Liber chronicus parr. Ia di vedeseta



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Avolasio

La distanza delle frazioni dalla contrada centrale, se si prende in via rettilineare sulla carta topografica sarebbe di metri 1950 quella di Avolasio, di metri 1170 quella di Reggetto, e di metri 1118 quella della Lavina ma considerata la diversa posizione delle strade di comunicazione che conducono alle preindicate frazioni, come pure i diversi svolti di esse ne viene da ciò che tali distanze riescono maggiori di quelle che sogliono prendere nella carta topografica, sicché la frazione di Avolasio essendo la più lontana delle altre come osservasi dalle misure qui sopra espresse di metri 1950, presa sulla via di comunicazione in forma carreggiabile si farebbe ascendere a circa chilometri 2,500 metri con una inclinazione in ragione del 5,5% in media circa, dalla frazione di Avolasio vi è un altro tronco di strada carreggiabile, il quale va a terminare al ponte della Valle di Bordesiglio, questa oltre al servire di transito ai passeggeri per la via della vicina Valsassina, e a Lecco, serve anche per il trasporto delle legne che in quei pressi vi si tagliano, e si trasmettono mediante fune metallica e colle carrucole sullo stradale, per condurle a Bergamo.

[7] Regetto13

Quella che da Vedeseta conduce alla frazione di Reggetto è tutta cavalcatoria in alcune località ha una pendenza dolce e alquanto piana e in alcune altre è un po’ ripida fino alla località denominata “La Menterga”: la sua pendenza potrebbesi calcolare in media in ragione del 9%; dalla suddetta località “La Menterga” andando verso la Valle del Canto, prosegue per un tratto di metri 150 più o meno in direzione orizzontale, indi scende per un po’ di declivio per uno spazio di 30 o 40 metri o più fino al ponticello della stessa Valle del Canto, indi sale per la tratta di 200 metri circa, poi prende una inclinazione dolce fino al piano sottostante all’abitato della stessa frazione e sale per un altro dolce declivio fino al principio dello stesso abitato del Reggetto. Benché la sua distanza come sopra si è notato, presa in linea retta è di metri 1170, secondo la sua naturale posizione, sarebbe di met. 2000 circa con la larghezza di metri 1,50 circa.

Da Vedeseta comincia la strada carreggiabile14 che comunica col vicino Comune di Taleggio e cogli altri capoluoghi sia del Mandamento come della Provincia. Questa conduce alla Valle del Canto, per la lunghezza di km 1,250 metri su met. 5 di larghezza, ove sbocca sulla strada provinciale che da Olda conduce ai ponti di Sedrina ove sbocca su quella che dalla Valle Brembana conduce a [8] Bergamo.



Lavina

Da questa strada alla distanza di metri 374 dalla piazza comunale di Vedeseta si imbocca la via cavalcatoria che conduce alla frazione della Lavina per il tratto di met. (.....) in massima sensibilmente inclinata colla pendenza in ragione del 7% in media circa più o meno, benché in due spazi è piuttosto piana, colla larghezza di m. 1,50, al di sopra della stessa contrada della Lavina alla distanza di met. (.....)15 attraversa la strada provinciale. Dalla stessa contrada della Lavina, per la stessa via si prosegue fino al ponte del Molino ove ad alcuni metri da esso la Valle del Canto sbocca nel fiume Enna, da questo ponte la medesima via segue il suo corso fino al ponte Enna ove sbocca sull’antica strada provinciale cavalcatoria ora divenuta proprietà del Comune di Taleggio, che da Olda conduce a Peghera. Tale via dalla frazione della Lavina fino al suddetto ponte del Molino sulla stessa Valle del Canto è della lunghezza di metri 528,70 da questo al suo sbocco sulla predetta strada provinciale è di metri 642 che somma in tutto a met. 1170,70.



