La vita e I miracoli



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Nel cantiere della clinica di Padre Pio si lavorava senza sosta, e in giro per il mondo si raccoglievano offerte per finanziare l'impresa. Migliaia di persone collaboravano dando il loro obolo e sollecitando la carità degli amici. Si organizza-vano lotterie, pesche di beneficenza, serate artistiche, spettacoli teatrali; i negozi esponevano le cassettine per la raccolta delle offer­te. Tutte le città erano onorate di partecipare a quell'iniziativa, e non solo le città italiane: le offerte arrivavano da tutto il mondo. Da New York un giorno arrivò una busta con cinque dollari e un bi­glietto firmato da un certo Mario Gambino. «Sono un operaio italoamericano" scriveva. "Lavoro come in­serviente di pulizia all’Hunter College. Ho sentito parlare del­l'ospedale di Padre Pio e voglio contribuire." Qualche tempo dopo Gambino mandò altri 10 dollari. "Uno per ciascuno dei miei dieci figli" scrisse. E con orgoglio ag­giunse il nome di ciascuno dei suoi figli: Calogero, Salvatrice, Anto­nio, Salvatore, Rosaria, Francesco, Giuseppina, Rosario, Maria, Giuseppe. Padre Pio si commosse. - Sono i soldi di questa gente povera ma piena di fede a rap­presentare la”più grande ricchezza della nostra clinica - disse ai suoi collaboratori. - Questi 15 dollari devono diventare il sim­bolo del nostro modo di vivere e agire. Si studiò un'idea; si decise di utilizzarli come prima offerta di un fondo cui il Padre volle dare il nome di quell'operaio di New York: «Fondo Gambino". - Nata dalla carità, la «Casa Sollievo della Sofferenza" - disse Padre Pio - deve attuare con scrupolo il principio della carità, sia nell'uguaglianza del trattamento tra coloro che possono pagare o sono iscritti a enti previdenziali, sia nell'accogliere chi non ha da dare, per il proprio ricovero, altra moneta che quella del dolore. Il malato povero non deve mai sentire il disagio della sua condizione. Il costo della sua assistenza sarà coperto dal «Fondo Gambino". Mano a mano che la clinica cresceva e assumeva il suo aspetto imponente, qualcuno, anche tra i più stretti collaboratori del Pa­dre, cominciò a nutrire dei dubbi. - Non ti sembra che abbiamo un pò esagerato? - domandò un giorno il dottor Sanguinetti a Padre Pio che, da lontano, ammi­rava la clinica. - In che senso? - Troppo lusso, troppi marmi, troppo spazio. Sono critiche che sento da ogni parte, e a volte vengono dei dubbi anche a me. - Ti vengono dei dubbi! - Padre Pio lo fulminò con uno sguardo indignato. - E tu, come lo vorresti il tabernacolo? - do­mandò farfugliando le parole, tanta era la foga con cui voleva esprimere il suo pensiero. - Come una scatola di biscotti vuota? Lo vuoi di latta o prezioso per accogliere il Signore? Quell'ospe­dale accoglierà il Signore sofferente nelle sue membra vive. - Sì, secondo il tuo ragionamento, il lusso, in un certo senso, è giustificato - ribatté calmo Sanguinetti. - Ma bisogna fare i conti con i piedi per terra. Quando non ci sarai più tu a polariz­zare l'attenzione della gente, come vivrà un ospedale del genere, costruito quassù, su una montagna? Verranno ancora i pellegrini? Continueranno ad arrivare le offerte? - Gli amministratori di questo ospedale - replicò il Padre con tono profetico - avranno sempre tanti soldi che non sapranno dove metterli. Devono preoccuparsi solo di rispettare il fine per cui la cli­nica è stata costruita: il «sollievo della sofferenza, soprattutto delle persone povere". Questo ha voluto Gesù, e questo deve essere fatto. Il giorno in cui dimenticheranno questo fine, tutto cadrà in rovina. - Per un ospedale così imponente, occorrono montagne di de­naro - osservò il dottor Sanguinetti. - Te lo ripeto - disse il Padre. - Denaro ce ne sarà sempre. La Provvidenza è generosa. Se hai paura ora, non sai che cosa ti aspet­ta. Quel che abbiamo fatto è solo l'inizio. La clinica in pochi anni si ingrandirà, diventerà una vera cittadella della scienza medica. Padre Pio rimase in silenzio, come se stesse riflettendo. Poi ag­giunse: - Adesso, però, devo pensare all'altra parte della mia opera. Quando ho cominciato a parlarti di questo ospedale, ti ho detto che sarebbe stato "la mia grande opera terrena". Ma per la verità, la clinica è solo un aspetto di questo progetto, quello visibile, fisi­co. L'altro aspetto, il cui fine riguarda sempre il "sollievo della sofferenza", è legato alla preghiera. Sarà costituita da un grande movimento. Migliaia e migliaia di uomini e di donne, uniti in gruppi, che useranno la preghiera come arma per alleviare e medicare le sofferenze del mondo. - Non abbiamo ancora finito la clinica e dobbiamo già gettar­ci in un nuovo ambizioso progetto? - domandò preoccupato il dottor Sanguinetti. - No - rispose il Padre. - Questa seconda parte della mia ope­ra si svilupperà da sola. Si diffonderà per il mondo come un vento d'amore, realizzando un grande, immenso ospedale invisibile. Padre Pio cominciò a parlare sempre più spesso di questa «se­conda parte" della sua opera terrena. Lo faceva con i collaborato­ri, ma soprattutto con le "figlie spirituali". - La "Casa Sollievo della Sofferenza" - diceva - deve essere la punta visibile di un enorme iceberg, vagante per il mondo, co­stituito da migliaia e migliaia di persone che pregano. Si trattava di un progetto ambizioso che il Padre coltivava già da anni. Aveva dato vita al primo umile nucleo di questo esercito nel 1916, fondando il gruppo delle "figlie spirituali". A quel ma­nipolo di ragazze aveva insegnato a pregare, a vivere di preghiera continua. Il gruppo cinque era mantenuto lungo il corso degli anni, di­ventando un seme pronto a sbocciare. - È giunta la vostra ora - disse il Padre alle "figlie spirituali". - Il mondo sta vivendo momenti drammatici. Il Maligno ha este­so il suo potere velenoso provocando danni immani. Il Signore chiede preghiere, e noi dobbiamo rispondere. Riprese le "conferenze" settimanali del giovedì con le sue "figlie spirituali", come aveva fatto tanti anni prima, per iniziarle alla vi­ta interiore. Riprese a trasmettere i propri pensieri, le proprie ispi­razioni, alle persone che gli erano sempre state fedeli, anche nei periodi difficili della persecuzione. Anime semplici, generose, umili, loro avrebbero certamente