strato sociale suicidio linguistico tassonomia
tassonomie etnologiche e tassonomie scientifiche
variabilità variante variazione
variazione diacronica, sincronica, diatopica, diafasica, diastratica, diamesica,
varietà
Varietà alta
In genere contesti istituzionali come la scuola, la religione, l'ambito del lavoro professionale e la sfera dell'attività pubblica hanno un rapporto privilegiato con una varietà che chiameremo H (high = alta).
Varietà bassa
Domini come la famiglia, le relazioni amichevoli e le pratiche professionali meno qualificate implicano una varietà che chiameremo L (low = bassa): quando una simile ripartizione funzionale dei domini opera in modo rigido e complementare, parliamo, come già definito, di ’ diglossia.
Varietätenlinguistik vergogna wellerismo
APPENDICI 1.
Spunti per una storia linguistica della pubblicità
Funzione “pubblicitaria” del linguaggio
La funzione più importante e vistosa del linguaggio, la comunicazione, per sua propria natura, un "far sapere ad altri" qualcosa, cioè un pubblicizzare un pensiero privato con un mezzo di uso pubblico, la lingua, che pertato può definirsi un medium, anzi il primo e più complesso dei media.
Nella teoria di Roman Jacobson sulle funzioni del linguaggio, la pubblicità rientra nella funzione conativa.
Una vera storia della pubblicità, che illustri le strategie linguistiche e paralinguistiche impiegate da sempre nella comunicazione pubblicitaria, con tutte le implicazioni socio-culturali, economiche, politiche, morali nel corso dei secoli e nelle varie culture, è ancora da scrivere. Una tale impresa comporta la sinergia di molteplici competenze, poiché si tratta di ripercorrere esperienze di epoche, lingue e culture diverse.
Un buon punto di partenza èer tale ricostruzione è il primo volume dell’opera di Emile Benveniste (1969), Le vocabulaire des institutions indoeuropéennes, Paris, Gallimard; I: Economie, parenté, société; II: Pouvoir, droit, religion; trad. it. Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, 2 voll., Torino, Einaudi, 1976.
Non si può prescindere, inoltre, dal volume di Francesco De Martino, Antichità & pubblicità, Bari: Levante, 2010. Il libro è un’antologia di saggi che presenta “contributi su un capitolo dimenticato dalla storia della comunicazione pubblicitaria, per mostrare che l’arte di vendere è la sorella ruffiana dell’arte di comprare, la tèkne ktetiké, come Platone chiamava lo shopping. La pubblicità era l’anima del commercio anche tra i Greci, si vendevano e acquistavano tra loro prodotti semplici, come gli alimenti o i manufatti di consumo, ed oggetti di lusso, dalle scarpine del “Calzolaio” di Eronda, alle opere d’ingegno divenute immortali, come le “Storie” di Tucidide. E anche allora, quindi, spazio ai consigli per gli acquisti.
Questa la prima parte del libro (Pubblicità nell’antichità). La seconda (Antichità nella pubblicità) entra in ambiti quali la retorica, il mito e i sistemi concentrici dell’arte e della pubblicità. La terza è un “Catalogo, ampio e articolato, di pubblicità che puntano sul mito e sulla storia antica. La presenza letteraria e artistica del mondo antico è schiacciante rispetto a quella dei non meno prestigiosi classici moderni”. Anche nella pubblicità il mito antico si conferma universale rispetto alle culture nazionali, perché si esprime con una lingua che non ha bisogno di traduzioni, come la musica. “Moderna, modernissima, la pubblicità si rivela insomma come la più sicura e massiccia forma odierna di ricezione e fortuna dell’antico – conclude De Martino – si rivela, inaspettatamente, anche pubblicità dell’antico”.
I riti della pubblicità
A causa della sua natura e dei suoi scopi, la pubblicità ha sempre avuto bisogno di ritualità, come si constata ancora nei mercati popolari: la stretta di mano, le strategie ostensive, il contratto scritto, la presenza di terzi testimoni, ecc. Le forme più antiche di pubblicità riguardano le strategie di controllo sociale e politico, quindi i campi della religione (testi sacri) e del diritto (publicazione di leggi e decreti). Successivamente si sviluppa la pubblicità commerciale. Nell’antica Roma il Ius Peregrinum era il complesso di norme che regolavano i rapporti dei Romani con gli stranieri, specie nel campo dei commerci.
Tipologia delle azioni pubblicitarie Propaganda religiosa.
Nell’antichità dalla prassi commerciale del mercato e del tribunale le forme più elementari di pubblicità sono state recepite dal teatro. Da questi tre ambienti (mercato,tribunale, teatro) la Chiesa, fin dalle sue origini, ha tratto molte unità lessicali specialistiche per designare la comunicazione del messaggio religioso, il vangelo (lat. evangelium, dal greco eu-angelion, la “buona notizia” della salvezza).