Canto

Dalla medesima strada della località detta Cantelli a metri 524 da Vedeseta, imboccasi la strada cavalcatoria servente anche come carreggiabile che conduce al Molino del Canto indi a Olda, la sua lunghezza da questo punto fino al punto che traversa la Valle Canina ossia la Vallicella che scende dai pressi della Chiesa di S. Bartolomeo, per il cui corso naturale come sopra [9] si è notato fino al suo sbocco nella sullodata Valle del Canto indi all’Enna, percorre il confine tra i due Comuni di Vedeseta e Taleggio e anche della Parrocchia con quella di Olda così anche della Diocesi con quella di Bergamo, benché la giurisdizione parrocchiale abbraccia tutto il recinto della Chiesa di S. Bartolomeo, come si vedrà in seguito. Lungo la suindicata strada vicino alla casa detta Isola bella posta nella località del Canto vi è lo sbocco di altra strada uso pedone che conduce alla suindicata Chiesa di S. Bartolomeo posta sulla collina soprastante a Olda, per cui si sale il pendio che ivi conduce e congiunge col centro della Parrocchia da cui dista circa tre quarti d’ora.

[9]

Capitolo III

Prodotti del suolo e dell’industria - Suoi fiumi e monti pascolivi
Come risulta da manoscritti e documenti inediti lasciati dagli autori Arrigoni Giorgio Maria della famiglia dei Ruschetti della Lavina dottore in legge e pubblico notaio e a suo tempo vicario del Comune morto nell’anno 1802 e Locatelli Giuseppe16 pubblico perito [10] agrimensore della famiglia Bonetto della Lavina morto a Bergamo nell’anno 1840 e avo dello scrittore della presente opera, poco più della sesta parte dell’estensione della Valle compresa pure Vedeseta, venne ridotta in progresso di tempo a coltivazione di prato e coltivo di vanga e ripartita in private proprietà colle diverse produzioni, che appresso verranno descritte, il rimanente dell’anzidetta estensione parte era coperta di boschi e parte rimaneva come terreno incolto e pascolivo, questa estensione era in allora di proprietà comunale seguendo nell’anno 176017 la divisione della Valle in due Comuni colla delimitazione sopradescritta e scambiatesi fra ambi i Comuni di Taleggio e Vedeseta alcuni tratti di promiscuo pascolo per gli abitanti di ambi i Comuni, il rimanente di tali tratti veniva goduto da essi abitanti che vi accedevano coi loro bestiami, finché negli anni 1867-68-6918 tale estensione fu ripartita in una serie di lotti che furono poscia ripartiti in enfiteusi ai rispettivi acquisitori in base al relativo capitolato d’asta.
Grano turco

Il prodotto di quella parte ridotta a coltivazione cioè a campo, consiste in grano turco cioè melgone, di questo cereale se ne cominciò la coltivazione nell’anno 1680 ma stante il clima di quest’ambiente, piuttosto freddo che caldo, e le frequenti intemperie cui va soggetto non giun[11]ge a perfetta maturità, attese anche le qualità dei terreni or argillosi e ora schistosi, nome che in dialetto dal paese indica rusnada, oltre questo in alcune parti si semina anche del frumento, dell’orzo e della segale,19 il qual raccolto riesce talvolta discreto, se l’annata è buona, oltre a ciò si piantano dei pomi di terra20 i quali in alcuni terreni ghiaiosi e ben esposti, riescono se l’annata è assai buona, molto saporiti e in onesto raccolto, senza calcolare i legumi.


Fieno

Quello della parte prativa dà un discreto raccolto di fieno il quale nei terreni buoni e ben coltivati qui al basso, si fa due tagli, l’uno del fieno maggengo, il quale lo si fa sulla metà di giugno, il secondo si opera verso la metà di agosto e perciò dicesi agostano, da alcuni non lo si taglia intieramente, ciò per il pascolo del bestiame bovino da cui ricavano il latte per la formazione degli stracchini i quali per la qualità della pastura riescono generalmente squisiti e rinomati in commercio, il terzolo lo si consuma colle mandrie bovine e ciò avviene in settembre ed ottobre.

Nei prati siti in posizione alta e montuosa, come in Pratogiugno e adiacenti, ed in Piazzoli, si fa un sol taglio di fieno e questo lo si fa nel mese di luglio, attesa anche la situazione elevata dei luoghi, il secondo viene consumato colle bestie.
Frutti

Vi hanno anche da alcuni proprietari alcune piante [12] fruttifere quali di pomi, persici, peri, che se la stagione procede normale si ha un discreto raccolto, vi hanno pure delle ciliegie e in poca quantità di castagne e noci, la qualità delle piante che vi allignano generalmente nei boschi di questa vallata è il faggio, l’ontano (nisc21), il carpino, il nocciolo, l’eghile (eghen22) e il tiglio che generalmente vi abbonda e da cui deriva, come si ha dalla storia locale, l’etimologia della Valle Taleggio, che venisse anticamente detta Tilieggio,23 questa pianta viene adoperata nelle fabbriche e anche per tavole, e serramenti e il ciliegio viene scelto specialmente nel fare usci di stalle e anche in alcuni mobili di lusso, nonché il noce e l’acero, quest’ultimo viene lavorato nel torno.24


