La vita e I miracoli



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Monsignor Maccari arrivò a San Giovanni Rotondo il 30 luglio 1960, verso le 5 del pomeriggio. Si recò alla Casa Sollievo della Sofferenza, dove era atteso, e fu al­loggiato nel migliore appartamento, quello riservato alle autorità. - Quanto lusso - disse guardandosi intorno. Si sentiva soddi­sfatto. Aveva temuto di dover alloggiare in qualche angusta came­retta conventuale, che con quel caldo soffocante sarebbe stata cer­tamente un forno. Invece aveva trovato una sistemazione degna di un grande albergo. - Mi rinfresco e tra una mezz'ora vengo in convento a salutare i religiosi - disse al Guardiano che, insieme all'amministratore della clinica, il commendator Angelo Battisti, lo aveva accompa­gnato in camera. - Faccia con comodo, Monsignore - rispose il Guardiano. Maccari era affaticato. Aveva lasciato Roma al mattino presto e si era fermato prima a Foggia, per salutare il Provinciale, e poi a Man­fredonia dal vescovo, Monsignor Cesarano. Maccari aveva quaran­tasette anni ed era un giovane Monsignore nel pieno della carriera. Era stato assistente al Seminario romano, vicedirettore al Seminario di Sant'Apollinare, docente all'Università del Laterano e poi primo parroco nella zona periferica del Prenestino, a Roma. Ora era segre­tario del Vicariato di Roma e animatore della pastorale giovanile delle scuole della capitale attraverso il Centro studentesco romano. Mentre si preparava ripensò all'incarico che gli avevano affidato; si rendeva perfettamente conto della sua grande importanza. Aveva ricevuto ordini dal Sant'Uffizio, ma dietro suggerimento del Papa in persona, ed era quindi deciso a soddisfare a ogni costo le attese del Santo Padre. Quando scese per andare in convento, trovò il Guardiano che lo attendeva. Attraversarono insieme il piazzale. I frati erano già tutti radunati in refettorio. Monsignor Maccari espletò le forma­lità di rito e lesse il decreto di nomina a Visitatore Apostolico, co­me rappresentante del Papa. - Voi conoscete bene qual è il mio compito qui, vi prego perciò di aiutarmi a svolgerlo nel migliore dei modi - disse. - Per evita­re di dare nell'occhio ai laici e ai curiosi, verrò io nel convento per i vari colloqui con ciascuno di voi. Poi tutti i religiosi, uno a uno, andarono a ossequiarlo. Gli ba­ciavano la mano, e il Guardiano faceva una breve presentazione. Quando arrivò il turno di Padre Pio, il Guardiano disse: - Ecco il nostro confratello più famoso. - Maccari sorrise e porse la mano. Mentre il Padre la prendeva con la sua, coperta dal mezzo guanto marrone, Maccari ebbe un istintivo gesto di repulsa che non sfuggì a Padre Pio. Il mattino successivo, dopo la colazione, Maccari convocò il commendator Angelo Battisti, che oltre a essere l'amministratore della "Casa Sollievo della Sofferenza', era amico strettissimo di Pa­dre Pio. - Perché giù nell'atrio ci sono tutti quei festoni e quei fiori? - domandò. - Ho visto che anche questa mattina sono continuate ad arrivare ghirlande. - Ci stiamo preparando per la grande festa, Monsignore - ri­spose Battisti con aria gioiosa. - Quale festa? - Le nozze d'oro del nostro caro Padre. Il 10 agosto ricorrono i cinquant'anni della sua consacrazione sacerdotale. È un traguar­do straordinario, e vogliamo celebrarlo come si conviene. - Cioè? - Solennemente - disse Battisti con orgoglio. - Qui nel Sud queste feste sono sacre. Tutto il paese è in grande attesa. L’ammi­nistrazione comunale ha deliberato per proprio conto manifesta­zioni speciali, che ancora non conosciamo perché desiderano fare una sorpresa al Padre. E noi stiamo organizzando una solenne ce­rimonia in chiesa e poi una bella festa qui nella sua clinica. Parlando dei preparativi per la festa Battisti sprizzava entusia­smo. Il 50° anniversario di sacerdozio è il traguardo più prestigio­so nella vita di un sacerdote ed è celebrato con rituali tradizio­nali che risalgono ai primi tempi della Chiesa. Tutta la comunità cristiana in cui il sacerdote opera gli si stringe intorno per festeg­giarlo, e anche le autorità ecclesiastiche partecipano inviando tele­grammi e lettere. Interviene sempre anche il sommo Pontefice con una benedizione speciale, che è comunicata attraverso una pergamena autografata. - Scusi, ma chi vi ha autorizzato? - riprese acido Maccari. - Noi ci siamo autorizzati. È un nostro omaggio al Padre. So­no mesi che ci stiamo pensando. Abbiamo preparato delle imma­ginette-ricordo, stiamo lavorando a un "numero unico" del gior­nalino dell'Opera di Padre Pio che sarà pronto a giorni, cui