intuito l'aspetto prezioso dell'im­portanza della preghiera nella sua grande opera terrena. - La clinica che abbiamo costruito ha uno scopo preciso, rac­chiuso nel suo nome: il sollievo della sofferenza - spiegò Padre Pio alle sue "figlie spirituali". - Voi, e tutti coloro che si uniranno a voi, attraverso l'esercizio della preghiera insieme, costituirete la "clinica invisibile" per il sollievo delle sofferenze del mondo. La mia opera terrena ha quindi due volti: uno materiale, fisico, costi­tuito dall'edificio della clinica; l'altro, invisibile, senza confini, sen­za barriere, costituito dalla preghiera di coloro che, uniti nel mio nome, offriranno suppliche e sacrifici a Dio per tutti i sofferenti, nell'anima e nel corpo, sparsi per il mondo. Soprattutto per quelle sofferenze provocate all'umanità dal nemico di Dio, Satana. - Perché, Padre, dite che è giunta l'ora? - domandò Angela, una delle "figlie spirituali" del gruppo fondato nel 1916. - Il mondo si trova ad un bivio drammatico - rispose. - La guerra non ha spinto a riflettere e non ha cambiato le persone. Il Papa, Pio XII, che è dotato di spirito profetico, continua a ripeter­lo: "E già iniziata, sotto più aspetti, un'ora delle tenebre, in cui lo spirito della violenza e della discordia versa sull'umanità la san­guinosa coppa di dolori senza nome - Il Papa ha detto queste parole all'inizio della seconda guerra mondiale - osservò Maria, un'altra "figlia spirituale" del gruppo originario. - Ora la guerra è finita, il mondo si sta riprendendo. - È vero, la guerra è finita. La guerra, però, era solo una delle conseguenze dell'ora delle tenebre di cui ha parlato Pio XII. Il peggio deve ancora venire. - Ci spaventate, Padre - intervenne Francesca. - Il Papa è tuttora molto preoccupato e continua a mettere in guardia i credenti contro l'opera distruttrice del Maligno. Dobbia­mo credere al Papa, che è il Cristo visibile. - Quali sono i pericoli che ci minacciano? - Satana ha progettato di cancellare Dio dalla mente degli uomini. Ci sarà una terribile battaglia, e noi siamo chiamati a com­battere in prima fila. Recentemente il Papa ha detto: «È ben noto che oggi quasi tutta l'umanità va dividendosi in due schiere oppo­ste, con Cristo o contro Cristo. Il genere umano al presente attra­versa una formidabile crisi che si risolverà in salvezza con Cristo o in funestissime rovine - Ci sarà una nuova guerra? - La guerra delle bombe, figlia mia, per ora è terminata, ma continua quella ideologica, fatta di violenze inaudite, per scardina­re l'ordine della Verità con la negazione di Dio. Questa guerra si sta diffondendo in tutto il mondo con conseguenze inimmaginabili. - Vi riferite, Padre, all'ideologia marxista? - Mi riferisco a tutte quelle ideologie che si rifanno al materiali­smo ateo, e negano la verità vera dell'universo, che è Dio. Dio è al­l'origine di tutto. Dio che è Padre e ha voluto fare dell'uomo il suo figlio prediletto, erede del paradiso. Chi crede più a queste meravi­gliose realtà? Pio XII ha detto: "I banditori del male, predicando il materialismo e rigettando ogni speranza di una eternità beata, por­tano gli uomini ad una condizione di vita quanto mai indegna". - Che dobbiamo fare noi? - Ve lo dice il Papa: "La forza che voi dovete opporre al mate­rialismo è la vostra fede cattolica, con tutta la sua ricchezza, con tutte le energie della sua convinzione, con tutta la sua pienezza del­la vita divina. Questa forza è capace di dominare vittoriosamente il materialismo, ed è tale che la possiede solo l'uomo di vita interiore, l'uomo che prega, l'uomo che è pieno di Dio". - Ma noi siamo solo delle povere donne: che possiamo fare per problemi che riguardano il mondo intero? - Voi non siete delle povere donne, siete delle "figlie di Dio". Voi potete parlare a Dio, che è nostro Padre. Sarà Lui ad utilizzare la vostra umile preghiera per la salvezza del mondo. - Come può la preghiera di una mamma di famiglia, sconosciu­ta, povera e semianalfabeta come sono io, essere utile al mondo? - Santa Teresina del Bambin Gesù è entrata in monastero quan­do aveva quindici anni ed è morta a ventiquattro senza esserne mai uscita. Eppure Pio XI nel 1927 l'ha proclamata "patrona delle Missioni". Come se avesse trascorso una lunga esistenza nelle Indie, o nelle foreste africane, a divulgare il Vangelo. È questo il miracolo della preghiera. I nostri poveri gemiti, passando attraverso l'amore infinito di Dio, sono "trasformati" in grida potenti, in energia pura, travolgente, che ha un peso incalcolabile nelle vicende del mondo. - Voi, Padre, ci avete insegnato a pregare per la vostra missio­ne fin da quando eravamo ragazze: era questo l'obiettivo che vole­vate raggiungere? - Nel lontano 1916, quando abbiamo creato il nostro gruppo, il Signore ci aveva suggerito di pregare insieme, senza specificare il fine preciso che voleva affidarci. Questo si è chiarito a poco a po­co lungo il corso del tempo. Adesso ha una fisionomia precisa, un ideale concreto. È giunto il momento della vostra missione. Dio vuole che questo gruppo e lo spirito di questo gruppo si diffondano nel mondo. Voi, mie "figlie spirituali", dovete crescere e molti­plicarvi. Il vostro piccolo gruppo deve diventare un esercito, e il grano di senape, un albero. Voi avete speso la vostra vita a pregare per me e per la mia missione. Adesso dovete diffondere questa idea. Sull'esempio di quanto voi avete fatto per anni, devono na­scere altri gruppi come il vostro. Il Papa ha detto: "Ciò di cui la Chiesa ha urgente bisogno sono fedeli e gruppi di fedeli d’ogni condizione che, liberi dalla schiavitù del rispetto umano, confor­mino tutta la loro vita e la loro attività ai comandamenti di Dio e alla legge di Cristo". E ancora: "Pregate, pregate, pregate; la pre­ghiera è la chiave dei tesori di Dio, è l'arma del combattimento e della vittoria in ogni lotta per il Bene e contro il Male". E anch'io vi dico: non stancatevi mai di pregare, questa è la cosa essenziale. La preghiera fa violenza al cuore di Dio, ottiene le grazie necessa­rie. Diamoci da fare, rimbocchiamoci le maniche, rispondiamo noi per primi a questo appello lanciato dal Pontefice romano. - Ma perché, Padre, è tanto necessario pregare? Non è più im­portante l'azione? - La preghiera è il pane e la vita dell'anima, il