La vita e I miracoli



Yüklə 0,57 Mb.
səhifə12/16
tarix30.01.2018
ölçüsü0,57 Mb.
#42098
1   ...   8   9   10   11   12   13   14   15   16

20

Padre, perché non prestate i vo­stri soldi a Giuffrè? - Padre Gianantonio era venuto apposita­mente da Foggia per suggerire quest’idea al confratello. Sapeva che si trattava di un argomento delicato e aveva perciò atteso il momento opportuno per affrontarlo, quando non c'erano intorno orecchi indiscreti. - Chi è questo Giuffrè? - domandò Padre Pio. Erano rimasti loro due soli nella saletta del convento che serviva per la ricreazio­ne serale. Gli altri confratelli si erano ritirati nelle loro celle. - Giuffrè è un grande benefattore - rispose Padre Giananto­nio abbassando la voce e avvicinando la sedia a quella di Padre Pio per parlare con maggior confidenza. Era primavera. Fa­ceva già caldo nel Sud, e le finestre della stanza erano spalancate. - I benefattori mandano i soldi a me, per la mia clinica - os­servò Padre Pio. - Anche Giuffrè vi darebbe molti soldi - affermò deciso Pa­dre Gianantonio. - È diventato famoso proprio perché offre su­bito il 30, il 50, il 70 e anche il 100 per cento d’interesse a chi gli presta soldi. - Non capisco. - Padre Pio era distratto. Sembrava quasi che avesse sonno, in realtà era l'atteggiamento che assumeva di solito quando gli parlavano d’argomenti che destavano in lui qualche sospetto. - Ammettiamo che voi prestiate a Giuffrè 10 milioni per un anno - cominciò a spiegargli Padre Gianantonio. - Lui ve ne re­stituisce 15 e anche di più: 18, 20. E gli interessi può darveli anche subito. - Questo Giuffrè è uno che moltiplica i soldi, allora. - In un certo senso sì. - Ma chi è? Gesù? - No, è un banchiere. - Allora ha il suo tornaconto. - Certamente. Lui i soldi li fa girare, li fa fruttare, sa come uti­lizzarli al meglio. Però è un uomo buono, un credente, che non pensa ad arricchirsi ma mette le sue capacità al servizio degli altri. - No, no, fratello, c'è qualche cosa che non quadra in questa faccenda. - Cardinali, vescovi, religiosi, suore ricorrono a lui. Con il suo aiuto sono stati costruiti conventi, chiese, asili. Anche molti nostri confratelli collaborano con lui. Vanno dai benefattori, si fanno pre­stare dei soldi e li consegnano a Giuffrè. Lui paga interessi altissimi, e loro se ne tengono una parte per le opere di carità, mentre una parte la danno ai proprietari del denaro, così tutti ci guadagnano. - Caro figliolo, non ci capisco niente di soldi, però, a naso, questa è una faccenda che puzza. - È una cosa santa. - Non mi pare proprio. Da un punto di vista morale è assoluta­mente illecita. Ci troviamo di fronte ad uno scambio di denaro, un prestito, o un mutuo come potrebbe essere chiamato, che però è fatto con i criteri dell'usura, in quanto gli interessi sono fuori da tut­te le regole. L’usura, mio caro, è un grave peccato contro la giustizia commutativa e comporta anche l'obbligo della restituzione. No, no, figliolo, non sono cose per noi. Non c'è niente di santo. Agire in que­sto modo significa offendere la legge di Dio. - Ma lo fanno tutti... - Questo non cambia la natura della questione morale - ta­gliò corto Padre Pio. Si alzò di scatto dalla sedia. - Buona notte, fratello - disse e se ne andò via. Padre Gianantonio lo seguì men­tre usciva dalla stanza curvo strascicando i piedi. - Ne riparleremo - mormorò sottovoce indignato. Il "caso Giuffrè", in quel momento, era una specie di virus che imperversava per tutta Italia. Fin dall'inizio degli Anni Cinquanta, Gian Battista Giuffrè, un romagnolo d’Imola impiegato di banca al Credito Romagnolo, aveva cominciato ad attirare l'attenzione con le sue iniziative finanziarie. A chi gli prestava soldi corrispon­deva