La ricostruzione medico legale


sono stati acquisiti diversi e inquietanti elementi di conferma



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sono stati acquisiti diversi e inquietanti elementi di conferma. …Trattasi, (comunque) di episodio estraneo al presente processo, sul quale non vi è stato, né poteva esservi, un approfondito esame istruttorio”.

Nell’esaminare gli spostamenti del CALCARA necessari al compimento delle attività delittuose inerenti quel processo, la sentenza rileva che:

Per i propri spostamenti, (il CALCARA all’epoca era sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di Paterno Dugnano) godeva anche della protezione del comandante della stazione dei Carabinieri di quel centro, Maresciallo GIORGIO DONATO, amico sia del Lucchese che del Vaccarino”. E aggiunge:

Pienamente riscontrate sono risultate, poi, le propalazioni del CALCARA, laddove il collaborante riferisce che, pur essendo egli assoggettato alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S., la sua piena libertà di movimenti era garantita dall’appoggio fornito dal Comandante della stazione C.C. di Paterno Dugnano, M/llo GIORGIO DONATO, intimo amico oltre che del Lucchese, anche del Vaccarino”.

Entrando nello specifico del viaggio descritto da CALCARA, “la Corte osserva che se da un lato alcuni particolari dei racconti, e più specificatamente quello del trasporto del denaro, destano indubbie perplessità, non può dall’altro non tenersi conto che anche relativamente agli episodi in esame sono stati acquisiti diversi ed inquietanti elementi di conferma”18.

La sentenza, infine, si sofferma sul ruolo centrale del Lucchese nel traffico di droga e indica i riscontri al fatto che CALCARA venne assunto dalla Dufrital proprio per le pressioni del Lucchese:

Risulta pacifico, alla stregua delle concordi ammissioni fatte dai dirigenti della Montecucco Marco e Pirovano Agostino, che fu effettivamente il Lucchese a segnalare l’assunzione di CALCARA, cosa che avvenne nei primi mesi del 1981. (…). Al momento del suo trasferimento in Paterno Dugnano, in data 29.04.81, CALCARA comunicò alla stazione CC di San Giuliano Milanese che avrebbe temporaneamente alloggiato proprio presso il predetto Lucchese Michele, fino a nuova sistemazione”.


5. Le valutazioni probatorie sugli atti del dibattimento e sulle acquisizioni documentali.

Quindi, il contenuto ed il significato del ruolo di CALCARA in “Cosa Nostra” è ben diverso da quello prospettato dalla parte civile. Entrambi gli atti esaminati attribuiscono alle dichiarazioni di CALCARA una forte e non usuale attendibilità interna ed indicano una serie di riscontri obbiettivi al suo racconto. Anche la Sentenza della Corte d’Appello di Palermo, da ultimo esaminata, sebbene prospetti il dubbio sulla qualità di “uomo d’onore” di CALCARA, non solo non la esclude categoricamente (vi sono prove in un senso e nell’altro), ma - ed è ciò che conta ai nostri fini - afferma con certezza la partecipazione di CALCARA ad una serie di attività criminose inquadrabili nell’organizzazione criminale di “Cosa Nostra”. Non solo, ma la sentenza enuncia come provati una serie di elementi e circostanze riferibili al racconto di CALCARA, oggetto di questo processo, che assumono il carattere di riscontro obiettivo a quanto da lui affermato davanti ai giudici di Marsala e in questa sede.

I fatti oggetto di quei processi si svolgono nello stesso ambiente e molti dei protagonisti dei reati accertati in quella sede, che hanno concorso con il CALCARA nel commetterli, sono gli stessi protagonisti della vicenda relativa al trasporto dei 10 miliardi e fanno parte di “Cosa Nostra” organicamente. A nulla rileva il fatto che la credibilità di CALCARA sia enfatizzata in relazione alle sue propalazioni concernenti i reati comuni, mentre, per quanto riguarda quelle concernenti le chiamate in correità ex 416 bis c.p., i giudici della corte d’Appello di Palermo si siano posti dei criteri di valutazione più rigidi, posto che quei reati comuni non riguardano certo soggetti esterni agli ambienti mafiosi, ma sono stati commessi da CALCARA in concorso con “uomini d’onore” o persone considerate affidabili da “Cosa Nostra” sotto la direzione di veri e propri capi di “Cosa Nostra”, di quegli stessi capi e di quelle stesse persone indicate da CALCARA nel racconto oggetto del presente procedimento.

Se Messina Denaro Francesco, riconosciuto capo assoluto della famiglia di Castelvetrano, ha potuto affidare a CALCARA delicatissimi compiti in seno all’organizzazione mafiosa relativamente ad un traffico internazionale di ingenti quantitativi di morfina ed eroina, non si vede per quale ragione non avrebbe potuto affidargli il compito di partecipare al noto viaggio con un ruolo peraltro marginale rispetto a quello assegnato ad altri, quale quello di garantire la sicurezza dell’operazione nell’apparente stato di Carabiniere. Né si vede, per le stesse ragioni, perché, pur non essendovi prova che il Maresciallo GIORGIO DONATO fosse “uomo d’onore”, tenuto conto del suo profondo legame col Lucchese e con CALCARA, delle sue frequentazioni assidue con i vertici della mafia di Castelvetrano, del suo ruolo di copertura di CALCARA nel mentre costui favoriva per conto della mafia l’ingresso per mesi di ingenti quantitativi di droga, egli non potesse essere scelto insieme a CALCARA ad esercitare un ruolo, certamente marginale, ma necessario all’organizzazione del viaggio, quale quello, nella veste – si badi bene di un vero Maresciallo dei Carabinieri – di garantire la “sicurezza” del viaggio e dell’intera operazione.
La sentenza riconosce il Lucchese come soggetto di “sicura estrazione mafiosa”. Per Vaccarino parla di un “quadro probatorio insufficiente”, ma riconosce la sussistenza di rapporti con soggetti al vertice della famiglia di Castelvetrano (Messina Denaro, Furnari Saverio e Vincenzo) e la sua “contiguità” all’ambiente mafioso locale: “era socio e vice presidente dell’Agricola mediterranea, la cui compagine sociale era connotata dalla presenza massiccia di ”. “Vaccarino” – recita la Sentenza – “non ha potuto disconoscere di aver segnalato CALCARA al Lucchese perché lo assumesse nella sua impresa come manovale, così come in precedenza era avvenuto per il di lui fratello (…). La valutazione complessiva delle emergenze processuali dimostra inequivocabilmente che l’assunzione alla Dufrital del CALCARA fu fortemente voluta da Lucchese e dal Vaccarino”.
Le sentenze esaminate, quindi, forniscono sicuri e inequivocabili elementi di riscontro a tutto il racconto del CALCARA riferibile al contorno del viaggio di cui egli ha riferito.

CALCARA fu assunto dalla “Dufrital” nei primi mesi del 1981. Le sentenze esaminate contengono la piena prova che gran parte delle attività illecite perpetrate all’interno dell’aeroporto di Linate si verificarono da quel periodo in poi.

Non è dato sapere se il Maresciallo GIORGIO DONATO fosse a conoscenza del ruolo esercitato dal CALCARA all’interno dell’aeroporto di Linate, ma certamente egli era a conoscenza che quell’assunzione venne fatta grazie all’intervento del suo amico Lucchese e che il CALCARA si allontanava dal o dai comuni, dove, come sorvegliato speciale con obbligo di dimora, non avrebbe potuto allontanarsi senza una qualche autorizzazione o copertura. A nulla rileva il fatto che prima del 26.04.81 il comune di competenza si trovasse a pochi chilometri di distanza – circa 25 - da Paderno Dugnano. Egli era pur sempre un sottufficiale dell’Arma con precisi doveri e obblighi in proposito. Che egli ne fosse a conoscenza e che abbia offerto la sua copertura è indubbio. Le dichiarazioni di CALCARA sul punto sono riscontrate non solo dall’acclarato rapporto di amicizia tra il maresciallo GIORGIO DONATO e il Lucchese, ma anche dal fatto che il rapporto di lavoro alla Dufrital proseguì anche dopo il 27.04.81. Ed, inoltre, dal fatto che di fronte alle affermazioni di CALCARA nel corso del confronto citato del 30.05.95 presso l’aula bunker del carcere di Como, davanti al tribunale di Marsala (processo Alfano + 15), egli è stato costretto ad ammettere di conoscere anche il direttore della “Dufrital”, tale Montecucco19. Orbene, che anche il Montecucco fosse in qualche modo influenzabile dal Lucchese – come precisa CALCARA facendo riferimento ad un illecito traffico di reperti archeologici – è assai verosimile tenuto conto che, in caso contrario, mai e poi mai egli avrebbe assunto nella sua ditta un sorvegliato speciale del calibro di Vincenzo CALCARA.

