La ricostruzione medico legale


Sull’inattendibilità di Gaspare MUTOLO



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Sull’inattendibilità di Gaspare MUTOLO

Si è detto che nel 1985 aveva dichiarato di “non essere in possesso di notizie dirette e indirette” sull’omicidio di Roberto CALVI e da ciò si pretende di desumere l’attendibilità del suo apporto. La tesi difensiva non appare condivisibile per le seguenti ragioni.

La collaborazione di MUTOLO matura a cavallo tra la strage di Capaci del 23 Maggio 1992 e quella del 19 Luglio 1992 e inizia di fronte al dottor Paolo BORSELLINO. Si è rivelata una delle più importanti degli anni ’90. L’attendibilità del suo apporto è stata riconosciuta da numerose sentenze passate in giudicato3. Non incrina certamente la sua attendibilità la circostanza che egli abbia beneficiato di una somma di 300 milioni di Lire da parte dello Stato, come si pretende di dimostrare da parte della difesa di CALO’, nel corso del giudizio di primo grado, che ha prodotto uno stralcio debitamente selezionato della sua deposizione del 1 Marzo 1997, resa nell’ambito del processo relativo all’omicidio PECORELLI. Si tratta di una somma legittimamente e doverosamente erogata nel quadro di una normativa vigente.

La richiesta di restituzione del denaro consegnato a Michele SINDONA per il tramite di Pippo CALO’


MUTOLO ha articolato il suo racconto nei seguenti termini.

ROSARIO RICCOBONO gli aveva raccontato che SINDONA aveva assicurato tutti i capi mandamento che si sarebbe interessato per far rientrare tutti i capitali investiti tramite Pippo CALO’ (vedi pag. 77, trasc. ud. 8.2.2006).

SINDONA consigliava CALO’ su come manovrare i soldi dei mafiosi (vedi pag. 65, trasc. 8.2.2006) ed era venuto in Italia, intorno al 79-80 (vedi pag. 76, trasc. 8.2.2006), per fornire giustificazione alla richiesta di restituzione del denaro da parte dei “siciliani”. Non aveva potuto restituire il denaro e si era giustificato, secondo quanto gli aveva detto RICCOBONO, dicendo che la responsabilità era di CALVI (vedi pag. 65, trasc. 8.2.2006) perché glieli aveva dati e questi aveva effettuato alcune operazioni “sbagliate”, ma la cosa poteva essere recuperabile. Vi erano dei soldi investiti in titoli in borsa, vi erano dei soldi in Svizzera e nel Banco Ambrosiano (vedi pag. 77, trasc. 8.2.2006).

CALVI a sua volta si era giustificato e aveva detto: “non vi allarmate” perché vi era ancora tanto denaro “qualche cosa mancherà”. Se CALVI, per assurdo, avesse detto: “i soldi sono finiti tutti” “finiva anche lui” (vedi pag. 71 e 72, trasc. 8.2.2006).

Questi soldi si trovavano nella banca Franklin di SINDONA, in Italia, in Svizzera e i responsabili erano SINDONA e CALVI (vedi pag. 72 e 73, trasc. 8.2.2006). Negli interessi che aveva RICCOBONO vi erano anche soldi suoi e il collaboratore “era sempre in mezzo come il prezzemolo” (vedi pag. 73, trasc. 8.2.2006).

Non sapeva dire quanto avevano, poi, recuperato. La cosa era finita tragicamente. SINDONA era stato arrestato e avvelenato. CALVI era stato eliminato (vedi pag. 68 e 69, trasc. 8.2.2006).

Durante il ricovero nell’infermeria del carcere dell’Ucciardone, intorno agli anni 78/79, aveva avuto riferito da Gerlando ALBERTI che Pippo CALO’ era si era inserito molto bene a Roma, aveva preso contatti con Flavio CARBONI, personaggio molto importante con molte amicizie e, a seguito di contestazione, che CALO’ e CARBONI riciclavano denaro nel Banco Ambrosiano (vedi pag. 160 e 161, trasc. 8.2.2006).

Le suddette indicazioni appaiono del tutto in linea a quanto dichiarato in fase d’indagini, come si rileva dal fatto che non vi sono state contestazioni di dichiarazioni difformi rese in fase d’indagini.


È significativo, anche, ricordare che nel memoriale presentato in data 1.10.1993, si legge:
io nel 1981 trovandomi a Palermo e avendo dei discorsi con MADONIA Antonio e con altre persone mi invitarono a voler investire denaro tramite il CALO’ a degli investimenti che facevano questo in Sardegna con CARBONI, interesse economico aveva il CALO’ anche con SINDONA e CALVI, non so a che livello però sempre nel senso speculativo. Il CALO’ era il personaggio di “Cosa Nostra” in cui l’ala chiamata dei “corleonesi” faceva riferimento a uomini di Cosa Nostra per i sequestri di persona e le grandi speculazioni. Il CALO’ era in contatto con i personaggi più in vista della malavita romana e da lui prendevano le direttive come comportarsi negli schieramenti organizzativi; a Palermo si sapeva che a Roma nella condizione di risolvere qualsiasi problema.

