosi i paramenti sacri dopo la celebrazione della Messa. Ha preso dalla tasca delle fotografie e gliele ha mostrate. Prima di riu­scire a fargli la domanda, il Padre gli ha detto:”Nessuno dei due, anzi dei tre, è più su questa terra'. Il sacerdote si è accorto allora che aveva mostrato al Padre due fotografie, ma in realtà ne aveva por­tate con sé tre, una era rimasta in tasca. "Una signora aveva perduto il marito e temeva che fosse in pur­gatorio. Desiderava chiedere qualche cosa al Padre ma non ne aveva il coraggio. Guardandola con un sorriso, lui le ha detto con sicurezza:”È in paradiso'. "Ad una ragazza che aveva perduto il babbo ha detto:”Il tuo papà è in cielo. La sua anima è passata per le mie mani'.”Ma non era credente...”ha obiettato la ragazza.”A volte”ha commentato Padre Pio”basta una lacrima di pentimento.”"Da ogni parte d'Italia ci arrivano segnalazioni e testimonianze di persone che affermano di aver avuto salva la vita grazie a Padre Pio. Bombe rimaste inesplose vicino a qualcuno che era raccolto in preghiera attorno alla fotografia del Padre. Un grosso proiettile lan­ciato da un aereo, dopo aver sfondato cinque piani di un palazzo, si è conficcato dolcemente a terra vicino ad una foto del Padre. L'imma­gine di Padre Pio è un portafortuna, un parafulmine, e continuiamo a ricevere richieste da persone che vogliono una sua foto. "Il Padre, nella sua semplicità, quando gli riferisco queste cose, ci scherza sopra. Un giorno un confratello gli ha consigliato di stare attento perché c'era in giro uno squilibrato che diceva di volerlo uc­cidere. E lui si è mostrato preoccupato. Allora il confratello gli ha detto:”Non devi allarmarti, questi maniaci parlano tanto ma non agiscono mai'. E il Padre:”Mi preoccupo, invece. Che credi? Pensi forse che io abbia in tasca la foto di Padre Pio che mi protegge?'. "Cara figliola" concluse Padre Agostino "noi siamo fortunati d’essere testimoni di simili prodigi della bontà del Signore. Ma dob­biamo anche tenere presente che abbiamo una grande responsabi­lità di fronte al mondo e alla storia. Dio ci chiederà conto di come abbiamo accolto questi segni che lui ci manda attraverso il Padre." Le confidenze di Padre Agostino avevano aumentato la meravi­glia di Cleonice, che un giorno volle affrontare l'argomento con lo stesso Padre Pio. - Padre, ma voi come spiegate tutti i fatti incredibili che vi ac­cadono? Alzando gli occhi al cielo il Padre le rispose: - Figliola, io sono un mistero di fronte a me stesso. Bernardo Rosini aveva seguito il consiglio di Padre Pio. Pur non riuscendo ad immaginare che potesse aver ragione nelle previsioni che gli aveva fatto, aveva lasciato il posto di lavoro ottenuto con tanta fatica, era entrato nell'esercito, aveva vinto un concorso ed era stato destinato alla Scuola d’applicazione dell'Aeronautica di Firenze. Finito il corso, era stato mandato a prestare servizio pres­so l'aeroporto di Palese, vicino Bari. Un giorno ci fu un attacco a sorpresa da parte di bombardieri americani. Provenivano dal mare ad altissima quota. Giunti sul­l'aeroporto, si buttarono giù in picchiata, sganciando decine di bombe. Sulla zona si scatenò un pauroso inferno di fuoco. Tutti gli aerei italiani e tedeschi furono distrutti. Si ebbero morti e feriti. Rosini, in mezzo a quell'inferno, continuava ad invocare Padre Pio e stringeva una medaglietta della Madonna che il Padre gli aveva regalato. Ad un certo momento una granata gli scoppiò pro­prio vicino. Senti le schegge micidiali che gli sfiorarono il viso, ma rimase miracolosamente illeso. Qualche giorno dopo si recò a San Giovanni Rotondo per rin­graziare Padre Pio e decise di fermarsi tre giorni. La pace e il silen­zio del luogo lo affascinavano. Andò dal Padre a dirgli che si sa­rebbe fermato ancora un giorno. - No - ribatté secco Padre Pio. - Devi lasciare San Giovanni Rotondo oggi stesso. - Vorrei proprio restare almeno fino a domani - insistette Rosini. - Via, via subito! - sbottò il Padre e se ne andò anche lui in chiesa a confessare le donne. Rosini era confuso. Sapeva che le parole di Padre Pio nasconde­vano sempre un profondo significato, e quindi bisognava metterle subito in pratica. Però voleva essere certo di aver capito bene. At­tese quindi in sacrestia che il Padre avesse terminato di confessare. C'era anche un signore di Bologna che aspettava in sacrestia. Aveva seguito la conversazione di Rosini con il Padre. - Padre Pio ha il dono di conoscere anche ciò che accade mol­to lontano - disse quasi a voler indicare che era meglio unifor­marsi alle sue parole. - Sì, è vero, l'ho constatato diverse volte - rispose Rosini. - Quando arrivai quassù la prima volta - aggiunse il bolo­gnese - Padre Pio, senza conoscermi, senza avermi mai visto pri­ma, senza sapere niente di me, mi venne