La ricostruzione medico legale


Sulla non conoscenza di Danilo ABBRUCIATI da parte di Giuseppe CALO’



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Sulla non conoscenza di Danilo ABBRUCIATI da parte di Giuseppe CALO’

La difesa ha sostenuto che non risulta provata la conoscenza da parte di CALO’ di Danilo ABBRUCIATI.

L’affermazione difensiva è destituita di alcun fondamento.

A nulla rileva il fatto che CALO’ abbia, a più riprese, affermato di non conoscere ABBRUCIATI (vedi pag. 124, 178, 228, trasc. 10.10.2006).

La sua affermazione è certamente falsa ed è smentita da una messe di risultanze contrarie. Basti por mente alle dichiarazioni di segno contrario di Salvatore CANCEMI (vedi pag. 36 – 38, trasc. 14.2.2006), Antonio MANCINI (vedi pag. 256, trasc. 29.3.2006), Salvatore CONTORNO (vedi pag. 114-116, trasc. 14.2.2006), Salvatore CUCUZZA (vedi pag. 10 e 13, trasc. 14.2.2006), Maurizio ABBATINO (vedi pag. 66, 67 e 161, trasc. 30.5.2006) e Francesco SCRIMA (vedi pag. 164, trasc. 28.2.2006).

Si noti che le smentite provengono, per un verso, da appartenenti allo stesso mandamento di Porta Nuova, capeggiato da CALO’ (quali CANCEMI, CUCUZZA e SCRIMA), e, peraltro, da appartenenti alla Banda della Magliana (quali MANCINI ed ABBATINO).



  1. Sui pretesi contatti tra Roberto CALVI e Graziella CORROCHER che dimostrerebbero la volontarietà dell’espatrio di CALVI

La difesa ha richiamato le dichiarazioni rese da Giampaolo BODINI e Giancarlo GIOBBO per sostenere tale tesi.

Giampaolo BODINI ha riferito che l’ultimo contatto tra CALVI e la CORROCHER è avvenuto Venerdì 11 Giugno 1982, poco dopo le ore 13,00, quando le aveva telefonato per dirle di disdire una prenotazione aerea per il mattino successivo sulla tratta Roma-Milano, dicendo che sarebbe tornato con altri mezzi (vedi verbali del 21.6.1982 e del 14.7.1982 – v. all. n. 33).

Giancarlo GIOBBO non riferisce di contatti con CALVI, né risultano altre telefonate con la CORROCHER, dal verbale dallo stesso reso. (v. verbale del 21.6.1982 - v. all. n. 34)

A riprova di ciò, vanno richiamate le dichiarazioni di Roberto ROSONE, il quale afferma di aver avuto passata la cornetta, Venerdì 11 Giugno, dalla CORROCHER e di aver ricevuto da CALVI, nel suo ufficio, altra telefonata pochi minuti dopo (vedi pagg. 73-75 trascriz. Udienza del 6.6.2006 - v. all. n. 35).

  1. Sulla ragione del camuffamento dell’omicidio in suicidio per CALO’

Il difensore si è chiesto qual è il motivo dell’omicidio camuffato per la mafia di CALO’ e ha sostenuto che la mafia quando uccide lo fa capire a tutti.

La tesi in sé non è condivisibile. Cosa Nostra persegue strategie ben precise con le sue azioni criminali. Talvolta, vuole che sia percepibile all’esterno un segnale forte chiaro della volontà omicidiaria per intimidire (es. eliminazione di chi non paga il pizzo o di chi la contrasta), altre volte agisce nel silenzio (come nei casi di omicidio per “lupara bianca”), altre volte maschera l’azione omicidiaria (come nel caso dell’uccisione di Giuseppe IMPASTATO del 9 Maggio 1978 e del padre del collaboratore di giustizia Gioacchino LA BARBERA, nonché di CALVI).

In quest’ultimo caso, CALO’ aveva un interesse preciso: assicurare l’impunità per sé e per i propri concorrenti, anche al fine di impedire l’individuazione del gruppo di potere economico integrato di cui si è detto in requisitoria (vedi atto d’appello). Un risultato raggiunto e conservato sino a quando non è stato possibile celebrare questo processo.