interessi anticipati che andavano dal 30 al 100 per cento. Erano condizioni giudicate assurde dagli esperti di finanza, ma fa­cevano colpo. Soprattutto sulla povera gente che, allettata dai for­ti e immediati guadagni, cadeva facilmente nella trappola. Giuffrè aveva intuito che i clienti più disinformati riguardo alle questioni economiche si trovavano fra il clero e i religiosi. Comin­ciò a rivolgersi soprattutto a loro. Con un doppio utile risultato: otteneva molti soldi perché era semplice convincerli, e così acqui­stava credito anche presso i laici. - Anche i vescovi si fidano di me - dichiarava Giuffrè con or­goglio citando i nomi degli illustri ecclesiastici suoi clienti. Così parroci, religiosi e suore accorrevano con fiducia cieca. E anche molti laici gli affidavano il loro denaro. Era un periodo difficile. Gli italiani, appena usciti dalla guerra, avevano bisogno di fondi per ricostruire il paese. Soprattutto i re­sponsabili delle comunità religiose. Conventi, scuole, istituti, case parrocchiali, chiese e asili che erano stati danneggiati o distrutti dai bombardamenti necessitavano di restauri, di ristrutturazioni, e Giuffrè era sempre pronto a mettere a disposizione immediata­mente del denaro liquido. I vescovi invitavano i loro parroci a chiedere soldi ad amici e parenti per consegnarli a Giuffrè, ritirare gli interessi anticipati, restituirne una parte ai proprietari del denaro e utilizzare il resto per le loro opere. Lo stesso facevano i Superiori provinciali degli Ordini religiosi, delle suore. Giuffrè era diventato una specie di "santo protettore". Lo chiamavano "l'uomo della Provvidenza", il "banchiere di Dio". Era citato com’esempio perfino nelle omelie domenicali in chiesa, invocato nelle difficoltà, e riceveva tante benedizioni. In poco tempo aveva messo in piedi una girandola che macina­va miliardi; un meccanismo grandioso ma infernale, sempre più avido di soldi. Non poteva fermarsi mai: alla prima sosta, tutto sarebbe crollato. Un vortice spaventoso. Per Giuffrè e per la sua organizzazione Padre Pio costituiva un boccone molto ghiotto. Intorno a lui e alla sua clinica, infatti, pio­vevano soldi da tutto il mondo; e poi era un personaggio famosis­simo e di gran prestigio. Se Giuffrè avesse potuto far sapere che anche Padre Pio si fidava di lui, avrebbe triplicato i suoi affari. Per questo motivo continuava ad inviare messaggeri al Padre, persone importanti e fidate, che avevano il compito di convincer­lo. Giuffrè aveva concluso molti affari con il Padre provinciale di Foggia, e si servì di lui per spingere il religioso di Pietrelcina a fare quella scelta. - Padre Pio, io vi parlo a nome del Provinciale - esordì aper­tamente il giorno successivo Padre Gianantonio tornando sull'ar­gomento dei soldi e di Giuffrè. - E che mi dici a nome del Provinciale? - gli domandò il Padre. - Lui è amico di Giuffrè, ha realizzato tante opere con il suo aiuto e mi ha incaricato di prospettarvi questa possibilità. Con tutte le offerte che ricevete, potreste raddoppiare gli incassi. - I soldi che ricevo sono mandati dalla Provvidenza, e mi devo accontentare - affermò Padre Pio. - Ma con gli interessi che vi darebbe Giuffrè potreste realizzare altre opere e venire incontro alle necessità della Provincia. - San Francesco ci ha insegnato che i desideri dei Superiori so­no degli ordini per noi frati - disse Padre Pio. - Ma in questo caso, figliolo, mi dispiace proprio di non poter soddisfare quelli del nostro Provinciale. I soldi che ricevo non sono miei. I benefat­tori me li mandano con uno scopo preciso, e io devo rispettare la loro intenzione. Se li destinassi ad altro scopo, diventerei un la­dro. Disporrei di una cosa non mia. Oltre tutto, come