Come si è visto, dalle risultanze processuali è emerso in modo certo che CALCARA godesse della libertà di movimento anche quando era sottoposto a sorveglianza speciale ed obbligo di dimora nel comune di S. Giuliano Milanese. CALCARA non parla mai dei Carabinieri di quel Comune. Quando gli si è chiesto qualcosa sul punto, egli ha sempre risposto che la libertà di movimento e l’assenza di controlli di qualsiasi genere gli vennero sempre garantiti dal Maresciallo GIORGIO DONATO. Egli ha insistito sul fatto che pur figurando formalmente in carico ai Carabinieri di San Giuliano Milanese, quando nel Febbraio del 1981 arrivò in zona da Firenze, venne affidato dal Lucchese al GIORGIO e che costui venne incontro a tutte le sue esigenze. In sede di confronto col GIORGIO nel bunker di Como, addirittura sbaglia nell’indicare il nome di quel comune chiamandolo “San Donato Milanese” e dichiara davanti al GIORGIO che andò a vivere a Mambretto a casa della sorella e che fu il Maresciallo GIORGIO a “parlare” con i Carabinieri di S. Giuliano Milanese20. Come in tutte le altre sedi, anche nel corso del presente dibattimento21, CALCARA conferma che i contatti con DONATO furono precedenti al 27.04.81. In particolare, così dichiara: “I rapporti sono iniziati da quando il suo (di Giorgio Donato) amico Lucchese mi ha infilato nell’aeroporto. Io provenivo da Firenze e sono andato ad abitare prima a Mambretto di Mediglia, da mia sorella e poi a Vercelli, ma quasi tutti i giorni andavo a Paderno Dugnano e incontravo DONATO molto tempo prima del 27 Aprile, dai primi di Febbraio. In quel periodo avevo l’obbligo di firma la domenica a San Donato (Giuliano) Milanese22. Dal libretto risulta che quando ero in Sicilia i controlli erano frequentissimi anche di notte. A Paderno Dugnano non ho mai avuto un controllo, giocavo a carte con DONATO fino a tarda ora”.

Come si è già rilevato, tali dichiarazioni risultano ampiamente riscontrate.
E’ da osservare, infine, che non è emersa alcuna ragione di attrito tra CALCARA ed il Maresciallo GIORGIO. Mentre quest’ultimo si è trincerato esclusivamente dietro la non conoscenza di CALCARA, questi ha dichiarato ripetutamente che all’epoca gli voleva bene e gli era riconoscente per tutto quanto il Maresciallo faceva per lui.

Quanto sopra esposto si concilia perfettamente col fatto che nel periodo Marzo-Aprile, ancor prima del 27 Aprile, Calcara abbia potuto assentarsi da quel comune per due notti23 in compagnia del maresciallo GIORGIO DONATO, col quale aveva frequentazioni fin da quando venne assunto dalla “Dufrital”.
La difesa di parte civile ha cercato di far venir meno la credibilità delle dichiarazioni rese da CALCARA sotto diversi profili. Preliminarmente questo Collegio osserva che alcuni degli elementi prospettati dalla parte civile sono esattamente gli stessi che vennero evidenziate dai difensori dei coimputati di Calcara nei processi celebrati davanti al Tribunale di Marsala e presso la Corte d’Appello di Palermo, le cui sentenze sono state acquisite agli atti del presente procedimento e, quindi, già sottoposte al vaglio di quei giudici e disattese. Appare, comunque, doveroso un esame delle questioni sollevate.

6. L’ appartenenza di Calcara a “Cosa Nostra”.

Secondo le regole di detta associazione criminale – ha sostenuto la p.c. - è inverosimile che venga coinvolta in un’operazione così importante quale quella descritta dal CALCARA, un soggetto non affiliato e che, per giunta, si trova nello stato di sorvegliato speciale in una regione così lontano dalla Sicilia, quale la Lombardia. Abbiamo visto che in uno dei due processi esaminati è data per scontata la qualità di “uomo d’onore” appartenente a “Cosa Nostra” del CALCARA. Non è certo questa la sede per una verifica di quelle valutazioni divergenti. Ma questo collegio non può non rilevare che dal certificato penale di CALCARA Vincenzo risulta che egli è stato condannato con Sentenza del 30.10.93, passata in giudicato il 18.02.94, proprio per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso24 e per una serie di reati associativi in materia di sostanze stupefacenti riferibili anche ai periodi interessanti questo processo. Siamo in presenza, quindi, di prove documentali, quindi, che dimostrano “per tabulas” l’infondatezza dell’assunto di parte civile ed il discorso potrebbe considerarsi con ciò esaurito. Sostiene la parte civile che quella sentenza fu il frutto unicamente delle dichiarazioni autoaccusatorie del Calcara e che sulla base di elementi emersi successivamente, quella sentenza andrebbe “revisionata”.

Orbene, ammesso che le osservazioni della parte civile abbiano un qualche fondamento esse non possono trovare in questa sede rilievo alcuno, in quanto questo collegio non è certo legittimato a sostituirsi al potenziale giudice della revisione. In ogni caso e, “ad abundantiam”, questo collegio non può non rilevare che dagli atti giudiziari prodotti ed acquisiti al presente procedimento e dagli elementi in essi contenuti e sopra riferiti, risulta in modo inequivocabile che Calcara, uomo d’onore – come sostenuto da alcuni mafiosi nei processi esaminati (Ciurla Salvatore, Spatola Rosario, Scavezzo Pietro e Zichitella Carlo25) - o meno – come sostenuto da altri mafiosi (Siino, Ferro, Geraci, Bono, Patti, tutti appartenenti però ad altre “famiglie”) - era stabilmente inserito nell’organizzazione di “Cosa Nostra”. La ricostruzione dei fatti delittuosi effettuata nelle sentenze esaminate sono lì a dimostrare che “Cosa Nostra” era avvezza a servirsi non solo di “uomini d’onore”, ma anche di personaggi in qualche modo fiancheggiatori e comunque affidabili. In particolare, ciò emerge dalla ricostruzione delle vicende riferibili al traffico internazionale di droga, cui parteciparono personaggi che, come ad esempio il Vaccarino, pur essendo stati assolti in secondo grado dall’accusa ex 416 bis, riportarono condanna ex art. 75,1° e 5° comma e 71, 74 L. 685/75 per aver partecipato ad una organizzazione insieme a noti mafiosi - tra cui il capo indiscusso della famiglia di Castelvetrano Messina Denaro Vincenzo, e Michele Lucchese, Inzerillo Tommaso, Carollo Gaetano e lo stesso Calcara – al fine di importare dalla Turchia circa Kg. 550 di morfina base e Kg. 9 di eroina.
7. La data dell’affiliazione.