respiro del cuo­re. Attraverso la preghiera noi prendiamo contatto direttamente con Dio e riceviamo da lui la linfa che ci nutre davvero. - Gesù ha detto che la nostra fede è vana senza le opere. - L'azione, coerente con i nostri pensieri, è la dimostrazione pratica della nostra fede. La preghiera, però, è il colloquio con Dio. È la formazione della fede. Con la preghiera ci mettiamo in contat­to con Lui, e Lui insegna, parla, suggerisce, guida. Il fine ultimo del­l'uomo e dell'universo è Dio. Ma noi siamo esseri finiti, mentre Dio è infinito. Nella nostra contingenza, non potremmo mai compren­dere qualcosa di Dio. Con la preghiera, invece, l'ostacolo insor­montabile è superato, perché è Dio stesso che scende nel nostro cuore e si comunica. Molti cercano Dio nei libri, ma alla fine si ac­corgono che lo trovano veramente solo nella preghiera. Non c'è niente di più importante della preghiera. Un'azione senza la preghie­ra è un agitarsi inutile. - Nel Vangelo Gesù ha detto: "Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto". E altrove: "In verità, in ve­rità vi dico, quanto domanderete al Padre in nome mio ve lo con­cederà". Perché, allora, le nostre preghiere spesso restano inascol­tate? - Dio ascolta sempre le preghiere e concede sempre quanto do­mandiamo. Sempre, tenetelo bene a mente! Lo ha promesso e lo mantiene. Ma Lui vuole il nostro bene supremo. È il nostro Padre e non ci concederà mai qualcosa che potrebbe risultare a nostro danno. "Una mamma ricama. Il bambino, seduto sul suo sgabelletto bas­so, non vede che il rovescio del ricamo: un confuso intrecciarsi di co­lori e di fili. Se fosse un pochino più alto, se vedesse il ricamo dalla parte giusta, il disegno e i colori sarebbero al loro posto. Ecco, figlia mia, noi siamo seduti sullo sgabello basso e non vediamo che il rove­scio del ricamo. Ma un giorno lo vedremo dalla parte giusta, e allo­ra capiremo che Dio ha sempre ascoltato le nostre preghiere, conce­dendoci quel che era davvero utile alla nostra salvezza. "Figlie mie, è l'ora della preghiera. È giunta l'ora della vostra mis­sione. La”Casa Sollievo della Sofferenza”e i Gruppi di preghiera sa­ranno una cosa sola. Come fossero l'anima e il corpo della stessa persona. Questa è la mia grande opera terrena."

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Padre Agostino, venga, presto, la vogliono al telefono - disse Padre Raffaello trafelato. - Chi è? - Non ha detto il nome, però la telefonata viene dal Vaticano. Padre Agostino da San Marco in Lamis si avviò faticosamente verso il tavolino al centro del corridoio, dove da qualche tempo era stato installato un apparecchio telefonico. Confessore e diret­tore spirituale di Padre Pio, era da tre anni anche Guardiano del convento di Santa Maria delle Grazie. Per tutta la vita aveva pro­tetto e difeso il Padre, e molti sapevano che era la strada più sicu­ra per trasmettere messaggi a Padre Pio. Per questo motivo riceve­va spesso telefonate di personalità importanti. - Pronto, sono Padre Agostino, con chi parlo? - disse all'ap­parecchio. - Hai visto l"'Osservatore Romano"? - L'interlocutore dal­l'altra parte del filo non pronunciò il proprio nome, ma Padre Agostino lo riconobbe dalla voce: era Monsignor Alfredo Otta­viani, assessore del Sant'Uffizio. - No, monsignore, qui l"'Osservatore" arriva con un giorno di ritardo, Io leggerò domani. - Fallo, e poi sappimi dire. Monsignor Ottaviani era uno dei massimi responsabili della Su­prema Sacra Congregazione per la difesa della Fede e della Dottrina. - Che cosa c'è d’importante? - domandò Padre Agostino. - Leggi e saprai. Salutami il nostro amico. Era il 24 febbraio 1951. Padre Agostino rimase con l'apparec­chio in mano, stupito per quella strana telefonata. Conosceva da tempo Monsignor Ottaviani. Sapeva che era una potenza in Vaticano. Allora aveva sessant'anni e godeva della sti­ma di Papa Pacelli. La carica che occupava era importantissima. Segretario del potente dicastero del Sant'Uffizio era il cardinale Pizzardo, ma in pratica faceva tutto lui, Monsignor Ottaviani. Ed era, sia pure segretamente, un sincero estimatore di Padre Pio. - Sull’Osservatore deve esserci qualche cosa di molto im­portante che riguarda Padre Pio - disse Padre Agostino. Smaniava dalla curiosità. Non ce l'avrebbe fatta ad attendere fino al gior­no dopo: decise di mettersi in contatto telefonico con la Curia generale a Roma. Parlò con un suo vecchio confratello, Padre Al­berto, con il quale tante volte si era confidato ai tempi delle perse­cuzioni contro il Padre. Gli raccontò francamente della telefonata ricevuta. - Cerco il giornale e poi ti richiamo - rispose Padre Alberto, il quale, a sua volta, aveva capito che doveva trattarsi certamente di cosa importantissima. Verso mezzogiorno il telefono squillò di nuovo nel silenzio del convento di Santa Maria delle Grazie. Padre Agostino era ancora lì, vicino all'apparecchio, e rispose subito. - Ho letto - esordì Padre Alberto. - E allora? - Straordinario. - Dimmi, non tenermi sulle spine... - Sull'Osservatore d’oggi c'è un lungo articolo firmato da Monsignor Alfredo Ottaviani. Tratta della superstizione. Dopo aver spiegato perché la Chiesa interviene sempre con severità nel giudicare i carismi straordinari e gli eventi prodigiosi, Ottaviani elenca le località che da molti pellegrini sono frequentate come "luoghi benedetti" e che egli giudica invece "luoghi di superstizio­ne", proprio perché i fatti che dovrebbero santificarli non hanno i crismi dell'autenticità. E nell'elenco non compare San Giovanni Rotondo. - Tutto qui? - commentò Padre Agostino deluso. - Ma non capisci? Questa è una bomba! - replicò Padre Alber­to. - Qui a Roma l'articolo sta suscitando un putiferio. Negli am­bienti ecclesiastici tutti ne parlano, tanto a proposito dei nomi dei luoghi inclusi e condannati, come per quelli esclusi. Il fatto che Ot­taviani, assessore del Sant'Uffizio, non abbia incluso tra i luoghi di superstizione San Giovanni Rotondo ha suscitato un'impressione enorme. È una tacita approvazione. Il Generale ha dichiarato che si tratta del primo oggettivo riconoscimento degli eventi accaduti a San Giovanni Rotondo dopo oltre trent'anni di condanne. - In effetti, forse hai ragione - disse Padre Agostino, che aveva cominciato a