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L'edificio del 1853 (casa don Bosco)



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3.1.2. L'edificio del 1853 (casa don Bosco)


Terminati i lavori per la chiesa di san Francesco di Sales don Bosco, che ancora non ha finito di pagare i debiti, decide di passare immediatamente alla seconda fase del progetto: la costru­zione di un edificio che gli offra ambienti dignitosi e spazio per sviluppare le attività dell'Oratorio e ospitare, in modo meno precario, i molti ragazzi totalmente abbandonati che incontra o che gli vengono raccomandati. Il gruppo crescente dei giovani in­terni , accolto nelle povere stanzucce di casa Pinardi, all'ini­zio del 1852 ha superato la trentina ed ha bisogno di dormitori più ampi, di una sala di studio e di un refettorio. Fino a que­sto momento infatti, eccetto il gruppetto di ospiti paganti, o­gnuno mangiava nel suo gavettino disperdendosi nel cortile o ne­gli ambienti della casa.

Giovanni Cagliero che, rimasto orfano di papà, se ne arriva a Valdocco tredicenne nel 1851, ci descrive la povertà di quei primi inizi e la familiare accoglienza di don Bosco e mamma Mar­gherita:


“Ricordo sempre con piacere il momento della mia entrata nell'Oratorio la sera del 2 novembre. D. Bosco mi presentò alla buona mamma Margherita, dicendo: - Ecco, mamma, un ra­gazzetto di Castelnuovo, il quale ha ferma volontà di farsi buono e di studiare.

Rispose la mamma: - Oh sì, tu non fai altro che cercare ragazzi, mentre sai che manchiamo di posto.

D. Bosco sorridendo soggiunse: - Oh, qualche cantuccio lo troverete!

- Mettendolo nella tua stanza, - rispose la mamma.

- Oh, non è necessario. Questo giovanetto, come vedete, non è grande, e lo metteremo a dormire nel canestro dei grissini; e con una corda lo attaccheremo su in alto ad un trave; ed ecco il posto bello e trovato alla maniera della gabbia dei canarini. - Rise la madre ed intanto cercommi un sito, e fu necessario per quella sera che dormissi con un mio compagno ai piedi del suo letto.

L'indomani vidi che tutto era povero in quella casetta. Bassa ed angusta la stanza di D. Bosco, i dormitorii nostri a pian terreno, stretti e col selciato di pietre da strada, e con nessuna suppellettile, tranne i nostri pagliericci, lenzuola e coperte. La cucina era meschinissima e sprovvista di stoviglie, eccetto di alcune poche scodelle di stagno col rispettivo cucchiaio. Forchette e coltelli e salviette li vedemmo poi molti anni dopo, comprati o regalati da qualche pia e caritatevole persona. Il refettorio nostro era una tettoia, e quello di D. Bosco una stanzetta, vicina al poz­zo, che serviva di scuola e luogo di ricreazione. E tutto questo cooperava a tenerci nella condizione bassa e povera nella quale eravamo nati e nella quale ci trovavamo educati dall'esempio del servo di Dio, il quale molto godeva, quando poteva egli stesso servirci nel refettorio, prestarsi a te­nere in assetto il dormitorio, pulire e rappezzare gli abi­ti, ed altri simili servizii.

La sua vita comune, che faceva con noi, ci persuadeva che noi più che in un ospizio o collegio, ci trovavamo come in famiglia, sotto la direzione di un padre amorosissimo e di niente altro sollecito fuorché del nostro bene spirituale e temporale” (MB 4, 291-292).
Lo scoppio della vicina polveriera, avvenuto il 26 aprile 1852, aveva danneggiato la fragile casa Pinardi: era necessario quindi non indugiare.