CALCARA ha sempre indicato nel 4 Ottobre del 1979, la data della sua affiliazione a “Cosa Nostra”, tranne in un paio di circostanze in altri processi e in una lettera, in cui ha indicato date diverse. La Parte Civile ha identificato in tale divergenza motivo di scarsa attendibilità delle dichiarazioni di CALCARA concernenti i fatti in esame. Anche questo argomento è stato affrontato nei processi, le cui sentenze sono state acquisita agli atti. In particolare si osserva che tra la sentenza d’appello e quella di primo grado del processo Alagna +30 vi è contrasto. Le giustificazioni rese da CALCARA in ordine alla diversità delle date indicate sono accolte dal giudice di primo grado e messe in dubbio da quello di secondo grado. Ritiene questo Collegio che la questione sia del tutto ininfluente ai fini della credibilità delle dichiarazioni del CALCARA. Il rilevante spessore dei riscontri alle sue dichiarazioni che sono state poste a base di decine e decine di condanne per reati gravissimi, gran parte dei quali inquadrabili nell’associazione di stampo mafioso, non può certamente essere inficiato da una questione attinente la data dell’affiliazione del CALCARA a “Cosa Nostra”. Ma, a voler entrare nel merito, ritiene questo collegio di dover aderire alla ricostruzione effettuata dal giudice di primo grado. Non si trattò di un “mancato ricordo di una data così importante nella vita di un mafioso” – come sostenuto dalla parte civile – ma di un espediente adottato dal CALCARA nei primi interrogatori non ispirato da dimenticanza o dalla predisposizione a mentire, ma da un’esigenza calcolata a tutela delle sue propalazioni e di difesa da possibili inquinamenti. Sul punto, le giustificazioni rese dal CALCARA appaiono a questo collegio fortemente credibili. Quando egli, nei primi interrogatori, diede date diverse da quella del 4 Ottobre 1979, che successivamente negli anni ha sempre confermato, egli intendeva far sì che le persone da lui indicate come presenti alla “cerimonia” non potessero costituirsi dei falsi alibi per quella giornata. Che CALCARA fosse avvezzo a preoccupazioni del genere risulta in modo inequivocabile dagli analoghi atteggiamenti sopra riferiti relativi alle modalità di approccio al racconto sui fatti oggetto del presente processo. Non si ritiene utile dilungarsi ancora sul punto, tanto più che questo collegio ritiene di condividere le ulteriori argomentazioni assunte a alle pagg. 89-93 della sentenza di primo grado, che devono intendersi qui integralmente riportate.
8. La missiva inviata da Calcara all’avv. Gino Pantaleo.

In ordine all’attendibilità delle dichiarazioni di CALCARA, oggetto del presente processo, la parte civile ha insistito anche sulla rilevanza di una lettera inviata dall’odierno imputato al proprio difensore, avvocato Gino Pantaleo, dal carcere di Friburgo, in Germania, ove egli si trovava detenuto, recante la data del 15.10.1983. Nella lettera, acquisita agli atti, CALCARA prospetta al suo legale l’intenzione di far credere alle autorità italiane, al fine di ottenere l’estradizione, di avere delle rivelazioni da fare sull’omicidio del sindaco Lipari e su un altro omicidio e che, una volta rientrato in Italia, avrebbe chiarito che si trattava solo di una “messa in scena” e che nulla sapeva in proposito. Cossi giustifica CALCARA: “La feci per essere estradato dalla Germania. Ero stato condannato a 8 anni ho fatto 4 anni di carcere duro in Germania, lì non è come in Italia, era un lager, volevo essere estradato perché ero stato condannato definitivamente a 15 anni quindi avrei dovuto fare altri 8 anni di carcere in Germania. Io ho cominciato a collaborare dieci anni dopo”.

Si tratta certamente di una menzogna scritta dal CALCARA, ma non si vede quale rilevanza essa possa assumere in relazione alla credibilità delle sue dichiarazioni riferibili ad autoaccuse che si traducano in accuse anche nei confronti di altri partecipanti ai reati da lui commessi. Opinando diversamente si dovrebbe attribuire rilevanza a qualsiasi menzogna detta dal CALCARA, anche a quelle riferibili alla sua vita privata nei rapporti interpersonali coi suoi conoscenti o in ambito familiare. Non si tratta di una menzogna architettata per accusare qualcuno di un qualche reato, tanto è vero che lo stesso Calcara scrive nella lettera che, una volta estradato in Italia, si sarebbe limitato a dire che nulla sapeva in ordine a quei fatti. Il che, semmai, prova che l’unico intento della menzogna era quello di ottenere l’estradizione e che, ottenuto lo scopo, si sarebbe guardato bene dal dichiarare qualcosa in riferimento a fatti da lui non conosciuti. Anche questa questione venne sollevata dai difensori dei coimputati di Calcara nel processo Alagna +30 e valutata allo stesso modo26.
9. La data del viaggio.

Il Maresciallo GIORGIO ha sempre sostenuto, nelle precedenti dichiarazioni e in questo dibattimento, di aver incontrato CALCARA solo in occasione della presa in carico del medesimo come “sorvegliato speciale” a Paderno Dugnano, il 27 Aprile del 1981, e di non averlo mai visto né prima né dopo. Si è già detto27 che tale affermazione è naufragata sotto il peso di innumerevoli risultanze processuali. Ma tenuto conto che il periodo del viaggio indicato da CALCARA – in un primo momento intorno alla metà di Aprile e successivamente tra Marzo e Aprile – coinciderebbe con il periodo in cui, nella sua qualità di sorvegliato speciale, doveva essere sottoposto ai controlli della Stazione dei Carabinieri di San Giuliano Milanese, appare opportuno soffermarsi ancora sul punto, soprattutto sotto il profilo dell’attendibilità delle dichiarazioni dell’imputato.

La difesa di parte civile ha cercato di supportare le affermazioni del suo assistito assumendo che CALCARA, resosi conto che la data in cui venne sottoposto al soggiorno obbligato a Paderno Dugnano era successiva al periodo da lui indicato con riferimento al viaggio, solo nel dibattimento di questo processo, per la prima volta, avrebbe dichiarato che le sue frequentazioni col Maresciallo iniziarono in precedenza.

Tale assunto è smentito dalla documentazione acquisita al processo. Dal verbale relativo al confronto tra GIORGIO DONATO e CALCARA VINCENZO disposto dal Tribunale di Marsala e svoltosi il 30.05.95 nel carcere di Como, risulta che CALCARA precisò già in quella sede che, seppure il suo domicilio di sorvegliato speciale fosse quello di S. Donato (S.Giuliano Milanese), egli fin da subito (siamo nel Febbraio del 1981, quando cioè Calcara lascia Firenze) ebbe modo di conoscere il Maresciallo, presentatogli da Michele Lucchese e di aver fatto riferimento sin da quel momento a Paderno Dugnano, cioè al Maresciallo GIORGIO, ancor prima di essere assunto dalla Dufrital28.

In sostanza, dalle dichiarazioni di CALCARA emerge che egli venne affidato al Lucchese, abitante in zona ed esercitante attività di imprenditoria edile, dal Vaccarino e che esisteva un rapporto di “dipendenza” anche da parte del Maresciallo GIORGIO dal Lucchese, oltre che dal Vaccarino e da Stefano . “Grazie a ciò” – sostenne CALCARA in quella sede davanti al GIORGIO – “in quella zona, qualsiasi movimento mi era consentito sotto la copertura del Maresciallo29, che aveva contattato in proposito anche il comandante della Stazione CC di San Donato (Giuliano) Milanese. CALCARA – in parte si è già detto - ricorda che in quel periodo andava a dormire a casa della sorella; che spesso si assentava per andare a Castelvetrano; che la sera si attardava in un bar di Paderno Dugnano a giocare a carte col Maresciallo e lo stesso Lucchese più un “palermitano” di cui non ricorda il nome; che, insieme al Maresciallo, andò a cena a casa del Lucchese; che vide il Maresciallo incontrarsi anche con Vaccarino e Stefano Accardo ed andare a cena in ristorante insieme.

La parte civile ha sostenuto che tali conoscenze e frequentazioni vennero dichiarate spontaneamente dal Giorgio e ciò a riprova della innocuità delle stesse. Dalla lettura del verbale del confronto risulta, invece, che solo dopo le dichiarazioni di Calcara sopra riportate, di fronte a precisa domanda del Presidente, il Maresciallo GIORGIO ammette di aver conosciuto e frequentato Lucchese, Vaccarino, Sciuto, Vento, Accardo e Cavarretta e che si dava del “tu” coi primi due30.

Osserva il collegio che appare fondato ritenere che CALCARA conoscesse le abitudini, le frequentazioni, le amicizie e i viaggi del maresciallo GIORGIO DONATO – Calcara fa riferimento anche ad un viaggio a Selinunte ammesso dallo stesso GIORGIO31 – riferibili ad un periodo precedente al 27 Aprile del 1981, perché tra i due esisteva un rapporto di conoscenza approfondita anche in epoca precedente a tale data. Anche tale presunta contraddizione in cui sarebbe incorso l’imputato appare superata dalle risultanze processuali acquisite.