  1. Sull’attendibilità di Gabriella POPPER


La difesa ha sostenuto che Gabriella POPPER è sempre stata considerata inattendibile.

Al riguardo, è sufficiente far richiamo a quanto riportato nell’atto di appello.




  1. Sul mancato coinvolgimento di CALO’ nel processo per bancarotta del Banco Ambrosiano

La difesa ha rilevato che CALO’ è persona sconosciuta nel processo relativo alla bancarotta del Banco Ambrosiano.

È sin troppo evidente come la circostanza non abbia alcuna refluenza per escludere il coinvolgimento di CALO’ nell’omicidio per cui è processo. La circostanza è riconducibile al fatto che nel processo di bancarotta non sono state verificate le immissione di risorse finanziarie nel Banco ma solo ciò che sta a valle, vale a dire le distrazioni e per il fatto che trasferimenti da CARBONI a CALO’ sono avvenuti in contanti e, comunque, con modalità idonee a non lasciarne traccia.

  1. Sulla tipologia e non occasionalità dei rapporti intercorsi tra CARBONI e CALO’ e sul significato della pronuncia dell’8 Febbraio 1986, nei confronti di ANGELINI + altri (in particolare: rif. 11-18 nota di udienza della difesa CARBONI del 26 Marzo 2010)

La difesa ha ricostruito i rapporti CARBONI-CALO’ basandosi esclusivamente sulla sentenza dell’8.2.1986 del Tribunale di Roma per sostenere che alcun rapporto consapevole il suo assistito aveva avuto con la mafia e Pippo CALO’, che non vi era alcuna prova per cui gli investimenti di CALO’ in Sardegna fossero stati curati da CARBONI, ponendo in rilievo che CARBONI era estraneo alla cessione della Mediterranea, che non era provato che FALDETTA fosse il prestanome di CALO’ (ha richiamato pag. 27 della sentenza), che l’operazione Siracusa si era esaurita in una richiesta di un prestito di CARBONI e che il relativo debito si era chiuso con il rilascio di effetti bancari, dopodiché non vi erano stati più rapporti tra CALO’ e CARBONI. In ordine alla vicenda BTP (n.d.r.), la difesa ha richiamato la sentenza del Tribunale di Roma, del 2.11.1991, IV Sez., sottolineando che CARBONI non aveva consapevolezza della provenienza degli stessi dalla mafia.

In proposito, va richiamato quanto esposto nel corso della requisitoria di primo grado. In questa sede, va aggiunto che la sentenza ANGELINI fa stato della conoscenza e delle condotte di cui trattasi sino al momento in cui è stata emessa. Nuove acquisizioni, e, in particolare, le indicazioni fornite da collaboratori di giustizia (quali, a esempio, Salvatore LANZALACO, Pasquale GALASSO, Francesco Marino MANNOIA e altri) che hanno iniziato a collaborare, dopo il Febbraio 1986, nonché le pronunce inerenti al processo c.d. “maxi uno” e “maxi bis”, impongono, ai fini del presente processo, di rivalutare quelle risultanze, per apprezzare i rapporti intercorrenti tra gli imputati, così come è stato fatto nel corso della requisitoria e dell’atto d’appello.

Si aggiunga che il mantenimento di rapporti tra CARBONI e la mafia trova un significativo elemento di conferma nei colloqui registrati dallo stesso CARBONI, in epoca vicina all’omicidio di Roberto CALVI, intercorsi con Roberto CALVI e Carlos BINETTI presso la SOFINT, i cui nastri sono stati sequestrati presso il notaio LOLLIO. E, infatti, facendo riferimento all’On. Aristide GUNELLA, il repubblicano siciliano, l’imputato CARBONI afferma che poteva agevolmente accertare se apparteneva alla mafia e anche a quale tipologia della stessa fosse legato. Si riporta qui di seguito il relativo brano della conversazione (vedi pag. 30 e 31, consulenza tecnico fonica, predisposta dal Cap. Claudio CIAMPINI, dal Mar. Simone CESARE, da Pier Paolo VILLANI e Giuseppe DI IEVA, nella parte inerente alla trascrizione della microcassetta 1, lato A):

CARBONI: sì, ci potrebbe essere addirittura GUNELLA

Voc. Mas: allora…

CARBONI: però non glielo so dire se c’è GUNELLA, eh!