incontro e mi disse: "Pec­cato che tu sia venuto proprio oggi. Devi tornare subito a Bologna perché è morto tuo padre". Rimasi di sasso. Presi il primo treno e arrivai a casa un'ora prima dei funerali. - Terribile - osservò Rosini diventando subito pensieroso. Non aveva preso in considerazione l'eventualità che a casa potes­se essere accaduto qualcosa. In quel mentre Padre Pio rientrò in sacrestia e vedendo Rosini gli disse severo: - Sei ancora qui? Devi andartene subito. Rosini lo guardò con un'espressione preoccupata. - Vai, vai in pace - aggiunse dolcemente il Padre porgendogli la mano, che Rosini baciò con grande devozione. Il giovane soldato corse a prendere la corriera. Lungo il viaggio continuava a pensare a quanto gli aveva raccontato il signore di Bologna ed era angosciato. Tuttavia ripeteva fra sé: «Mi ha detto di andare in pace. Vuoi dire che non mi devo preoccupare Arrivato a casa, trovò che in famiglia tutto era a posto. Continua­va a domandarsi perché mai il Padre gli avesse ordinato di partire in fretta. La risposta la ricevette il giorno successivo, quello che aveva scelto per il viaggio di ritorno a casa. Quel giorno si scatenò un in­terminabile bombardamento su Foggia, e uno dei punti presi di mi­ra dai bombardieri fu la stazione ferroviaria, che venne praticamen­te distrutta. Se non avesse ascoltato le parole di Padre Pio, si sarebbe trovato in mezzo a quell'inferno rischiando di rimetterci la vita. Bernardo Rosini continuò a prestare servizio a Palese anche do­po l'arrivo delle truppe che liberarono il Sud d'Italia. I soldati del­l'Aeronautica militare italiana collaboravano con gli Alleati. Un giorno cominciò a sentire strani racconti tra i piloti dell'avia­zione angloamericana. Erano soldati di varie nazionalità, inglesi, americani, polacchi, palestinesi, e di diverse religioni, cattolici, or­todossi, musulmani, protestanti, ebrei. Giovani intelligenti e sani. - Ogni volta che ci avviciniamo a qualche zona del Gargano, nei pressi di San Giovanni Rotondo - raccontavano - vediamo nel cielo un monaco con le mani protese, e i nostri aerei non ri­spondono più ai comandi, virano e tornano indietro. Quei racconti venivano ascoltati con diffidenza e ironia al campo. - Sono soltanto dei piloti ubriachi - commentavano alcuni ufficiali indignati. Rosini pensò subito a Padre Pio. - Com'è questo monaco che vedete? - domandò. Le loro descrizioni erano discordanti, ma restava il fatto che nessuno di loro era riuscito a portare a termine la missione. - Soldati - affermò con gravità il generale americano che li comandava - questa è una missione importante. In quella zona c e stato segnalato un deposito di materiale bellico tedesco e dob­biamo distruggerlo. Forza, andiamo, verrò io con voi. Il generale prese il comando di una squadriglia di bombardieri. Al campo tutti erano curiosi di sapere che cosa sarebbe accaduto. Poco dopo la squadriglia rientrò. Il generale americano era scon­volto. - È proprio vero - disse. - C'è un fantasma nel cielo che co­manda i nostri aerei. Appena giunti nei pressi del bersaglio, ho vi­sto ergersi davanti a noi quella figura ieratica, con la mani alzate. Le bombe si sono sganciate automaticamente cadendo nei boschi, e gli aerei hanno invertito la rotta, senza alcun intervento da parte nostra. - Io conosco quel fantasma – intervenne Rosini. E raccontò al generale di Padre Pio. Il generale americano era scettico, ma ri­mase colpito da quanto Rosini gli aveva raccontato. - Tu mi porterai da quel monaco - gli disse. Qualche tempo dopo, non appena fu possibile, Rosini guidò una delegazione d’ufficiali americani a San Giovanni Rotondo. Appena varcata la soglia della sacrestia, i soldati si trovarono di fronte un gruppo di frati. - È quello - dissero i soldati indicando Padre Pio. Lui, sorridente, si avvicinò alla delegazione. Andò dritto dal ge­nerale e battendogli una mano sulla spalla gli disse: - Dunque, sei tu quello che voleva farci fuori tutti. Folgorato da quello sguardo e dalle parole del frate, il generale, pur essendo di religione protestante, si inginocchiò commosso da­vanti a lui. Padre Pio lo invitò a rialzarsi e continuando a conver­sare bonariamente lo accompagnò insieme agli altri soldati fin sul sagrato, dove si salutarono. - Come parla bene la nostra lingua - osservò meravigliato il generale rivolgendosi a Rosini, che annuì con il capo. Non fece al­cun commento perché era letteralmente allibito. Aveva assistito ad una scena incredibile: Padre Pio aveva sempre continuato a parla­re in dialetto pietrelcinese, i soldati in americano, e si erano com­presi alla perfezione.

15