Dallo stesso verbale di confronto risultano, inoltre, precise e circostanziate dichiarazioni di CALCARA relative ad un episodio strettamente collegato col viaggio in questione. Abbiamo esaminato le dichiarazioni rese da CALCARA con riferimento al fatto che prima della partenza da Milano gli venne procurato dal Lucchese un tesserino attestante la sua qualifica di Carabiniere: un documento falso che, in caso di necessità sarebbe stato esibito a chi di dovere. La circostanza assume particolare rilievo perché s’inserisce, come tessera di un mosaico, col discorso fatto dal propalante sul ruolo che lui e il Maresciallo ebbero nella vicenda.

CALCARA ricorda che, insieme al Maresciallo GIORGIO DONATO, si recò da un fotografo a Cinisiello Balsamo per farsi fare una fotografia in divisa da Carabiniere con tanto di berretto, e che la divisa gli venne consegnata dal maresciallo GIORGIO, che l’aveva portata con sé dentro una valigetta. Le tre pagine del confronto sul punto meritano una loro lettura integrale e ad esse si rinvia (pagg.77,78,79). Dalla lettura delle stesse emerge in modo palpabile l’imbarazzo di Giorgio Donato, che non trova di meglio per controbattere Calcara che domandargli se il tesserino fosse o meno plastificato.


10. I “Memoriali del Servizio Giornaliero”.

Su richiesta della Parte Civile, sono stati acquisiti dalla Stazione dei Carabinieri di Paderno Dugnano i “Memoriali del servizio giornaliero” del 1981. Da tali documenti di quell’ufficio risultano le presenze giornaliere dei militari e le attività da ciascuno svolte. Secondo quanto riferito dai Carabinieri escussi, il comandante della Stazione compila il Memoriale, intorno alle ore 17.00 del giorno prima, predisponendo l’organizzazione del servizio del giorno successivo e attribuendo a ciascuno dei militari presenti i rispettivi compiti.

Occorre premettere che il Maresciallo GIORGIO DONATO ha dichiarato che, dopo aver appreso delle dichiarazioni del Calcara nei suoi confronti, pur non facendo più parte dell’Arma, si recò presso la Caserma di Paderno Dugnano e prese visione del brogliaccio per verificare le sue assenze dalla Caserma nel periodo indicato dal CALCARA con riferimento al viaggio da lui raccontato. Nel corso del confronto con CALCARA del 30.05.95, egli ha dichiarato di essere stato autorizzato a ciò dal Brigadiere Notaristefano32. Resosi probabilmente conto che in questo modo aveva coinvolto il suo ex sottoposto in un illecito, in questo dibattimento afferma di non ricordare esattamente chi glieli avesse messi a disposizione. La prima dichiarazione è quella veritiera, in quanto riscontrata dal fatto che, all’epoca, il Brig. Notaristefano era il comandante interinale della stazione. Nel corso del presente processo, il Brigadiere ha dichiarato testualmente: “Non ricordo se tra Novembre e Dicembre del 94 DONATO sia venuto in caserma a controllare i brogliacci. In ogni caso avrebbe dovuto essere autorizzato superiormente”. Questo episodio lascia intendere che GIORGIO DONATO si muoveva anche al di fuori delle regole inerenti il suo ufficio e che il rapporto di dipendenza gerarchica dei suoi sottoposti si allargava fino a comprendere fatti di suo interesse al di fuori dei suoi compiti istituzionali. Egli era talmente abituato a confondere i due piani che non esita, per un suo interesse, a introdursi nel suo ex ufficio, quando ormai era fuori dell’Arma, e ad accedere all’archivio senza autorizzazione alcuna, abusando della sua precedente autorità, nella totale acquiescenza dei suoi ex dipendenti; ed, infine, a riferire nella più totale indifferenza, l’illecito da lui commesso di fronte a un Tribunale. Il che avviene, a suo dire, uno o due giorni dopo aver appreso dalla stampa delle dichiarazioni di CALCARA a Marsala e cioè il 17 Novembre 1994. Il brigadiere Notaristefano, evidentemente abituato a sottostare a comportamenti analoghi, pur essendo consapevole che l’accesso a quei documenti “avrebbe dovuto essere autorizzato superiormente”, obbedisce. Se questo era il rapporto tra il Maresciallo GIORGIO e i suoi dipendenti, quando ormai egli era un semplice cittadino non facente più parte dell’Arma, a Maggior ragione tale era il rapporto quando egli era il Comandante della Stazione. Questo episodio costituisce riscontro obbiettivo - ancora una volta - a quanto asserito dal CALCARA con riferimento al modo nel quale il Maresciallo GIORGIO DONATO era solito gestire il suo ruolo di comandante della Stazione di Paderno Dugnano e che quando CALCARA afferma che “il Maresciallo DONATO faceva in caserma ciò che voleva”, ciò corrisponde al vero.

Passiamo ora ad esaminare quanto è emerso con riferimento ai “Memoriali di Servizio”, cui sopra si accennato, documenti acquisiti su richiesta della parte civile al fine di dimostrare che CALCARA ha mentito nel parlare del noto viaggio, in quanto, come sostenuto dal Maresciallo GIORGIO più volte - di fronte ad altri giudici e nel presente dibattimento – “nei primi sei mesi del 1981 egli non si mosse mai dalla caserma di Paderno Dugnano”. Tale circostanza è stata smentita documentalmente proprio dall’esame dei documenti appena indicati. Da essi, infatti, risulta che il Maresciallo GIORGIO si è allontanato da Paderno Dugnano in occasione di una licenza straordinaria per le feste pasquali dall’11 al 22 Aprile. Il GIORGIO ha precisato che in quel periodo, come tutti gli anni per le festività pasquali, si recò presso la sua famiglia a Bitonto e che, in ogni caso, quando si allontanava dalla caserma lasciava sempre il suo recapito per essere rintracciabile.33. Questa volta il maresciallo è smentito non solo da CALCARA (“ma autorizzato da chi? Lui in caserma faceva quello che voleva. Cosa vuole impappinare?”34), ma anche dal suo sottoposto Pasca, che sul punto ha dichiarato in questo dibattimento: “Quando DONATO andava in ferie non sapevamo come rintracciarlo”. E’ stata acquisita agli atti anche la domanda di ferie inoltrata al Comando Compagnia CC. di Sesto San Giovanni (in data 27.03.81 prot. N. 37/7). Nella domanda si legge: “Il sottoscritto … chiede che gli vengano concessi giorni 10 della licenza ordinaria spettante per l’anno in corso, da fruire in Bitonto (Bari) presso la propria famiglia, dall’11 (sabato) al 21.04.1981”. Nel “Memoriale di servizio” dell’11 Aprile 1981, il GIORGIO,però, scrive e sottoscrive35 la seguente frase: “Mar.llo Giorgio Donato, ore 9.00 parte in lic. ord. gg. 10 per Bitonto (Ba)”. Non un indirizzo preciso, non un utenza telefonica, non l’indicazione che si reca presso la sua famiglia. Tutti elementi che giustificano la frase pronunciata dal vice Brigadiere Pasca (“Quando DONATO andava in ferie non sapevamo dove rintracciarlo”). Tutti elementi che non danno la certezza che in quel periodo il GIORGIO sia stato a Bitonto soprattutto se si aggiunge che nel corso di questo dibattimento non è stato prodotto alcun elemento probatorio – né documentale né testimoniale - attestante l’effettiva permanenza del Giorgio, in quel periodo, a Bitonto.

Nel corso del dibattimento il Brig. Notaristefano è stato sottoposto ad una serie di domande sulle modalità di compilazione dei “Memoriali”. Senza ripercorrere il lungo contraddittorio sviluppatosi sul punto cui si rinvia 36, da esso si ricava che lo stesso veniva compilato in modo approssimativo e, a volte, infedele. E’ quanto risulta, ad esempio dal fatto che Notaristefano, il 22 Aprile, scrive. “Il 22 Aprile alle ore 24: Mar. Donato37 fa rientro dalla licenza ordinaria di giorni 10”. Notaristefano: “si, la calligrafia è la mia ed anche la firma”. “Lei doveva riempire il memoriale per il giorno 23. Anche la grafia sotto il giorno 23 è la sua” “Si” “Mi dica se risulta presente il DONATO” “No, non c’è la sua presenza”. Quindi Notaristefano attesta che il maresciallo DONATO è rientrato il 22.04 ma non lo inserisce come presente il 23. Infine, Notaristefano è costretto ad ammettere che quel giorno (il 23) il maresciallo GIORGIO DONATO era assente ingiustificato”38. Notaristefano, infine, tenta di giustificarsi dicendo che lui, come sottoposto, non poteva impartire ordini al suo superiore, ma l’assunto è smentito dal fatto che, in un caso analogo (Giorgio è in ferie il 10 e l’11 Maggio), il Brig. Pasca, che lo sostituiva inserisce nel Memoriale dell’11 Maggio i compiti del Maresciallo GIORGIO per il giorno 12.

