Modello Amàrantos



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Scesi dall’autobus con decisione, accesi l’ultima cicca che mi era rimasta e mi affrettai verso casa. Ero convinto che ormai se ne fosse andato. Doveva essersene andato. Ero euforico. Il termometro del Grave segnava meno otto ed era già un buon segno di miglioramento. Sgambettai giù per le scale, corsi lungo il poggiolo ed entrai dalla porta della cucina, che in teoria era aperta. La spalancai e vidi il mostro. Era pallido, ansimante, con gli occhi rovesciati indietro e l’uccello e le mani piene di sangue. Forse stava veramente per morire. Ma continuava a masturbarsi e per terra c’era a di poco un lago di sperma riluttante. Decisi di approfittare per prenderlo di peso, o più o meno quasi, e di buttarlo fuori. Quando provai ad avvicinarmi, lui scattò con la mano libera e mi afferrò per il collo. Iniziò a stringere con una forza sovraumana. Non era possibile che avesse ancora tutta quella energia. Per un attimo pensai di liberarmi, ma John strinse la morsa e mi stritolò malvagiamente. Non riuscivo più a respirare ed il mio naso accumulava solo la puzza di quella merda di uomo. Era assurdo, mi aveva afferrato senza neppure guardarmi e nonostante tutto continuava a scappellarsi quel cazzone, ormai ridotto in minimi termini. Pensai per un attimo di dover morire in quella misera situazione, ma improvvisamente il mostro diminuì la stretta e riuscii a liberarmi. Mi accasciai in ginocchio ed ansimai per qualche minuto prima di riprendermi. Poi mi girarono veramente le palle.

- Figlio di puttana, ti ammazzo, ti ammazzo. Lo so che mi senti. Ti do un minuto per prendere la tua merda e andare fuori dal cazzo o prendo l’ascia e te la pianto nei coglioni -

Mi si accavallarono i nervi e mi andò la pressione a mille. Stavo per perdere le staffe. Definitivamente.

- Hai capito? Hai capito stronzo?

Tutto sommato riuscii a mantenere il tono della voce pacato, ma demoniaco. Lo fissai con sguardo incendiato e un odio così profondo da non riuscire a descrivere. Lui restò impassibile e continuò a farsi l’ennesima sega. Ero ancora in ginocchio quando l’animale ruggì e gettò fuori un fiume di sperma puzzolente che si schiantò contro il mio petto.

- santiddio! - fuga, cassetto, lama, sangue.

Senza quasi essermi accorto, in una frazione di secondo avevo preso il coltello dal cassetto e glielo avevo conficcato sotto il mento. Non mi ero ancora reso conto di quello che avevo fatto. La lunga lama gli aveva attraversato il collo e si era conficcata sulla porta. Feci due passi indietro tra sperma e schizzi di sangue scuro. L’essere era praticamente appeso per il collo contro la porta, con la mano ancora sul cazzo. Non era ancora morto, ma non sarebbe di certo sopravvissuto in quelle condizioni. Emetteva ancora qualche suono e sorprendentemente prima di tacere per sempre mi fissò negli occhi e parlò per la prima volta da quando lo avevo incontrato:

- Io sono... sono... Dioniso - disse in circa venti minuti con una voce d’oltretomba.

- Vaffanculo e crepa come tutti - C’era sangue e sperma dappertutto.

Non avevo mai ucciso nessuno prima d’allora e ne fui quasi pentito. Fu la più grande soddisfazione della mia vita, peccato che durò solo per qualche secondo, poi iniziai a preoccuparmi seriamente quando sentii suonare il campanello.

Non mi sembrò il momento più opportuno per aprire la porta, ma dovevo farlo per non creare sospetti, qualsiasi persona fosse stata. Con tutto quel casino che era successo non avrei potuto raccontare in giro che stavo dormendo.

- Arrivo! Arrivo!

- Fa pure con calma, Jim! - Fortunatamente era la voce David.