Pastorizzia [sic]

L’industria in cui si applicano la maggior parte di questi abitanti è la pastorizia da cui ritraggono il loro sostentamento e il lavoro ossia coltivazione del terreno, quelli che tengono un discreto numero di bovine nell’estate vanno a pascolare sui monti elevati, e nell’autunno emigrano alla bassa colle loro mandrie, da dove ritornano nella vegnente primavera per risalire al pascolo degli alti monti.

Alcuni si dedicano all’arte del bracciante e del carbonaio, fra questi alcuni emigrano all’estero in Francia, in Svizzera e nelle lontane Americhe, pochi si applicano nel commercio e in altre arti e quasi nessuno allo studio e negli uffici.
[13] Fiumi

I fiumi che scorrono in questo territorio di Vedeseta sono: l’Enna che è il principale confluente, questo nasce nel territorio di Morterone.25 Come si ritiene sicuramente, come testificano alcuni, al piede della cosiddetta Scaluggia vi è un bacino naturalmente formato nella roccia di conveniente grandezza e tutto ripieno d’acqua che continuamente sorte e da qui prende il nome suenunciato, mentre inoltrandosi nel territorio di Morterone ha il nome di Remola. L’Enna serpeggia e taglia longitudinalmente la Valle Taleggio, ricevendo nel suo corso le acque degli altri fiumi e va a sboccare nel fiume Brembo a S. Giov. Bianco.

Il Bordesiglio che nasce alle falde del monte Maesimo e riceve nel suo seno un solo ruscello che scende da Roncaiola nei pressi della Colmine, e va a sboccare nel fiume Enna, come sopra si è descritto serve di confine del Comune di Vedeseta con quello di Moggio in Valsassina, ed anche di Provincia tra Bergamo e Como,26 essendo la sponda opposta sotto la giurisdizione civile provinciale di Como e della Parrocchia di Colmine.

La Valle di Piazzoli che nasce sul monte Piazzoli da cui prende il nome e la Valle del Canto suddescritta che prende il nome dalla località cosidetta, nasce alle falde della cosidetta Corna dello Zucco, a poca distanza dal Reggetto, riceve nel suo corso la suddetta Vallicella, servendo [14] poi di confine tra il Comune di Taleggio e di Vedeseta e anche colla Parrocchia di Olda, oltre altri fiumicelli che riceve l’Enna in questo territorio, quali sono la Valle di Casera che scende dal Chignolo sopra Pratocaraviglio e il Canale di Piazzagrande che scende da quella località sotto il pizzo dei Canti.

Oltre i monti pascolivi sopradescritti Moie, Piazzo, Raiser, Concoli, e Aral’alta che sono i più alti, vi sono anche degli altri in posizione più bassa, i quali sono situati nel territorio del Comune quali sono Pratogiugno sopra la frazione di Avolasio a cui vi è unito La Sella e il così detto Prato del Taiè, la sommità del monte Pratogiugno è a metri 1450 circa sul livello del mare. Piazzoli dalla parte opposta, alle falde del Pizzo del Grassello o di Moncucco, con bei prati e pascoli e alloggiamenti per bestiami, il punto più alto di esso è di metri 1150 sul livello del mare.

[15]


Capitolo IV

Epoca approssimativa in cui si stabilirono i primi abitanti nella Valle Taleggio e in Vedeseta