intuire. - Non avevo riflettuto al fatto che l'articolo è pubblicato dall'"Osservatore Romano" ed è firmato dall'assesso­re del Sant'Uffizio. È veramente un'approvazione indiretta: ecco perché il Monsignore mi ha telefonato. Ti ringrazio. - Telefona agli amici, avvertili, dì loro di comperare il giornale e di diffonderlo. È importantissimo. - Lo farò senz'altro. Di nuovo grazie. Padre Agostino corse a raccontare tutto ai confratelli. Telefonò al Provinciale e ai più affezionati amici di Padre Pio. Era felice. Si commuoveva riferendo la notizia. Avverti anche le autorità civili di San Giovanni. Tutti erano soddisfatti. - Vittoria! - esultavano. - Finalmente la Chiesa si è accorta e ammette che a San Giovanni Rotondo è accaduto qualcosa di veramente santo. I nemici di Padre Pio erano velenosi. Quell'articolo per loro era stato una doccia fredda. I più arrabbiati erano alcuni Monsignori del Sant'Uffizio che da sempre avevano combattuto il "frate con le stigmate". - È una vergogna - affermarono indignati. - Monsignor Ot­taviani, in qualità di assessore del Sant'Uffizio, doveva inserire San Giovanni Rotondo nell'elenco dei luoghi di superstizione, an­che solo per coerenza con i suoi predecessori. Il Sant'Uffizio, in­fatti, ha già più volte condannato i pellegrinaggi a quel convento e ha condannato anche Padre Pio. Questa presa di posizione è scan­dalosa. Giurarono di vendicare l'onore della Suprema Sacra Congrega­zione. E la loro vendetta si consumò l'anno successivo. La costruirono con una perfidia diabolica. Si aggrapparono al canone 1399 del codice di diritto canonico. L’articolo 5 di quel ca­none "proscriveva", cioè poneva all'indice, tutti i libri e gli opusco­li che narravano di nuove apparizioni, rivelazioni, visioni, profezie, miracoli eccetera, qualora fossero stati divulgati senza osservare le "prescrizioni canoniche". Una di queste (canone 1385) imponeva che dette pubblicazioni dovessero essere sottoposte alla revisione ecclesiastica e ottenere l'imprimatur, cioè l'approvazione scritta per la stampa. - Occorre emanare un decreto per riaffermare questa prassi - dissero al segretario del Sant'Uffizio, cardinale Pizzardo. - Al giorno d'oggi numerosi libri trattano d’argomenti molto delicati senza autorizzazione. Sono pieni d’inesattezze, d’affermazioni er­rate, e provocano grande confusione tra la gente. - Sono d'accordo con voi - rispose il cardinale. I nemici di Padre Pio prepararono un decreto che aveva di mira le pubblicazioni prive d’imprimatur, e il cardinale Pizzardo lo auto­rizzò in pieno. Nella formulazione definitiva, però, il decreto si limi­tava a condannare Otto pubblicazioni su Padre Pio. Le nominava una per una, con titolo e autore, dichiarandole "proscritte", da in­serire nei libri all'indice; in tal modo, di fronte all'opinione pubblica internazionale, questa presa di posizione si trasformava in una nuo­va clamorosa e forte condanna contro il Padre. Non erano libri a ca­rattere dottrinale, con pretese teologiche, che potevano creare con­fusione tra i credenti. Erano semplicemente resoconti di cronaca, pubblicazioni di tipo giornalistico, per le quali non era per niente ne­cessario l'imprimatur. Ma il fine segreto era colpire Padre Pio. Il decreto fu pubblicato sull'"Osservatore Romano" il 3 agosto 1952 e fece una grandissima impressione. Anche perché un anno prima c'era stata la sorprendente tacita approvazione degli eventi riguardanti Padre Pio da parte di Monsignor Ottaviani, assessore del Sant'Uffizio. Il nuovo decreto smentiva Ottaviani. I nemici di Padre Pio avevano messo a segno un colpo di mano: forti della certezza che il Sant'Uffizio non si sarebbe mai rimangiato una de­cisione, avevano giocato quella carta sicuri di colpire in profon­dità e in modo irreparabile. I tempi, però, erano cambiati. Sul trono di Pietro sedeva Papa Pacelli, un uomo coraggioso e impavido che non accettò quel sopruso. Intervenne personalmente, e due giorni dopo, il 5 agosto, l'Osservatore Romano" dovette ritornare sull'argomento e pub­blicare un lungo articolo a spiegazione di quel decreto. Articolo che rappresentava una vera e propria smentita. Il Papa, tuttavia, fece molto di più. Con una presa di posizione che non aveva precedenti, rese nullo il decreto. Nelle riforma del codice voluta da Pio X nel 1908 era stato stabilito che tutti i de­creti delle Sacre Congregazioni, per acquisire valore giuridico, do­vevano essere pubblicati sulla "Gazzetta ufficiale" del Vaticano, vale a dire gli "Acta Apostolicae Sedis", un bollettino quindicina­le. Il decreto del Sant'Uffizio riguardante le biografie di Padre Pio però non vi comparve, trasformandosi quindi in un decreto senza alcun valore. Il fatto era inaudito per la mentalità di allora. Mai un Papa si era messo contro il Sant'Uffizio, il dicastero di cui egli stesso era prefetto. Se lo aveva fatto, dovevano esserci ragioni eccezionali. Molti si scandalizzarono. Gli esperti, tuttavia, in quella presa di posizione di Papa Pacelli videro una seconda importantissima ap­provazione per il "frate con le stigmate". I giornali intuirono l'estrema importanza di quella guerra diplo­matica ad altissimo livello. Cinque inviati, provenienti dai princi­pali quotidiani italiani, arrivarono a San Giovanni Rotondo per raccogliere informazioni precise e ricevere chiarimenti. Non sappiamo niente - disse il nuovo Guardiano, Padre Ferdinando, che da pochi mesi aveva preso il posto di Padre Ago­stino, ammalatosi gravemente. Al convento di Santa Maria delle Grazie, infatti, la vita conti­nuava immutata. Il cantiere della "Casa Sollievo della Sofferenza" procedeva a pieno ritmo. I pellegrini riempivano la chiesetta. Pa­dre Pio trascorreva gran parte della giornata in confessionale. I giornalisti cercavano notizie, ma nessuno era in grado di aiu­tarli. Verso sera, il Padre uscì sul sagrato ad attendere il ritorno di Don Orlando dal cantiere e fu assalito dai cinque inviati. - Padre, che ne dice del decreto che metteva all'indice Otto sue biografie e che ora è stato ripudiato dal Papa? - Perché, quel decreto non è stato inserito nell'Acta Apostoli­cae Sedis"? - Che cosa prova constatando che la Chiesa, dopo tante con­danne, crede in lei? Padre Pio, bersagliato da tutte quelle domande, si guardava intorno smarrito e frastornato. Con lo