A dir la verità mi sorpresi leggermente della mia freddezza in una situazione così delicata, comunque staccai con calma il mio amico John per appoggiarlo per terra ed andai verso la porta. Non sapevo se raccontare tutto o no al mio soma, ma di lui potevo fidarmi. Non troppo però. Mi misi in testa un cappello da deficiente e un impermeabile lungo fino alle caviglie, giusto per nascondere un po’ il sugo. - Drin - Arrivo, arrivo

Aprii la porta senza espormi troppo, lui però entrò subito e mi guardò con i fanali sgualciti.

- Porco due, Jim, come cazzo sei preso? Sei ubriaco?

- Lasciamo perdere. Sono incazzato come un demonio e sto per andare a dormire…

Fortunatamente il mio soma non era troppo invadente e non mi fece domande, si limitò solo ad un piccolo ghigno.

- Devi smetterla di bere così, guarda come ti stai riducendo…

- Mi sa che hai ragione, non sto neanche più in piedi…

Non so perché, ma ogni volta che mi comportavo in maniera strana la gente pensava che fossi ubriaco marcio. Quella volta però andò bene così ed approfittai di questo alibi di ferro, che mi venne servito su un piatto d’argento.

- È proprio meglio che vai a dormire, passo di qua domani, ok?

Mi immedesimai totalmente nella parte che iniziai a barcollare con molta naturalità ed eleganza.

- Meglio di tutto, anzi, scusa se non ti offro neanche un’ombra…

- Guarda che quello che deve chiedere scusa sono io. Mi dispiace proprio se ieri sera non sono più passato qua, ma è venuta trovarmi la mia babusca… sai com’è, ha sempre voglia di cazzo…

- Non preoccuparti, le donne sono tutte uguali, più nerchia gli dai, più ne vogliono

- Ah, Ah, Jim, mi sa che hai proprio ragione! Ci vediamo domani, allora.

- Ok, ciao socio…

- Saiudi

Sferrai un colpo alla porta e tornai nel mio cantiere di merda. Il segaiolo era disteso inerte a pancia in giù, immerso in tanto di quel sangue e di quella sburra, che si era impregnata fino nel tappeto, sopra e sotto il tavolo, di lato e di fianco a qualsiasi cosa, il tutto intriso in un aroma degno di un porcile putrefatto. Pensai che fosse il caso di dare una ripulita e spostare quell’ammasso di liquame in un posto dove potesse marcire in pace. Lo afferrai per i piedi, visto che le sue mani mi facevano troppo schifo, e lo trascinai fino in cesso. Con un notevole sforzo lo incastrai nella vasca da bagno e lì potei ammirare il suo enorme fallo logoro che continuava ad eiaculare; mi venne quasi un conato di vomito ed un brivido mi corse per tutto il corpo.

Presi qualche rotolo di carta igienica e rapidamente iniziai a pulire “il più grosso” partendo dalla scia di rosso scurissimo che partiva dal bagno, arrivando fino al lago di sugo e sburra. Mi ci vollero tutti e sette i rotoli di carta per tirare su tutto; la inzuppavo di quella miscela aromatica e puntualmente la scaricavo con lo sciacquone del cesso. Lavoravo a mani nude, dovevo abituarmi a quello schifo, visto che successivamente avrei anche dovuto smaltire il cadavere. Presi il tappeto e lo buttai in lavatrice insieme ai miei stracci sporchi, quelli del povero John invece li buttai nella stufa, senza neppure controllare se aveva documenti o cazzi vari. Meno sapevo di lui e meglio era. Forse conoscevo già troppo di quel pippaiolo: si spacciava per Dioniso ed entrava nelle case degli ubriaconi per masturbarsi, non mangiava, non bevevo e parlava poco.