hanno inviato la loro adesione più di ottanta vescovi e cardinali. Insomma, vogliamo fare una cosa davvero degna del nostro Pa­dre. Naturalmente è tutto concordato con il Guardiano e anche con il Provinciale. - No, commendatore, non andiamo bene - disse Maccari scuotendo la testa visibilmente irritato. - Io sono qui, mandato dal Papa, per indagare su Padre Pio. Evidentemente perché ci sono aspetti della sua condotta non del tutto edificanti. E non si può fe­steggiare l'imputato mentre su di lui è in corso un'azione investi­gativa così importante. Imputato? Azione investigativa? Non capisco! - balbettò il commendator Battisti con aria trasognata. - Be', non penserà che io sia venuto qui per distribuire diplomi di benemerenza - ribatté Maccari. - Una "visita apostolica" è un atto giuridico grave, provocato da situazioni molto incresciose, perciò non voglio sentir parlare di feste di nessun genere. Bisogna sospendere tutto. - Non è possibile! - esclamò Battisti allarmato. - Il pro­gramma è stato distribuito da tempo. I Gruppi di preghiera hanno prenotato gli alberghi, arriveranno da ogni parte d'Italia e anche dall'estero. - Gruppi di preghiera ha detto? Per carità! - Ma non si possono fermare, è praticamente impossibile. E poi, che cosa direbbero? Come giustificare questo cambiamento? - Insomma, il Visitatore sono io, e si fa solo ciò che io dico - affermò Maccari perentorio alzando la voce. Seguirono alcuni at­timi di silenzio glaciale. Poi il Monsignore aggiunse: - Voglio ve­dere tutto quello che state preparando: il ricordino, il "numero unico", il programma della festa, mi porti tutto. - Va bene, Eccellenza. A malincuore il commendatore scese nel proprio ufficio, raccol­se il materiale che teneva sul tavolo, lo mise in una cartella e tornò nell'appartamento di Maccari. Il vescovo si era messo a leggere i giornali. Prese i documenti che Battisti gli porgeva e cominciò a esaminarli. Lesse il santino. Una frase diceva: "Fa”che i Gruppi di preghiera diventino fari di luce e di amore". - No, questo non va bene. Nessun accenno ai Gruppi di preghie­ra - disse il Monsignore e con un tratto di penna cancellò la frase. - I santini sono già stati stampati - osservò Battisti. - Be'? Ristampateli - ribatté secco Maccari. Srotolò un grande manifesto con il programma della festa. Les­se in silenzio e poi sentenziò: - Non voglio vedere manifesti di nessun genere. E non ci sa­ranno discorsi commemorativi. Potrete tenere la Messa cantata e basta. Vedo che è annunciata la presenza del vescovo di Manfre­donia. Bene, gli telefonerò dicendogli di non venire. Il "numero unico", poi, deve essere totalmente cancellato. - Sono più di Ottanta i vescovi che, sapendo di questo «nume­ro unico", hanno inviato la loro testimonianza, e ci sono anche dei cardinali - ribatté Battisti. - Ormai è tutto pronto, finito. Stiamo aspettando solo il telegramma del Papa. - Non ci saranno telegrammi del Papa - sentenziò Maccari. - E il numero unico va cancellato. Chiaro? Il commendatore sudava. Il tono di voce e i modi scortesi del Monsignore non lasciavano dubbi all'interpretazione. Si rese con­to che la situazione era disperata. - Io non sono stato informato di quest’inconveniente - ag­giunse Maccari. - Non desidero essere presente alla festa. Me ne ritorno a Roma e riprenderò il mio lavoro quando sarà finita. Battisti andò subito ad avvertire i propri collaboratori. Tutti ri­masero allibiti. La redazione del giornalino dell'Opera, che stava lavorando al "numero unico", si sentì frustrata. Aveva fra le mani dei documenti straordinari: quasi cento interventi d’altrettante personalità ecclesiastiche. Monsignor Montini, arcivescovo di Mi­lano, aveva mandato una commovente lettera scritta a mano. Altre lettere bellissime erano state scritte dal cardinale Lercaro, arcive­scovo di Bologna, e dal cardinale Meyei, arcivescovo di Chicago. Erano arrivati gli auguri di letterati, politici, scienziati, famosi me­dici. Come rinunciare a un materiale del genere? E come giustifica­re la non pubblicazione del "numero unico", dopo che era stata an­nunciata? - Non se ne parla neanche. Noi continuiamo il nostro lavoro come stabilito - affermò il redattore capo, responsabile della pub­blicazione. - Non si può. Monsignor Maccari lo ha categoricamente proi­bito - ribatté amaro Battisti. - Non siamo suoi dipendenti e non siamo religiosi. Lui non ha alcuna autorità su di noi. Facciamo quel che ci piace. - Forse è opportuno sentire Padre Pio prima di decidere - suggerì Battisti. - Questo sì, sono d'accordo. Dobbiamo sempre agire in sinto­nia con il