sguardo chiedeva aiuto a qual­che confratello. - Che ne saccio io di queste cose? - ripeteva confuso. - Io sono soltanto un povero frate che prega. - La Chiesa adesso ammette che le sue stigmate sono autentiche! - Figliolo, preghiamo insieme la Madonna che ci dia la grazia della fede. - E vero che Pio XII le ha scritto una lettera? - Il Papa ha cose importanti cui pensare. Preghiamo il Signore che lo assista. Vi benedico figlioli e vi prometto che pregherò per voi domattina nella Messa. In aiuto di Padre Pio arrivò il Guardiano. - Signori giornalisti - disse con cortesia - non vedete che il Padre è a disagio? Su, per favore, lasciatelo passare, lasciate che rientri in convento. - Non ha risposto alle nostre domande - disse l'inviato del "Corriere della Sera - Il Padre non sa niente di queste cose. - Lo riguardano da vicino, però. - Ma lui pensa solo a pregare. Non gli interessa se è stimato o deriso. - E lei, che ne pensa? - domandò l'inviato del "Messaggero" di Roma. - Come è stata valutata dall’Ordine dei Cappuccini questa presa di posizione del Papa a favore di Padre Pio? - Per la verità, noi non sappiamo niente. - Come sarebbe niente! Gli esperti affermano che siamo di fronte a una presa di posizione clamorosa. Il Papa, per difendere Padre Pio, ha bocciato un decreto del Sant'Uffizio dopo che era già stato pubblicato. - Che significa bocciato? - domandò il Guardiano che non ave­va compreso l'esatta importanza di quanto era accaduto. - I decreti del Sant'Uffizio, perché abbiano valore, devono es­sere pubblicati nelle "Acta Apostolicae Sedis", e quello della proi­bizione di otto biografie di Padre Pio non è stato pubblicato, quindi non ha alcun valore - spiegò il giornalista. - Magari lo pubblicheranno sul prossimo numero - osservò il Guardiano. - No, no, gli esperti dicono che doveva essere pubblicato ades­so, ma il Papa non lo ha permesso. - Noi frati dobbiamo obbedire - disse il Guardiano. - Solo obbedire e mai discutere. Quando la Chiesa lo ha condannato, Pa­dre Pio ha chinato il capo. Quando lo ha assolto, ha ancora chinato il capo. Lui vive nell'amore e nell'umiltà, per questo la gente gli vuoi bene. Il Padre spesso ripete: «Le spighe alte, le più vanitose, sono vuote. Le spighe più basse, le più umili, sono cariche di chic­chi". E raccomanda a tutti: "Umiliati amorosamente davanti a Dio e agli uomini, perché Iddio parla a chi tiene le orecchie basse". I giornalisti risero a quelle battute. Tentarono qualche altra do­manda, ma il Guardiano era impenetrabile. Tornarono in albergo delusi. - Tanta strada, tanta fatica per non avere niente in mano -disse l'inviato della "Stampa" di Torino. - Sbagliano i monaci a non parlare con noi - aggiunse quello del «Corriere della Sera". - Dobbiamo pur scrivere qualcosa, e non avendo niente di preciso in mano, siamo costretti ad arrampi­carci sui vetri rischiando di sbagliare. - È inevitabile, in queste vicende ecclesiastiche, dire delle cor­bellerie. Perché non vogliono aiutarci? - Poi, se usciamo con articoli pieni di inesattezze, si arrabbia­no e dicono che siamo incompetenti. Raggiunsero l'albergo. - Che facciamo? - Intanto andiamo a cena - suggerì l'inviato del «Messagge­ro" - e poi, domani, vedremo. Potremo parlare con la gente, an­dare a visitare i lavori per la costruzione della clinica, mettere in­sieme un articolo di costume, raccogliere dati sul movimento dei pellegrini. Ce n'è da scrivere... Erano alloggiati all'hotel Sicilia. Come sempre, decisero di ce­nare insieme. In genere approfittavamo di quegli incontri per scambiare opinioni e spettegolare su qualcuno del loro ambiente. Quella sera, però, la conversazione non si discostava da Padre Pio. Avevano visto quel religioso solo per alcuni minuti, ma non riuscivano a dimenticarlo. - Hai visto come era a disagio quando gli abbiamo rivolto quelle domande? - Hai notato le sue mani? - Che sia veramente un santo? - Tu, Carlo, lo conosci bene Padre Pio - disse l'inviato del "Corriere" al collega del "Popolo", quotidiano della Democrazia Cristiana. - Ho letto parecchi tuoi articoli su questo frate e so che vieni spesso qui. Perché non metti una buona parola e ci fai ri­cevere per un'intervista? - Sono nelle tue medesime condizioni - rispose l'inviato del "Popolo" - Via, non fare il modesto... - Conosco l'ambiente perché lo frequento spesso, ma non cre­dere che il Padre abbia qualche preferenza per me e mi dia delle informazioni. Mai mi ha parlato in veste di giornalista. E se per caso mi azzardassi a rendere pubbliche certe sue confidenze, non potrei più farmi vedere. Non credere che sia un personaggio faci­le: è severissimo, e capita che ti prende a botte. - Ti prende a botte? - Non è un modo di dire: molla certi scapaccioni che non li dimentichi... Risero tutti divertiti. La cena ormai era finita e si fecero servire dei digestivi. A quell'ora di solito iniziavano i pettegolezzi sui colle­ghi, sui politici, sulle attrici, sui personaggi celebri che avevano in­tervistato. Quella sera, invece, continuavano a parlare di Padre Pio. - Ma tu, Carlo, da giornalista e non da cattolico quale sei, che ne pensi di questo frate? - domandò l'inviato del "Messaggero". - È un santo, ne sono sicuro. - Le piaghe che ha alle mani e ai piedi? - Un mistero. - Molti affermano che se le procuri lui. - Impossibile. Sono trascorsi ventiquattro anni, sarebbero an­date mille volte in cancrena. Da un punto di vista medico, scientifi­co, quelle piaghe non hanno spiegazione. Non ci sono alternative. - E i miracoli? Ci sono stati davvero? - Lo avete scritto anche voi. Ogni volta che si è verificata una guarigione portentosa, sono stati i vostri giornali laici a darle maggior risalto. Noi cattolici siamo più discreti. - Be', si tratta difatti strepitosi, e la gente li legge con avidità. - Hai detto giusto: sono fatti, e i fatti si raccontano, non si di­scutono. - Tu, hai conosciuto qualche miracolato? - Parecchi. Ogni volta che vengo qua sono assalito da persone che desiderano raccontarmi le loro storie meravigliose. Alcune so­no davvero incredibili. - Racconta, racconta. - Che posso dire? - Qual è il prodigio che ti ha colpito di più? - Dirò che a me fanno più impressione i cambiamenti spiritua­li, le conversioni. Certo, vedere un paralitico che, all'improvviso, riprende a camminare