Svuotai in giro tutto i detergenti che avevo: varechina, alcool e svelto, poi iniziai a darci dentro con il moccio. Infondo ci voleva, era una vita che non lavavo i pavimenti. Mi venne per un attimo in mente la scena di Pulp Fiction, quando il negro e Travolta ammazzano per sbaglio un melcico dentro la macchina, poi vanno a casa di Quentin e pulisco il tutto con la supervisione di una specie di professionista dei casini. Dovevo solo fingere di essere tutti questi personaggi insieme, eccetto il melcico ovviamente, che se ne stava a fare il bagno. Dovevo operare con intelligenza. Per pulire intorno non c’era alcun problema, almeno speravo, la rogna era un quintale di carne in putrefazione.

Scartai subito l’ipotesi di trascinarlo fuori da qualche parte, intero per lo meno. La cosa ideale era quella di risolvere il tutto là dentro. I panni sporchi si lavano in casa, dicevano i vecchi stronzi. Potevo eliminarlo un po’ alla volta giù per il cesso, ma la cosa avrebbe creato qualche sospetto. Diarrea? No, era una puttanata. Poi nella vasca biologica potevano restare tracce. L’unica cosa che mi restava, oltre l’ipotesi risibile di mangiarlo, era quella della stufa. I suoi vestiti però già stavano facendo un odore strano, non avrei osato pensare a cosa sarebbe successo incenerendo un quintale di bistecche, ossa e budella. Bo…

Avrei potuto farlo fuori un po’ al giorno, ma non mi andava di tenere chiuso il cesso per troppi giorni, magari con la vasca da bagno piena di vermi e marciume. Ecco, la verità stava nel mezzo. Avrei bruciato le parti facilmente identificabili come la testa, le mani, i piedi e l’uccello e per le altre ci avrei dormito sopra. Le ossa però mi spaventavano. Andavano bruciate anche quelle, visto che avevano tempi di decomposizione abbastanza lunghi. Per tv si sentivano addirittura storie su alcuni tizi che trovavano scheletri di dinosauri vecchi mille milioni di miliardi di anni. Eh, sì, lo scheletro andava eliminato, non potevo di certo tenermelo nell’armadio. Mentre fantasticavo stavo lustrando gli ultimi angoli della casa; arrivai al punto di aspirare con il folletto tutte le invisibili tracce dei sui vestiti che si erano magicamente infiltrate nei posti più impensabili. Poi presi il container dell’aspirapolvere, lo svuotai nella stufa e lo lucidai come fosse un vetro di Burano. Strofinai così tanto l’arma del delitto da farle quasi cambiare colore e la riposi nel cassetto al suo solito posto. Stavo diventando paranoico. Ed avevo un morto nella vasca da bagno.

Quando la casa fu veramente lucente chiusi il cesso a chiave, me la misi in tasca e mi buttai sul divano con una cicca ed un residuo di Sambuca. Era mezzanotte ed ero nella merda, ma almeno la cucina era pulita.

Accesi la tv su un canale di documentari, dove mostravano un pazzo che viveva sugli alberi insieme ai babbuini ed era felice. Mangiava e cagava con loro. Forse si scopava anche le femmine, ma per buon costume non lo dicevano. Aveva la faccia proprio da imbecille e non lo invidiavo per nulla, ero fiero della mia vita di merda e del mio cadavere nel cesso, infondo mi ci stavo affezionando. Sinceramente da quando lo avevo portato di là qualche ora fa non avevo più osato guardarlo, ma ero convinto di non perdermi chissà che spettacolo. Dovevo eliminarlo.

