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3.2.3. Il progetto e i lavori


Don Bosco, senza alcuna benché minima base economica, ma convinto che “è la Madonna che vuole la Chiesa; essa penserà a pagare” (MB 7, 372), agli inizi del 1863 avvia trattative con i Rosminiani per riacquistare il grande prato del seminario che e­gli stesso aveva venduto al Rosmini nell'aprile 1854. L'affare si conclude l'11 febbraio. Egli si affida quindi alla carità dei suoi benefattori e al sostegno delle autorità, spedendo un gran numero di circolari nelle quali motiva la costruzione della nuova chiesa per scopi esclusivamente pastorali: dare maggior spazio a tutti i giovani interni ed esterni dell'Oratorio e fornire di chiesa il nuovo borgo costituitosi in zona Valdocco, abitato or­mai da “una popolazione di oltre a ventimila abitanti nel cui mezzo non esiste né Chiesa né Cappella, nemmanco pubblica Scuola, in cui, ad eccezione della nostra, si facciano Sacre Funzioni, o si compartisca l'insegnamento religioso” (MB 7, 379).

Il progetto


Per il progetto don Bosco dapprima si affidò ad una commis­sione di architetti, poi, vedendo che ciascuno avrebbe voluto far adottare il proprio disegno e che le discussioni duravano più me­si senza alcun accordo, commissionò il tutto all'ingegner Antonio Spezia, colui che aveva fatto l'estimo di casa Pinardi quando la si era acquistata. Lo Spezia preparò un progetto di costruzione in forma di croce latina, su una superficie di 1200 metri quadri:
“Due bassi campanili fiancheggiavano la facciata sporgen­te. Per entrare in chiesa si passava per un atrio che soste­neva l'orchestra. Una maestosa cupola con sedici finestroni torreggiava sull'edifizio. Dalla prima base alla massima al­tezza si misuravano metri settanta (ndr.: nella realizzazione sono 45 metri). Da una parte e dall'altra dell'altar maggiore, die­tro al quale girava uno stretto ambulacro, era una sagre­stia, dalla cui porta si entrava nell'imponente presbiterio. Alle estremità del braccio trasversale due grandi altari; e due altri in cappelle, a metà del braccio inferiore.

D. Bosco esaminato il disegno si rallegrò molto e disse: - Senza che io accennassi all'ingegnere nessuna mia inten­zione speciale che regolasse la fabbrica della nuova chiesa, vidi che una cappella riuscirà nel luogo preciso che la Bea­ta Vergine mi aveva additato. - E in questa si consacrò un altare ai SS. Martiri Torinesi” (MB 7, 466).


Il progetto, dopo qualche difficoltà sollevata da alcuni sul titolo Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice, venne approvato dall'uf­ficio edilizio comunale.

I lavori


I lavori furono affidati all'impresario Carlo Buzzetti, ora­toriano della prima ora. Nel maggio 1863, per l'acquisto del ter­reno e del legname per lo steccato si erano già spese 4000 lire. Nell'estate e nell'autunno furono compiute le opere di scavo. Do­vendosi costruire sotto il pavimento della chiesa anche un vasto sotterraneo, oltre agli sterri per le fondamenta, era necessario asportare una enorme quantità di terra. Così nel 1863 si poté e­seguire solo una parte di quel lavoro che venne ripreso nel marzo 1864. Ci si accorse allora che il terreno era alluvionale ed era necessario scendere più in profondità e “piantare una forte pala­fittata, corrispondente alla periferia della progettata costru­zione. Ciò fu cagione, di maggiori spese sia per l'aumento dei lavori, sia per la copia di travi. Questi lavori però furono con­tinuati alacremente” (MB 7, 651).

Nell'inverno si erano procurate 200 mila miriagrammi di pie­tre, trasportate gratuitamente a Torino in ferrovia per i buoni uffici del direttore generale delle ferrovie Bartolomeo Bona. Il 5 aprile don Bosco diramò un altro invito alla pubblica benefi­cenza e lo fece inserire anche nella Gazzetta Ufficiale del 12 a­prile 1864 e su altri giornali cattolici.

Il disegno della chiesa venne sottoposto all'esame del cano­nico Lorenzo Gastaldi, futuro arcivescovo, il quale lo approvò e suggerì alcune modifiche funzionali che, in parte, furono accol­te. Sistemato il disegno, don Bosco spediva altre lettere circo­lari ai fedeli, con schede di sottoscrizione, diffondendole in quasi tutta l'Italia settentrionale e centrale. Le risposte non mancarono, perché comunicando la notizia della chiesa in costru­zione, il Santo divulgava la devozione all'Ausiliatrice e con es­sa si moltiplicavano ovunque i favori e le grazie ottenute per intercessione di Maria. Si confermava la fiducia di don Bosco che, se la santa Vergine aveva voluto la costruzione della chie­sa, avrebbe pensato ella stessa a far giungere i fondi necessari.