già ti ho detto, questo modo di agire non è secondo la morale. È illecito, e il Provinciale non può desiderare che io commetta un peccato. - Voi, Padre, avete una mentalità all'antica - insistette Padre Gianantonio. - Adesso bisogna adattarsi al mondo che cambia. - L'inferno, caro figliolo, non cambia. Al termine di questa mia vita, io non voglio andare all'inferno. - Via, non esageriamo - disse sorridendo Padre Gianantonio. - Non esagero per niente - rispose serissimo il Padre. - Il comportamento che tu mi suggerisci è illecito. Gravemente illeci­to. Se io lo accettassi, commetterei peccato mortale. Padre Gianantonio si rese conto che il confratello era irremovibi­le e non gli rimase che avvertire chi lo aveva mandato. Giuffrè, per conquistarlo, ricorse perfino all'aiuto d’alcuni vescovi che conosce­vano bene il Padre, ma niente: lui rimase inespugnabile. Padre Pio, però, soffriva. Tutte quelle insistenze a tenere un comportamento illecito provenivano da confratelli che amava, da Superiori che stimava, da sacerdoti e vescovi, e gli facevano capire in quale misera situazione morale erano stati trascinati tanti rap­presentanti di Cristo dalla bramosia di denaro. - Il "dio denaro" ha accecato anche i pastori della Chiesa - disse con amarezza parlando ad alcuni "figli spirituali". - Come possiamo pretendere poi che il popolo rispetti la legge di Dio e cammini verso la terra promessa? Si rese conto che il denaro stava rovinando anche la comunità di Santa Maria delle Grazie. Le offerte che arrivavano da tutto il mondo erano fonte di discussioni, divisioni e rancori tra i suoi confratelli. - Sono soldi della carità, dell'amore - diceva spaventato Pa­dre Pio. - Dovrebbero servire per il "sollievo della sofferenza" e invece provocano odio. La "Casa Sollievo della Sofferenza" era diventata un problema grave. Padre Pio l'aveva offerta fin dall'inizio al proprio Ordine religioso che però, giudicandola un'impresa assurda e destinata al fallimento, l'aveva rifiutata. Per conferirle una sistemazione giuri­dica, il Padre era stato costretto allora a ricorrere ad una società per azioni costituita da laici, alla quale l'Ordine Cappuccino era rimasto totalmente estraneo. Ma adesso che l'impresa marciava a gonfie vele ed era diventata una miniera d'oro, i frati la volevano e avevano scatenato una guerra spietata contro i "borghesi". - Padre Pio appartiene all'Ordine Cappuccino - sostenevano i frati. - È legato al voto di povertà. Tutto quello che gli viene dato non è suo, appartiene alla comunità religiosa. - La gente gli manda offerte per uno scopo preciso, la "Casa Sollievo della Sofferenza" - lo difendevano i suoi amici. - Lui non diventa proprietario dei soldi che gli affidano, è soltanto un amministratore e deve rispettare la volontà degli offerenti. In convento, alla presenza di Padre Pio, si accendevano dispute giuridiche e morali sempre più accanite. I frati temevano che le of­ferte, che pervenivano al Padre giacché religioso, finissero alla "Casa Sollievo della Sofferenza". I responsabili della clinica teme­vano che le offerte destinate alla realizzazione della sua opera ve­nissero incamerate nelle casse del convento. Era in corso una lotta tra i due enti. Il Padre guardiano ordinò di esporre in vari punti del convento alcuni cartelli in cui si avver­tiva che "nessun borghese era autorizzato a ricevere lettere indi­rizzate a Padre Pio I dirigenti della clinica, offesi, se ne lamentarono con il Padre: - I frati non si fidano di noi. In realtà, non si fidavano più nemmeno di Padre Pio. Rispolverando una disposizione del Sant'Uffizio del 1922 che proibiva al Padre di tenere corrispondenza, il Guardiano ordinò che tutte le lettere a lui indirizzate (che