Dalle ulteriori dichiarazioni del Brig. Notaristefano è emerso, altresì, che – e sulla base di quanto appena rilevato si tratta di dichiarazioni credibili a Maggior ragione – era possibile al maresciallo GIORGIO andare in permesso senza precisare alcunché.

Il difensore di Calcara gli domanda: “…quando il maresciallo prendeva qualche giorno di permesso …sapevate come rintracciarlo se c’era una necessità?”, Notaristefano così risponde: “Se era in permesso, era in permesso e basta (…) se il recapito l’aveva, lo lasciava; sennò non…se non ce l’aveva non …”. E poi ancora: “i permessi e le licenze risultano dal brogliaccio; la reperibilità può risultare soltanto così, scrivendo un bigliettino, dice – casomai hai bisogno, mi chiami a questo numero -. Tutto qui”. “Il maresciallo Giorgio le ha mai segnato su un bigliettino un numero (telefonico) della Sicilia, della zona di Castel Vetrano, Selinunte?” “No”.

DONATO GIORGIO, di fronte alle domande del PM con i “Memoriali” sotto mano, è costretto a ritrattare le sue precedenti dichiarazioni sul fatto che non ebbe mai occasione d’incontrare Calcara dopo la sua presentazione a Paderno Dugnano. Il PM gli mostra ben 29 sue firme apposte sopra la dizione del suo timbro personale relative alle presentazioni domenicali di Calcara39. In un caso il GIORGIO disconosce la sua firma, che poi riconosce (presentazione di CALCARA del 6.06.81). Infine ne riconosce solo tre (9.06.81,3.09.81, 1.11.81). E’quanto basta per smentire le sue dichiarazioni originarie. Ma dai “Memoriali” si rileva, ancora, che anche il 10, l’11 e il 12 Maggio, il maresciallo è in permesso.

In conclusione si può affermare con certezza che non corrisponde al vero la circostanza riferita dal maresciallo GIORGIO DONATO che nei primi sei mesi del 1981 egli non si sia mai mosso da Paderno Dugnano.

A questo punto sembrerebbe fondato ritenere che il viaggio raccontato da CALCARA possa collocarsi in quei dieci giorni in cui è provato che il GIORGIO era fuori sede. Tra l’altro ciò coinciderebbe con l’assunto di CALCARA cadendo quei dieci giorni proprio un mese prima dell’attentato al Papa, che, come si è visto, è stata la prima data da lui indicata. Potrebbe ritenersi, come logica ipotesi, che la partenza di GIORGIO e CALCARA sia avvenuta proprio la sera di quel sabato 11 Aprile con arrivo la domenica sera a Castelvetrano, la partenza in aereo da Palermo a Roma il lunedì mattina ed il rientro a Paderno Dugnano la sera stessa di quel lunedì 13 Aprile40, per partire il giorno dopo a Bitonto e godersi gi residui 8 giorni di ferie.

Ma dall’istruttoria dibattimentale sono emersi altri elementi che non consentono di poter considerare tale ipotesi come l’unica probabile. Ed, infatti, è emerso con sufficiente chiarezza che il Giorgio avrebbe potuto allontanarsi tranquillamente per un paio di giorni da Paderno Dugnano quando e come avesse voluto.

In ogni caso, gli elementi processuali sopra evidenziati sono più che sufficienti per poter affermare che quanto asserito dal Calcara con riferimento al periodo del viaggio in questione non può considerarsi smentito dalla documentazione esaminata.
11. La “verosimiglianza” del racconto di Calcara.

Abbiamo viso che le sentenze esaminate, pur riconoscendo piena attendibilità alle dichiarazioni del CALCARA in generale, e in particolare con riferimento all’oggetto di questo processo, hanno adombrato – a dire il vero solo al primo approccio del racconto – delle perplessità. Anche la parte civile si è soffermata sul carattere, a suo dire, non verosimile del racconto di Calcara, per la qualità delle persone coinvolte e per le modalità del viaggio descritto da CALCARA.

Non è certo questa la sede per un approfondimento dei rapporti tra mafia e lo I.O.R. (la banca del Vaticano presieduta dal Vescovo Marcinkus), né per una disamina delle risultanze emerse nel processo milanese relativo alla bancarotta fraudolenta del vecchio Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, che ripercorsero gli stretti legami tra quest’ultimo e Marcinkus ed il coinvolgimento di entrambi in quel processo e né, infine, soffermarsi sugli elementi emersi in vari processi di mafia definiti con sentenze passate in giudicato, ampiamente pubblicizzati dalla stampa ed ormai notori al pubblico, relativi alla sussistenza di rapporti di entrambe le persone appena citate e “Cosa Nostra”, concernenti il riciclaggio di denaro di provenienza illecita. Ma, nel momento in cui, tali elementi possono costituire una parte di risposta diretta a disattendere l’inverosimiglianza prospettata e a sgomberare il campo dalle perplessità espresse, cui sopra si è accennato, sembra a questo collegio doveroso averle richiamate.

Per quanto concerne poi, la “verosimiglianza” del racconto di CALCARA con riferimento al numero e allo “spessore” delle persone che avrebbero partecipato al noto viaggio, ci si limita ad esporre solo alcune brevi considerazioni.

Abbiamo visto che – secondo quanto riferito da CALCARA - si trattava del trasporto, nel 1981, della rilevante somma di denaro di 10 miliardi di lire; che l’obbiettivo della “famiglia” di Castelvetrano era quello di riciclare quel denaro attraverso la consegna dello stesso a chi avrebbe dovuto provvedere in tal senso.

Chi si doveva occupare di una consegna così importante e delicata se non i soggetti più importanti e affidabili della “famiglia” anche sotto il profilo politico, quali il Culicchia e il Leone, due deputati regionali, il Vaccarino, già sindaco di Castelvetrano? Chi altro vi poteva partecipare se non altri tre personaggi di spicco della “famiglia”, quali il Marotta, il Furnari e l’Accardo? Non vi è dubbio che da parte di “cosa Nostra” un’operazione del genere non poteva certo essere affidata a dei semplici “picciotti”. Stesse considerazioni possono farsi anche con riferimento all’ “altra parte”. Per il Vescovo Marcinkus sarebbe stato certamente ancor più difficile trovare, nell’ambito del Vaticano, un complice idoneo all’espletamento di quel compito, certamente non affidabile, ad esempio, ad un semplice sagrestano o a chiunque altro.

Deve, ancora, considerarsi che non si trattava di una semplice consegna di denaro, ma di un incontro avente ad oggetto anche un accordo relativo ad una delicata operazione finanziaria, che richiedeva, quindi, la presenza dei “contraenti” in prima persona. Accordo finanziario, che richiedeva un luogo e una persona “del mestiere” che potesse garantire entrambe le parti. Ed, infatti, CALCARA parla della presenza all’aeroporto anche del notaio, presenza necessaria per accompagnare persone e soldi nel luogo ove era ubicata la sua villa di campagna, luogo riservato e, evidentemente, agli altri sconosciuto. CALCARA non parla del contenuto del colloquio che si svolse in quel luogo - e questo costituisce ulteriore elemento di attendibilità delle sue dichiarazioni - ma è ovvio che l’oggetto di quel colloquio non poteva essere che quello di raggiungere un accordo tra le “parti” sulle modalità e le garanzie del riciclaggio.

Un corteo di tre autovetture con a bordo autorità politiche e religiose e 10 miliardi che doveva percorrere almeno 70 chilometri – tale è la distanza tra l’aeroporto di Fiumicino e la villa sulla Cassia dell’Albano – non poteva non ricorrere a misure di sicurezza. Quale soluzione migliore che affidare tale compito a due carabinieri ? E questo, infatti, è il ruolo che, come si è visto, CALCARA attribuisce a se stesso e al Maresciallo GIORGIO DONATO.