Costruzione


Nell'estate del 1852 si effettuarono gli scavi per il nuovo edificio che doveva sorgere sul prolungamento di casa Pinardi, verso est, fino al muro divisorio con la proprietà Filippi, lungo il quale un'ala di fabbricato si sarebbe protesa in avanti, pa­rallelamente alla chiesa di san Francesco di Sales. In novembre si era giunti con i muri all'altezza del secondo piano. Il giorno 20, per la rottura di un ponteggio nel braccio a levante, quello delle Camerette, crollò un muro dall'ultimo piano, ferendo grave­mente tre operai (cf MB 4, 506). Don Bosco ne fu addolorato, ma i lavori ripresero alacremente per l'urgenza di sistemare i dormitori e le scuole serali degli artigiani. In una decina di giorni si giunse al tetto.
“La fabbrica era al coperchio. Già le travature collocate a posto, i listelli inchiodati, le tegole ammonticchiate sul culmine per esservi ordinatamente deposte; quando un violen­to e prolungato acquazzone fece interrompere ogni lavoro. Né qui fu il tutto; ché la pioggia diluviò più giorni e più notti, e l'acqua, scorrendo e colando dalle travi e dai li­stelli, rose e trasse seco la fresca e fors'anche cattiva calcina, lasciando le muraglie come un mucchio di mattoni e di pietre senza cemento e legatura” (MB 4, 507).
La notte del primo dicembre 1852, verso le undici, la nuova costruzione crollò. Don Bosco e i giovani che stavano dormendo non subirono danni. Il giorno successivo si vide un grosso pilastro in bilico sul lato di casa Pinardi in cui si tro­vavano la stanza di don Bosco e i dormitori dei giovani, miraco­losamente rimasto al suo posto. Fu un disastro economico, ma il Santo non si scoraggiò.

In attesa di riprendere i lavori nella primavera, fece si­stemare la vecchia cappella-tettoia trasformandola in dormitorio e trasferì le scuole nella nuova chiesa, la quale al mattino e nei giorni festivi serviva per il culto e la preghiera e lungo la settimana, dopo pranzo e alla sera, si trasformava in grande au­la. Le classi erano distribuite in coro, in presbiterio, nelle due cappelle laterali, in orchestra e nel corpo della chiesa. Si può facilmente immaginare l'effetto sonoro che ne derivava, ma tutti vi si adattarono facilmente (cf MB 4, 517).

Con la bella stagione i lavori ripresero ed anche le fatiche di don Bosco per reperire i fondi necessari. Nell'ottobre 1853 la casa era terminata, con un bel porticato, tanto necessario nei giorni di maltempo. Alla fine di quel mese vi furono trasferite le scuole, il refettorio e i dormitori, mentre la cappella-tettoia venne destinata a sala di studio. Si poterono accogliere altri giovani, così il loro numero salì a 65; verso la fine dell'estate 1854 erano già 76.

Il braccio ad est dell'edificio, costruito parallelamente alla chiesa di san Francesco di Sales, subirà col tempo progressivi ingrandimenti: quello che oggi vediamo è raddoppiato in larghezza e allunga­to rispetto alla primitiva costruzione.

Il pian terreno di questo braccio fu utilizzato come magazzino dei legnami per la falegnameria.

Al primo piano, dove oggi ci sono alc­une sale di presentazione della figura di don Bosco e dell'Opera Salesiana, il Santo aveva collocato inizialmente una camerata per i giovani artigiani e più tardi una sala di studio. In seguito (fino al 1988) in questi ambienti avranno sede gli uffici del Bollettino Salesiano.

Al secondo piano si trovavano tre stanze. “Quella che faceva angolo colla parte principale dell'e­difizio fu occupata da due o tre giovani, che ivi abitarono e dormirono, pronti ad ogni bisogno di don Bosco; la seconda doveva servire quasi di biblioteca, e quivi era lo scrittoio pel Ch. Rua” (MB 4, 657-658); più tardi essa sarà adibita ad uffi­cio di don Gioachino Berto, segretario di don Bosco; in seguito, dal 1865 al 1888, diverrà la camera di don Rua eletto Prefetto generale, cioè vicario di don Bosco, e di co­loro che gli succedettero in questa carica: don Domenico Belmonte (dal 1888 al 1901) e don Filippo Rinaldi (dal 1901 al 1914).

La terza stanza fu la camera di don Bosco per otto anni (1853-1861). Per accedere ad essa come agli altri vani dell'edificio, si doveva passare sul ballatoio esterno. Era illuminata dalla porta a vetri del balcone e da una finestra a mezzogiorno.