Padre, anche se in questo modo verrà a sapere che cosa gli stiamo preparando. E addio sorpresa. - Pazienza. Ci è andata davvero male. Com'era prevedibile, Padre Pio ebbe un'unica esortazione: - Figlioli, dobbiamo fare una sola cosa: obbedire. Guardò i volti di tutte quelle persone, tristi e demoralizzate, e sorridendo aggiunse: - Vi conosco bene. So con quanto amore stavate preparando la festa. Vi ringrazio e ricambio con tutto il cuore. Furono così sospesi tutti i preparativi. I santini-ricordo furono ristampati con alcune correzioni, i manifesti con gli "Evviva!" e altre frasi osannanti il festeggiato distrutti, i programmi da affiggere ai muri disdetti. - Ci siamo sbarazzati di tutto. Però, almeno il "numero uni­co" dobbiamo assolutamente prepararlo - disse il caporedattore. - Non si può scherzare. Ci sono di mezzo tante personalità im­portanti, ecclesiastiche e civili, alle quali noi stessi abbiamo solle­citato un intervento. Ci sono articoli che sono stati scritti apposi­tamente per questa circostanza da celebri scrittori quali Bacchelli, Bargellini, Salvaneschi, Bedeschi, Graham Greene. Come spiegare a questa gente che cos'è accaduto? Ci facciamo la figura dei dilet­tanti. E poi, da un momento all'altro dovrebbe arrivare anche l'in­tervento del Papa, un telegramma o una benedizione. Lo abbiamo richiesto alla segreteria di Stato. - Maccari sostiene che non arriverà nessun telegramma dalla Santa Sede - disse Battisti. - Il sostituto della segreteria di Stato, Monsignor Dell'Acqua, lo ha promesso... - Cosa devo dire? Speriamo. Attesero fiduciosi. In quello stesso periodo altri due confratelli di Padre Pio aveva­no celebrato, in altre località della provincia di Foggia, il giubileo sacerdotale, e per loro era stata rispettata in pieno la tradizione. Da Roma il Papa aveva puntualmente inviato la sua personale be­nedizione su una pergamena dorata. Perciò i redattori che stavano preparando il "numero unico" erano certi che sarebbe arrivata anche per Padre Pio e attendevano. Nel frattempo il "numero unico", un volumetto del formato «grande quaderno", era pronto: ben 140 pagine. Ciascun interven­to delle personalità che avevano inviato le loro felicitazioni era si­glato con firma autografa. E tutti quei nomi facevano un grande ef­fetto. Mancavano solo le congratulazioni da mettere nelle pagine di apertura, però da Roma continuava a non arrivare niente. Padre Pio stava dunque collezionando un record: era l'unico sacerdote cattolico che non riceveva alcun cenno dal Vaticano per il 50° anni­versario di sacerdozio, quasi fosse un sacerdote indegno. Come se in quel mezzo secolo di apostolato, invece di aver servito onorevol­mente la Chiesa, si fosse macchiato delle colpe più orribili. I redattori del "numero unico" attesero ancora, ma alla fine do­vettero rassegnarsi. Erano in difficoltà: non sapevano cosa inven­tarsi per aprire il loro libretto. Questo tipo di pubblicazioni, in apertura, reca sempre la foto del Papa e lo scritto che egli ha in­viato per la ricorrenza. Sovvertire una consuetudine del genere si­gnificava creare allarme e scontento. Per Padre Pio, tuttavia, la lettera del Papà non era arrivata. Neppure due righe di circostan­za, firmate dall'ultimo dei segretari della Santa Sede. Così, alla fi­ne, fu deciso di usare ugualmente la foto benedicente di Papa Gio­vanni, e di apporvi in calce non le parole del Pontefice bensì un intervento ad hoc, un breve articolo firmato da un laico, Giovanni Gigliozzi, popolare giornalista radiofonico, "figlio spirituale" di Padre Pio e suo collaboratore. Di seguito venivano le lettere dei cardinali e tutte le testimonianze dei vescovi. Il 10 agosto migliaia di persone arrivarono a San Giovanni Ro­tondo per stringersi intorno a Padre Pio. Con le lacrime agli occhi seguirono la Messa da lui celebrata, ma, come aveva comandato il Visitatore Apostolico, non ci furono discorsi commemorativi. Il Padre era commosso per la presenza di tutta quella gente e, nello stesso tempo, anche triste per l'insolito stile della festa. Dalla sua bocca, come sempre, non uscì però né un lamento né una critica. Il 13 agosto, al mattino presto, Monsignor Maccari ritornò a San Giovanni e iniziò concretamente la "visita apostolica". Chia­mava le persone che doveva interrogare, le faceva giurare sul Van­gelo di dire la verità e iniziava con le domande. La visita doveva riguardare i rapporti tra il convento di Santa Maria delle Grazie e la "Casa Sollievo della Sofferenza", ma in realtà Maccari poneva domande solo su Padre Pio. Domande sul­la vita privata e la moralità del Padre.