Primi abitatori della Valle

Stando sull’appoggio di eruditi scrittori, secondo il manoscritto del prefato Arrigoni Giorgio Maria, rimane incerto il tempo preciso in cui la Valle Taleggio incominciò ad essere abitata da esseri umani viventi, cioè dagli uomini, né da quali parti provenissero, secondo il prelodato manoscritto risulterebbe da un brano di relazione del Magnacavalli27 fatta nell’anno 1578, inserito nello stesso manoscritto a pag. 8 e seg., che i primi abitanti di queste Valli bergamasche e in seguito di questa Valle fossero provenienti dalla città di Bergamo, come si ha anche dalla Storia della Provincia bergamasca che nell’anno di N.S. 387 Massimo Tiranno dopo di avere ucciso l’imperatore Graziano, essendo all’improvviso entrato nell’Italia fece ovunque passò molte rovine e stragi lagrimevoli, dimodoché vista dai milanesi la barbarie dal Tiranno usata negli altri luoghi, sorpresi dal timore e dalla paura di dover fra breve essere vittima di una tale barba[16]rie volevano abbandonare la città colle proprie abitazioni e fuggire lontano, ma S. Ambrogio allora Vescovo di Milano, con pubblici ragionamenti, li rincorò, e li persuase a lasciare il peccato, che il nemico sarebbe stato vinto e soggiogato. Bergamo però non ebbe chi lo confortasse nell’imminente pericolo di rovina che lo minacciava, fu dalla maggior parte dei suoi cittadini abbandonato ritirandosi nel deserto o sulle cime dei monti, sicché le case restarono vuote di gente e, dove se ne trovavano centinaia, appena se ne contarono due o tre. In tale contingenza potrebbe darsi che riffuggiatisi [sic!] quei cittadini su questi monti, poiché da quella città si siano poi stabiliti e fissati non molto distanti.

Secondo alcuni viene ritenuto che la Valle Taleggio fosse cominciata ad essere abitata nel principo [sic] del settimo secolo cioè nell’anno 700,28 ma allora fosse abitata solamente da alcune famiglie e queste formate da poveri pastori i quali custodivano i loro armenti sui monti di questa Valle e nella stagione autunnale si ritirarono in luoghi più comodi e ritornarono nella vegnente primavera a pascolare sui monti di questa Valle.

Da ciò risulta come riferisce lo stesso Magnacavalli nella prefata sua relazione che prima dell’anno di nostra salute 1126 era già tutta abitata e aveva già un pastore giusdicente che la reggesse tanto nell’ecclesiastico come nel [17] civile.

Da ciò sembra verosimile con tutta probabilità come osserva il sullodato Arrigoni Giorgio M. nel suo citato manoscritto, che i sunnominati cittadini di Bergamo spinti dal timore di essere fatti bersaglio e vittima della barbarie del feroce Massimo, siansi in quell’epoca rifugiati e stabiliti nelle vicine Valli Brembana, Seriana e di Scalve e in progresso di tempo coll’aumentare della popolazione, siano penetrati anche nella Valle Taleggio, e una tradizione vuole che questa vallata avesse già i suoi primi abitanti verso l’anno di N.S. 1010 come attesta una croce scolpita su di una pietra posta in un arco della Chiesa di Pizzino.

Il fu ingegnere Giuseppe Arrigoni d’Introbbio29 nella sua opera intitolata "Notizie storiche della Valsassina e terre limitrofe", a pagina (.....)30 asserisce che la prima contrada che fosse costruita in questa vallata, sia quella denominata Retazzo, dal nome della località in cui fu eretta, nel territorio di Pizzino, il prefato autore nota anzi che i primi popoli che incominciarono ad abitare nella vicina Valsassina furono gli Orobii i quali da questa si inoltrarono nelle Valli d’Averara e di Taleggio, ma s’ignora d’onde venissero, e in quale epoca vi si stabilirono, poiché per quante indagini avessero fatto gli eruditi storici, non fu possibile avere notizia della loro origine, né da qual parte venissero, solo egli [18] dichiara che nel tempo della loro dimora nella Valsassina eressero il villaggio di Introbbio il cui vocabolo deriva dal loro nome. Dopo di questi vennero gli Opici, gli Osci, gli Imbri, Ombri ed Insubri, questi ultimi diedero il nome alla nostra Lombardia poiché prima della venuta dei Longobardi veniva chiamata Insubria, venne poi chiamata Lombardia, dallo stabilimento di questi popoli, i quali ebbero la loro monarchia come dalla storia d’Italia, i sopradescritti popoli si frammischiarono coi primi, ma di questi non si ha nessuna notizia positiva dell’essersi questi penetrati nella Valle Averara e vicina Taleggio.