L'arredo era semplice ed essenziale:
“Le suppellettili di questa, che non si mutarono finché visse, erano un lettucciuolo di ferro e mobili, in parte do­nati da' benefattori; alcune sedie più che ordinarie, per scrittoio uno stretto e rozzo tavolino senza tappeto e scaf­fali, un canapé vecchio e stravecchio, un burò scantonato per custodire le carte, un semplicissimo inginocchiatoio di pioppo, che serviva per le confessioni, un crocifisso e al­cuni quadri con sacre immagini. Per molto tempo quella unica stanza servì per camera da letto, per sala di ricevimento, di aspetto e di ufficio” (MB 4, 657-658).
Su questa stanza si abbatté un fulmine la notte del 15 maggio 1861, dopo aver creato scompiglio nella sovrastante ca­merata posta sotto il tetto. I danni furono molti e grande lo spavento, ma tutti rima­sero illesi. Quando si terminò l'allargamento dell'edificio, l'8 dicembre 1861, don Bosco volle collocare al centro del timpano u­na statuetta della Madonna come "parafulmine" contro ogni male dell'Oratorio. Ancora oggi, sul frontone delle Camerette, costruito nel 1876, si può vedere una statua dell'Ausiliatrice che ci ricorda il fatto.

Nuove attività


Con l'aumento dello spazio disponibile si inaugurarono anche altre attività. La preoccupazione di collocare dignitosamente i suoi giovani artigiani affinché potessero ricevere una buona for­mazione professionale e umana insieme, aveva interessato don Bosco fin dai primi tempi dell'Oratorio. Egli cercava padroni onesti, andava a visitare i ragazzi sul lavoro e, dal novembre 1851, co­minciò a stipulare veri contratti di apprendistato, che ben pre­sto stilò a norma di legge su carta bollata. Nonostante la vigi­lanza e la cura, continuavano a verificarsi inconvenienti a volte gravi. Decise allora di costituire laboratori interni, con l'idea di trasformarli in vere scuole artiginali.

Così alla fine del 1853 avviò i primi due piccoli laborato­ri: quello dei calzolai e quello dei sarti. Il primo, affidato a Domenico Goffi, lo collocò in un piccolo corridoio di casa Pinar­di presso il campanile, il secondo, sotto la guida del sarto Pa­pino, ebbe sede nell'antica cucina.

Compilò un Regolamento per i Maestri d'Arte per determinare i loro compiti e le responsabilità professionali e formative nei riguardi degli apprendisti (cf MB 4, 659-662). Con l'esperienza degli anni successivi questo primo abbozzo maturerà in un Regola­mento dei Laboratori (1862) più completo ed organico (cf MB 7, 116-118). I primi laboratori avevano lo scopo di garantire una solida formazione professionale ai giovani apprendisti e contem­poraneamente quello di sottrarli al pericolo rappresentato dai discorsi anticlericali ed osceni o dagli scandali che facilmente si verificavano nelle botteghe esterne. Nello stesso tempo, però, venivano incontro ai bisogni primari di una casa in cui erano ac­colti tanti poveri giovani da vestire e calzare e che andava e­spandendosi con continue costruzioni piccole e grandi. Assicura­vano poi qualche piccolo introito con i lavori fatti per clienti esterni.

L'abate Antonio Rosmini, col quale don Bosco era in amiche­voli rapporti, gli suggerì di impiantare anche una tipografia. Il Santo, che stava avviando la collana popolare delle Letture Cat­toliche, apprezzò il suggerimento, ma, in attesa di poter reperi­re lo spazio e gli ingenti capitali necessari all'impresa (vi riuscirà solo nel 1861), si accontentò di iniziare il laboratorio di legatoria nel 1854. Destinò a questa attività la seconda stanza a piano terra del nuovo fabbricato, vicino alla scala, con piccola libreria commerciale annessa. In questo caso maestro le­gatore fu don Bosco stesso, ed il primo allievo si chiamava Bedi­no (cf MB 5, 34-37).


Terminato questo fabbricato, don Bosco avrebbe voluto com­pletarlo subito con l'abbattimento di casa Pinardi, in modo da congiungerlo con la chiesa. Ma, tra la fine del 1853 e gli inizi del 1854, si verificò una crisi economica generale dello Stato con il conseguente vorticoso aumento dei prezzi delle derrate a­limentari e dell'edilizia in particolare. Il progetto per il mo­mento fu accantonato, poiché era più urgente reperire fondi per sfamare i ragazzi.


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