Con la fine della guerra riprese vi­ta il progetto della grande clinica a San Giovanni Rotondo. Padre Pio convocò i suoi "tre moschettieri", Sanguinetti, Sanvi­co e Kiswarday, e disse loro: - Adesso dobbiamo metterci concretamente al lavoro. Aveva già scelto il nome per la sua clinica. - Si chiamerà - disse ai tre collaboratori - «Casa Sollievo della Sofferenza". - Se deve essere un ospedale, una grande clinica, forse il termi­ne «casa" non e il più adatto - obiettò il dottor Sanguinetti. - No, no, la parola giusta è proprio "casa" - ribatté deciso il Padre. - Non voglio neppure sentir parlare d’ospedali, per ca­rità! L’ammalato, soprattutto se povero e d’umili origini, si sente sperduto quando, sofferente, è costretto a vivere lontano dalla propria casa e dai propri familiari. Venendo a curarsi da noi, deve trovare un ambiente affettuoso, premuroso come quello di casa sua. E in questo ambiente, tutti coloro che gli stanno intorno de­vono avere un solo scopo, un solo obiettivo: "sollevare" le sue sofferenze, soprattutto con l'amore, con la sollecitudine, pensan­do che in quell'ammalato è presente Cristo. Il primitivo Comitato, sorto in forma privata nel 1940, il 5 otto­bre 1946 si diede una costituzione legale. Davanti al notaio Girola­mo Caggiarelli di Foggia venne registrato l'atto costitutivo della "Società Anonima Casa Sollievo della Sofferenza". Presidente, Sua Eccellenza il marchese Giovanni Sacchetti di Roma; vicepresidente, il dottor Sanvico; consigliere delegato, il dottor Sanguinetti; cassie­re, il dottor Kiswarday. I responsabili della Società si recarono subito a Roma per infor­mare il Generale dei Cappuccini di quanto stavano per fare a San Giovanni Rotondo. - Vorremmo che lei prendesse l'opera sotto la sua protezione lo invitò il presidente Sacchetti. - Non possiamo - rispose il Generale dei Cappuccini. - Noi siamo vincolati dal voto di povertà, non ci è permesso impegnarci in imprese del genere. Al più, quando l'opera sarà finita, pos­siamo prestare i nostri aiuti spirituali agli ammalati, come faccia­mo in parecchi ospedali di Roma. I dirigenti della Società tornarono mortificati. Presero contatti con alcuni ingegneri e architetti per avere dei progetti. - Chi finanzia l'opera? - domandavano gli ingegneri. - La Provvidenza - rispondevano gli amici di Padre Pio. Gli ingegneri riflettevano, poi arrivava la risposta, che più o meno era sempre la stessa: - Siamo pieni d’impegni, non abbiamo tempo per metterci a seguire anche questo. Fu deciso di lanciare un bando, diffondendo la notizia anche at­traverso i giornali. Nel giro d’alcuni mesi arrivarono diverse risposte. Furono esa­minate. Padre Pio rimase impressionato da un solo progetto. - Ecco, questa è la mia clinica - disse osservando il disegno. - Proprio così io l'ho "vista", e così deve essere. Il progetto era firmato da un certo ingegner Candeloro di Pe­scara. Venne convocato, e si scoprì che l'ingegner Candeloro non esisteva: il progetto era stato presentato da Angiolino Lupi, che non era neppure geometra. I frati di San Giovanni Rotondo si scandalizzarono, volevano denunciare il mistificatore, ma Padre Pio si oppose. Aveva letto nel suo cuore, aveva capito che quello era l'uomo giusto e lo volle accanto a sé. Angiolino Lupi era un abruzzese dal carattere difficile n'a ge­nialoide. Figlio di povera gente, aveva studiato tra mille sacrifici riuscendo ad ottenere la licenza tecnica. Aveva poi seguito saltua­riamente dei corsi all'Accademia delle Belle Arti. Non aveva alcun titolo per firmare il progetto per una clinica, ma poteva vantare un'esperienza pratica di straordinario valore. Lupi non aveva mai avuto un lavoro specifico. Quando si pre­sentava un posto libero, lui si improvvisava esperto di quel settore e tentava la sorte. Da giovane, a Castelfreddone, per guadagnare qualcosa foto­grafava i defunti. La gente, da quelle parti, era molto povera e non spendeva soldi per farsi fotografare. Quando moriva qualcuno, i parenti si la­mentavano di non avere immagini del defunto. Allora si faceva avanti Angiolino, con una Kodak da poche lire. Strofinando il volto dei cadaveri con un pannolino inzuppato d’acqua tiepida, riusciva a far aprire loro gli occhi per qualche attimo, il tempo ne­cessario per scattare una foto. Una volta lasciato il paese, Angiolino, che era un omone alto e solido, aveva lavorato a Chieti, Lanciano, Pescara, Roma, in Siria e in Egitto. Aveva fatto il falegname, il muratore, il pavimentista, l'imbianchino, il decoratore, il tornit9re, lo scenografo. Padre Pio capì al volo il suo valore. Era proprio l'uomo che fa­ceva per lui. - Lupi sarà il progettista, il realizzatore e il direttore dei lavori della "Casa Sollievo della Sofferenza" - disse e ordinò ai propri collaboratori di aprire le trattative con lui. Il Padre aveva una gran fretta. - Abbiamo perduto sei anni a causa della guerra - insisteva con i suoi collaboratori. - Dobbiamo cominciare i lavori al più presto. Lupi doveva portare