Come si è notato più sopra e secondo la tradizione di alcuni è assai verosimile che avanti il mille diversi fra i suaccennati popoli che esercitarono la pastorizia, abitassero con le loro mandrie sui monti della Valle Taleggio, nella stagione estiva, costruendovi i loro alberghi per la coagulazione del latte,31 per il deposito delle loro masserizie e a riparo dalle intemperie e coll’avanzarsi dell’autunno abbiano emigrato colle loro greggie [sic!] in luoghi più miti, o alla pianura lasciando deserta e affatto disabitata la Valle, in progresso di tempo internatisi nella vallata vi si stabilirono definitivamente, propagandosi formarono le diverse contrade appresso descritte, ciò che seguì verso il mille.32

[19]


Capitolo V
Epoca in cui furono erette le contrade principali, e secondarie, e loro distanza approssimativa
Pizzino

Secondo alcuni scrittori, tra i quali il Locatelli Gius.e già sopra nominato, autore del manoscritto intitolato "Cenni ed osservazioni sulla Valle Taleggio" ed anche da una certa tradizione locale in voga ai tempi del sullodato autore, che i primi abitanti di qualsivoglia parte provenienti si stabilissero nella località detta “Il Caraver” vicino al prato detto Taleggio situato in Pizzino, ove ora vi è un’osteria, ivi venne fatta la prima coltivazione del suolo, come da parecchi si asserisce, perché quei primi abitanti amavano la comodità dei monti per ivi pascolare i loro armenti, da ciò ne deriverebbe che le prime case fossero ivi costruite, perché lo provano gli avanzi di fabbriche diroccate, che a poca profondità rinvengonsi anche oggidì in quella località.


Sue frazioni

Aumentatosi il numero di essi abitanti, furono erette le contrade di Staviglio, Fraggio, e Salzana poi del Grasso, Caccorviglio33 e Retazzo, nel territorio di Pizzino, come nel precedente capitolo si è notato [20] aver ciò espresso il prefato ing. Arrigoni di Introbbio nella sua precitata opera, che la prima contrada che fu costruita in questa Vallata, sia appunto quella di Retazzo34 e che in progresso di tempo siano state erette anche le altre, che qui appresso si descrivono.


Vedeseta

Oltre a questa vennero erette le contrade di Sottochiesa, Olda, Vedeseta e Pratogiugno al di qua dell’Enna, e anche la Lavina,35 e Asturi, e Peghera al di là dell'Enna, colle diverse case sparse. Avolasio serviva allora di dimora iemale per gli abitanti della contrada di Pratogiugno.

Vedeseta fu in allora eretta in posizione più al mezzodì, riguardo all’epoca in cui fu costruita non è affatto nota, ma credesi incirca poco dopo il mille, in seguito venne sepolta36 (come è notato nel capitolo 2°) sotto le rovine d’un’alluvione di una porzione di scoscesa di montagna staccatasi dalle superiori radici del monte, nel luogo di questa parte distrutta, vedesi il terreno coltivato, ed è quella parte esposta a mezzodì e sera dell’attuale contrada.

Nel tempo delle orribili fazioni Guelfe e Ghibelline che funestarono l’Italia, fu la contrada di Vedeseta incendiata dal partito Guelfo, per l'inimicizia cogli Arrigoni Ghibellini, di cui questa era patria da essi [21] stabilita già da molto tempo, venne poi di nuovo costruita e dilatata verso mattina come attualmente vedesi.

In conseguenza delle funeste e disastrose guerre causate dalle fazioni stesse, di cui ne fu teatro anche questa Vallata, come racconta la storia locale37 essendosi Vedeseta rimasta fedele al Duca di Milano, e le altre frazioni di Taleggio staccatesi unitamente alla Valle d'Averara dalla dominazione del Ducato di Milano e datesi alla Repubblica di Venezia, avvenne la divisione della Valle in due Comuni, in forza del Trattato di Mantova seguito nell’anno 1756, tale divisione avvenne nell’anno 1760 come risulta dall’iscrizione scolpita sui termini di vivo,38 di cui se ne vedono ancora alcuni in varie località in cui passa la linea di confine, come a suo luogo si è descritto e d’allora in poi in Vedeseta è sede del Comune, come lo è Sottochiesa per quello di Taleggio.
Lavina

Venne pure pressoché contemporaneamente eretta la contrada della Lavina, in posizione bene esposta e bassa, esposta a mezzodì, e riparata dai venti aquilonarii, divenne poi un centro importante per questa Valle e molto popolata, fu vittima anch’essa a suo tempo degli incendii, delle devastazioni e della totale distruzione delle abitazioni per opera della nota fazione dei Guelfi, ricostituitasi poi venne di nuovo ripopolata da maggior numero di abitanti, [22] se poi non lo fu in seguito, fu però maggiore in fondi e sostanze, che possedono cadauno di essi in questo Comune.