Da osservare, infine, che anche la disposizione dei posti nelle tre auto, così come descritta da CALCARA, risponde anch’essa ad una razionale logistica. Le valige sono sistemate nelle due auto “con targa straniera” – verosimilmente del Vaticano e, quindi, coperte da immunità – e la terza auto, adibita a “scorta” è occupata dal CALCARA e da altra persona (Calcara non ricorda se fosse Furnari o “Cannata”, ma precisa: “comunque no da persona di ), sicuramente armata41. Il vero Carabiniere, il maresciallo GIORGIO, come si conviene, è sistemato in una delle due auto occupate dalle “autorità”,.

Questo collegio è ben consapevole che quanto sopra esposto non può certamente considerarsi verità accertata processualmente. Le indagini che seguiranno a questo processo avranno questo compito. Ciò che rileva in questa sede è che quanto sopra esposto consente di attribuire al racconto di CALCARA quel carattere di verosimiglianza, messo in dubbio in questo processo.
12. Le contraddizioni del Maresciallo con le risultanze processuali.

Come in genere avviene nei processi relativi al reato di calunnia, la parte offesa si trova in una posizione particolarmente delicata. Da un lato essa tende a dimostrare la falsità delle accuse mosse nei suoi confronti, dall’altro tende a difendersi dalle stesse. Si tratta di un filo all’interno del quale, a volte, può risultare difficile distinguere i piani. Nel caso in esame, tali tendenze sembrano confondersi ed appare arduo distinguerne i caratteri. Alcune affermazioni rese dal Maresciallo GIORGIO, infatti, sembrano riferibili più ad una disperata difesa in relazione alle accuse prospettate dal CALCARA piuttosto che ad un chiaro intento di dimostrarne la falsità.

Non si comprenderebbe, altrimenti, perché egli abbia dichiarato in un primo momento di non essersi mai mosso dalla caserma di Paderno Dugnano nei primi sei mesi del 1981, quando poi, come si è appena visto, risulterà dai documenti da lui stesso prodotti più di un’assenza in quel periodo; perché egli abbia dichiarato che in quel periodo lui e i militari della sua caserma erano “impegnatissimi nel terrorismo”, quando poi verrà smentito sul punto dal suo vice Notaristefano; perché, di fronte al fatto che CALCARA abbia ripetutamente dichiarato che si intratteneva a giocare a carte con lui, Michele Lucchese ed altra persona, la sera fino a tarda ora, egli abbia persino negato di conoscere il gioco indicatogli da CALCARA, la “briscola”42, salvo poi nella sede dibattimentale di questo processo, precisare che quell’affermazione era dovuta al fatto che egli non sapeva giocare “a livello di professionista”. Ma soprattutto non si comprenderebbe, altrimenti, perché egli abbia insistito in questo e negli altri processi citati sul fatto di aver visto una sola volta il CALCARA, in occasione della sua presentazione come sorvegliato speciale il 27.04.81.

Bugie innocue, non indispensabili, per provare la falsità delle dichiarazioni di CALCARA sulla sua partecipazione al viaggio, che, però, assumono una grande rilevanza come sintomo di una condizione psicologica di paura che, anche una sola ammissione sul racconto di Calcara, potesse disvelare la veridicità di tutto il racconto.

Abbiamo constatato che dagli atti acquisiti relativi ad altri processi emerge in modo certo che da quando CALCARA, nel Febbraio del 1981, venne assunto dalla “Dufrital” egli era impegnato, per conto della famiglia di Castelvetrano nell’organizzazione criminale di “Cosa Nostra”, come essenziale elemento di supporto di un costante traffico internazionale di droga; che il suo referente in loco era Michele Lucchese; che i referenti siciliani del traffico erano il Vaccarino, il Messina Denaro, il “Cannata” …; che tutte queste persone non solo erano conosciute dal Maresciallo GIORGIO, ma che costui ebbe modo di frequentarle sia in Sicilia che in Lombardia; che una serie di circostanze verificatesi in quel periodo raccontate dal CALCARA sono state riscontrate nei processi relativi a quel traffico di droga; che, in particolare, è rimasto provato lo strettissimo rapporto che il Maresciallo aveva col Lucchese col quale addirittura si dava del “tu”; che il Maresciallo GIORGIO, sulla base delle dichiarazioni del CALCARA, è stato costretto ad ammettere di conoscere persino il direttore della “Dufrital”.

E’ già stato osservato che tutte queste circostanze non potevano certamente essere conosciute dal CALCARA se non in base ad una frequentazione assidua del Maresciallo GIORGIO fin dal Febbraio 1981. Abbiamo evidenziato che, quando il Maresciallo GIORGIO DONATO afferma in un primo momento di non aver mai conosciuto CALCARA e, successivamente, di essersi ricordato di averlo incontrato una sola volta, il 27.04.81, il Maresciallo dichiara il falso. Non certo perché poi risulterà documentalmente che gli incontri furono almeno tre (e forse 9), ma perché nega in modo evidente non le sue responsabilità penali emerse dal racconto di CALCARA – a ciò aveva diritto – ma perché nega una circostanza di fatto pacificamente acquisita al processo del tutto estranea a sue responsabilità rilevanti penalmente, quale la semplice conoscenza e frequentazione del Calcara nel periodo precedente al 27.03.81. Appare evidente che solo la preoccupazione di non fornire elementi a suo carico in relazione alle gravi accuse mossegli dal Calcara abbia indotto il Giorgio a mentire su questa e le altre circostanze sopra evidenziate ed in tal caso bisognerebbe concludere che anche a tale menzogna egli avesse il diritto di ricorrere. Ma se così fosse, verrebbe certamente avvalorata ancor più la propalazione del Calcara. Paradossalmente, ma realisticamente si può concludere che le menzogne e le reticenze del GIORGIO hanno contribuito ad avvalorare il carattere di verità delle dichiarazioni rese dal CALCARA.

Non è compito di questo Tribunale in questa sede stabilire se si tratti di falsa testimonianza o dell’esercizio del diritto di difesa. Certamente “il nodo” dovrà essere sciolto dal titolare dell’azione penale, al quale, doverosamente saranno trasmessi gli atti di questo processo. Compito di questo collegio era quello di accertare se le accuse formulate dal CALCARA nei confronti del GIORGIO fossero false e fraudolentemente prospettate. Questo collegio può affermare, in conclusione, che la prova di ciò non è stata raggiunta.
Conclusioni.

Sulla base di quanto sopra esposto si può concludere, quindi, che le dichiarazioni rese da CALCARA Vincenzo nel corso del processo Culicchia ed anche successivamente non rivestono i necessari requisiti del reato contestato. Come rilevato anche dal PM nella sua requisitoria, “esse rivestono le caratteristiche dell’attendibilità intrinseca e sono supportate da una serie di riscontri, che, seppure indiretti, ne rafforzano la credibilità”. Nel corso del processo non è emersa alcuna conflittualità d’interessi o motivi di rancore o desideri di vendetta da parte del CALCARA nei confronti del Maresciallo GIORGIO DONATO. Anzi, al contrario, CALCARA ha più volte messo in evidenza sentimenti di una pregressa amicizia e di riconoscenza per i servigi e le attenzioni resigli in quel periodo. Né si può affermare che il CALCARA avesse degli interessi personali da difendere. La qualifica di collaborante beneficiario del servizio di protezione è attribuita al CALCARA a prescindere totalmente da quanto da lui riferito nei confronti del Maresciallo DONATO e sulla base di ben altre e più rilevanti propalazioni nei confronti dell’organizzazione mafiosa denominata “Cosa Nostra” con gravi rischi inerenti la sua incolumità personale. Vi è, poi, da considerare, come acutamente osservato dal PM che “qualora l’intento di Calcara fosse stato quello calunniatorio, le dichiarazioni da lui rese in relazione alle frequentazioni mafiose del GIORGIO, alla sua “dipendenza” dal Lucchese e dal Vaccarino, alla sua provata tolleranza nel consentirgli, come sorvegliato speciale, di recarsi ogni giorno a Linate43 costituiva materiale più che sufficiente per raggiungere il suo scopo. Per quale misterioso motivo il CALCARA si sarebbe dovuto avventurare in un racconto così carico di significati ultronei rispetto alla posizione del GIORGIO coinvolgendo se stesso autoaccusandosi del fatto delittuoso da lui descritto col rischio di perdere i benefici già acquisiti per altre sue rilevantissime propalazioni che portarono alla condanna di decine di pericolosi criminali inseriti in “Cosa Nostra”?