contenevano sempre delle offerte) fos­sero messe in una cassetta sulla quale, a caratteri cubitali, fece scrivere: "Lettere per Padre Pio e per il convento". Così, neppure il Padre poteva ricevere le offerte. Le missive venivano ritirate dal Guardiano in persona, che passava l'eventuale offerta alla "Casa Sollievo della Sofferenza" solo se l'intenzione della lettera in tal senso era esplicita. La nuova disposizione indignò ancora di più gli amministratori della clinica. Il clima di sospetto, di tensione e d’accuse peggiorò. E tutto a causa dei soldi. - Non dobbiamo dimenticare quel che ci ha insegnato San Francesco - diceva il Padre amareggiato. - E cioè che i soldi sono lo sterco di Satana. Servono, e dobbiamo utilizzarli per le opere di Dio. Ma non dobbiamo sporcarci le mani e tanto meno l'anima. - Padre, perché vi vedo sempre triste in questo periodo? - do­mandò Cleonice Morcaldi a Padre Pio. - Figliola, ho tante preoccupazioni - le rispose dolcemente lui. - Ci avete insegnato che bisogna affidarle al Signore. - Hai ragione. Mi sforzo di farlo, ma non sempre ci riesco. I problemi sono tanto gravi. Io voglio costruire opere d'amore, però Satana s’intromette, entra nel cuore degli uomini e vuole trasfor­mare tutto in opere d’odio. Da tempo Cleonice aveva preso l'abitudine di scrivere in un quaderno tutto quello che il Padre le diceva, convinta che ogni sua parola fosse un tesoro. Lo conosceva fin da quando era una ragazzina. Lui l'aveva in un certo senso adottata, perché era orfana del papà e poi anche della mamma. Con il suo carattere semplice e ingenuo, Cleonice riusciva a porre le domande più indiscrete, e il Padre rispondeva. Non si trovava in imbarazzo di fronte a lei. Cleonice n’era co­sciente e capì che in questo modo poteva sapere cose che il Padre non avrebbe mai confidato a nessun altro. Perciò, quando riusciva a restare sola con lui n’approfittava. Negli ultimi tempi era incuriosita dal comportamento del Padre durante la celebrazione della Messa. Aveva l'impressione che sof­frisse più del solito, che la sua partecipazione al rito del sacrificio di Cristo fosse più profonda, più reale. Aveva notato che il Padre a volte piangeva, oppure s’interrompeva, quasi bloccato da soffe­renze immani che gli impedivano di proseguire. - Secondo me, durante la Messa, il Padre rivive misticamente tutta la Passione di Cristo - diceva Cleonice alle amiche. Avevano conosciuto una giovane carismatica che aveva fatto lo­ro un racconto impressionante: mentre stava ascoltando la Messa celebrata dal Padre, improvvisamente sul capo del Padre aveva vi­sto una corona di spine. Gli aculei si conficcavano nelle sue tem­pie lacerandole e facendo uscire il sangue, che gli colava a rivoli lungo il viso. - Dobbiamo sapere se la visione risponde alla realtà - aveva detto Cleonice Morcaldi alle sue amiche. Era ricorsa ad una pittri­ce, "figlia spirituale" di Padre Pio, e le aveva chiesto di realizzare un quadro che raffigurasse perfettamente la visione di quella gio­vane carismatica. - Adesso lo mostriamo al Padre - disse Cleonice quando il quadro fu pronto. - Se ci caccia via indignato, vuol dire che l'im­magine non rispecchia la realtà di quello che lui vive durante la Messa. Se invece tace, significa che quella ragazza ha visto ciò che accade realmente. Si recarono dal Padre con quel quadro, piene di timore. - Padre, una vostra "figlia spirituale" vi ha fatto un ritratto e vorremmo che lo benediceste - esordì Cleonice. Glielo mostrò. Il dipinto era impressionante: ritraeva il viso di - Tutto intorno al capo. - Quante sono? - Non lo so. Trenta, trecento, chi lo sa... - Questo supplizio dura per tutta la Messa? - E anche prima e dopo. Il diadema non si lascia