a termine un precedente impegno a Pesca­ra e non sarebbe stato libero prima di maggio. Padre Pio decise di cominciare egualmente. Chiamò a San Giovanni Rotondo Don Giuseppe Orlando, il sa­cerdote suo compaesano, che gli era particolarmente amico e con il quale aveva già realizzato altre difficili iniziative. - Devi. aiutarmi a costruire la mia grande opera terrena - gli confidò. - Che significa? - domandò Don Orlando. Sapeva dell'ambi­zioso progetto, ma fino a quel momento il Padre non gliene aveva mai parlato direttamente, e voleva sentire proprio da lui come sta­vano davvero le cose. - Ho deciso di costruire una grande clinica - disse il Padre. - Dove? - Qui, vicino al convento. - Non arriverà mai nessuno quassù per farsi curare. Tempo e soldi buttati. - La vuole il Signore - disse Padre Pio. - Il Signore si sarà sbagliato. - Peppino! - Va bene, Piuccio, conta su di me. Ritengo che sia un'impresa impossibile, ma ti voglio aiutare. Che devo fare? - Cominciare i lavori. - Bisogna prima avere un progetto, dei finanziamenti, sapere esattamente che cosa si vuoi fare. - Il progetto c e, ma intanto bisogna cominciare lavori. Don Orlando sbuffava. Aveva da poco portato a termine un al­tra grande opera voluta da Padre Pio: la chiesa e il convento dei Cappuccini a Pietrelcina. I lavori erano iniziati nel 1926, ventun anni prima, e non erano ancora finiti. Aveva giurato di non met­tersi più in imprese del genere. E invece... Voleva capire bene e domandò ancora: - Piuccio, che genere di clinica vorresti? - Una clinica per gli ammalati. - Ho capito. Ma per quanti ammalati? Qualcosa di simile al­l'Ospedale di San Francesco che avevi creato nel 1925? - No, quello era un ospedaletto. Il Signore vuole una clinica grande, meravigliosa, una "reggia" per gli ammalati. Deve essere un esempio di come bisogna curare gli ammalati, di come si devo­no comportare i medici. Un ospedale importante, che diventi an­che un tempio per la scienza. Io vedo qui - e si guardava intorno indicando con la mano il territorio che intendeva occupare - una cittadella della medicina. - Qui, per ora, ci sono solo rocce - precisò sarcastico Don Orlando. - E anche volendo spianarle, si riuscirà ad ottenere lo spazio per una costruzione modesta, che non potrà mai rispec­chiare il sogno che hai in testa. - Ma noi spianeremo la montagna. La frantumeremo, costruiremo dentro le sue viscere. Da questi sassi sorgerà un complesso maestoso, degno del Signore. Don Orlando si guardava intorno passandosi una mano dubbio­sa sul mento. Le rughe della sua fronte si infittivano e provava un gran desiderio di scappare. Nessun entusiasmo, nessuna ispirazio­ne. Aveva sempre creduto nelle intuizioni carismatiche del suo Piuc­cio, ma il sogno della clinica gli sembrava proprio assurdo. Anche se fossero venute le truppe americane a lavorare, non avrebbero potu­to fare granché tra quelle rocce. - Non c'è spazio - insistette. - Non c'è possibilità di movi­mento, di lavoro. Qui è tutta roccia. E San Giovanni è quassù, iso­lato, non ci sono nelle vicinanze fabbriche o stabilimenti per procu­rarci la materia prima per le costruzioni. Dove andremo a prendere la calce, il cemento, la sabbia, il marmo, i mattoni, il legno, i rivesti­menti, i mobili, le suppellettili? Ciò che vicino a Foggia potrebbe costare cinque, quassù costerà dieci. È un progetto irrealizzabile. - Ti devi fidare del Signore - rispose Padre Pio sorridente. - Ci penserà lui ad appianare tutte le difficoltà. Don Orlando, però, non riusciva proprio a convincersi e scrol­lava il capo sconsolato. - Devi cominciare i lavori - continuava a ripetere Padre Pio al­l'amico Don Orlando. Durante quella sua permanenza a San Giovanni Rotondo, il sa­cerdote era ospite in convento. In refettorio pranzava vicino al Pa­dre, che ogni tanto gli dava dei colpi nel fianco con il gomito ripe­tendogli: - Devi cominciare i lavori. - Va bene, cominciamo - disse finalmente il sacerdote. - Oh, così mi piaci! - Ma cosa devo fare? Io non sono un ingegnere. - I lavori veri e propri prenderanno il via tra qualche settima­na, quando arriverà Lupi con la sua impresa - gli spiegò il Padre. - Però adesso è necessario cominciare. - Se si tratta di qualche settimana, non puoi aspettare? - No, bisogna iniziare. - Perché? - Perché sì, testardo. Padre Pio aveva alzato ~ voce. Don Orlando capì che lui sape­va il perché, ma non voleva dirlo. - Va bene, dimmi che devo fare. - Qualunque cosa, purché si lavori. - Potrei tracciare una strada, che poi servirebbe per trasportare il materiale per la costruzione. - Ottimo - commentò il Padre. - Comincia a fare la strada Don Orlando convocò alcune persone che conosceva. Parlò con I "figli spirituali" del Padre che avevano delle responsabilità in paese; fece arrivare degli operai e ne assunse una