In questa contrada vennero rinnovati e corretti gli Statuti della Valle, unitamente a quelli di Averara, quali si leggono nella sunnominata opera "Cenni e osservazioni sulla Valle Taleggio" (lib 2° pag. 128 e seg.) ciò seguì nell’anno 1368, da diciotto consiglieri di cui dodici della Valle Taleggio e sei di quella d'Averara.
Avolasio

La frazione di Avolasio come si disse più sopra servì un tempo in sussidio iemale della già contrada di Prato Giugno, essa è composta di diversi caseggiati, qua e là dispersi sotto diverse denominazioni parziali; nell’anno 1633 serpeggiò più che mai in questi contorni il fiero morbo del contagio,39 negli abitanti di questa contrada, ciò viene contrassegnato da diversi teschi umani, deposti e conservati nell’Oratorio di questa contrada, vedonsi tuttora rinchiusi nel portico esteriore dello stesso Oratorio, di ciò è tradizione creduta da tutti quegli abitanti dei contorni stessi, vuolsi da alcuni che questa contrada sia la patria della famiglia Arrigoni, ivi conservansi pure varii stipiti40 della medesima che esercitano la professione dei nostri primi padri.


Reggetto

La contrada del Regetto posta a Nord-Est di quella di Vedeseta, sembra di antica costruzione e [23] secondo gli scrittori risulterebbe anteriormente all’anno 1200, nei tempi primitivi chiamavasi Menterga41 dal nome di una estensione di terreno situata alla destra riva della Valle del Canto.

In quei tempi venne fabbricata la torre del Regetto, che come si diceva in altre opere è nome gallo celtico e uguaglia in vicinanza di Torre42 sembrando fin d’allora, come lo è tutt’ora a comodo dei malghesi che usufruiscono di quei [sic!] ubertosi pascoli.
Altre frazioni secondarie

Vennero pure costrutte in progresso di tempo i varii casolari sparsi, quali sono: Siepi, Borgosotto, Salguggia, Pratocaraviglio, Marchetti, Canto, Pralongo, Capassero, Suaggio, Roncali43 e in ultimo i Molini. La distanza approssimativa fra loro e il capoluogo centrale è descritto come segue.

Da Borgosotto alle Siepi met. 350, da Borgosotto a Vedeseta met. 1550, da Siepi a Vedeseta met.1200, da Siepi a Salguggia met. 400, da Salguggia a Vedeseta met.1500, da Salguggia a Pratocaraviglio met. 450, da Pratocaraviglio a Vedeseta met. 900, da Pratocaraviglio ai Marchetti metri 800, dai Marchetti a Vedeseta met. 650, dai Marchetti al Canto met. 2200, al Pralongo met. 1500, da questi due punti a Vedeseta met. 1250,44 dai due Molini a Vedeseta met. 1350, fra l’uno e l’altro met. 100, dal Molino inferiore del Canto al Ca[24]passero met. 500 e al Suaggio met. 650, dal Molino di sotto a Vedeseta met. 1100, dai due punti suindicati a Vedeseta met. 450,45 dai Molini della Lavina a Vedeseta met. 1500, dal Suaggio ai Roncali met. 1000, dai Roncalli a Vedeseta met. 1250.

[24]
Capitolo VI


Famiglie primarie stabilitesi in Vedeseta

ed altre sopravvenute in seguito
Famiglie Arrigoni, Quartironi

Le famiglie primarie che stabilironsi nel territorio della Parrocchia e del Comune di Vedeseta, che a quei tempi formava un solo Comune con Taleggio, come rilevasi dalla storia della Valle Taleggio furono le cognominate Arrigoni e Quartironi, i primi diramatisi in varie famiglie, stabilironsi nella contrada centrale di Vedeseta, in Avolasio, al Regetto e alla Lavina ed ebbero il loro stemma gentilizio particolare, come vedesi anche oggidì sul capostipite della porta maggiore dell’Oratorio attiguo alla Chiesa Parrocchiale, costoro secondo la preaccennata storia (benché in proposito non si hanno prove sicure) sembra che vi si stabilissero circa il mille; i secondi fissarono la loro dimora [25] nella contrada centrale di Vedeseta, al Regetto e in Avolasio. Secondo un documento inedito del Sacerdote Don Francesco Biava Salvioni Parroco di Pizzino morto nell’anno 1768, stato raccolto e pubblicato in un opuscolo46 dal prelodato ing.r Arrigoni d'Introbbio, risulta che gli Arrigoni prima abitarono in Sottochiesa e al Mistirolo sotto Olda, con essi venne pure la famiglia Rognoni, di cui ora non esiste più nessuno, i sullodati Quartironi prima abitanti in Salzana e al Fraggio, poi in Menterga ora al Regetto e al Canto, i Galli e gli Anzeloni abitavano tutti nelle contrade di Vedeseta e Lavina, questi s'ignora donde siano venissero [sic], né più esistono, neppure si sa se emigrassero da qualche parte e come.