mai. - Soffrite anche le pene del viaggio verso il Calvario? - Le soffro, sì, ma ce ne vuole per arrivare a quello che patì il Divino Maestro! - Chi vi fa da Cireneo? - Gesù stesso. - Vi ho visto tremare mentre salivate i gradini dell'altare. Per­ché? Per quello che dovevate soffrire? - Non per quello che dovevo soffrire, ma per quello che dove­vo offrire. - In quale momento del divino sacrificio patite di più? - Sempre, e in modo crescente. - Ma il massimo del patimento? - Dalla consacrazione alla comunione. - In quale momento della Messa soffrite la flagellazione? - Dal principio alla fine, ma più intensamente dopo la consa­crazione. - Perché piangete spesso quando leggete il Vangelo? - E ti par poco che un Dio conversi con le sue creature? E che sia da loro contraddetto? E che sia continuamente ferito dalla loro ingratitudine e incredulità? - Perché soffrite tanto al momento della consacrazione? - Perché è proprio lì che avviene una nuova e ammirabile di­struzione e creazione. I segreti del Sommo Re non si svelano senza profanarli. Mi domandi perché soffro? Non lacrimucce, ma tor­renti di lacrime vorrei versare! Non rifletti sul tremendo mistero? Un Dio vittima dei nostri peccati! E noi siamo i suoi macellai...- Come vi reggete in piedi sull'altare? - Come si reggeva Gesù sulla croce. - Ditemi cosa potrei fare per alleggerire il vostro Calvario... - Alleggerirlo?! Di, piuttosto, appesantirlo. Bisogna soffrire! - E penoso assistere al vostro martirio senza potervi aiutare - Anche l'Addolorata dovette assistere. Per Gesù, certo, era più confortante avere una Madre dolorante, che un’indifferente. - Che faceva la Vergine ai piedi di Gesù Crocifisso? - Soffriva nel vedere soffrire suo Figlio. Offriva le sue pene e i dolori di Gesù al Padre celeste per la nostra salvezza. - La Comunione è un’incorporazione? - È una fusione. Come due ceri che si fondono insieme e più non si distinguono. - Quando vi unite a Gesù nella Santa Comunione, che cosa dobbiamo chiedere per voi al Signore? - Che sia anch'io un altro Gesù, tutto Gesù, sempre Gesù. - Ho notato, Padre, che piangete anche quando fate la Comu­nione. - Se la Chiesa emette un grido: "Tu non sdegnasti l'utero della Vergine", parlando dell'Incarnazione, che dire di noi miserabili, che "mangiamo" il corpo di Cristo? - Gesù in croce è morto: durante la Messa monte anche voi? - Misticamente nella Santa Comunione. - Quanto amate Gesù, Padre? - Il desiderio è infinito, ma in pratica, ahimè! Starei per dire zero, e me ne vergogno. - Padre, come dobbiamo ascoltare la Santa Messa? - Come vi assistettero la Santissima Vergine e le pie donne. Come San Giovanni assistette al sacrificio eucaristico e a quello cruento della croce. - Che benefici riceviamo ascoltandola? - Non si possono enumerare. Li vedrete in paradiso. I leggeri rintocchi della campanella del convento avvertirono che era mezzogiorno. Dalla clinica si levò il sibilo della sirena che segnalava la pausa per il pranzo. - Devo andare - disse Padre Pio. - Che l'Angelo del Signore ti accompagni sempre. Cleonice baciò la mano del Padre, che si avviò verso la porta della chiesetta. Attese che fosse entrato e poi prese la strada per tornare a casa. Si fermò di fronte allo spiazzo dove sorgeva la clinica. Guar­dando, ricordava il paesaggio brullo di un tempo. Tuttavia non pensava al miracolo di quella costruzione, bensì alle parole tre­mende che aveva ascoltato dal Padre. Quelle confidenze, quelle ammissioni, quelle rivelazioni, sollevavano un velo su una realtà mistica straordinaria, bellissima e che, nello stesso tempo, metteva paura. Conferiva al Padre una dimensione spirituale gigantesca. Cleonice guardò verso il cielo azzurro e terso e pregò dal profon­do