Mi feci coraggio, indossai i guanti per i piatti ed entrai nel bagno. L’animale era ancora là, nudo, non molto vivo, con la gola tagliata e l’uccello lacerato per le troppe seghe. Era bianco come la neve, odorava di dolci campi concimati ed il rosso cupo lo ornava come un principe. Faceva letteralmente cagare. Lo cosparsi di vari detersivi, poi presi il miscelatore della doccia e lo lavai alla buona, con l’acqua calda per non farlo incazzare. Mi sfregai per bene le mani e presi dall’armadio in corridoio un coltello stile Rambo ed un seghetto da ferro, l’ideale per tagliare le ossa senza fare troppo rumore. Con insana freddezza recisi interamente il collo del nostro caro John e vidi la testa quasi staccarsi. Per fortuna uscirono solo poche gocce di sangue e fui parecchi soddisfatto. Decisi di provare a spezzargli le vertebre senza ricorrere al seghetto e ci riuscii con una certa facilità, roteando quel cranio demente fino a staccarlo. Mi fece una certa impressione vedere quella testa tra le mie mani, ma comunque molto meno di quello che pensavo. Zac, due secondi ed il suo teschio stava già ardendo insieme a due pezzi d’abete scoppiettante. Non lo avrei mai pensato, ma quel lavoro iniziava a piacermi.

Nel giro di mezz’ora avevo già segato mani e piedi, l’unica cosa che mi impressionava era il suo uccello; infatti, per non rischiare di guardarlo, durante tutta l’operazione lo avevo coperto con due fogli di block notes. Fui costretto ad uscire più di una volta dal bagno per l’odore divenuto insopportabile, ma non mi fidavo di aprire completamente la finestra.

Ogni volta che tornavo in quella stanza il buon vecchio John era sempre più irriconoscibile, sempre più lontano dal sembrare un essere umano, sempre che lo fosse mai stato.

La stufa sprigionava un forte aroma di braciole alla griglia e tutto sommato non mi dava fastidio, anzi mi mise un discreto appetito visto che non mangiavo ormai da troppo tempo. E di tempo non ne avevo. Tornai in cucina per fottermi un paio di birre, tanto ormai la stufa era carica e ci avrebbe impiegato un bel po’ a smaltire il tutto. Quel melcico però era troppo grosso. Erano le due e mezza di notte e se avessi continuato con quel ritmo non ce l’avrei mai fatta. Ragionai un momento sull’ipotesi di restare a casa dal lavoro, ma la scartai soprattutto per evitare qualsiasi sospetto. Fino ad allora nessuno sapeva niente, nessuno aveva visto movimenti strani. L’unica cosa era quella dannata stufa, che normalmente utilizzavo pochissimo perché mi stava sul cazzo star là a buttare una legna ogni due minuti. Per in quei giorni faceva veramente freddo e la scusa avrebbe tenuto. Magari avrei continuato per tutta la stagione a quel folle ritmo, dileguando così ogni possibile capo d’accusa.

Erano le tre di notte, mi ero folgorato una riga di birre ed eccetto qualche ossetto stronzo, probabilmente della mandibola, tutti i pezzi che avevo buttato nella stufa si erano inesorabilmente dileguati nel vento. Ad Auschwitz c’era la neve ed il fumo saliva lento. Hitler però era fortunato ad avere quegli enormi forni, cazzo se era fortunato. Se si fosse ridotto in miseria così come me, probabilmente non avrebbe bruciato più di due paio di ebrei alla settimana. Mi feci un paio di risate grasse, poi diedi quattro saettate svelte di sega ed il braccio destro, quello che John usava più frequentemente per farsi le seghe, era già piegato in due ed incastrato nella stufa. Bene, bene.

Bene un cazzo. Avevo finito anche le legne e senza l’accoppiata di un buon combustibile quei pezzi umani facevano solo fumo ed odore. Non potevo di certo uscire a quell’ora per prendere legna. O forse sì. L’avevo fatto tante volte da ubriaco, ma quella situazione mi logorava psicologicamente e non mi arrischiavo a fare alcuna mossa falsa. Mi sedetti per un attimo a pensare, poi mi venne un lampo di genio. Brucio cadaveri e mi faccio problemi se non ho la legna? Avevo ancora mezza bottiglia di alcol per pulire i vetri, quasi una intera di acquaragia, che usavo per lavare i pennelli, un basso tavolino di legno che avevo rubato in un bar, un pacco di giornali vecchi e qualche migliaio di fotocopie di libri che avevo fatto ancora secoli fa quando andavo all’università. Come se non bastasse avevo anche una bottiglia di grappa maschio a 50 gradi, quella che si usa per correggere il caffè, ma amavo anche gustarmela liscia e decisi quindi di tenerla come ultimissima risorsa.