Io mentre mi trovavo in galera ho avuto modo di parlare con MICELI l’uomo che fece il finto ferimento di SINDONA questo era stato fatto venire a Palermo mafiosi avevano investito capitali e rivolevano i loro soldi” (vedi pag. 4 e 5, memoriale del 1.10.1993).


Il coinvolgimento di Francesco DI CARLO e la ragione dell’omicidio. Attendibilità delle dichiarazioni fornite.


Con specifico riferimento all’omicidio di Roberto CALVI ha riferito quanto segue.

Aveva parlato durante la detenzione con DI GIACOMO, Pietro LO IACONO, Pippo CALO’. Si era fatto riferimento al fatto che nell’omicidio di CALVI vi era lo “zampino” di un certo Franco DI CARLO, mafioso di Altofonte, grosso trafficante di eroina e cocaina, da diverso tempo a Londra. Si faceva riferimento al fatto che i soldi non erano rientrati. Erano ragionamenti. Il fatto del recupero dei soldi era un qualcosa che poteva anche interessarlo se vi fosse stato del denaro di RICCOBONO.



CALO’ “era sempre evasivo” (vedi pag. 84 e 85, trasc. 8.2.2006) ed era consapevole del fatto che il denaro era stato immesso nel Banco Ambrosiano di CALVI e che SINDONA era sceso a Palermo e non lo smentiva (vedi pag. 86, trasc. 8.2.2006). CALVI era stato ucciso principalmente perché vi erano i siciliani “che volevano i soldi” (vedi pag. 98, trasc. 8.2.2006).

Nel corso del controesame, l’avvocato DELL’ANNO gli contestava che, in data 13 Gennaio 1995, aveva dichiarato di non essere in possesso di notizie dirette o indirette sulla morte di Roberto CALVI e MUTOLO dichiarava di non ricordare tale verbale. Quello era un periodo in cui era molto impegnato nelle cose siciliane e non gli andava di perdere tempo con “con queste cose” (vedi pag. 98 e 99, trasc. 8.2.2006).

Poneva in rilievo che la prima dichiarazione che aveva fatto su CALVI l’aveva rilasciata al giudice LUPACCHINI, al quale aveva parlato sia di CALVI sia di LENA, nonché a magistrati di Palermo. Confermava, poi, quanto aveva detto in dibattimento (vedi pag. 99, 101 e 107, trasc. 8.2.2006).

A seguito di domande poste dal Presidente riferiva quanto segue.

L’ordine di eliminare CALVI l’aveva dato la commissione di Palermo e CALO’ si era fatto carico di eseguirlo (“questa assunzione … se l’è presa CALO’ Pippo”), perché era in contatto con CALVI. I mafiosi volevano i soldi e “si parlava del coinvolgimento di Franco DI CARLO” (vedi pag. 157 e 158, trasc. 8.2.2006). MUTOLO era interessato all’argomento per vedere se fossero stati recuperati soldi riconducibili a RICCOBONO e, conseguentemente, a lui (vedi pag. 158 e 159, trasc. 8.2.2006).

La valenza probatoria di siffatte informazioni riversate in sede dibattimentale non può ritenersi compromessa dal fatto che, alla polizia giudiziaria il 13.1.1995, abbia dichiarato di non essere in possesso di notizie dirette o indirette sulla morte di CALVI. Tali espressioni vanno riferite evidentemente al fatto che MUTOLO, non avendo assistito personalmente al delitto e non avendovi partecipato, non è a conoscenza dei tempi e modalità esecutive dell’omicidio, ma non implicano affatto che non abbia potuto raccogliere notizie da altri. D’altro canto, dinanzi a una domanda secca, soprattutto a distanza di anni e senza sapere previamente quello che sarà l’oggetto dell’interrogatorio, proprio come è accaduto in quella occasione, non si può esigere che il collaborante ricordi e riferisca prontamente quanto appreso, specie con riferimento a vicende attorno alle quali non vi è mai stato un suo interesse operativo diretto. In ogni caso, va sottolineato che la tardività non può certo escludere a priori la credibilità.

Il meccanismo mnemonico può essere, invece, stimolato da appropriate domande che permettono di collegare fatti, circostanze, personaggi e situazioni. E, nel caso che ci occupa, le affermazioni di MUTOLO sono scaturite a seguito di puntuali domande poste nel quadro di un contraddittorio di un esame condotto con specifico riferimento all’omicidio CALVI che gli ha evidentemente consentito di recuperare i suoi ricordi, come quello relativo al colloquio in carcere con DI GIACOMO, Pietro LOIACONO e CALO’, anche a seguito dei quesiti posti dal Presidente della Corte. L’assoluta mancanza di interesse di MUTOLO sui fatti in questione costituisce una garanzia della genuinità di quanto dallo stesso riferito. La mancanza di interesse discende dalle sue stesse affermazioni rese a seguito dei chiarimenti richiesti per spiegare le ragioni del mancato riferimento nel corso del verbale del 13.1.1995 di quanto dichiarato sul punto in dibattimento, nonché dal fatto di non avere alcuna esigenza di accreditarsi dinanzi all’autorità giudiziaria, avendo da molto tempo ottenuto un programma di protezione e la dovuta assistenza da parte degli organi preposti anche per iniziare una nuova attività lavorativa.



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