Guerra giudaica



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LIBRO II

CAPITOLO PRIMO

Libro II:1 - 1, 1. La necessità che Archelao, aveva di recarsi a Roma diede l'avvio a nuovi disordini. Infatti dopo aver osservato sette giorni di lutto per il padre e aver offerto al popolo un sontuoso banchetto funebre (quest'uso manda in miseria molti giudei, perché è obbligatorio convitare il popolo, altrimenti si passa per empi), Archelao indossò la veste bianca e fece il suo ingresso nel tempio, dove il popolo lo accolse con varie acclamazioni d'augurio.


Libro II:2 Seduto su un trono d'oro posto sopra un alto palco, egli salutò la folla e la ringraziò sia per l'attac­camento dimostrato nei funerali del padre, sia per l'omaggio reso a lui come se già fosse re con tutti i crismi; dichiarò tuttavia che per il momento intendeva astenersi non solo dall'esercizio del potere, ma anche dal titolo regio, fino a che non venisse ratificata la successione da Cesare, cui anche a tenore del testamento spettava di disporre ogni cosa.
Libro II:3 Non diversamente, quando a Gerico l'esercito aveva voluto cin­gerlo del diadema, egli non l'aveva accettato; di tale devozione e di tale affetto egli avrebbe a suo tempo ricompensato a do­vere sia i soldati, sia il popolo quando fosse stato definitiva­mente consacrato re da coloro cui spettava di farlo; poiché in ogni cosa egli si sarebbe sforzato di mostrarsi con loro più buono del padre.
Libro II:4 - 1, 2. Lieta per queste promesse, la folla cercò subito di saggiare la sua disposizione con grosse richieste; infatti chi gli gridava di diminuire le imposte, chi di abolire le tasse e alcuni anche di rimettere in libertà i prigionieri. Per ingra­ziarsi la folla, Archelao annui prontamente a tutte le richieste. Poi celebrò un sacrificio e si mise a banchetto con gli amici.
Libro II:5 Ma verso sera, non pochi di coloro che progettavano un'insurrezione, essendo finito il lutto pubblico per il re, diedero inizio a una manifestazione di lutto privato per compiangere quelli che erano stati condannati da Erode per aver abbattuta l'aquila d'oro sulla porta del tempio.
Libro II:6 E il compianto non era sommesso, ma gemiti acuti e lamentazioni ritmate e un bat­tersi il petto che risuonavano per tutta la città, come si con­veniva, essi dicevano, per uomini che erano morti tra le fiam­me in difesa delle leggi patrie e del tempio.
Libro II:7 E dicevano che bisognava trarne vendetta sui favoriti di Erode, e anzitutto si doveva deporre il sommo sacerdote nominato da lui; in­fatti spettava a loro di eleggerne uno più pio e più puro.
Libro II:8 - 1, 3. La cosa suscitò la collera di Archelao, che tuttavia rinviò il castigo per la premura di mettersi in viaggio, temendo che, se avesse affrontato il popolo, sarebbe stato trattenuto dai disordini. Pertanto, cercò di tenere a bada i ribelli più con la persuasione che con la maniera forte, e inviò il capi­tano per esortarli a desistere.
Libro II:9 Ma come questi mise piede nel tempio, prima che potesse aprir bocca, i ribelli lo scaccia­rono a colpi di pietra, e così quelli che dopo di lui arrivarono per ricondurli alla ragione - molti ne mandò Archelao -, e diedero sempre risposte violente, ed era chiaro che non sa­rebbero rimasti quieti, se fossero cresciuti di numero.
Libro II:10 So­pravvenuta la festa degli Azzimi, che presso i giudei si chiama Pasqua, e comporta un gran numero di sacrifici, una folla strabocchevole arrivò dal contado per la celebrazione, e i pro­motori del lutto per i dottori se ne stavano raccolti nel tem­pio cercando proseliti per la sommossa.
Libro II:11 Ciò destò il timore di Archelao, e prima che quella peste si diffondesse per tutto il popolo, mandò un comandante con mille uomini ordinandogli di arrestare con la forza i capi della rivolta. Ma contro di loro insorse in massa tutta la folla e a colpi di pietra uccisero la maggior parte dei soldati; lo stesso comandante rimase ferito e a stento riuscì a salvarsi.
Libro II:12 Quindi, come se non fosse accaduto nulla di grave, ritornarono alle cerimonie sacri­ficali, mentre Archelao, stimando di non poter più tenere a freno la folla senza spargimento di sangue, fece intervenire contro di loro l'esercito al completo: la fanteria a ranghi serrati entro la città, mentre la cavalleria operava nella piana circostante.
Libro II:13 I fanti piombarono all'improvviso sui vari gruppi che attendevano alle cerimonie sacrificali e ne uccisero circa tremila; il resto della folla si disperse sui monti vicini. Arriva­rono poi gli araldi di Archelao a ordinare che ognuno se ne ritornasse a casa, e tutti partirono abbandonando la festa.