CALVI: no, ma… io oggi…

CARBONI: e ha il diritto anche di saperlo, scusi sa!

BINETTI: beh, tra l’altro quello lì veramente è uno che spara, eh!.. Quello è uno che spara veramente!

CARBONI: chi, GUNELLA?

BINETTI: Aristide, no?

CARBONI: non so se si chiama Aristide … quel repubblicano siciliano

BINETTI: sì

CARBONI: è una schifosa persona… qualche cosa di ripugnante!

BINETTI: …. Però non spara … lui non sparerà mai…

CARBONI: ma che cosa spara!...

BINETTI: cosa spara … mafioso!

CARBONI: mafioso?

BINETTI: legato ai giri più oscuri che…

CARBONI: loschi…

BINETTI: diamine, la mafia vera!

CARBONI: sì, sì, sì

BINETTI: e personaggi …

CARBONI: ma neanche vero.

BINETTI: che urlavi… quando era sottosegretario mi diceva: “io a te Carlo, ti distruggerò!” Ho detto “guarda che non capisco bene cos’è che devi distruggere perché non so nulla!”

CARBONI: ma sei sicuro che sia legato alla mafia?

BINETTI: non ho capito

CARBONI: perché noi lo possiamo anche sapere. Bisogna vedere a che tipo di mafia è legato.

BINETTI: adesso controllo! … adesso controllo!

CARBONI: e ci vuole… ci vuole molto poco per farlo

BINETTI: va bene
È sin troppo evidente che le affermazioni dell’imputato non possono essere ricondotte a una mera millanteria. La conoscenza dell’esistenza di fazioni (“tipo di mafia”) all’interno della mafia siciliana era, a quell’epoca, notizia inedita mai diffusa dalla stampa. Dovettero passare ben due anni perché ne parlasse Tommaso BUSCETTA ai giudici istruttori di Palermo. Ne deriva, pertanto, che la facilità di conoscere la notizia “de qua” deriva dai ben saldi rapporti dell’imputato con Giuseppe CALO’ e dalla sua conoscenza dei soggetti intranei a Cosa Nostra interessati e coinvolti nell’attività di riciclaggio curata da Roberto CALVI e dal Banco Ambrosiano.

E, ancora, va richiamato quanto già riferito nel corpo della requisitoria (vedi pagg. 23, 68 e 69 dell’atto d’appello), ove si è fatto riferimento all’intervento di CARBONI nel corso delle trattative per l’individuazione della prigione e della liberazione di MORO. Egli si era presentato come rappresentante della mafia e aveva offerto un aiuto gratuito. In seguito, comunicava che la dirigenza della mafia non voleva più occuparsi di MORO (vedi dichiarazioni di Giuseppe Messina al G.I. del 13.10.1982).


Appare utile, inoltre, richiamare, in sintesi, alcune osservazioni sul punto, già formulate nel corso della requisitoria, con particolare riferimento alle risultanze di altri pronunciamenti giudiziari.

Nella sentenza della Corte di Assise di Appello di Palermo del 6 Maggio 1989, la cui motivazione è stata depositata in cancelleria il 18 Agosto 1989, con la quale è stato definito in grado d’appello il c.d. “maxi bis”, con riferimento specifico ai rapporti tra Ernesto DIOTALLEVI, Lorenzo DI GESU’, Flavio CARBONI e Giuseppe CALO’, si legge:


“…Qualche tempo dopo, il FALDETTA su segnalazione del CALO’, entra in contatto con il pregiudicato BALDUCCI Domenico (che successivamente sarà assassinato a Roma) e rileva il pacchetto azionario della Mediterranea S.p.a. che era proprietaria di un’area edificabile a Porto Rotondo. Con l’attiva partecipazione del DI GESÙ, che funge da “alter ego” del Faldetta vengono realizzati 56 miniappartamenti, 19 dei quali vengono ceduti alla s.r.l. Marius (le cui quote appartenevano a DIOTALLEVI Ernesto e LUCARINI Carolina, abituali prestanome del CALO’, che utilizzò nella denominazione sociale il falso nome a cui sovente faceva ricorso), mentre uno va al DI GESÙ ed un altro se lo riserva il Faldetta che poi cede la MEDITERRANEA a BALDUCCI ricevendone 350 milioni “sporchi” che sospetta provenire dal CALO’ e dal contrabbando di tabacchi.