Abbiamo visto che CALCARA lealmente ha dichiarato di non sapere se il Maresciallo Giorgio fosse “uomo d’onore” e dal processo non è emersa alcuna prova sul punto. Abbiamo però anche messo in rilievo che “Cosa Nostra” non disdegnava di avvalersi della collaborazione di “esterni”. Sul punto, il collegio condivide quanto affermato dal PM, nella sua requisitoria: “D’altronde, perché non avrebbe dovuto fidarsi di un maresciallo dei Carabinieri, che consentiva ad un sorvegliato speciale, condannato per partecipazione ad associazione mafiosa, di allontanarsi giornalmente dal luogo dove era obbligato a restare per recarsi all’aeroporto di Milano, dove il compito affidatogli era quello di favorire l’ingresso in Italia di chili di eroina provenienti dalla Turchia? Di fronte ad un tale comportamento accertato, a nulla rileva che non sia emerso in modo certo la qualifica di del GIORGIO”.
Per quanto riguarda infine gli altri personaggi, a dire del Calcara, coinvolti nella vicenda, non era certo questa la sede per un approfondimento che andasse al di là della necessaria verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni del Calcara con riferimento alla posizione del denunciante del reato per cui si è proceduto. Anche con riferimento ad essi s’impone quindi la trasmissione degli atti all’ufficio della Procura della Repubblica per l’ulteriore corso” (vedi pag. 18 – 4744).
A ciò si aggiunga che le dichiarazioni di CALCARA hanno trovato ulteriori riscontri. Effettivamente, l’abitazione di Francesco MESSINA DENARO è posta in prossimità di quella ove era cresciuto il dichiarante (vedi pag. 2, informativa del 29 Giugno 2006, acquisita con il consenso delle parti, ove si afferma che l’abitazione di Francesco MESSINA DENARO nel 1981 era ubicata in Castel Vetrano, all’interno di un piccolo cortile e che tra tale abitazione e quella di Vincenzo CALCARA, che risulta aver abitato nella via XX Settembre – cortile Lucentini – all’altezza del civico 51, intercorre una distanza di circa 35 mt).

Il notaio ALBANO è risultato appartenere ai Cavalieri del Santo Sepolcro, sposato con una donna straniera e non avere figli naturali (vedi pag. 15 della sentenza richiamata) e presso il suo studio è risulta predisposta una procura speciale nell’interesse di Luciano LIGGIO (vedi pag. 30, trasc. 24.5.2006, relativa alla deposizione di PULIZZOTTO).

Tale professionista risulta abitare sulla Cassia (vedi pag. 43 della sentenza surriportata), nella stessa via ove CALCARA ha dichiarato di aver contribuito a trasportare il denaro.

Va rilevato, poi, che il suo riferimento agli investimenti in Venezuela è alquanto appropriato.

Infatti, si deve ricordare quanto ha affermato, in proposito, il figlio di CALVI nel verbale del 22.11.1993. Nel riferire fatti a sua conoscenza ha dichiarato: “i liquidatori del Banco Ambrosiano Overseas Limited … hanno specificato che le attività in Venezuela del gruppo ambrosiano facevano capo alla Ultrafin di Zurigo …il sig. ARNDT era il rappresentante della Ultrafin di Zurigo a Caracas”.

Merita di essere ricordato che il BAOL (fino all’1.7.1980, CISALPINE), quando, nel Febbraio del 1983, veniva chiesta la sua liquidazione, aveva perdite per 140 milioni di Dollari, che tale istituto è quello attraverso il quale sono state compiute le operazioni di accredito delle ingentissime somme di denaro a CARBONI e a Manuela KLEINSZIG agli inizi del 1982 e che, come vedremo, risulta aver compiuto operazioni del tutto anomale.



Orbene, se non si può certo negare che CALCARA abbia risposto, in più occasioni, nel corso della deposizione dibattimentale, in maniera scomposta e non appropriata alle domande poste, mostrando una tendenza a divagare, soprattutto nel corso del controesame, e che abbia tenuto atteggiamenti dialettici poco consoni a quello che si conviene a un collaboratore di giustizia, tuttavia le sue dichiarazioni con riferimento al fatto storico del trasferimento del denaro conservano una sicura attendibilità. Sin dal principio delle sue dichiarazioni ha fatto riferimento al notaio Salvatore ALBANO e a contatti dello stesso con uomini d’onore della famiglia di Trapani. Si è soffermato su Paul MARCINKUS a partire dal 24 Marzo 1993, ponendo in rilievo di aver avuto riferito da VACCARINO che i proventi della famiglia mafiosa di Castel Vetrano venivano riciclati per il tramite della banca vaticana, grazie al ruolo anche del notaio ALBANO. E il 22 Aprile del 1993 ha raccontato del trasporto delle due valigie contenenti il denaro in termini sostanzialmente identici sino al 2002, quando ha inserito il nominativo di Roberto CALVI, quale persona presente presso l’abitazione del notaio ALBANO, nel corpo di un’intervista rilasciata al giornalista de “la Repubblica”, Francesco VIVIANO, pubblicata il 15 Ottobre 2002. Si tratta di stabilire quale sia il grado di affidabilità da attribuire a tale presenza e se la tardiva estensione del suo racconto possa considerarsi credibile. Non si può dubitare del fatto, va ribadito, che le sue indicazioni siano del tutto genuine, laddove ha fatto menzione, in epoca non sospetta, tredici anni prima della sua deposizione dibattimentale in questo processo, del fatto storico dell’avvenuto trasferimento delle due valigie contenenti circa 10 miliardi di Lire, attività alla quale egli ha partecipato direttamente, con un compito di supporto secondario, in aderenza al ruolo rivestito in seno all’organizzazione, e del fatto che i proventi dell’attività illecita della famiglia mafiosa di Castel Vetrano siano stati riciclati per il tramite della banca vaticana e di Paul MARCINKUS. Si tratta di circostanze inedite di cui nessuno aveva mai parlato, per cui non può sussistere alcuna contaminazione proveniente da altri collaboratori di giustizia, e che non possono considerarsi frutto di invenzione o millanteria. All’epoca CALCARA era sottoposto a un programma di protezione, non aveva necessità di accreditarsi dinanzi agli inquirenti e non è possibile immaginare che egli potesse ambire a vantaggi ulteriori derivanti dal sistema di protezione, per il semplice fatto che non ne avrebbe potuto ottenere, né risulta che CALCARA ne avesse richiesti. Si è già visto come alcun rilievo possa avere la missiva dallo stesso inviata durante la detenzione in Germania all’avvocato PANTALEO, dal momento che l’episodio si colloca in epoca antecedente all’inizio della sua collaborazione (15.10.1983) e le spiegazioni dallo stesso fornite all’iniziativa sono del tutto coerenti con la condotta di un mafioso, qual era all’epoca. In ogni caso, le argomentazioni sul punto contenute nella sentenza della X sezione del tribunale di Roma, vanno del tutto condivise.