ventina. E una mattina si presentò nel posto indicato dal Padre con picco, badili e rotoli di spago e cominciò a tracciare l'idea di una strada. Un giovane prete passeggiava pensieroso sul sagrato davanti al­la chiesetta del convento di Santa Maria delle Grazie. I pellegrini che gli passavano accanto lo guardavano con curiosità e gli sorri­devano. Alto, atletico, possente, sembrava un attore del cinema, uno di quei sacerdoti protagonisti di certi film che cominciavano ad arrivare allora dall'America. Era una calda giornata di fine aprile 1947, ma di primo mattino a San Giovanni Rotondo c'era sempre una brezza pungente. - Sia lodato Gesù Cristo, Don Carlo - disse Padre Raffaele avvicinandosi sorridente al giovane prete. - Sempre sia lodato - rispose il sacerdote con voce calda e poderosa. - Ha dormito bene? - Profondamente. È un posto incantevole, e posso finalmente gustare un pò di silenzio. A Roma avevo perduto questo piacere. Qui mi sembra di trovarmi in certi luoghi della mia Polonia dove amo tornare proprio per sentire il silenzio. Parlava con accento straniero, ma il suo italiano era discreto Era studente di teologia a Roma e aveva approfittato delle vacan­ze pasquali per fare la conoscenza di Padre Pio. La sua figura, co­sì singolare per prestanza e armoniosità di tratti, non poteva pas­sare inosservata. Tutti lo salutavano, e lui rispondeva a chiunque con grande cordialità. Padre Raffaele lo trattava con molto riguardo. Era Stato per tanti anni Guardiano del convento e adesso aveva il titolo di Vica­rio, ma, per la sua lunga e profonda amicizia con Padre Pio, aveva anche l'incarico di prendersi cura degli ospiti speciali che arrivavano da lontano. - Il Padre mi ha detto che l'aspetta nella sua cella alle il - disse Padre Raffaele al giovane prete polacco. - A quell'ora in genere ha finito di confessare. - Grazie, grazie. Intanto approfitto per fare una passeggiata per i campi e respirare quest'aria fresca. - Vuole che l'accompagni? - No, non si disturbi. - Ci vediamo più tardi, allora. - A dopo. Il sacerdote si allontanò di buon passo lungo le mura del con­vento per raggiungere i campi. Padre Raffaele tornò in convento. Don Carlo si chiamava in realtà Don Karol Wojtyla. I frati fati­cavano a ricordare quel cognome difficile da pronunciare, perciò lo avevano messo da parte e avevano semplificato anche il nome nel più facile e familiare Don Carlo. Era arrivato da alcuni giorni. Aveva una lettera di presentazione di un Padre domenicano, professore di teologia all'Angelicum e grande amico di Padre Pio, e quindi era stato accolto come un confratello e ospitato in convento. I religiosi avevano notato che il Padre si era intrattenuto più vol­te e a lungo con lui.- Questo prete deve avere gravi problemi di coscienza - com­mentavano. - Eh sì, in genere il Padre va per le spicce. Con questo invece trascorre ore e ore. - Chissà da chi è raccomandato... Il giovane polacco, che aveva ventisette anni ed era sacerdote da appena Otto mesi, si stava specializzando in teologia mistica, per­ciò era molto interessato a tutta la fenomenologia carismatica. Avendo sentito parlare del Padre e delle stigmate che aveva sul corpo, volle a tutti i costi conoscere il religioso. Tuttavia, dopo il loro primo incontro, il motivo di studio era passato in secondo piano per lasciare posto ad un vivissimo interes­se personale. Tra i due era scoccata una scintilla d'intesa. Il giova­ne sacerdote polacco trovava in Padre Pio una fonte di preziosi consigli per la propria vita spirituale; il Padre, dal canto suo, "ve­deva" in quel giovane un sacerdote "segnato" di grazie particolari per la storia della Chiesa. Come le ho detto ieri, non ho ancora una visione ben chiara della mia vocazione - si confidò Don Carlo quando fu di nuovo a tu per tu con Padre Pio. Erano seduti nell'orto del convento. "Sotto gli alberi fa più fresco e si ragiona meglio" gli aveva det­to il Padre, e anche a Don Wojtyla piaceva stare all'aria aperta.- Non ho dubbi sulla scelta da me compiuta di dedicare la mia esistenza a Dio nel sacerdozio - aggiunse. - Però sono forte­mente attratto dalla vita contemplativa e vorrei ritirarmi in un monastero di clausura, mentre il mio arcivescovo si oppone e insi­ste perché io rimanga nella vita attiva della diocesi. - Sono due modi diversi di servire il Signore - osservò Padre Pio. - Ma tutti e due importanti. Direi indispensabili alla vita della Chiesa. - Gesù, nel Vangelo, indica la vita contemplativa come «la par­te migliore". Lo insegnò in casa delle sorelle Marta e Maria. Marta era indaffarata nei lavori domestici, mentre Maria stava ai piedi di Gesù ascoltando le sue parole.. Marta se ne lamentò, pretendendo un aiuto, e Gesù disse: "Maria ha scelto la parte migliore". - È vero. Però, se non ci fosse stata l'azione