Alle sette di mattina ero letteralmente distrutto, ma niente in confronto al mio amico signor pippa. Gli avevo lasciato solo il busto e l’uccello. L’ultimo pezzo di coscia stava cucinando insieme al primo volume di “Architettura degli elaboratori”, dolcemente condito con dell’acquaragia. Ero parzialmente felice. Avevo visto che il sistema funzionava, ma ero leggermente rincoglionito dal sonno, atrofizzato dall’alcol, sudato come una bestia per i duecento gradi che c’erano in casa, avevo finito tutto il combustibile ad eccezione del pianale del tavolino, e come se non bastasse l’uccello del demente era ancora nella mia vasca da bagno. Decisi di smettere il lavoro, dato che non mi sembrava il caso di mettermi a far casino per tagliare quella tavola e mi buttai sul divano.

Prima di addormentarmi pensai a cosa avrei dovuto fare per smaltire il resto del corpo, ma solitamente quando sono troppo stanco tendo a rinviare i problemi al giorno successivo. E così feci anche quella volta.

Dopo un’ora scarsa suonò la sveglia. Mi alzai quasi immediatamente, spinto dalla sola forza della disperazione, e credetemi, può fare miracoli. Ero ancora vestito e sorprendentemente l’unica macchia sul mio maglione era di birra. La mezza storta mi era già passata, quindi buttai giù una sorsata di sgnappa per farmi coraggio ed andai in cesso. L’odore era insopportabile; quello della cagate più infima che avevo fatto non era nulla in confronto e per la prima volta quel troncone umano mi raccapricciò seriamente, ma pochi secondi più tardi, quando la grappa mi entrò in circolo, tornai sciolto e rilassato come quando lo stavo affettando. Così su due piedi, decisi di buttare quella massa di letame dentro un sacco delle immondizie e così feci. Probabilmente là dentro avrebbe puzzato un po’ meno. Lavai alla buona la vasca e gli strumenti del mestiere, che riposi nell’armadio degli attrezzi, poi ributtai il sacco nella vasca, lo cosparsi di profumo e lo coprii con un accappatoio. Poteva così sembrare un ammasso di biancheria sporca. Più o meno. Chiusi tutto a chiave, mi lavai mani, sfregai con la saponetta la macchia di birra ed andai a prendere l’autobus. Corsi come un matto su per le scale e lungo la strada, ero molto in ritardo e probabilmente la fottuta corriera era già passata. Quando giunsi alla fermata però vidi un paio di persone che aspettavano e in quell’istante la sagoma blu del mezzo comparse nella curva del Grave. Si fermò di fronte a me medesimo, poi la porta si aprì e ci volai dentro come un pesce verde fritto per accaparrarmi il posto infondo. Appena toccai il sedile con il culo rilassai tutti i nervi, compresi quelli dell’ano e chiusi gli occhi. L’ultima cosa che sentii prima di partire per il mondo sbronzo dei sogni fu la voce di un vecchio che parlava di morti. È morto Anthony, diceva, e oggi pomeriggio c’è il funerale. Anthony, lo conoscevo bene, anzi ho avuto qualche rogna con lui, visto che mi aveva buttato fuori di casa tempo addietro e da quel giorno ho sempre voluto vederlo morto. Perfetto: un funerale è un’ottima scusa per saltare il pomeriggio di lavoro, soprattutto se è quello di una persona che ho ucciso con il mio pensiero. Dormo.
- Mi scusi capo, ma oggi sono molto triste perché ieri è morto un mio caro vicino di casa.

- Mi dispiace

In quell’istante abbassai la testa e mi trattenni dal ridere, pensando a quel matusa di merda che mi aveva sfrattato di casa. Ti ho augurato la morte e sei morto. Sono Dio.