Questa notizia va detta a voce alle persone perché, come dice S. Paolo, la fede si comunica con la bocca e si riceve con l’orecchio (Rom 10.17: «La fede dipende dunque dalla predicazione»; anzi va gridata dai tetti: l’evangelizzatore doveva avere una voce potente, specie in tempi in cui mancavano amplificatori. Ecco perché le basiliche si costruivano con attenzione all’acustica dell’ambiente, come si faceva con i teatri.
Il nucleo centrale della predicazione era chiamato kerigma, e il catechista kèryx ‘araldo, banditore’, in latino praeco, -onis, lo stesso nome del banditore del mercato. La traduzione latina di kérygma, praeconium, era, come precisa il lessico etimologico latino di Ernout e Meillet la «charge de crieur public; d'où “publication, appel”; et spécialement “éloge (public)", praedicatio alicuius rei et laus antecedens». Questo senso particolare di fare l’elogio della cosa prima dell’annuncio (laus antecedens) «est venu sans doute de l’habitude qu’avaient les praecones de faire l'éloge au théatre des pièces qu’ils annonçaient, cf. la glose praeconium "laus antecedens theatrum"» (vedi Corpus Glossariorum Latinorum V, 474 15.
La stessa parola propaganda ha avuto origine nella Congregazione de Propaganda fide ‘per la propagazione della fede’, istituita da papa Gregorio XV con la bolla Inscrutabili Divinae providentiae del 22 giugno 1622, per combattere la riforma protestate e diffondere la fede tra gli eretici e i non cattolici.
Propaganda politica
La propaganda politica è la forma più diffusa della comunicazione persuasiva, che fa leva sulle emozioni, sull’autorevolezza, sull’esempio, per orientare le opinioni e modificare i comportamenti delle masse. C’è una forma esplicita e una surrettizia, indiretta. Essa diventa ossessiva e magniloquente nel caso delle dittature, petulante e agressiva nel caso delle democrazie. Sempre è imperativa e a volte catastrofistica.
Il de bello Gallico di Giulio Cesare fu un’opera di propaganda; l’autore, grande generale, si propone come pacificatore della Gallia; così l’ara pacis voluta da Augusto celebra l’imperatore come fondatore della Pax Romana. L’interesse a circondare la propria corte di poeti, scrittori e artisti ha sempre cafatterizzato i sovrani, a prescindere dal loro reale interesse per le arti. Uno scopo primario assicurarsi la gloria e il consenso.
Alla propaganda politica va annessa quella socio-culturale-etnica.
Propaganda commerciale
Il commercio (< lat. cum + merx) comporta lo scambio di beni: la voce merx ‘merce’ sembra connessa con il merito (merere ‘meritare’); dall’attività del mercari ‘commerciare’ deriva il nome del luogo deputato e dell’attività connessa (mercato).
Il nesso tra commercio e pubblicità è assicurato fin dalle origini di Roma dal nome di Mercurio, il dio del commercio e nello stesso tempo dio della parola, dio “messaggero” per eccellenza. Dunque le due funzioni del commerciare e del mediare nei commerci pertengono alla stessa figura divina di Mercurio, che è Nundinator (CIL 13, 7569), mercimonii deus (Serv. ad Aen. 8, 138) e, nello stesso tempo, intermediario e protettore dei praecones, ipostasi della «parola» che intercorre tra compratore e venditore, come risulta dall'etimologia varroniana tramandata da Agostino: «Mercurius quasi medius currens dicitur appellatus quod sermo currat inter homines medius; ideo Ἕρμης Graece, quod sermo vel interpretatio quae ad sermonem utique pertinet, ἑρμηνεία dicitur; ideo et mercibus praeesse, quia inter vendentes et ementes sermo fit medius» (de civ. Dei 14, 17). Ed è per questo che il dio, oltre ad essere celebrato come administer ac nuntius tra superi e inferi (Macr. Sat. 1, 19, 11), e anche furti magister, «quia sermo animos audientium fallit» (Isid. etym. 8, 11, 45 sgg.). Il caduceo, una verga con due serpenti incrociati, divenuto simbolo dei medici, era il bastone dell’araldo (caducèo < karykeion ‘verga del banditore’), simbolo di Mercurio.
La voce moneta ‘denaro’, a sua volta deriva dall’appellativo di Giunone Moneta, nel cui tempio si trovava la zecca. Moneta è termine corradicale di mens ‘mente’ e significa ‘colei che rammenta’; in questo senso traduce il greco Mnemosyne, la divinità madre delle Muse6.
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