di Marta, non avrebbero potuto pranzare. E poi, la scelta di Maria si confaceva al suo carattere. È importante scegliere in armonia con le proprie inclinazioni. - Io finora ho condotto un'esistenza molto attiva. Sono diven­tato sacerdote solo lo scorso novembre, e la mia vocazione si è sviluppata in questi ultimi tempi, durante la guerra. In realtà, non ho neppure mai vissuto in seminario, perché era stato chiuso dai nazisti. Di conseguenza non conosco bene la vita in comunità, ma credo di essere attratto dall'esistenza contemplativa. Per questo, dovendo venire a studiare a Roma, ho scelto di specializzarmi in Teologia mistica. Sto preparando una tesi di laurea sulle opere di San Giovanni della Croce. Sono affascinato dagli scritti di questo santo, come da quelli di Santa Teresa d'Avila. Come le ho detto, vorrei ritirarmi in un monastero, ma non so se sia la decisione giu­sta. Che ne dice lei, Padre? - Figliolo, non vedi bene in te stesso e pretenderesti che possa. riuscirci io? - Voi siete un grande esperto d’anime. - Per guidare un'anima bisogna conoscerla a fondo. Ti ho in­contrato due giorni fa, e domani te ne vai. È difficile per me darti dei consigli. - Ho grande fiducia in voi. - Sbagli. Devi aver fiducia in Dio, che ti è vero padre. - Certo, avete ragione, ma Dio fa conoscere la sua volontà at­traverso persone di sua fiducia. Sono venuto da voi per sentire che cosa vuole Dio da me. - Caro figliolo, l'atteggiamento importante da tenere nella vita dello spirito è quello della "disponibilità". Non dobbiamo tanto preoccuparci di prendere delle decisioni precise, quanto piuttosto d’essere attenti ai segni, alle minime indicazioni che possono ve­nire dal cielo. Se vogliamo fare la volontà di Dio, dobbiamo ascol­tare la sua voce per capire che cosa vuole da noi. Lui ci ha creati, e ha un certo pensiero, dei progetti, su di noi. Non ce li impone, ce li suggerisce. Ecco l'importanza di ascoltare, di pregare per capire, di osservare. Lui si fa sempre sentire al momento giusto. - Io mi sono comportato in questo modo quando ho comincia­to a sentire i primi richiami. Non avevo esperienza di queste cose, studiavo all'università ed ero assorbito dalla letteratura, dal teatro. Però cominciarono ad accadere dei fatti, e io cercavo di leggerli. - Esatto, hai detto la parola giusta: bisogna cercare di leggerli. - Ma non è sempre facile. Penso che rivolgersi a persone più esperte nella via dello spirito sia giusto. - È giusto. Però i suggerimenti che vengono da fuori non sono mai importanti come quelli che arrivano nel cuore direttamente da Dio. - Ne sono convinto. - Non dimenticare mai, figliolo, che Dio ti è Padre, e quindi ti ama infinitamente. Se appena si accorge che sei attento alla sua voce, non smetterà di parlarti, di suggerirti, di guidarti. "Comunque, ascolta: se posso dirti la mia impressione, penso che tu dovresti restare dove sei. Cioè sacerdote della Chiesa polacca. La Chiesa ha tanto bisogno di te, e non solo la Chiesa polacca. Sento che tutta la Chiesa potrà avvalersi della tua opera. Dio ti ha riempito di doni. Non te li ha dati inutilmente, per tuo diletto, ma per la Chie­sa. Ascolta bene la sua voce e non tradirla. Grandi cose ti aspettano. - La Polonia sta uscendo da un brutto periodo di sangue. - Giorni peggiori stanno per arrivare. Il nemico della Verità si abbatterà su molte nazioni per distruggere l'opera di Gesù. Lo scontrò sarà terribile, e intere popolazioni verranno private del dono della fede. Occorrono guide forti. È l'ora dei martiri, caro fi­gliolo, ricordalo. Preghiamo la Madonna perché le forze del male non abbiano il sopravvento. - Lei, quindi, mi consiglia di non entrare in monastero... - Sì, io penso che tu debba restare dove sei. Diventerai guida della tua gente e guida della Chiesa. Dovrai soffrire molto. Vedo la tua veste bianca macchiata di sangue, ma la Vergine benedetta veglia su di te. Vai figliolo, vai, il mondo ha bisogno di te. Realizzare una strada su quel terreno accidentato e roccioso era un impresa ciclopica. Don Orlando se ne accorse subito. Ma gli operai erano animati da un entusiasmo incredibile. San Giovanni Rotondo era un paese povero, e la guerra aveva aggravato il pro­blema della disoccupazione. Molti giovani erano disperati perché non riuscivano a trovare il modo di guadagnare qualcosa. L'idea che stessero per iniziare grandi lavori era stata accolta dalla popo­lazione con enorme favore. La gente intravedeva la possibilità di trovare un'occupazione, o di ottenere comunque qualche vantag­gio dalla costruzione di un ospedale. La clinica di Padre Pio era una specie di miraggio che incantava gli abitanti di San Giovanni. Ogni sera Don Orlando, rientrando dal lavoro, si sentiva sem­pre più stanco. Era una stanchezza psichica, interiore, provocata