della sua anima: "Mio Signore, vi ringrazio di avermi concesso di conoscere un vostro figlio che vi è così tanto vicino". I lavori erano conclusi. La solenne inaugurazione della clinica fu fissata per il 5 maggio 1956. - La chiesa, in quel giorno, festeggia San Pio, quindi è l'ono­mastico del Padre - disse il dottor Sanvico parlando al gruppo dei soci fondatori della "Casa Sollievo della Sofferenza". - Cre­do sia giusto che la clinica sia inaugurata proprio in quel gior­no, per far sapere al Padre che è sua, del tutto sua. E stato l'unico a credere sempre ciecamente nella sua realizzazione. Neppure noi, i suoi collaboratori più stretti, all'inizio pensavamo che l'impresa potesse arrivare a buon fine. - Sì, è giusto festeggiare insieme Padre Pio e la clinica - ap­provarono tutti. Sanvico era l'unico superstite dei famosi "tre moschettieri" che erano stati a fianco del Padre fin dall'inizio, cioè fin da quando, appena scoppiata la guerra, il Padre aveva espresso per la prima volta il desiderio di realizzare quell'opera. Gli altri due, il dottor Guglielmo Sangùinetti e il dottor Carlo Kiswarday, se n'erano an­dati. Proprio come Mosè, prima di poter vedere la terra promessa. Padre Pio aveva pianto alla loro morte, perché in loro aveva tro­vato dei fratelli e degli amici impareggiabili. Furono preparati grandi festeggiamenti. Non per celebrare un successo mondano, ma per esaltare un'idea che era nello stesso tempo una missione a favore dei fratelli colpiti dalla malattia. Sapendo che a Padre Pio piacevano le cose concrete, si decise di festeggiare la circostanza con un importante convegno medico: un simposio di cardiochirurgia presieduto dal professor Pietro Valdo­ni e con la partecipazione di celebri scienziati provenienti da tutto il mondo. Padre Pio era raggiante. Vedeva che cominciava ad avverarsi il sogno da lui vagheggiato: la sua clinica doveva essere un tempio del "sollievo della sofferenza" realizzato grazie all'amore cristia­no e alla scienza medica più qualificata. Pubblicizzata dai gruppi di preghiera, la giornata fu grandiosa. Una folla strabocchevole gremiva il piazzale della chiesa, quello della clinica e la strada adiacente. Intervennero autorità dello Sta­to, alti prelati, luminari della scienza. Fra gli altri erano presenti il presidente del Senato, Cesare Merzagora, il presidente della Ca­mera onorevole Petrilli, il ministro Braschi in rappresentanza del governo, l'onorevole Enrico Medi, il Generale dell'Ordine dei Cappuccini, la vedova di Guglielmo Marconi, il tenore Beniamino Gigli. La Chiesa era rappresentata dal cardinale Giacomo Lercaro, grande amico di Padre Pio. - La "Casa Sollievo della Sofferenza e terminata - disse Padre Pio iniziando il suo discorso. - Ringrazio i benefattori d’ogni par­te del mondo che hanno cooperato alla sua realizzazione. Questa è la creatura che la Provvidenza, aiutata da voi, ha creato. Ve la pre­sento: ammiratela e benedite insieme a me il Signore Iddio. La clinica era lì, alle sue spalle, maestosa, magnifica, incredibi­le. Poteva contare sulla consulenza di celeberrimi medici amici di Padre Pio, che erano tutti presenti per festeggiarlo: i professori Valdoni, Alonzo, Condorelli, Ascenzi, Chini, Cassano, Dogliotti, Puddu, Di Raimondo, Marino, Zuco, Monaldo De Sanctis per l'Italia; e inoltre White e Wangensteen per gli Stati Uniti; Olive­crona e Nylon per la Svezia; Cibert-Queraltò per la Spagna; Ta­quini per l'Argentina; Lequime per il Belgio; Mahaim per la Sviz­zera; Lian per la Francia; Evans per l'Inghilterra. - È stato deposto nella terra un seme, che il Signore riscalderà con i suoi raggi d'amore - disse ancora Padre Pio. - Una nuova milizia fatta di rinunce e d'amore sta per sorgere a