o un sordo che recupera l'udito, colpisce veramente. A riflettere bene, però, le conversioni improvvise sono ancora più clamorose. È quasi impossibile cambiare la mentalità a una persona. E qui i cambiamenti radicali e totali sono continui. - Porta qualche bell'esempio. - Al mattino, in chiesa, è facile vedere un giovane alto e robu­sto che resta ore intere inginocchiato a pregare. Tutti lo notano perché è molto distinto, sempre ben vestito. Parla poco anche per­ché è francese e non conosce la nostra lingua. Forse lo avete visto anche voi. - Credo di averlo visto, e mi sono domandato chi fosse - dis­se l'inviato della «Stampa". Ha un aspetto che colpisce. - Quello è un medico francese, il dottor Michel Boyer. - Un nome che ho già sentito. - Ne sono certo. È stato uno degli eroi della Resistenza francese, un maquis celebrato e osannato per le sue imprese leggendarie. Co­munista ateo, è uscito dalla guerra civile con una grande amarezza nell'animo per gli orrori cui aveva assistito. Un'amarezza che lo aveva intaccato profondamente, al punto che aveva quasi deciso di farla finita. Vagava da una parte all'altra della Francia in cerca di qualcosa che gli desse la forza di riprendere fiducia. Chiedeva aiuto ai suoi compagni comunisti, ma invano. Un giorno un suo amico, intuendo quanto fosse grave la sua disperazione, gli suggerì: "Per­ché non fai un viaggio in Italia e non vai a trovare Padre Pio"? “Padre Pio? Chi è?” domandò.”Un frate che ha le stigmate, pia­ghe simili a quelle del Cristo”gli disse l'amico.”Le ha fin dal 1918, e nessun medico è mai riuscito a guarirle. Nello stesso tempo però, non sono andate in cancrena. Sono piaghe grondanti sangue e quindi dovrebbero emanare un cattivo odore, invece niente. Emanano anzi un profumo soavissimo. A volte la gente lo avverte anche a migliaia di chilometri di distanza, come segno della sua presenza. È un santo, compie guarigioni prodigiose, vai a trovar­lo, forse potrebbe aiutarti.”"Boyer, che è medico, sorrise amaro. Ciò che l'amico gli riferiva era insostenibile da un punto di vista scientifico. “Non fa per me” rispose. “Non credo in queste cose. Se il tuo Padre Pio è quel che tu dici, mi mandi un segno: allora potrei an­che andare a trovarlo.” Qualche tempo dopo Boyer si trovava a Lugano. Passeggiava di sera lungo la riva del lago contemplando i riflessi argentei del­l'acqua Era solo e più disperato del solito.”È meglio farla finita”diceva fra sé, e pensava di gettarsi a capofitto in quelle acque. Ma ecco, all'improvviso, un profumo soavissimo. Si trovava in una zona di periferia, dove non c'erano neppure abitazioni. Da dove poteva venire quel profumo? Boyer si guardò intorno, cercando di capire, sforzandosi di individuare la fonte da cui poteva arrivare quella fragranza. Era un profumo inconfondibile di rose e violet­te. Si ricordò del racconto dell'amico riguardo al profumo di Pa­dre Pio. Cercò ancora e poi tornò in albergo, preparò alla svelta la valigia, raggiunse la stazione e prese il primo treno per l'Italia. È arrivato qua dal Padre, lo ha incontrato, e non se n’è più andato. Ora è un uomo sereno, che ha ritrovato la gioia di vivere. Ha de­ciso di dedicare la sua esistenza agli ammalati e sarà uno dei primi medici della Casa Sollievo della Sofferenza." - Una bella storia: è possibile intervistare questo medico? - Non credo. È uno che ha sepolto il proprio passato e non ama rinvangarlo. - Tu gli hai parlato? - È stato lui a raccontarmi la sua storia. - Chissà quante ne hai sentite in quest’ambiente... - Ogni volta che vengo scopro fatti nuovi, storie fantastiche. Ve lo ricordate Costante Rosatelli? - Quello di Velletri? L'agit-prop comunista che si è convertito? - Esatto. Ha ritrovato la fede qui, da Padre Pio. Era considerato uno dei comunisti più battaglieri dei Castelli Romani; argomenta­tore politico stringato, uomo da comizi e da blocchi stradali. La sua conversione, di cui hanno in parte riferito i giornali, ha dei risvolti sconcertanti che fanno capire come Padre Pio sia veramente un mi­stero. Me li ha raccontati lo stesso Rosatelli. Un giorno del 1948, mentre tornava a casa, vide ad una finestra di uno stabile vicino a dove abita un frate che lo guardava insistentemente. Si meravigliò perché non aveva mai saputo che quella casa fosse frequentata da un frate, e mentre guardava il religioso sparì. Qualche tempo dopo, quello stesso frate cominciò ad apparirgli in sogno. Lo vedeva di­stintamente, sempre con quello sguardo indagatore, che gli diceva brevi frasi: "Vieni da me", "Ti aspetto", "Vieni a confessarti". Quei sogni erano diventati un’ossessione. Poi, un giorno, sua sorel­la Gemma gli parlò di Padre Pio, raccontandogli tutta una serie di fat­ti prodigiosi. Lui rideva e commentò: "Sono tutte balle per voi don­nette". Il giorno successivo si presentò a casa sua una parente che era tornata da San Giovanni Rotondo portando con sé delle imma­ginette del Padre. Come vide il frate, Rosatelli rimase di stucco: era lo stesso che gli era apparso alla finestra della casa e che vedeva in continuazione nei suoi sogni. "Il 6 luglio 1949 era qui, e andò a confessarsi da Padre Pio.”Da quanto tempo non ti confessi?”gli domandò il Padre.”Da cinque anni rispose Rosatelli dicendo un numero a caso.”Non dire bu­gie”gli rispose il Padre serio.”Sono dodici anni che non ti confes­si.”E, quasi a voler fargli capire che lo conosceva bene, aggiunse:”Allora, la tessera comunista, la strappi tu o la strappo io?'