- Era vecchio, ma era una persona splendida. ci terrei molto ad andare oggi pomeriggio al suo funerale…

- Non ci sono problemi. Anzi, se non te la senti di lavorare ci vediamo direttamente domani…

- No, no, ormai sono qui e questa mattina preferisco lavorare un po’ così non ci penso

- Come vuoi…

Abbassai gli occhi con finta tristezza, ma con vere occhiaie e ancor più vera disperazione. Quando mi impegnavo ero un mago a fare queste farse. Avrei dovuto farle più spesso, ma non rientrava nel mio stile. Preferivo tirare quattro porchi e mandare a cagare tutti piuttosto che improvvisare commedie. Comunque l’occasione fa l’uomo ladro e assassino più che altro. Non potevo credere che me ne stavo là pacifico mentre avevo un addome lardoso con un cazzo putrefatto dentro la mia vasca da bagno. Accesi il computer ed andai avanti con i miei lavori, lasciando tutti i miei morti veri e falsi fuori da quelle malinconiche mura.

Il capo se ne andò alle undici e mezza ed io lo imitai dopo pochi minuti. Da quando ero lì non avevo fatto altro che sbadigliare e scoreggiare birra ed era giunta veramente l’ora di tirare le somme con quel fottuto cadavere. L’autobus in realtà era all’una, ma avevo calcolato di tenermi un’oretta libera per andare a mangiare un boccone dal Mc Person. Se chiedi a qualcuno del Mc Person ti risponderà sicuramente che è una merda, ma però ogni tanto ci va dentro a mangiare lo stesso. Io non dico che sia un gran posto, anzi, fa proprio cagare, ma è un buon compromesso per chi ha pochi soldi. Lo so, l’arredamento sembra sia stato progettato da un bambino gay e so anche che qualsiasi roba ordini ha lo stesso gusto definibile “Mc Person”, ma sicuramente ha dei prezzi decenti. Non sarà chissà che, la coka è piena di ghiaccio, le patate sono imbrattate di olio Castrol, ma se voglio mangiare bene vado in un ristorante, non in un posto dove fanno panini e patate fritte avvolte nella carta da parati. Quelle robe servono solo per riempirti lo stomaco e darti un po’ di calorie, quindi se costano meno è meglio. Comunque è un discorso molto simile a quello che faccio spesso con la birra del discount. Se voglio bermi una birra buona vado in una super birreria ed ordino una swandslkjhasdxxyy rossa media doppio malto triplo cobalto con scorza di scroto che mi costa un milione di sesterzi e sto tre ore a ciucciarmela, magari insieme ad una figa. Se voglio invece semplicemente bere da sano ubriacone vado al discount e per gli stessi soldi mi compro dieci lattine verdi scintillanti di Fink Brau da mezzo litro.

Tornando a me, entrai finalmente in questo stramaledetto fottutissimo Mc Person ed ordinai un McVattelapesca con McSevenup ed un McBudellodiGiuda. Mangiai con voracità, poi mi infilai nell’autobus parcheggiato alla piazzola numero diciassette ed iniziai a dormire ancora prima che partisse.

- Ehi Iggy, Guarda Jim! Ma a casa non dorme mai?

- Il lunedì è in crisi perché ha bevuto la domenica, il martedì perché ha bevuto il lunedì, il mercoledì...

- Fanculo, David.

Sgranai gli occhi e vidi David ed Iggy. Che mi prendevano per il culo.

- Come mai torni a quest’ora? Ti hanno già licenziato dopo due giorni?

- No, no, oggi sono preso un po’ male. Poi ho sentito che c’è il funerale di Anthony e ho colto l’occasione al volo…

- Vecchio bastardo, ogni scusa è buona per te, per non fare un cazzo!

- Chiamami stupido…

- Comunque anche mio fratello ha avuto la stessa idea questa mattina, ma, visto che non è in autobus, si vede che non l’hanno lasciato andare - disse Iggy.