Sulla base del suo apporto erano già stati emessi numerosi provvedimenti custodiali nei confronti di appartenenti alle cosche trapanasi sia per reati di associazione di tipo mafioso, sia per reati di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. I relativi processi sono stati definiti con sentenze di condanna passate in giudicato. Il collaborante si era accusato di aver commesso un omicidio. Non ignora, invero, quest’Ufficio la pronuncia della Corte d’Assise di Caltanissetta del 12 Giugno 1998, la cui motivazione è stata depositata in stralcio dalla difesa dell’imputato Giuseppe CALO’, relativa all’omicidio del sost. procuratore della Repubblica di Trapani, Gian Giacomo CIACCIO MONTALTO, che ha considerato false e non genuine le indicazioni di CALCARA. Tuttavia, quella pronuncia è idonea a produrre i propri effetti esclusivamente nell’ambito di quel processo, anche in considerazione dell’incompletezza delle risultanze probatorie esaminate. Del resto, le ragioni, riportate alle pag. 23 e segg. della motivazione, che hanno indotto a ritenere false le sue dichiarazioni con riferimento al suo inserimento in Cosa Nostra sono superate dalle altre pronunce che hanno esplicitamente riconosciuto l’appartenenza all’organizzazione ed il suo coinvolgimento nelle attività svolte dagli adepti. Il fatto che Giuseppe FERRO, Vincenzo SINACORI, Vincenzo PATTI, Giovanni BRUSCA abbiano ignorato l’inserimento in Cosa Nostra trova una plausibile spiegazione nel ruolo di uomo d’onore riservato, alle dirette dipendenze di Francesco Messina DENARO e di Michele LUCCHESE, nell’essere stato, per un certo periodo, CALCARA posato e nell’aver vissuto fuori dalla Sicilia per lungo periodo di tempo. V’è, poi, da rilevare che FERRO, SINACORI e PATTI hanno assunto ruoli direttivi in aggregati territoriali diversi da quello in cui il dichiarante era inserito e in epoca recente, quando già CALCARA aveva iniziato la collaborazione con la giustizia. MESSINA DENARO era il capo della provincia di Trapani e CALCARA un uomo di sua fiducia, sicché è del tutto plausibile un suo progettato impiego per attentare alla vita del dottor Paolo BORSELLINO quando ricopriva la carica di procuratore della Repubblica di Marsala. La regola della compartimentazione, vigente all’interno dell’organizzazione, con specifico riferimento ai delitti eccellenti e strategici per la sua esistenza, spiega perché BRUSCA non ne fosse al corrente. In ogni caso, si tenga conto che, all’epoca, non rivestiva il ruolo di reggente del mandamento di San Giuseppe Jato e non aveva titolo, perciò, a partecipare alle riunioni della commissione provinciale di Palermo.

Il 21 Ottobre 2002, il dichiarante ha, invero, sostenuto di aver iniziato a parlare sia del viaggio, sia della presenza di CALVI al termine dell’interrogatorio del 3 Dicembre 1991, giorno del suo compleanno, con il collaboratore del dottor Paolo BORSELLINO, il maresciallo CANALE (accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, ancorché assolto), il quale lo aveva dissuaso mostrandogli chiaramente di non credergli. Del fatto che il suo apporto collaborativo fosse non completo e in fase di espansione se ne è trovata una traccia in uno dei verbali risalenti al 1992.

Dalla ricerca effettuata, si è rinvenuto il verbale del 2.12.1991, nel corso del quale CALCARA ha fatto riferimento a una conversazione che aveva avuto con il dottor BORSELLINO il giorno precedente alla morte del magistrato, nella quale gli aveva detto che si sarebbero dovuti vedere presto per parlare di “quelle cose importanti”. In dibattimento, ha sostenuto che con il dottor BORSELLINO avevano l’accordo che le notizie sul quel viaggio le avrebbero dovute verbalizzare.



Quel magistrato rappresentava per lui, come per tanti altri, un punto di riferimento, accresciutosi ancor più dopo la strage di Capaci e l’eliminazione di Giovanni FALCONE. Si pensi all’emblematica vicenda della diciottenne Rita ATRIA, la quale aveva iniziato a collaborare con la giustizia, rivelando proprio a Paolo BORSELLINO, allora procuratore della Repubblica di Marsala, i segreti che aveva appreso in ambito familiare. Una scelta che le era costata il ripudio della madre e il totale isolamento dagli affetti familiari. La solitudine l’aveva indotta ad affidarsi e ad aggrapparsi completamente a Paolo BORSELLINO (così come aveva fatto CALCARA, tanto da attribuire ai propri figli il nome dei figli di quel magistrato), riuscendo a trasfonderle la sicurezza perduta. Non seppe resistere allo sconforto e al dolore della notizia del suo assassinio, tanto da togliersi la vita, lasciando a un biglietto poche parole “adesso non c’è più chi mi protegge”. Dunque, è del tutto credibile che l’eliminazione del dottor BORSELLINO abbia congelato la sua determinazione collaborativa e che si sia sbloccato “piano piano” e che sia andato “cauto” nel riferire il proprio vissuto (come ha sostenuto lo stesso CALCARA, vedi pag. 247 e 248, trasc. 3.7.2006) e questo spiega il perché, dapprima, in data 11 Febbraio 1993 e 24 Marzo 1993 abbia riferito di attività protesa a incontrare il notaio ALBANO, fra la quale, una visita effettuata con Antonino VACCARINO al detto professionista, in epoca non lontana a quella del trasporto del denaro, e, solo il 22 Aprile 1993, abbia parlato di quest’ultimo tema. Una vicenda che ha ribadito negli stessi termini in più occasioni successive: il 28.10.1994, il 31.5.1997 e il 10.12.2002. Il percorso di riacquisto di una rassicurante fiducia in altri magistrati è stato indubbiamente reso difficile dall’atteggiamento di alcuni inquirenti, riferito in dibattimento dal CALCARA, che lo deridevano allorquando parlava di quei temi (vedi pag. 248, trasc. 3.7.2006). Ma non solo, nel corso del 1994, il maresciallo dei carabinieri Donato GIORGIO e Antonino VACCARINO lo hanno accusato separatamente di calunnia, reati dai quali è stato, poi, prosciolto e lo avevano indotto a fuoriuscire dal programma di protezione. Tale stato di cose ha inevitabilmente compresso e condizionato la sua collaborazione, perché CALCARA si è trovato dinanzi al rischio di perdere la sua credibilità, nel caso in cui avesse riferito quanto a sua conoscenza. Nel corso del tempo è possibile che abbia interpretato come segnali di abbandono da parte della magistratura, come ha sostenuto, il fatto di non venire più interrogato e chiamato a deporre, tanto da aggrapparsi o, comunque, da rivolgersi a chi si era reso disponibile ad ascoltarlo, uno dei massimi esperti del giornalismo d’inchiesta nel campo dell’antimafia, Francesco VIVIANO, per far sapere quelle “cose importanti” di cui avrebbe dovuto parlare con il dottor BORSELLINO e alle quali non aveva mai fatto cenno in precedenza. Non può considerarsi frutto del caso che ciò sia avvenuto quando i media hanno iniziato a diffondere notizie relative alla rivitalizzazione delle investigazioni sull’omicidio di Roberto CALVI. Non v’è dubbio che non può, comunque, approvarsi la sua scelta di rivolgersi a un giornalista anziché agli inquirenti per riferire le sue conoscenze, ma quella condotta trova una logica spiegazione.

Se CALCARA aveva motivi per non parlare in precedenza di cosa aveva ruotato attorno a quel viaggio, nel 2002 non aveva interesse alcuno a mentire parlando di CALVI, essendo in corso un procedimento per calunnia a suo carico, derivante dalla denuncia del maresciallo Donato GIORGIO, perché ciò avrebbe inevitabilmente comportato una aggravio della propria posizione processuale. Per averlo fatto, dopo la sua deposizione dibattimentale nel processo nel quale era imputato di calunnia ai danni del maresciallo DONATO, evidentemente, deve essere stato ben consapevole che stava dicendo la verità. Del resto, ha descritto il banchiere in termini aderenti alla realtà, fornendo il particolare dell’altezza che poteva essergli noto solo per averlo veduto. Il fatto che il dichiarante abbia riferito di essere stato avvicinato, al fine di ritrattare le dichiarazioni relative al trasporto di denaro, da persona in contatto con VACCARINO e Donato GIORGIO, e che sia stato fatto segno di minaccia, pervenuta nel luogo in cui vive con il proprio nucleo familiare, dopo la deposizione dibattimentale in questo processo (come si evince da un servizio, di epoca relativamente recente, mandato in onda nel corso della trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”, nel corso della quale viene intervistata la moglie di CALCARA che ha affermato di aver ricevuto il plico minatorio, si è prodotta la relativa videocassetta), depone per ritenere che le stesse siano veridiche.

In definitiva, se l’atteggiamento tenuto nell’ultima parte della deposizione dibattimentale (durante il controesame) appare censurabile, dovendo considerarsi come il frutto di un atteggiamento di una persona che ha subito nel tempo un’evoluzione certamente negativa e che proviene da una sottocultura criminale, tuttavia, le sue attuali condizioni personali e caratteriali non compromettono l’attendibilità e la verosimiglianza delle sue dichiarazioni.


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