Erano piuttosto imbarazzanti. Le persone, quasi tutte donne, le note "figlie spirituali" di Padre Pio, uscivano dall'interrogatorio letteralmente sconvolte. Cominciarono a lamentarsi. Andarono da Padre Raffaele, il più fidato amico di Padre Pio, che viveva a San Giovanni fin dal 1927 ed era stato per tanti anni Guardiano. - Questo Visitatore è un pazzo - disse Giacinta a nome delle sue compagne. - Ci ha rivolto domande impertinenti e offensive. Noi adesso lo denunceremo ai carabinieri. - Signore, per carità! Non creiamo altri guai a Padre Pio. Stia­mo calmi. Sopportiamo... - Sopportiamo un accidente! - esclamò indignata Giacinta. - Io non sopporto un bel niente! - Ma che cosa vi ha domandato di tanto offensivo? Si guardarono imbarazzate. - Cose veramente assurde - rispose Giacinta. - Per esempio: "Tu credi che Padre Pio sia Dio? Come lo trovi in confessione? Hai mai fatto l'amore con lui? Quante volte? Che sensazioni pro­vi quando ti guarda?". - Oh Gesù Maria! - esclamò Padre Raffaele. - E ha insistito su questo argomento per tutto il tempo del collo­quio. Io mi sono lamentata, e lui ha ribattuto che doveva indagare. Ma indagare su cosa? Poi ha detto che in Padre Pio regna il demonio dell'impurità e che la sua vita è un "sensualismo mistico". Mi ha in­vitata a cambiare confessore se voglio il bene della mia anima. - Non è possibile. Forse avete capito male... - disse Padre Raffaele. - Padre Raffaè, non mettetevi di mezzo anche voi - sbottò Giacinta arrabbiata. - Quello è un cafone, e noi lo denunciamo. Solo un demonio può pensare certe cose e fare certe domande. - State calme, non fate niente. Andrò io a parlare con il Mon­signore. Non aggraviamo le cose. Quello stesso giorno Padre Raffaele ricevette la visita della Su­periora delle suore che lavoravano nella clinica. - Padre, siamo scandalizzate. - Che cos'è accaduto? - Il Visitatore ci ha convocate tutte insieme e ha tenuto una con­ferenza. Non ha fatto che parlar male di Padre Pio, mettendo in dubbio la sua moralità. Avendo saputo che alcune di noi andavano da lui per avere consigli e confessarsi, ha aggiunto: "Vi suggerisco di scegliervi un altro confessore". Alle più giovani ha chiesto se Padre Pio aveva fatto loro proposte impudiche. Ma dico, come si permet­te? Siamo sicuri che questo Visitatore sia un vero sacerdote? Padre Raffaele era sconvolto e indignato. Non poteva lasciar ca­dere la cosa. Le lamentele che aveva sentito erano troppo gravi. Si armò di tutto il coraggio che possedeva e affrontò il Visitatore. - Monsignore - gli disse - mi deve scusare, ma dovrebbe stare attento a rivolgere certe domande durante gli interrogatori, domande che mettono in dubbio la moralità di Padre Pio... - Come fa a dire questo? - ribatté secco Maccari. - Be', le persone da lei interrogate si sono scandalizzate e sono venute a lamentarsi da me. - Gli interrogatori sono segreti, perciò quelle persone hanno violato un segreto sancito da giuramento. - Erano sconvolte. - Ho degli ordini precisi da rispettare. E poi, per quale motivo vengono a lamentarsi proprio da lei e non vanno invece dal Guar­diano? - Perché io le conosco bene. Sono qui dal 1927 e per tanti an­ni sono stato Superiore del convento. - Come mai questo privilegio? Lei certamente è amico e pro­tettore di Padre Pio. - Io sono un religioso come tutti gli altri. E se sono qui da tanto tempo è per obbedire a quanto mi hanno imposto i Superiori. - E allora continui a obbedire. Io sono il rappresentante del Papa, e lei non deve farmi osservazioni di nessun genere. - Questa è gente semplice... - Non direi. Qui c'è una situazione esplosiva. Ognuno vive co­me crede e non sono osservati gli ordini. Non si osserva la clausura. A Padre Pio è stato proibito di scrivere lettere fin dal 1922, e lui continua a disobbedire. Anche in questi giorni, nono­stante la mia presenza, ha inviato dei bigliettini a certe sue intime. - Sono calunnie. - Li ho fatti sequestrare io stesso. Mi spieghi anche un'altra co­sa: come mai ci sono dei laici che possono andare dal Padre quando vogliono? Mi risulta che abbiano addirittura le chiavi del convento. - Gli unici due laici che possono andare da Padre Pio sono Pie­truccio, il cieco, e Silvio, lo spazzacamino. Ci vanno fin da quan­do erano ragazzi. Aiutano il Padre nelle piccole faccende. - Sono proprio loro, invece, a portargli i bigliettini delle donne e a portare poi alle donne le risposte. - Si tratterà di richieste di preghiere, raccomandazioni di casi disperati... - Questo lo dice lei. In ogni caso, d'ora in poi più nessun laico deve entrare in convento. Qui bisogna cambiare tutto. Padre Pio deve essere ridimensionato e ricondotto all'osservanza della regola. È assolutamente necessario trovare un direttore spirituale che lo ri­porti nell'ortodossia. La visita di Monsignor Maccari continuò su una linea di seve­rità. Lo stesso Padre Pio fu sottoposto a lunghi interrogatori che vertevano più o meno sullo stesso argomento. Al termine del suo lavoro Maccari si ritirò in un convento di suore vicino a Roma, dove rimase a lungo per scrivere la relazione, che in­viò poi al Sant'Uffizio. Era un documento di circa 200 pagine, coper­to dal segreto più assoluto. I "figli spirituali" del Padre, però, riusci­rono a corrompere il dattilografo che l'aveva ricopiato e, pagando milioni, ne ottennero una copia. Era una relazione terribile, zeppa di illazioni, sospetti e accuse contro Padre Pio. Tra l'altro, Maccari scriveva che il Padre "copulabat cum muh'ere bis in ebdomada", cioè aveva rapporti sessuali con donne due volte la settimana. La relazione di Monsignor Maccari attizzò ancora di più il fuo­co che ardeva nel Sant'Uffizio, e d'improvviso furono emanati se­veri provvedimenti contro Padre Pio. Gli fu espressamente proibi­to di celebrare matrimoni e battesimi, di confessare i malati, di parlare con i fedeli. Ai sacerdoti e ai vescovi era assolutamente vietato servirgli la Messa. Le sue confessioni non dovevano durare più di tre minuti ciascuna, e la sua Messa non doveva superare i 30 minuti. Fu stabilito che il Padre non doveva più avere alcun contatto fisico con la gente. A questo scopo il convento di San Giovanni fu trasformato in un carcere vero e proprio: furono in­nalzate sbarre, transenne, cancelli, furono messe catene e lucchet­ti. Inoltre, al Padre fu ordinato in modo tassativo di non ricevere mai donne da solo, né in foresteria né in altro luogo. La lettera del Sant'Uffizio che conteneva tutti questi provvedi­menti si chiudeva con frasi molto dure: "Padre Pio sia invitato a ottemperare a queste regole in virtù dell'obbedienza religiosa e, nel caso di una deprecabile inadempienza, non si escluda l'uso delle pene canoniche". Un linguaggio rude e minaccioso, inusitato nella normale burocrazia ecclesiastica. Un tono che in genere si adoperava soltanto nei confronti dei ribelli che si erano già dimo­strati recidivi nelle loro colpe.