soprattutto dal fatto che non capiva la ragione di tutto quel fati­care. Però trovava sempre Padre Pio che lo aspettava e con amore gli spolverava la veste domandandogli com'era andata. E bastava­no i gesti affettuosi del Padre, le sue attenzioni materne, per fargli dimenticare l'abbattimento. Un giorno, mentre era intento al solito lavoro, Don Orlando vi­de arrivare un'auto lussuosa. Giunta vicina al "presunto" cantie­re, rallentò e si fermò proprio dietro di lui. Don Orlando si girò e attraverso il finestrino abbassato vide una giovane donna, sorri­dente e molto bella. Accanto a lei sedeva un signore che aveva vi­sto altre volte, il marchese Bernardo Patrizi. Parlando un italiano stentato, con forte accento anglosassone, la signorina domandò: - Che cosa state facendo? Una grande clinica - rispose Don Orlando in tono ironico. Avrebbe voluto dirle che qualcuno voleva, in quel luogo, una gran­de clinica, ma che era un impresa impossibile. - Per fare una grande clinica occorre molto denaro - disse la signorina. - Lo so bene - rispose Don Orlando. - Quanto denaro servirà? - domandò ancora la signorina. - Quattrocento milioni - rispose Don Orlando per chiudere una conversazione che riteneva assolutamente inutile. Era una ci­fra strepitosa, un'autentica bomba. - E chi paga? - continuò imperturbabile la signorina. - Chi passa paga - disse il sacerdote girandosi verso la sua in­terlocutrice, come per dirle che si stava mettendo in un bel guaio. La signorina gli sorrise e replicò: - Io allora passo. Don Orlando la seguì con lo sguardo. Era rimasto molto im­pressionato, non solo dal sorriso simpatico della ragazza, ma so­prattutto da quell'auto lussuosa. "Mai vista un”auto simile da queste parti" si disse asciugandosi il sudore dalla fronte. Era maggio, le giornate erano già afose, e quando splendeva il sole, come quel pomeriggio, il caldo picchia­va terribile. E lui, tra quelle rocce, non stava lì per dirigere gli ope­rai: lavorava come uno di loro. Batteva il picco cercando di incu­neare la punta tra le vene della roccia per far saltare dei pezzi di sasso. Era una fatica bestiale, che toglieva il fiato. La signorina con la lussuosa auto aveva raggiunto il convento. Era scesa e si guardava intorno con un'espressione luminosa. - Mi aspetti qui - le disse il marchese Patrizi avviandosi verso la chiesa. Poco dopo uscì accompagnato da un religioso, che sorri­se alla signorina e si allontanò veloce. - È andato a chiamare Padre Pio - disse il marchese. - È questo il conventino? - domandò la signorina. - Tutto qui - rispose Bernardo Patrizi. - Quel muro gira tut­to intorno alla costruzione e recinge anche l'orto. Come ha visto, laggiù sono iniziati i lavori per la clinica. - Vorrei vedere il luogo dove è avvenuto il prodigio delle stig­mate - disse la donna. - La condurrò senz’altro. È là, nel coro che sta sopra la porta della chiesetta. Sulla porta della chiesa si affacciarono due religiosi. - Ecco Padre Pio - annunciò il marchese. La donna fece alcu­ni passi verso i religiosi. - Questa signorina è inglese - disse il marchese rivolgendosi al Padre. - È venuta appositamente da Londra per conoscerla. È una giornalista, ma si interessa soprattutto di problemi economi­ci. Scrive su "The Economist", uno dei giornali più prestigiosi del settore. Padre Pio la scrutò con i suoi occhi indagatori e le sorrise in mo­do garbato e molto gentile. Il marchese se ne accorse e disse a se stesso: "Buon segno, il Padre ha capito che è una brava ragazza". - Mi chiamo Barbara Ward - disse la giovane avvicinandosi al Padre e baciandogli con grande devozione la mano che lui le aveva presentato. E aggiunse subito: - Ho visto che avete iniziato i lavori della clinica. - Speriamo che il Signore ci aiuti - commentò il Padre. - Ho dei progetti per questa sua opera - dichiarò la signorina - ma glieli esporrò con più calma durante il mio prossimo viag­gio in Italia. Adesso - aggiunse abbassando la voce - vorrei par­larle di un mio problema personale urgente. - Scusateci - disse Padre Pio rivolgendosi alle persone presen­ti, e alla signorina Ward: - Venga con me. - Le fece strada e l'accompagnò nel salottino, dove in genere riceveva gli ospiti. - Ho una grande grazia da chiederle, Padre - esordì Barbara Ward diventando improvvisamente seria. - Dimmi, figliola - la incoraggiò lui con voce dolce e tono paterno. - Padre, sono innamorata. I suoi occhi scintillavano di commozione. - Lo vedo - rispose il Padre. - E sento che il tuo cuore è feli­ce. Il Signore benedice il tuo amore. - Però ho un grave problema. - Non esistono problemi gravi per il Signore e per chi ha fede. - Io sono cattolica - disse Barbara. - Cattolica praticante. Il mio fidanzato invece, che è australiano, è protestante. Come lei sa, la Chiesa non vede di buon occhio i