LIBRO II

CAPITOLO SECONDO

Libro II:14 - 2, 1. Archelao con la madre e con gli amici Popla, To­lemeo e Nicola si diresse verso il mare lasciando Filippo come sovrintendente alla reggia e incaricato degli affari pri­vati.


Libro II:15 Si misero in viaggio anche Salome coi suoi figli, nonché i nipoti e i generi del defunto re, apparentemente per aiutate Archelao ad ottenere la successione, ma in realtà con l'inten­zione di metterlo sotto accusa per la violenta repressione dei disordini nel tempio.
Libro II:16 - 2, 2. A Cesarea la comitiva s'incontrò con Sabino, il procuratore della Siria, che si recava in Giudea per sottoporre a sequestro conservativo le sostanze di Erode. Egli interruppe il suo viaggio per l'intervento di Varo, che Archelao aveva fatto istantemente pregare da Tolemeo perché venisse.
Libro II:17 E per il momento Sabino, in ossequio a Varo, né procedette ad assumere il controllo delle piazzeforti, né escluse Archelao dai depositi delle ricchezze paterne, ma promise che non si sarebbe mosso fino a che Cesare non avesse preso delibera­zioni e rimase a Cesarea.
Libro II:18 Quando però nessuno poté più im­pedirglielo, essendo Varo ritornato ad Antiochia e Archelao salpato alla volta di Roma, immediatamente si trasferì a Gerusalemme ove occupò la reggia e, convocati i capi delle guar­nigioni e degli uffici amministrativi, cercò di indagare sulla situazione finanziaria e di prendere possesso delle piazzeforti.
Libro II:19 Però i responsabili non trasgredirono gli ordini di Archelao e ognuno rimase al suo posto dichiarando di farlo in ossequio a Cesare più che ad Archelao.
Libro II:20 - 2, 3. A questo punto anche Antipa si mise in viaggio per sostenere le sue pretese al trono, affermando che più dei codi­cilli valeva il testamento, in cui era lui ad essere designato re. Gli avevano in precedenza promesso il loro appoggio Salome e molti di quelli che erano partiti al seguito di Ar­chelao.
Libro II:21 Egli aveva attirato dalla sua parte la propria madre e il fratello di Nicola, Tolemeo, che poteva avere un'importanza decisiva per i legami che lo avevano unito ad Erode: tra i suoi amici era stato infatti quello più tenuto in onore; so­prattutto però confidava nel retore Ireneo per l'efficacia della sua eloquenza, e perciò respinse chi gli consigliava di cedere ad Archelao per rispetto della sua maggiore età e dei codi­cilli.
Libro II:22 In Roma si riversò su di lui la simpatia di tutti i parenti che non potevano soffrire Archelao; a preferenza ognuno auspicava una forma di autonomia controllata dal governo di Roma, ma se ciò non era possibile, desiderava che il regno andasse ad Antipa.
Libro II:23 - 2, 4. Cooperava con loro a questo fine anche Sabino, che inviò a Cesare lettere in cui accusava Archelao mentre tes­seva ampie lodi di Antipa.
Libro II:24 Coloro che facevano capo a Sa­lome raccolsero in un documento le accuse e lo consegnarono a Cesare; dopo di loro anche Archelao redasse una nota sui punti fondamentali dei suoi diritti e la inoltrò per mezzo di Tolemeo insieme con l'anello del padre e con i rendiconti amministrativi.
Libro II:25 Cesare, dopo aver prima considerato in pri­vato le ragioni delle due parti, e la grandezza del regno e l'entità delle entrate, e inoltre il numero dei discendenti di Erode, e letti prima i dispacci inviatigli su tale argomento da Varo e Sabino, convocò un consiglio di personaggi autorevoli, a cui per la prima volta partecipò il suo figlio adottivo Gaio, nato da Agrippa e da sua figlia Giulia, e diede inizio al dibattito.
Libro II:26 - 2, 5. Si levò Antipatro, figlio di Salome, il parlatore più abile fra gli avversari di Archelao, e prese ad accusarlo rile­vando che Archelao a parole dava a vedere da un po' di tempo di non essere certo se sarebbe diventato re, mentre in realtà faceva il re già da un pezzo, e solo per burla ora pen­deva dalle labbra di Cesare mentre non ne aveva atteso la ratifica della successione;