24

Perché ci sono quelle catene in­torno all'altare? - I pellegrini che si recavano a San Giovanni Rotondo e la gente del paese che andava in chiesa per assistere al­la Messa rimanevano interdetti di fronte ai cambiamenti interve­nuti al convento. Ovunque erano sorti cancelli chiusi con lucchèt­ti, transenne e sbarre. - Si vuole impedire che la gente infastidisca Padre Pio quando celebra la Messa - rispondevano con un certo imbarazzo i frati. - Per il troppo entusiasmo gli stanno addosso, tutti intorno. Non lo lasciano quasi respirare. - E le transenne in giro per la chiesa? - Quelle servono per creare un corridoio protetto, in modo che il Padre possa passare tra la folla senza pericolo. Ci sono dei fanatici che vengono qui con le forbici e gli tagliano il saio per avere delle reliquie. Le spiegazioni dei frati in genere erano accettate e condivise dalla gente, che condannava il comportamento di certi esaltati. I pellegrini più attenti, però, non riuscivano a spiegarsi perché il Padre fosse stato isolato, come mai non era più possibile avvicinar­lo e parlargli. E soprattutto perché egli stesso apparisse tanto ab­bacchiato e chiuso. Inoltre, non capivano perché non fosse più accompagnato dai confratelli, che non lo aiutavano a salire gli sca­lini dell'altare nemmeno quando il suo passo era così incerto da farlo barcollare paurosamente. Al posto del confratello che prima seguiva il Padre sorreggendolo in caso di bisogno, adesso c'era un frate dall'aspetto silenzioso e severo, che se ne stava qual­che metro in disparte e lo vigilava come una sentinella. - Chi è? - si domandava la gente indicandolo a dito. - Il nuovo Guardiano. - E perché se ne sta appresso al Padre e non lo aiuta a salire i gradini? - Ha l'ordine di vigilare affinché nessuno usi delle preferenze per Padre Pio. Da Roma sono arrivati ordini che impongono al Pa­dre di vivere come gli altri, di essere considerato uno qualunque. - Vogliono ridurlo a niente... - Dicono che intorno a lui si è creato un mito, e che quel mito deve essere distrutto. Le voci si susseguivano fosche e angoscianti, ma anche cariche di risentimento per il trattamento riservato a Padre Pio. Era guar­dato a vista, come un detenuto pericoloso, e costretto a fare tutto in fretta. Se si attardava nel celebrare la Messa, un frate lo inter­rompeva per sollecitarlo. Se si intratteneva con una persona nel confessionale per più di tre minuti, qualcuno andava a dirgli di sbrigarsi. Il Padre si era chiuso in un silenzio quasi assoluto. Pensava sol­tanto a obbedire alle disposizioni e a pregare. Anche quando pas­sava tra quelle transenne, le sue labbra si muovevano impercetti­bili, nella preghiera. - Come si sente, Padre? - gli domandò un religioso gesuita che era andato a trovarlo. - Non ne posso più. Appariva tremendamente invecchiato. Le malattie e i disturbi di cui soffriva si erano aggravati, e certe mattine non aveva la forza per alzarsi da letto e non scendeva in chiesa a celebrare la Messa. A Roma intanto era iniziato il conciliò Vaticano Il. Da tutto il mondo giungevano nella capitale vescovi e cardinali. E i prelati, soprattutto stranieri, approfittavano dei fine settimana liberi dagli impegni per andare a San Giovanni Rotondo a vedere e parlare con Padre Pio. La "visita apostolica" effettuata da Monsignor Maccari aveva stabilito che il Padre era un grande peccatore, ciò nonostante i rappresentanti della Chiesa si recavano in pellegri­naggio da tutti e si sentivano edificati pur potendo vederlo solo da lontano. Tra i vescovi giunti a Roma per il concilio c'era il polacco Karol Wojtyla. Aveva quarantadue anni ed era vescovo da quattro: uno dei più giovani del mondo. Aveva preso alloggio presso il Collegio polacco, sull'Aventino, ed era felice di essere tornato nella città eterna, dove tanti anni prima aveva studiato teologia. Doveva ri­manervi fino alla metà di dicembre e aveva in programma, oltre agli impegni conciliari, tanti altri progetti. A Roma aveva ritrovato Monsignor Andrei Deskur, suo compa­gno di seminario a Cracovia. Deskur, che era diventato un prelato influente e frequentava i più esclusivi circoli curiali, lo introduceva nei segreti vaticani e gli presentava un sacco di personalità. - Chi vuoi conoscere questa settimana? - gli domandava il lunedì mattina Monsignor Deskur. E Wojtyla gli sottoponeva un elenco. Benché giovanissimo, Karol Wojtyla al concilio divenne subito