." - Ma sono poi veri tutti questi dettagli? - domandò il collega del "Corriere", impressionato dalle doti di chiaroveggenza di Pa­dre Pio. - Quel che ho riferito lo so perché me lo ha raccontato lui, Ro­satelli - rispose l'inviato del "Popolo". E proseguì: - Un'altra conversione straordinaria, di cui si è parlato molto sui giornali, è quella di Italia Betti. - La comunista di Bologna? - La "passionaria rossa dell'Emilia", come tutti la chiamavano. O anche "la virago di Marx". È sepolta qui, nel cimitero. Ha chiesto di poter avere la tomba il più vicino possibile ai genitori di Padre Pio. Insegnava matematica al liceo "Luigi Galvani" di Bologna. Un tipo veramente curioso. Aveva partecipato alla Resistenza e poi era diventata una comunista sfegatata. Girava su una moto rossa. E sta­ta una delle più attive fra le donne dell'UDI, una dirigente delle asso­ciazioni in difesa della scuola laica. Poi fu colpita da un male incura­bile, la malattia la fece riflettere e la spinse a San Giovanni Rotondo, dove si convertì, abiurò i suoi errori e morì come una santa. - A queste conversioni provocate dalla sofferenza estrema io credo poco - commentò l'inviato del "Corriere - Certo, la malattia fa riflettere. Ma non tutti gli ammalati si convertono - osservò Carlo, l'inviato del "Popolo". - Sono storie veramente incredibili - disse l'inviato del "Mes­saggero". - Un caso che mi ha molto colpito - continuò il giornalista cattolico - è quello di Savino Greco. E un ex comunista e un attivista di Cerignola, molto noto qui in Puglia. Appena terminata la guerra era il portabandiera del proletariato. Aveva imparato a battersi per la classe operaia dal suo concittadino, Giuseppe Di Vittorio, sindacalista socialista. Ma lui era più radicale. Seguiva le teorie di Marx e le direttive di Togliatti e odiava la Chiesa e ogni forma di religione. "Due anni fa si è ammalato. Un tumore al cervello e uno dietro l'orecchio destro. Nessuna speranza di salvezza. "Sono stato trasportato all'ospedale di Bari”mi ha raccontato.”Avevo una gran paura del dolore e della morte. Ed è stata questa paura che mi ha fatto nascere nell'animo il desiderio di rivolgermi a Dio, cosa che non facevo più da quando ero bambino.”Da Bari è portato a Milano per essere sottoposto a un'opera­zione nel tentativo di salvargli la vita. Il medico che lo visita gli dice che l'operazione presenta estreme difficoltà e risultati assai dubbi. "Mentre si trovava in ospedale a Milano, vide in sogno Padre Pio. Essendo pugliese, conosceva il”frate con le stigmate'. Il Padre, sem­pre nel sogno, gli mise una mano sulla testa e gli disse:”Vedrai che con il tempo guarirai. "La mattina dopo Greco si sentì meglio. I medici constatarono stupiti il rapido miglioramento, però continuavano a ritenere l'in­tervento indispensabile. Greco, terrorizzato, poco prima di entra­re in sala operatoria fuggì dall'ospedale e si rifugiò in casa di pa­renti, a Milano, dove si trovava anche la moglie. "Dopo alcuni giorni, però, i dolori ripresero fortissimi e, non riuscendo più a resistere, tornò in ospedale. I medici, indignati, non volevano più prendersi cura di lui, poi la loro coscienza pro­fessionale ebbe il sopravvento. Tuttavia, prima di procedere al­l'operazione decisero di sottoporlo ad altri esami e, con grande stupore, trovarono che dei tumori non c'era più alcuna traccia. "'Ero sorpreso anch'io”mi ha detto Greco”non tanto per quel che dicevano i medici, ma perché, mentre mi stavano facendo gli esami, avevo avvertito un intenso profumo di viole e sapevo che quel profumo annunciava la presenza di Padre Pio. Prima di la­sciare l'ospedale ho chiesto il conto.'“Non mi dovete nulla”mi ha risposto il professore”perché io non ho fatto nulla per guarirvi.”"Tornato a casa, è venuto con la moglie qui a San Giovanni per ringraziare il Padre. Ma, appena giunto, i dolori sono ripresi vio­lentissimi, tanto che è svenuto. E stato trasportato di peso, a brac­cia, nella sacrestia, davanti al Padre Pio. C'erano molti curiosi, che attendevano il prodigio. Quando si è ripreso, Savino Greco ha detto al Padre:”Ho cinque figli e sono molto ammalato, salvatemi Padre, salvate la mia vita "'Non sono Dio”ha risposto il Padre”e non sono nemmeno Ge­sù Cristo, sono un prete come tutti gli altri, forse anche meno. Non faccio miracoli io'. "'Vi prego Padre, salvatemi”ha implorato Greco piangendo. "Padre Pio è rimasto in silenzio, raccolto in preghiera, poi gli ha detto:”Va a casa e prega. Io pregherò per te. Tu guarirai'. Greco è tornato a casa e da allora sta bene, non ha più avuto disturbi." - Anche questo è un fatto formidabile - dissero gli inviati. - Sentite quest'altro - continuò Carlo. - Giuseppe Canapo­ni, toscano di Arezzo, impiegato delle ferrovie, nel giugno del 1946 rimane vittima di un pauroso incidente stradale. Esce di casa in motocicletta per andare al lavoro e finisce sotto un camion. Sembra maciullato. Lo ricoverano all'ospedale e gli riscontrano fratture al cranio, all'arco sopraccigliare sinistro, rottura del tim­pano, la frattura di alcune costole e cinque fratture alla gamba si­nistra. È rimasto tra la vita e la morte per una settimana, poi è ini­ziata una lunga e faticosa ripresa. "Passava da un ospedale all'altro. È stato ricoverato a Sartea­no, Chiusi, Montepulciano, alla Clinica ortopedica di Siena e poi al Rizzoli di Bologna. Dopo vari interventi le fratture del femore erano state in parte sanate, ma a causa di una serie di complica­zioni la gamba sinistra era completamente rigida. "I medici parlavano di”anchilosi fibrosa del ginocchio sinistro'. Decisero di tentare la”flessione forzata del ginocchio su apparec­chio di Zuppinger in anestesia generale'. Tuttavia, le aderenze mu­scolari e i legamenti che bloccavano l'articolazione erano così re­sistenti che anche quell'intervento risultò inutile. Anzi, quando i medici insistettero con maggior forza, il femore si spezzò di nuo­vo, e Canaponi dovette restare per altri tre mesi con la gamba ingessata. "'Ero demoralizzato”mi ha raccontato lui stesso.”E cattivo co­me una belva ferita. Non volevo vedere nessuno, non volevo più vivere. Sfogavo tutto il mio dolore contro mia moglie, che tentava di farmi coraggio.”"'Per muovermi adoperavo le stampelle, ma riuscivo a trasci­narmi solo per pochi metri, perché la gamba, oltre che essere rigi­da, era ancora piena di ferite sanguinanti e dolorosissime. Spesso, volendo fare da solo, cadevo e allora urlavo, bestemmiavo contro Dio e contro tutti.”"'Mia moglie era credente, io no. Lei andava in chiesa, e io la rimproveravo. Bestemmiavo per farle dispetto, e lei piangeva.”"Sua moglie, sapendo che la medicina non poteva più fare nien­te, pensò di portare il marito da Padre Pio. Canaponi si mise a im­precare anche contro quel frate, ma alla fine si lasciò convincere. "Il viaggio, in quelle condizioni fu spaventoso. Canaponi andò a confessarsi.”Non dissi niente”mi ha raccontato.”Parlò solo lui. Sapeva tutto di me: che bestemmiavo ma che poi mi pentivo. Alla fine, quando ha alzato la mano per darmi l'assoluzione, si è rivol­to verso di me e mi ha fissato intensamente. Sotto quello