In seguito vennero i Locatelli i quali ebbero il loro proprio stemma gentilizio, secondo alcuni scrittori volevasi che questi provenissero dalla vicina Valle Imagna, del che però non si sa precisamente da qual parte provenissero, in seguito vennero i Vitali i quali derivarono da altre famiglie stabilitesi in Pizzino, in seguito cambiarono la lettera l con r e denominaronsi poscia Vitari;47 vennero poi anche i Redondi discendenti da un tal Antonio detto Rotondo Danelli abitante nella contrada di Caccorviglio frazione di Pizzino, di questi vi fu solo [26] qualche famiglia che si stabilì al Regetto; i Vitali e i Bellaviti come anche dei Locatelli stabilironsi in remoti tempi nella Parrocchia di Pizzino, ove diramatisi in molte famiglie alcune delle quali passarono nella pianura milanese esercitandosi nel commercio dei formaggi e dei latticini.

I sunnominati Vitari stabilitisi in Parrocchia fissarono la loro dimora nella frazione del Regetto ed ora formano ben sette famiglie di cui due stabilironsi nella contrada centrale di Vedeseta.


Altre famiglie

Sulla metà dello scorso secolo decimo ottavo, vennero a fissare la loro dimora in questo territorio della Parrocchia di Vedeseta i seguenti forestieri:



  1. Giuseppe Manzoni di Morterone abitante nella Lavina.

  2. Andrea Locatelli del Salvano in territorio di Morterone abitante nella Lavina

  3. Carlo Mornico di Cortenova in Valsassina abitante nella Lavina, ora di questo cognome non esiste più alcuno.

  4. Bernardo Codazzi di Bura frazione della Parrocchia e Comune di Gerosa abitante nella Lavina, della famiglia di questo, l’ultimo rampollo si trasferì nella frazione del Regetto, ed ora è quasi estinta.

  5. [27] Andrea Manzoni di Morterone abitante nei Roncali, ora non c’è più nessuno.

  6. Francesco Ceresa48 di Cortenova in Valsassina abitante al Suaggio; i suoi eredi trasferironsi poi in Vedeseta ove sono presentemente.

  7. Eredi q.m Agostino Bagliardo di Brembilla abitante in Vedeseta, di questi non c’è più nessuno.

  8. Cristoforo Arnoldi di Peghera abitante al Canto ma anche di questo non esiste più nessuno.

  9. Giuseppe Cassotta di Valle Imagna abitante in Vedeseta, anche di questo non c’è più nessuno, né si sa se i suoi eredi siano ritornati ancora alla loro o dove siano andati a stabilirvisi.

  10. Francesco Tartari di Gerosa, abitante nella Lavina, di questo vi sono ancora due famiglie in cui sono divisi i suoi nipoti e due altri si sono stabiliti nell’alto Piemonte.

  11. Pietro Offredi Trombetta abitante in Vedeseta di questo non c’è più nessuno.

  12. Lorenzo Musitelli cavallante di Brembilla abitante in Salguggia, di questo vi sono tre famiglie.

  13. Maffio Musitelli cavallante di Brembilla [28] nipote del suddetto abitante in Salguggia ve ne sono ancora in due o tre famiglie.

  14. Bernardo Musitelli nipote del suddetto Lorenzo abitante alla Cassina dei Grilli non c’è nessuno di questo.

  15. Bernardo Codazzi di Peghera abitante in Vedeseta, di questo non c’è più nessuno.

  16. Famiglia Rota Bodrelli di Vall'Imagna abitante in Vedeseta, ve ne sono ancora in quattro famiglie.

  17. Famiglia Invernizzi di Morterone abitante nella Lavina, ve ne sono ancora cinque famiglie, tre delle quali si trovano a Milano applicate nel commercio dei latticini.