il portavoce della delegazione dei vescovi polacchi che, forte di venti­quattro unità, era la più numerosa proveniente dal mondo comuni­sta e perciò godeva di una certa autorità sulle problematiche che af­fliggevano la Chiesa oltre cortina. Era felice del suo successo. E il suo amico Deskur lo aiutava. Insieme formavano una squadra effi­cientissima: due giovani amici all'acme delle loro forze fisiche e intellettuali. Una sera, rientrando al Collegio polacco, Wojtyla trovò una let­tera con una notizia dolorosa: la dottoressa Wanda Poltawska, moglie del suo amico Andrej Poltawski, era malata. Era stata rico­verata in ospedale, e gli esami clinici avevano messo in evidenza la presenza di un tumore. Wojtyla conosceva bene quella donna: era una delle sue miglio­ri collaboratrici. La brutta notizia lo sconvolse. Lo riportò con i piedi per terra, facendogli dimenticare i successi della carriera ec­clesiastica e costringendolo a riflettere sulle tristi e semplici realtà della vita. Conosceva quella donna, conosceva suo marito, cono­sceva le sue quattro figlie. E quella malattia terribile non lasciava spazio alle speranze. - Perché sei così triste oggi? - gli domandò Monsignor Deskur. - Ho avuto brutte notizie da Cracovia - rispose Wojtyla. - Il regime? - No, una persona amica. Sta morendo per un tumore. E ha solo quarant'anni. - Mi dispiace. È un tuo parente? - Qualcosa di più - disse Wojtyla. E dopo una dolorosa pau­sa di silenzio aggiunse: - Si tratta di una mia collaboratrice, la dottoressa Wanda Poltawska. È medico, psichiatra, abbiamo la­vorato molto insieme sui problemi della famiglia. Abbiamo scritto dei libri, e abbiamo lavoro e progetti per il futuro. - Lo sguardo di Wojtyla si perse nel vuoto mentre riportava alla mente tanti ri­cordi. - Che destino strano il suo - riprese dopo un'altra pausa. - In che senso? - domandò Deskur. - Pensa che, nel 1940, quando aveva diciassette anni, fu arre­stata dai nazisti e portata in un lager, dove rimase cinque anni, sottoposta ai più atroci maltrattamenti ed esperimenti medici. Cinque anni d'inferno, ed è sopravvissuta. Adesso, a quarant'an­ni, viene distrutta da un tumore. - Ma è ancora viva: finché c'è vita c'è speranza! - Secondo la lettera, i medici sono pessimisti. Pensano di ope­rarla, ma non danno speranze. Bisogna pregare: solo un miracolo potrebbe salvarla. - Preghiamo. Questa sera inviterò a pregare anche le suore, e domani la ricorderò nella Messa. - Conosci qualche anima mistica, qualche carismatico cui possiamo chiedere aiuto? - Non saprei, però domanderò in giro e vedrai che qualcuno lo trovo. - Nel 1947 - disse Wojtyla - ero andato a San Giovanni Ro­tondo, in Puglia, a trovare Padre Pio, un frate cappuccino con le stigmate. Mi aveva fatto un'ottima impressione. - Esiste ancora, eccome! È un grande mistico, e dicono che operi prodigi strepitosi. Ha costruito lassù una clinica meraviglio­sa che ha voluto chiamare "Casa Sollievo della Sofferenza". Intor­no a lui sono sorte tante polemiche, e recentemente è stato sotto processo per un intervento del Sant'Uffizio, ma io sono convinto che sia un grande santo. - Vorrei parlare con lui. - Come già fatto! Conosco la persona giusta. Nella segreteria di Stato lavora un signore che è anche l'amministratore della "Ca­sa Sollievo della Sofferenza". È amico di Padre Pio, rivolgiti a lui. - Potrei scrivere una lettera al Padre e fargliela recapitare da questa persona. - Scrivi, e la lettera sarà consegnata immediatamente. Karol Wojtyla salì in camera, prese un foglio da lettera intestato e incominciò a scrivere. Le parole scaturivano sincere dal suo cuo­re. Si rivolse a Padre Pio con affetto, rispetto e umiltà ma anche con grande franchezza, chiedendogli di pregare per la salute di questa sua amica. Poi consegnò la busta a Deskur. Questi si recò in Vaticano e la portò a un suo amico della segreteria di Stato, che chiamò Angelo Battisti. - Un vescovo polacco chiede di far pervenire con urgenza que­sta lettera a Padre Pio. Potresti portargliela? - Oggi è sabato, e nel pomeriggio vado proprio a San Giovan­ni, come faccio ogni fine settimana per svolgere i miei compiti di amministratore. - Bene, eccola. Mi raccomando, consegnala nelle sue mani. - Non dubiti, Monsignore. Era già buio quando Battisti bussò alla porta della cella di Pa­dre Pio. Nella sua veste di amministratore della "Casa Sollievo della Sofferenza" aveva libero