Libro II:27 infatti, dopo la morte di Erode, aveva spinto alcuni a cingerlo del diadema e si era assiso sul trono e aveva agito con poteri di re, aveva introdotto cam­biamenti nei ranghi dell'esercito e conferito promozioni,
Libro II:28 al popolo aveva concesso tutto ciò che gli aveva chiesto come a un sovrano, aveva messo in libertà quelli che il padre aveva imprigionati per gravissime colpe mentre ora si presentava a chiedere al padrone l'ombra di quella potestà regale di cui già aveva usurpato la sostanza, facendo di Cesare un dispen­satore non di effettivi poteri, ma di semplici titoli.
Libro II:29 Aggiunse poi l'accusa di non aver preso sul serio il lutto per il padre, perché di giorno aveva atteggiato il volto a dolore, ma la sera aveva gozzovigliato fino all'ebrietà, e a tal proposito dichiarò che i disordini popolari erano scoppiati per lo sde­gno suscitato da un simile comportamento.
Libro II:30 Il punto cruciale del suo intero discorso fu il numero sterminato di coloro che erano stati massacrati nel tempio, venuti per una festa religiosa e trucidati senza pietà durante l'offerta dei loro sacrifici; nel tempio si era ammucchiata una tale quantità di cadaveri, quanta non ne avrebbe accumulata nemmeno una guerra con­tro stranieri sopravvenuta inaspettata.
Libro II:31 Proprio in previsione di questa sua ferocia anche suo padre non lo aveva stimato degno nemmeno di una speranza di arrivare a regnare, almeno fino a quando, infermo più di mente che di corpo, non fu più capace di ragionare rettamente e non si rese conto di quale uomo stava scrivendo il nome nel testamento destinandolo a suo successore, e ciò pur non potendo muovere alcun ap­punto a chi aveva precedentemente nominato successore nel testamento scritto quando era sano di corpo e aveva la mente libera da ogni turbamento.
Libro II:32 Ad ogni modo, anche se qualcuno avesse attribuito maggiore validità alla volontà espressa dal padre quando era malato, Archelao si era di per sé escluso dal regno per le illegalità che aveva commesse contro di esso; che razza di re sarebbe diventato, una volta ricevuta l'inve­stitura da Cesare, uno che, prima di riceverla, aveva fatto massacrare un così gran numero di sudditi?
Libro II:33 - 2, 6. Dopo essersi dilungato in tali accuse e aver citato a testimone per ogni capo d'imputazione la maggior parte dei parenti, Antipatro pose fine al suo discorso.
Libro II:34 A difesa di Ar­chelao si levò a parlare Nicola, e dimostrò che la strage nel tempio era stata una necessità; gli uccisi risultavano infatti nemici non soltanto del regno, ma anche di Cesare che del regno era l'arbitro.
Libro II:35 Circa gli altri fatti incriminati, mise in evidenza che gli stessi accusatori avevano a suo tempo con­sigliato di agire a quel modo. Sostenne che il codicillo aveva la sua validità soprattutto perché in esso Erode costituiva Cesare garante della successione;
Libro II:36 infatti chi era stato così as­sennato da inchinarsi all'autorità del padrone del mondo, cer­tamente non si era sbagliato nella scelta di un erede: chi ri­conosceva l'autorità donde promanava l'investitura era stato anche saggio nello scegliere l'uomo da investire del potere.
Libro II:37 - 2, 7. Dopo che Nicola ebbe svolti tutti gli argomenti, Archelao si fece avanti e si gettò alle ginocchia di Cesare, senza parlare. Quello con molta benevolenza lo fece alzare e di­chiarò che era degno della successione paterna, ma non pro­nunziò una sentenza definitiva.
Libro II:38 Sciolto il consiglio, per quel giorno esaminò fra sé le tesi che aveva udito sostenere, se conveniva riconoscere come successore uno di quelli menzionati nel testamento o spartire il regno fra tutti i figli; gli sembrava infatti che i più di loro avessero bisogno di tutela.


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