Sulle dichiarazioni di Paul MOUSEL (rif. alla nota difensiva: punto 133, alla pag. 44, secondo e terzo punto dell’elenco puntato)
Le dichiarazioni di Paul MOUSEL – sottolinea la difesa CARBONI – ricordano che le operazioni “back to back” (tra banche del Gruppo Ambrosiano e IOR) potrebbero in astratto essere utilizzate per finalità di riciclaggio; si evidenzia come il teste dichiari di “non aver trovato prove di riciclaggio”. Può ipotizzarlo MA NON PROVARLO (dib pag. 193).
La lettura di tali dichiarazioni deve, oggi, essere oggetto di un’analisi a sistema con l’apporto fornito dalla testimonianza di Massimo CIANCIMINO, con riferimento, in particolare, al contributo di conoscenza verità da queste offerto circa le modalità con le quali, attraverso lo IOR, sono state poste in essere attività riciclaggio di capitali illeciti provenienti dall’organizzazione mafiosa. In estrema sintesi, CIANCIMINO descrive come lo IOR costituisca il luogo fisico dove il contante, in ingentissimi quantitativi, viene custodito dal padre VITO in cassette di sicurezza e, quindi, avviato, con l’intervento anche personale dello stesso Roberto CALVI, alle casse del Banco Ambrosiano. L’operazione “back to back” (a esempio: IOR / BAOL / Banca del Gottardo) diviene, dunque, il semplice e versatile strumento per veicolare all’estero (o viceversa far rientrare in Italia) i capitali illeciti che formalmente vengono trasferiti (nell’esempio: da IOR a BAOL e, quindi, contestualmente da BAOL a Banca del Gottardo) con la natura apparente, pienamente lecita, di operazioni interbancarie.
Se, quindi, è vera la circostanza che costituisce, ad avviso di questo Procuratore Generale, l’unico vero “punto fermo” al quale approda il convincimento del giudice di prime cure della bancarotta del Banco Ambrosiano (si veda sentenza pag. 3086) ovvero che “ … Non tutti i denari che Calvi fece pervenire a Carboni erano destinati alla persona dell’imputato quale compenso dei servigi resi …” appare pienamente logico ritenere che le angosce mostrate da CALVI in quell’ultimo frangente della sua vita fossero legate alla necessità di reperire ingenti fondi (o soluzioni dilatorie), non già per foraggiare quel nutrito contesto di persone che CARBONI fa in modo di coinvolgere, nell’apparente ricerca di un ausilio al banchiere, bensì per l’esigenza restitutoria cui deve far fronte, per il tramite di CARBONI, verosimilmente coincidente con quella scadenza debitoria per 300 milioni di Dollari al 30 Giugno 1982 (si veda, ancora, la citata sentenza, alle pagine - tra le altre - 3048 e 3049) che, per il sopra citato effetto delle operazioni “back to back”, fa apparentemente capo allo IOR, mentre risale, di fatto, all’organizzazione mafiosa, che aveva fatto confluire il denaro presso lo IOR e che se ne aspettava il ritorno, con relativo profitto.
Sulla riconducibilità allo IOR della pretesa nei confronti di CALVI di un versamento di una somma di 300 milioni di Dollari, occorre chiedersi possiamo davvero credere che CALVI fosse preoccupato e assillato per dover restituire un debito alla IOR di tale importo entro il 30 Giugno 1982? Lo IOR era nelle condizioni di pretendere 250-350 (secondo le variegate indicazioni di CARBONI) milioni di Dollari? O quella richiesta dello IOR aveva dietro di sé persone che facevano davvero paura, ben conosciute da Roberto CALVI?
Per pretendere una tale somma bisogna che lo IOR avesse un credito esigibile. Invece, lo IOR, dopo l’omicidio, versava circa 250 milioni di Dollari. Ciò significa che non poteva vantare una seria pretesa nei confronti di CALVI e che la stessa preoccupava davvero il banchiere perché sapeva che era riconducibile alla mafia, secondo lo “schermo” dello IOR.