- Ma in che condizioni eri ieri sera? - Continuò David

- Neanche male, ne ho fatte di peggio

- Neanche male, eh? Ehi, Iggy, devi sapere ieri che sono passato per salutarlo ed era ancora vestito con un paltò di nailon verde e barcollava così tanto che sbatteva tra un muro e l’altro con la testa!

- Ah, ah.

- Che stronzo che sei David, ma perché devi sempre allargare le storie? Ho bevuto una Sambuca e visto che non sono abituato all’alcol mi ha dato subito alla testa…e poi…

Iggy rise ancora, poi quando si fermò aggiunse:

- Sì, una Sambuca… una bottiglia di Sambuca...

- Beh, quando mai ho parlato di un bicchieri?

Si andò avanti a sparare puttanate fino a quando non scesi dall’autobus e al momento dei saluti feci una piccola indispensabile raccomandazione ai miei soma:

- Ehi, soci, ci vediamo domani, ieri sera ho esagerato un po’ ed è meglio che mi butti in branda se voglio tenermi il posto di lavoro. Dite anche agli altri che non passino da me questa sera. Comunque se sto un po’ meglio mi faccio vivo io, vi chiamo verso le sette. Saiudi.

- Eh, porco due, ti conosco, fra un paio d’ore sarai di nuovo in forma!

- Speriamo

- Ok, saiudi, Jim!



Mi venne in mente infatti che quella sera facevano il Wrestling e normalmente venivano tutti da me a guardarlo. Poi alle undici quando finiva iniziavano i porno e molti di loro non se ne andavano prima dell’una. Senza volerlo avevo eliminato anche quella rogna. Stavo diventando un maestro nella copertura dei crimini. Forse era ancora presto per parlare, avevo ancora parecchi chili di vermi e budella da eliminare.
Prima di entrare in casa mi fermai un minuto nel bazar per comprare una cassa di birra in offerta a sette miseri sesterzi. Me la caricai in spalla e me ne andai con una formale scioltezza, tipica di chi uccideva segaioli. In casa regnava un pesante odore da carne bruciata e preferii aprire un po’ la finestra della cucina. Andai in cesso e vidi il fatidico sacco nero. Iniziavo ad averne i coglioni pieni di quella storia. Al solo pensiero di doverlo aprire mi vene da vomitare, allora decisi di starmene un’oretta a bere prima di procedere con il lavoro. Feci un paio di viaggi avanti e indietro, piazzale - casa - casa - piazzale - per prendere un bel po’ di legne, poi mi distesi definitivamente sul divano e mi accesi una sax. Non erano sigarette malvagie e costavano relativamente poco. All’epoca le Marlboro erano quotate circa un venticinque per cento in più delle sax. Era veramente troppo per venti micro rotoli di tabacco marcito. E poi non erano ‘sto gran che. Le Philip Morris invece erano veramente buone e costavano un po’ meno, ma troppo comunque per le mie povere grame tasche. Come se non bastasse le Marlboro, almeno per quello che avevo visto, creavano più dipendenza delle altre sigarette. Un tizio che fumava, che ne so, Chesterfield, il giorno che non le trovava comprava Camel o vattelapesca. Uno invece che fumava Marlboro e sciaguratamente il tabaccaio di fiducia le aveva finite, non riusciva a fumare cicche di altra marche; magari comprava un pacchetto qualsiasi, giusto per carburarsi di nicotina, poi alla prima occasione lo regalava o lo buttava via e si comprava le fottute Marlboro dei miei coglioni. Io invece ero anche troppo versatile. A dirvela tutta però ho fumato anch’io parecchie di quelle stramaledette Marlboro, ed erano tra le mie preferite. Comunque dopo essermene aspirato anche due stecche di fila, tornavo volentieri alle Sax, Ms, Diana, Benson, Fortuna e a tutte le altre sigarette da tirchi. Tirando le somme però non esisteva questa gran differenza da una marca e l’altra. Come su tutte le cose la qualità aumentava proporzionalmente al prezzo.

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