sguardo il mio corpo ha cominciato a tremare come se fosse stato colpito da una violenta scossa elettrica.”"'Senza accorgermene, mi sono inginocchiato e ho fatto il segno della croce. Poi, sempre senza pensare alla gamba, mi sono alzato, ho preso le stampelle in mano e mi sono allontanato camminando regolarmente. Mia moglie, che era in chiesa, mi ha visto arrivare con le stampelle in mano, e, stupita, mi ha detto: Giuseppe, ma tu cammini!”"'Mi sono fermato, e solo allora mi sono reso conto di quanto era accaduto: camminavo davvero!”"Canaponi è tornato in albergo. Continuava a flettere la gamba perché non riusciva a convincersi di essere guarito. Salito in came­ra, si è tolto i pantaloni per esaminare bene le ferite, che fino a po­co prima erano doloranti e sanguinanti. Non c'erano più. "Il ritorno a casa si è trasformato in una marcia trionfale. Ovun­que si fermava raccontava quanto gli era accaduto. Arrivò al paese la sera dell'ultimo dell'anno, verso mezzanotte. Nel teatro c'era il veglione. Entrò con la moglie e cominciò a ballare. "Tutti conoscevano le sue condizioni, e vedendolo restarono ammutoliti. Si fecero da parte e lo lasciarono solo in mezzo alla sala, per osservarlo meglio, poi scoppiarono in un fragoroso batti­mani. Canaponi ballò per più di due ore. Da allora non ha più avuto alcun disturbo." - E i medici? - Tornò a farsi visitare alla Clinica ortopedica di Siena. I medi­ci erano esterrefatti. Prima di tutto, nel vedere che camminava. E poi perché secondo le radiografie la sua gamba non era assoluta­mente cambiata. L’anchilosi fibrosa al ginocchio sinistro era sem­pre presente, e Canaponi non avrebbe potuto in nessun modo camminare. In seguito il professor Giuntini volle presentare il ca­so a Roma, ad un congresso medico. Canaponi fu esaminato da di­versi specialisti, e tutti restarono meravigliati. "Giuseppe Canaponi viaggia sempre con in tasca la relazione del celebre professor Leopoldo Giuntini, redatta su carta intestata”Università di Siena, Clinica ortopedica', di cui Giuntini è diretto­re, e la fa leggere a tutti. L'ha fatta leggere anche a me. In un ca­poverso c'è scritto:”Si ha ragione quindi di ritenere che la subita­nea ripresa del movimento articolare, nel caso del Canaponi, costituisca un evento straordinario che non può trovare, nei limiti delle attuali conoscenze scientifiche, una spiegazione logica'. Det­te da un uomo del valore di Giuntini, queste parole fanno vera­mente pensare." - Incredibile, questa è una storia sconvolgente - commento l'inviato del "Corriere - Un fatto che, quando sarà opportunamente documentato, susciterà stupore grandissimo sta ancora accadendo - continuò a raccontare l'inviato del "Popolo". - Ne ho avuto notizia in am­bienti riservatissimi, ma attendibili. Come sapete, il cardinale Jo­seph Mindszenty, primate d’Ungheria, è in galera dal 1949, con­dannato all'ergastolo dal regime comunista di quel paese. Si trova nelle carceri di Budapest. Ebbene, si dice che in quelle carceri, sor­vegliatissime, entri spesso un frate con la barba, portando tutto l'occorrente perché il cardinale possa celebrare la Messa. Il frate si ferma, serve la Messa a Mindszenty e poi se ne va. Non è stato au­torizzato dai comunisti: le guardie non lo vedono passare. "Appa­re" all'interno, e non si sa come. Si dice che sia Padre Pio che si re­ca dal cardinale in bilocazione. Un "figlio spirituale" del Padre gli ha rivolto qualche domanda sull'argomento, e pare che lui abbia confermato. Solo se un giorno il cardinale avrà la fortuna di usci­re vivo da quel carcere, potremo avere una conferma. Io, comun­que, ritengo che la cosa sia autentica. Anche perché di fatti del ge­nere ne succedono parecchi nella vita di Padre Pio. - Ma è spaventoso... - È assurdo! - A Padre Pio giungono lettere da tutto il mondo - raccontò an­cora il giornalista cattolico. - Ci sono alcuni religiosi che le leggono e rispondono. Padre Domenico è un americano incaricato di leggere la corrispondenza in lingua inglese. Un giorno mi ha mostrato una lettera proveniente dalla Cecoslovacchia. L'avevano spedita alcune suore che vivono isolate su una montagna. Subito dopo la guerra in quel paese sono stati aboliti i conventi, gli istituti religiosi. Esistono ancora sacerdoti e suore, ma vivono in clandestinità. Vestono in bor­ghese, e soltanto pochissime persone conoscono la loro vera iden­tità. Ebbene, quelle suore, che vivono in un casolare isolato su una montagna, ringraziavano Padre Pio perché era andato a trovarle e a celebrare la Messa da loro. Si rammaricavano perché non si era vo­luto fermare neanche per accettare una tazza di brodo. Gli chiedeva­no se avesse fatto buon viaggio e se avesse avuto noie alla frontiera. "Dalla lettera si capiva che erano perfettamente convinte di aver avuto una visita reale di Padre Pio. Ma noi sappiamo che il Padre non si è mai mosso da San Giovanni Rotondo." - Se non sapessi che sei un giornalista serio non crederei una sola parola di quanto ci hai raccontato - commentò l'inviato del­la «Stampa". - Ti capisco - rispose Carlo. - Io stesso, a volte, ascoltando queste vicende dai testimoni diretti, dai protagonisti, mi domando se ho a che fare con persone attendibili o con vittime d’allucina­zioni. Ma poi ci sono i riscontri oggettivi: malattie che scompaio­no, fatti annunciati che si realizzano, quest'uomo che ti legge nell'anima come fosse un libro stampato. Il mondo di Padre Pio è veramente assurdo, questa è la parola giusta. Ma è assurdo pro­prio perché egli ha un piede in un'altra dimensione, nel regno del­lo spirito, dove a noi non è permesso entrare. - Che ore abbiamo fatto? - domandò l'inviato del "Messag­gero". - È l'una - rispose quello del "Corriere". - Bisogna andare a dormire. - E chi riesce più a dormire, adesso? - sbottò l'inviato della "Stampa". - Dopo i racconti di Carlo, come si fa? - Hai paura? - No, paura no, ma è certo che queste cose sconvolgono. Se decidi che siano balle, allora stai tranquillo. Ma se ritieni che sia­no possibili, allora tutti i parametri razionali cui sei abituato vanno a farsi benedire, e ti senti nudo come un verme. In un bel guaio mi hai messo, caro Carlo. I cinque inviati si alzarono dal tavolo e si avviarono verso le lo­ro camere.

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