accesso al convento, e appena arri­vato a San Giovanni vi si era recato subito. - Ave Maria - rispose Padre Pio. Era la frase che usava per dire "avanti". Battisti entrò nella cella immersa nel buio. Dalla finestrella en­trava un chiarore indistinto. Accese la luce. Il Padre era seduto nella poltrona accanto al letto. Teneva il cappuccio sulla testa e intorno alle sue spalle era avvolto un grande scialle di lana. - Beneditemi, Padre - disse Battisti inginocchiandosi e ba­ciandogli la mano. - Ben arrivato, Angiolino. Com'è andato il viaggio? - lo salutò il Padre con affetto. - Bene, bene, Padre. - Mi raccomando, ricordati di non correre. Con questo tem­po... Hai trovato nebbia? - Un poco. Ma non era fitta. - Raccomandati sempre alla Madonna e all'Angelo Custode. - Le ho portato una lettera - disse Battisti porgendogliela. - Di chi è? - Me l'hanno consegnata alla segreteria di Stato. Ve l'ha scrit­ta un vescovo polacco che si è molto raccomandato che fosse con­segnata personalmente a voi. - Apri e leggi - disse Padre Pio. Chinò il capo per ascoltare. Era raggomitolato su se stesso, avvol­to nello scialle. Stava in quella posizione tutto coperto perché aveva freddo, ma soprattutto per concentrarsi meglio nella preghiera. In quella posizione pregava anche per ore e ore, senza muoversi. Battisti strappò la busta ed estrasse il foglio. L'intestazione reca­va: "Curia Metropolitana Cracoviensis". – E”scritta in latino - disse Battisti e cominciò a leggere: - Ve­nerabilis Pater, rogo te orationem fundere pro quadam matre qua­trum puellarum, quadraginta annorum, Cracovie in Polonia (du­rante ultimo bello per quinque annos in campo concentrationis in Germania) nunc in periculo gravissimo sanitatis et etiam vitae ra­tione canceris: ut Deus ei eiusque familiae misericordiam suam in­stante Beatissima Vergine ostendat. In Christo obligatissimus Ca­rolus Wojtyla Episcopus tit., vicarius capitularis cracoviensis in Polonia. (Venerabile Padre, ti chiedo di pregare per una certa ma­dre di quattro ragazze, di quarant'anni, che vive a Cracovia, in Po­lonia (durante l'ultima guerra fu per cinque anni nei campi di con­centramento in Germania) e ora si trova in gravissimo pericolo di salute, anzi di vita, a causa di un cancro. Prega affinché Dio, con l'intervento della Beatissima Vergine, mostri misericordia a lei e al­la sua famiglia. In Cristo obbligatissimo. Karol Wojtyla. - È il Vicario capitolare della diocesi di Cracovia - osservò Battisti. Padre Pio stava raccolto. Aveva ascoltato senza proferire parola e continuava a rimanere assorto, in assoluto silenzio. Battisti attese un pò e non sentendo risposta aggiunse: - Padre, devo riferirgli qualche messaggio? Padre Pio attese ancora, poi girò la testa verso Battisti. - Angiolino, a questo non si può dire di no. Battisti rimase sbalordito. Non aveva mai sentito una risposta del genere uscire dalla bocca del Padre. Consegnava lettere e peti­zioni al Padre ogni sabato, e lui lo esortava alla preghiera, alla fi­ducia nel Signore, alla pazienza. Mai aveva detto: "A questo non si può dire di no". "Chi sarà mai questo Karol Wojtyla?" si do­mandava Battisti. Il lunedì mattina, rientrato a Roma, riferì alla persona che gli aveva dato la lettera di aver svolto l'incarico. - Monsignore, ho consegnato di persona la lettera a Padre Pio. - Devo riferire qualche risposta? - Il Padre ha risposto in modo strano. Mi ha detto: "A questo non si può dire di no". Ma chi è questo Wojtyla? - Mah, a quanto ne so è un giovane vescovo polacco, molto amico di Monsignor Deskur. Dicono che al concilio si stia facendo notare per alcuni interventi saggi. È una testa d'uovo, forse diven­terà arcivescovo di Cracovia, adesso che è morto il titolare. Co­munque, è davvero una risposta strana quella di Padre Pio. Ne parlerò con Monsignor Deskur. Battisti riprese il suo lavoro, ma continuava a pensare alla frase del Padre. Quelle che aveva avuto dal Monsignore erano informa­zioni utili, però non spiegavano quella strana risposta. Le parole di Padre Pio nascondevano qualcosa di particolare, di misterioso. Battisti cercò di ottenere altre informazioni su quel giovane vesco­vo dal nome impronunciabile, ma nessuno lo conosceva. Il 28 novembre era un mercoledì. Arrivato al lavoro alla segre­teria di Stato in Vaticano, Battisti fu subito convocato dal Monsi­gnore suo capo ufficio, che gli disse: - Ho un'altra lettera del vescovo