Sull’essersi CARBONI prefigurato quanto è accaduto dopo l’omicidio di Roberto CALVI
La difesa ha rilevato che CARBONI non poteva pensare che dopo la morte di CALVI non gli sarebbe successo nulla, circostanza che poteva essere, a suo dire, ipotizzata solo da “un imbecille”. CARBONI non poteva non rappresentarsi che la sua sorte era legata al Banco Ambrosiano e a CALVI. A sostegno della propria tesi ha sottolineato che CARBONI non aveva compiuto operazioni su quelle somme dopo la morte di CALVI, che avrebbe potuto consegnare il denaro alla mafia prima del 18 Giugno. Il non averlo fatto significa che egli era estraneo all’omicidio e che non si aspettava la morte di CALVI.
Nel corso della propria arringa di primo grado, riproposta in appello, la difesa si chiedeva perché CARBONI non avesse ridato alla mafia i 19 milioni e ha risposto rivolgendo la domanda: “La mafia pensate sia tollerante?”. Ha posto, inoltre, in rilievo che nella sentenza inerente alla bancarotta non era comparsa “una riga sulla mafia” e ha preso atto del fatto che CARBONI ha mentito su quelle distrazioni, perché vi era una sentenza passata in giudicato, contenendo le vivaci reazioni del proprio assistito tese a negare la circostanza. Dopo di che ha affermato che quei soldi erano destinati a CALVI e che CARBONI aveva “mentito perché si voleva tenere i soldi”.
Le affermazioni difensive non sono affatto condivisibili. La scelta degli accrediti in Svizzera e non in Italia, o in Gran Bretagna – paese teatro del delitto - è perfettamente funzionale allo scopo della restituzione e dell’occultamento. Quello Stato soprattutto in quegli anni era una sorta di area offshore ed era certamente il più idoneo per porre in essere illecite manovre finanziarie. I denari percepiti dall’imputato sono stati abilmente mossi sullo scacchiere svizzero, sia prima che dopo, e ha subito percorsi tortuosi tanto da far sparire abilmente le tracce a circa 6,5 milioni di Dollari (come si è detto nel corso della presente replica, si veda anche pag. 509 dell’atto d’appello), ai quali sarebbero seguiti anche altri 9 milioni di Dollari se la magistratura elvetica non fosse tempestivamente intervenuta nel rintracciarli e sequestrali (entro poco più di un mese dalla scomparsa del banchiere) Il giudizio celebrato a Milano, relativo ai reati fallimentari, ha avuto una portata e uno scopo ben determinato: quello di accertare la natura avulsa dall’attività di finanziamento, tipica dell’impresa bancaria, e quindi distrattiva, delle fuoriuscite di denaro dal gruppo Ambrosiano gestite da CALVI e non già di “qualificare” i rapporti tra CALVI e i suoi aventi causa che si pongono alla base delle individuate distrazioni, come si è ampiamente spiegato. È di lapalissiana evidenza, la contraddizione, frutto di un’assenza di una ben precisa tesi difensiva da contrapporre a quella accusatoria, laddove, per un verso, si sostiene che i destinatari del denaro percepito sono CARACCIOLO e PISANU e, per l’altro, che le somme erano per CALVI e che CARBONI aveva mentito perché si voleva tenere i soldi. Tale ultima tesi, propinata ad hoc, è la cosa più semplice che la difesa potesse dire, che, tuttavia, nemmeno CARBONI ha ammesso nel corso del suo lunghissimo esame dibattimentale. Ciò non rappresenta la verità. Si noti che tale spiegazione non risulta fornita nemmeno nel processo per bancarotta, nel cui ambito avrebbe potuto avere un minimo di verosimiglianza, ove non sono state acquisite le innumerevoli risultanze di questo processo (v. da pag 517 a 523 dell’atto d’appello).
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