matrimoni misti. Anzi, li sconsiglia e li ostacola. Il mio fidanzato è un uomo straordinario, retto. Crede in quello che la sua famiglia gli ha insegnato. Io desi­dero tanto che lui si converta in modo che possiamo sposarci, ma non posso imporglielo. Chieda al Signore questa grazia per me, Padre. - Barbara era commossa. Aveva le lacrime agli occhi. - Capisco, figliola, il tuo dolore, ma non devi preoccuparti - la consolò Padre Pio. - Il Signore vede nel tuo cuore, vede nel cuore del tuo fidanzato, e ci penserà lui a. far sì che tutto vada a buon fine. È lui il "papà". - Pensa che il mio fidanzato si convertirà? - Sì, figlia mia, se il Signore lo vuole si convertirà. - Ma quando? - Se il Signore lo vuole, anche in questo momento. Barbara Ward fissò Padre Pio. Non riusciva a capire il significato di quelle sue risposte elementari. Le pareva che fosse distratto, su­perficiale. Ebbe come l'impressione che non desse importanza a quel problema, che per lei era grandissimo. Era profondamente innamo­rata e nello stesso tempo fedele alla propria fede. Perciò incontrava grandi difficoltà che ostacolavano il suo sogno di un matrimonio fe­lice. E credette che il Padre non fosse riuscito a capire il suo dramma. Lasciò San Giovanni Rotondo delusa. Passando accanto a Don Orlando, con il quale poco prima si era intrattenuta in cordiale conversazione, non lo degnò neppure di uno sguardo. "Il padre l'ha cacciata via" pensò il sacerdote. Anche il conte Patrizi avverti subito che Barbara non era più lo­quace come durante il viaggio verso il convento. Qualcosa era ac­caduto. Ma non si azzardò ad indagare. Ritornarono a Roma. Barbara Ward si fermò ancora qualche giorno nella capitale per sbrigare delle incombenze di lavoro e poi rientrò a Londra. Ad attenderla all'aeroporto c'era il fidanzato, il comandante australiano Jackson. Barbara non lo vedeva da alcune settimane poiché lui si era recato in America per impegni di lavoro. Era con­sigliere delegato dell'UNRRA (United Nations Relief and Rehabili­tation Administration: Amministrazione delle Nazioni Unite per il soccorso e la ricostruzione), un'organizzazione internazionale sor­ta nel 1943, con sede amministrativa a Washington, che si interes­sava di dare aiuti gratuiti alle nazioni colpite dalla guerra per la ri­costruzione postbellica. Come lo vide, Barbara ebbe un tuffo al cuore. Era perdutamen­te innamorata di quell'omone alto quasi due metri. È sentì ancor più cocente il proprio problema di coscienza, il fatto cioè di ap­partenere a religioni diverse e trovare difficoltà per un matrimo­nio felice. Jackson le corse incontro con un trasporto che non aveva mai notato in lui prima di allora. La strinse forte tra le sue braccia po­derose, e Barbara ebbe l'impressione di sciogliersi in quell'abbrac­cio struggente. Sentì la labbra del fidanzato che tremavano mentre la baciava. - Quanto mi sei mancato... - gli sussurrò commossa. - Anche tu, Barbara, mi sei mancata da morire. Non dobbia­mo più stare lontani per così tanto tempo. Voglio che ci sposiamo presto. - Oh, volesse il Signore che fosse vero! - esclamò lei con un tono triste, trattenendo a stento le lacrime. - Barbara - disse Jackson guardandola negli occhi - sono diventato cattolico. - Come? - Sì, ho fatto l'abiura e ho ricevuto il battesimo. Barbara lo fissava trasognata. - Mi sarebbe piaciuto che tu fossi presente alla cerimonia - aggiunse ancora. - Ma volevo che fosse Padre Joseph a battez­zarmi, perché è stato lui a seguirmi in questi anni di ricerca, e chissà quando avremmo trovato l'occasione per ritrovarci tutti e due a New York. Così ho voluto farti questa sorpresa. - Oh, caro! - Barbara lo abbracciò stretto piangendo. Anche lui non riuscì a trattenere le lacrime. - Quando ti sei battezzato? - gli domandò. - Quattro giorni fa. - A che ora? - Verso mezzogiorno. Ma perché tutte queste domande? - Incredibile! - esclamò Barbara. - Proprio mentre io parla­vo con lui, tu ricevevi il battesimo. E lui mi ha detto: "Anche in questo momento, se il Signore lo vuole". - Ma che stai dicendo? Barbara gli raccontò dell'incontro con Padre Pio, di quello che era andata a chiedergli e delle risposte del Padre. - Io gli parlavo a San Giovanni Rotondo, e lui vedeva ciò che stava accadendo a New York. È un santo, un grande santo, devi andare a trovano, è lui che ci ha fatto la grazia. Alcuni giorni dopo il comandante Jackson partiva per Roma. Tra i numerosi impegni della sua agenda c'era anche una visita a San Giovanni Rotondo. - Mi raccomando - gli disse Barbara salutandolo all'aeropor­to di Londra. - Ricordati che ha bisogno di 400 milioni per la sua clinica. - Va bene, me lo hai già ripetuto dieci volte. È una cifra folle, ma vedrò di accontentarti. Aveva già un'idea.

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