  18. Francesco Boffelli di Olda, abitante nella Lavina, di questo non vi è che una sua figlia maritata in Invernizzi vedova da anni ed in avanzata età, d’altri non c’è più nessuno.

Si omettono parecchi che da anni emigrarono colle loro famiglie e si stabilirono chi sul basso milanese, chi nell’alto Piemonte e chi in America ed alcuni anche nel territorio di Lecco.49

Fin dal principio di questo morente secolo, nella casa del Canto, in surrogazione del prenominato Arnoldi [29] Cristoforo di Peghera, vi si stabilì la famiglia di Redondi Giuseppe, già abitante alla frazione del Regetto, in seguito una figlia di questo passata in matrimonio con un certo Locatelli Giuseppe di Berbenno in Vall'Imagna, dopo la di lui50 morte essa ritornò in patria col marito e con la famiglia ove ora esiste. Inoltre altri forestieri ci vennero in questi ultimi anni e vi si stabilirono, questi sono: Pesenti Battista fu Francesco di S. Giov. Bianco che venne circa l’anno 1860, Moretti Alessandro di Brembilla, agente del proprietario del Canto, il sig.r Moretti Pietro fu Alessandro, fabbricatore di cera in Bergamo, che da tempo è possidente in questo territorio e in quello di Taleggio e certo Pesenti Battista di Gerosa or abitante in Vedeseta.


Nota
La linea di confine sopradescritta tra il territorio del Comune e della Parrocchia di Vedeseta e quello di Taleggio, partendo dal Zucco di Maesimo, scende sul fiume Enna e risale l’opposto versante, fino ai Cornelli Muschioni, indi al monte Moncucco,51 è anche confine della Diocesi di Milano con quella di Bergamo.

[30] [bianca]

[31]

Parte seconda


Capitolo I
Notizie religiose - Parrocchia cui fu prima soggetta Vedeseta

Costituzione delle prime Chiese

Leggesi nell’introduzione della quarta parte della precitata opera "Cenni ed osservazioni sulla Valle Taleggio" che fino dall’epoca in cui stabilironsi i primi abitanti in questa Valle, portarono seco anche la Religione cristiana, cattolica ed apostolica, che ereditarono dai loro padri, e la introdussero in questa Vallata, ciò che fu veramente un dono singolarissimo e provvidenziale del Cielo, se non andò soggetta a superstizioni di idolatria e di paganesimo in confronto di mille altre Vallate.

Siccome una tradizione asserisce che i primi abitanti definitivamente stabilitisi in questa Vallata, erano limitati in poche famiglie e perciò non essendosi ancora eretta una Chiesa o Cappella che sia, con loro dispendio, e lungo viaggio, e per vie disastrose portaronsi alla Chiesa prepositurale di Primaluna ad adempire il precetto pas[32]quale, da ciò ne venne la necessità di costruire una piccola Chiesa la quale rispondesse al numero degli abitanti ivi stabilitisi, questa fu eretta sul poggio denominato di Pizzino vicino alla rocca che poscia servì di fortezza alla fazione guelfa nel tempo delle funeste guerre sopradescritte, ciò fu sull’anno 1000, dessa venne dedicata a Dio sotto l’invocazione del glorioso patrono della Diocesi S. Ambrogio Arcivescovo di Milano; accanto alla Chiesa fu eretta la casa di abitazione del prete mandato dai superiori ecclesiastici per la reggenza di questa parte del gregge cristiano, e per l’analoga assistenza spirituale di questi abitanti, assai lontani dalla Parrocchia.

In una memoria scritta dal reverendissimo Prevosto di Primaluna D. Carlo Crippa morto ivi nell’anno 1832, raccolta e pubblicata con altri documenti inediti dal prenominato ing.r Gius.e Arrigoni, rilevasi che la giurisdizione parrocchiale della prepositura di Primaluna estendevasi non solo a tutta la Valsassina, ma bensì a Valtorta, alle Valli Averara e Taleggio, e perciò furono istituite sette Cappellanie curate, ossia in cura d’anime, dipendenti dal Prevosto di Primaluna, queste furono le seguenti:

S. Maria Assunta in Taceno

[33] S. Bartolomeo in Margno

S. Dionigi in Premana


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