gloria di Dio, a conforto delle anime e dei corpi infermi. Il cardinale Lercaro intervenne sviluppando alcune riflessioni sul tema evangelico tanto caro a Padre Pio: «Dov'è carità e amo­re ivi è Dio". - Ve ne siete accorti a San Giovanni Rotondo - affermò il cardinale di Bologna. - E se n'è accorto tutto il mondo: qui c'è Dio. Ed evidentemente dovevano esserci la carità e l'amore. Al termine del simposio, i medici andarono a trovare il Padre, che disse loro: - Voi avete la missione di curare il malato. Ma se al letto dell'ammalato non portate l'amore, non credo che i farmaci serviran­no a molto. - Vi porto l'ammirata commozione di Parigi e di tutta la Fran­cia - dichiarò il professor Lian baciando la mano al Padre. Il professor Taquini, uno dei più famosi medici dell'America Latina, disse: - Padre Pio, vi prego di benedire il mio lavoro, la mia famiglia, l'Argentina tutta. Accanto a voi la carità vive. - Torno in America profondamente ammirato per l'opera di Padre Pio - disse a sua volta il professor White, medico persona­le del presidente Eisenhower. - Questa clinica, più d’ogni altra al mondo, mi sembra la più indicata per studiare i rapporti che in­tercorrono tra lo spirito e la malattia. Con il suo tipico stile inglese, il professor Evans affermò: - Questo è il più bel fine settimana che io abbia trascorso in tutta la mia vita. E questi sono i momenti più importanti del mio importantissimo fine settimana. Il professor Nylon dichiarò: - Nel giorno memorabile dell'inaugurazione di questa casa, ele­vata per accogliere i nostri simili e aiutarli nelle loro sofferenze e per essere viva testimonianza della continuità del progresso scienti­fico, noi c’inchiniamo rispettosamente davanti a Padre Pio, l'auto­re di questo magnifico atto di carità. Per ultimo intervenne il professore americano Wangensteen: - Tutto qui è bello, buono e meraviglioso - disse. - Io però ho un grande cruccio: che di Padre Pio al mondo ve ne sia uno so­lo. Peccato che non ve ne siano di più. Il professor Di Raimondo tradusse la frase. Sul volto del Padre, fino a quel momento molto raccolto, si disegnò la schiarita di una franca risata. Si copri il viso con le mani ed esclamò: - Poveri noi! Dio ce ne scampi e liberi! Tre giorni dopo i medici della "Casa Sollievo della Sofferenza" furono ricevuti da Pio XII. Il Papa approfittò per aggiungere an­che il suo plauso personale alla grande opera voluta da Padre Pio. - L'Ospedale di San Giovanni Rotondo - disse - è il frutto di una delle più alte intuizioni, di un ideale lungamente maturato e perfezionato a contatto con i più svariati e crudeli aspetti della sofferenza morale e fisica dell'umanità. Era il momento del trionfo, della gloria. L'umile fraticello del Gargano trafitto da misteriose piaghe, osannato dalle folle e più volte condannato dal Sant'Uffizio, invocato dai sofferenti come un autentico taumaturgo e sospettato dalla Chiesa di peccati e im­brogli, era lì, davanti alla sua grande opera terrena, realizzata con il concorso di migliaia d’amici sparsi in tutto il mondo, esaltato da uomini politici, da scienziati e da alcuni alti prelati. Sembrava che, dopo anni di lotte e sofferenze, avesse finalmente vinto la sua battaglia. Ma il lieto fine è una prerogativa che appartiene solo al­le fiabe. La vita è diversa. Soprattutto quando i valori in gioco so­no quelli sublimi dello spirito. Le forze del male erano in agguato. Momentaneamente sconfitte, si preparavano per l'ultimo dram­matico assalto.

Yüklə 0,57 Mb.

Dostları ilə paylaş:
1   ...   8   9   10   11   12   13   14   15   16




Verilənlər bazası müəlliflik hüququ ilə müdafiə olunur ©muhaz.org 2024
rəhbərliyinə müraciət

gir | qeydiyyatdan keç
    Ana səhifə


yükləyin