Dal 1977 al 1979 amministratore della s.r.l. Iscia Segada, che opera in Sardegna, è il FALDETTA che dopo che costui era stato colpito da mandato di cattura, tale MERLUZZI Luciano. La Iscia Segada ha venduto alla società “Tourinvest 2” un terreno edificabile per il prezzo reale di £. 1.600.000.000 circa a fronte di quello di £. 1.000.000.000 indicato nell’atto pubblico. La differenza in nero venne pagata dagli acquirenti in rate di lire 60 milioni ciascuna, che venivano riscosse dal BALDUCCI, che provvedeva poi a dividerle in tre quote, una consegnata al BALDUCCI e le altre due al FALDETTA. Il MERLUZZI ha testualmente dichiarato di aver appreso dal BALDUCCI e dal FALDETTA, che la terza quota era del DI GESU’, che per tale motivo era intervenuto nelle trattative e nell’atto pubblico con la “Tourinvest 2” ed ha chiarito l’affermazione contenuta nelle dichiarazioni istruttorie secondo cui il DI GESU’ era più interessato nell’affare degli altri due soci, spiegando che l’impressione era stata da lui tratta dall’atteggiamento molto deferente del FALDETTA verso il DI GESU’, dall’aver costatato che in un’occasione in cui facevano i conti c’era una certa posizione di subalternità del FALDETTA (“non è che erano dirimpettai, insomma c’era una certa…”) e che la cointeressenza del DI GESU’ era stata dimostrata in maniera decisiva quando aveva consentito una riduzione di prezzo di lire 300 milioni richiesta dai bresciani.

CARBONI Flavio e PELLICANI Emilio hanno dichiarato che un gruppo di siciliani tra i quali hanno indicato il DI GESU’, il FALDETTA, il CALO’ e tale SANSONE Gaetano avevano iniziato a finanziare il CARBONI nell’iniziativa imprenditoriale, poi non realizzata, che aveva per oggetto la ristrutturazione di parte del centro storico e un intervento edilizio nel porto di Siracusa; che nell’ambito di tali trattative si erano svolte varie riunioni. Da un appunto consegnato dal CARBONI è poi risultato che avrebbero dovuto realizzare le opere edilizie, oltre al citato SANSONE, tale VIRGA ed i fratelli NOTARO, uno dei quali è cognato di GRECO Michele” (vedi pag. 452 – 455).
La stessa pronuncia richiamata dalla difesa dell’8 Febbraio 1986, nei confronti di ANGELINI + altri nella parte relativa a “Carboni e Ravello” evidenzia chiaramente che CARBONI acquistava lotti di terreno a vocazione turistico-edificatoria in Sardegna (Porto Rotondo) e, poi, si adoperava per concretizzare tale vocazione urbanistica (pag 76). Anche il ricorso per cassazione, presentato dallo stesso Flavio CARBONI contro la sentenza del Tribunale Cantonale di Lugano del 28/4/1993, effettua, a pag. 18 e seguenti, similare ricostruzione dei fatti, lì dove CARBONI stesso precisa “……l’avvenimento più importante avvenne alla fine del 1971 dove da importanti famiglie italiane, quali i Cini ed i Gaggia, rappresentati dal noto finanziere svizzero Ley Ravello, acquistai l’intera società Punta Volpe Spa, proprietaria del 90% e oltre di Porto Rotondo…. Poco dopo cedetti allo stesso Ley Ravello il 50% di questa proprietà conseguendo un utile rilevante…. La mia fortuna consistette nell’essere riuscito ad ottenere dall’Autorità Sarda, regionale e comunale, un aumento degli indici di edificabilità dal 100 al 150%.........”.



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