polacco per Padre Pio. - Un'altra! Va bene, gliela porterò sabato. - Forse sarebbe meglio se tu ci andassi prima di sabato. Sem­bra molto urgente anche questa. - Se lei mi autorizza, Monsignore, ci vado volentieri. Ho un sacco di lavoro arretrato da sbrigare a San Giovanni. - Facciamo così: ci vai domani, giovedì, e ti fermi fino a dome­nica, così potrai portarti avanti con le tue pratiche amministrative. - La ringrazio, mi fa veramente un favore. Battisti andò a trovare Padre Pio nel primo pomeriggio di giovedì. Un pallido sole scaldava l'aria, e il Padre era seduto in veranda. Battisti lo salutò e ricevette la benedizione in ginocchio, poi disse: - Ho un'altra lettera dal vescovo polacco. - Apri e leggi - gli ingiunse il Padre. Stesso foglio intestato alla diocesi di Cracovia, stessa meticolo­sa grafia. Battisti lesse con voce chiara: -Venerabilis Pater, mulier babitans Cracoviae in Polonia, mater quatrum puellarum, die 21 - XI, ante operationem chirurgicam repente sanitatem recuperavit. Deo Gratias. Tibique, Pater Venera­bilis, item maximas gratias ago nomine ipsius eiusque mariti et cunc­tae familiae. In Christo Carolus Wojtyla, vicarius capitularis Craco­viensis. Venerabile Padre, la donna abitante a Cracovia in Polonia, madre di quattro ragazze, il giorno 21 novembre, prima dell'opera­zione chirurgica, è guarita all'improvviso. Rendiamo grazie a Dio. E anche a te, Padre venerabile, porgo i più grandi ringraziamenti, a no­me della stessa donna, di suo marito e di tutta la sua famiglia. In Cri­sto Karol Wojtyla, Vicario capitolare di Cracovia. La lettera conteneva una notizia da far perdere la testa. Battisti rimase in silenzio con il foglio in mano. Era sconvolto. Una setti­mana e mezza prima il vescovo Wojtyla si era raccomandato alle preghiere di Padre Pio per una persona colpita da tumore. Il Padre aveva risposto dicendo: "A questo non si può dire di no". E ades­so era arrivata la notizia della guarigione istantanea, avvenuta in ospedale sotto il controllo dei medici. Battisti si accorse che gli tremavano le mani. Una commozione tremenda premeva nel suo cuore. Sapeva che non gli era possibile fare commenti per eventi del genere: il Padre lo avrebbe rimprove­rato aspramente. Ma quel silenzio stava diventando un tormento, perché anche il Padre se ne stava zitto. Era assorto e teneva le ma­ni giunte appoggiate al mento. Forse pregava, oppure seguiva sol­tanto il corso dei suoi pensieri misteriosi e "vedeva" cose lontane. Voltandosi verso di lui, finalmente il Padre disse: - Ringraziamo il Signore e la Madonna. Non abbandonano mai i figli che pregano. - E dopo un'altra lunga pausa: - Angio­lino, conserva queste due lettere, perché diventeranno utili. Ora vai, lasciami solo, ci vediamo questa sera. Battisti lasciò la veranda. Scese le scale, uscì sul sagrato e si av­viò verso la clinica che, nella luce del sole di fine novembre, era radiosa. Non c'era nessuno per strada, e Battisti si asciugò le lacri­me che aveva a stento trattenuto fino a quel momento. A Roma Karol Wojtyla aveva ritrovato la sua verve e il suo buon umore. Anzi, era diventato euforico. - Hai notizie dalla Polonia? - gli domandò Monsignor Deskur. - Magnifiche notizie, Andrej - Racconta, non mi dici niente... - La dottoressa Poltawska è guarita. - L'hanno operata? - Il giorno 21 hanno rifatto le analisi e gli esami clinici in vista dell'intervento chirurgico il giorno successivo. Del tumore non c'era più alcuna traccia. - Scherzi? - Mi ha scritto un mio amico medico che faceva parte del­l'équipe che doveva operare. Sono tutti stupiti. Sostiene che un er­rore diagnostico è da escludere, perché ci sono le radiografie che documentano in modo evidentissimo la presenza del male e le analisi di laboratorio sulle biopsie. Non riescono a spiegarsi come possa essere accaduto. - E tu? - Noi sappiamo, Andrei. Abbiamo pregato molto, abbiamo invitato a pregare. E quel religioso che ha le stigmate come Cristo è veramente un uomo di Dio. Me n’ero accorto anche nel 1947, e adesso ho la conferma che non mi ero sbagliato. Monsignor Deskur guardò l'amico che sorrideva felice. Aveva un'altra domanda sulla punta della lingua. Avrebbe voluto do­mandargli: "Perché, dopo la prima lettera, Padre Pio ha detto”A questo non si può dire di no?". Ma non lo fece. Sapeva che Karol Wojtyla non avrebbe gradito quella domanda.

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