Sul finire dell'aprile lo sterro era ultimato e Buzzetti in­vitò don Bosco a collocare la prima pietra delle fondamenta. Al termine della funzione il Santo si rivolse all'impresario e dis­se:


“Ti voglio dare subito un acconto per i grandi lavori. Non so se sarà molto, ma sarà tutto quello che ho. - Così dicendo tirò fuori il borsellino, l'aprì e lo versò capovol­gendolo nelle mani del capomastro, che credeva di averle a riempire di marenghi. Quale fu invece la sua meraviglia e quella di tutti coloro che lo avevano accompagnato quando non si trovarono che otto poveri soldi. E D. Bosco sorriden­do soggiunse: - Sta' tranquillo; la Madonna penserà a prov­vedere il danaro conveniente per la sua chiesa. Io non ne sarò che l'istrumento, il cassiere. - E volgendosi a quelli che erangli intorno, concluse: - Vedrete!” (MB 7, 652).
La crisi economica generale dello stato italiano era grave, e soltanto un santo o un incosciente avrebbero potuto affrontare un rischio simile. Gli sterri e le fondamenta da soli costarono oltre 35 mila lire e per portare a termine l'opera don Bosco av­rebbe dovuto procurarsi circa un milione, mentre aveva previsto una spesa di 200 mila lire (cf MB 7, 652-653).

Dall'autunno del 1864 lo stato delle finanze italiane con­tinuò ad aggravarsi sempre più. Nel paese si faceva sentire la scarsità di denaro e gli stessi benefattori di don Bosco si tro­vavano in angustie. Il trasporto della capitale a Firenze (1865) diminuì alquanto il numero dei benefattori. La situazione, già grave, divenne tragica per don Bosco: doveva affrontare spese a­limentari gravose per gli oltre settecento ospiti di Valdocco, e ogni quindici giorni doveva trovare il salario per gli operai e i muratori di Buzzetti, oltre alla provvista dei materiali edilizi il cui prezzo in quegli anni stava raggiungendo quote proibitive. Ma il Santo riteneva non conveniente arrestare i lavori di co­struzione e moltiplicò gli sforzi, i viaggi, le umiliazioni e le preghiere.

Il 27 aprile 1865 fu celebrata con grande solennità la posa della pietra angolare: benedetta dal vescovo di Susa mons. Odone, in luogo dell'indisposto mons. Nazari di Calabiana, vescovo di Casale, venne collocata dal duca Amedeo d'Aosta figlio di Vitto­rio Emanuele II, con la partecipazione del sindaco, del prefetto e di altri insigni personaggi. Don Bosco pubblicizzò il fatto con un fascicolo commemorativo e lanciò una grandiosa lotteria.

Tra 1865 e 1866 la congiuntura economica non accennava a mi­gliorare e il Santo si vide costretto ad allargare la sua cerchia di conoscenze per reperire nuovi fondi. Nel dicembre 1865 si recò a Firenze, dove fu ospite della contessa Uguccioni e nella prima­vera 1866 inviò a Roma il cavaliere Federico Oreglia di Santo Stefano, salesiano laico, per stimolare la beneficenza facendo leva - questa volta - più sulla devozione mariana e i prodigi o­perati da Maria Ausiliatrice che non sulle esigenze del quartiere di Valdocco e su motivi filantropici.

Nel luglio 1866 si stava già lavorando attorno alla cupola, ma con lentezza per mancanza di soldi. La domenica 23 settembre si completò la costruzione della cupola con la cerimonia della posa dell'ultimo mattone, compiuta da don Bosco e dal marchesino Emanuele Fassati.

Nel dicembre la chiesa non era ancora terminata, come invece si sperava. Don Bosco decise allora un nuovo viaggio a Firenze e a Roma (dicembre 1866 - gennaio 1867), alla ricerca di nuovi aiu­ti.

Il soggiorno fiorentino e romano gli permise anche di offri­re la propria collaborazione nei tentativi di conciliazione tra Stato italiano e Santa Sede, apprezzata da ambo le parti per l'e­quilibrio e la moderazione.

Nel corso di questi viaggi don Bosco, che si presentava sem­pre come sacerdote preoccupato innanzitutto della salvezza spiri­tuale delle persone incontrate, suscitava rinnovato impegno di vita cristiana e conversioni. Incominciarono in queste occasioni i fatti prodigiosi che gli meritarono una crescente fama di tau­maturgo.

Tra i proventi della lotteria e le offerte spicciole più o meno consistenti degli amici e dei benefattori antichi e nuovi si poté superare anche il 1867, ma i lavori edilizi ristagnarono poiché il forte freddo invernale aveva portato alle stelle le spese alimentari. Il 21 maggio 1867 il nuovo arcivescovo di Tori­no mons. Alessandro Riccardi di Netro benedisse sulla cupola la statua della Madonna, alta circa 4 metri, opera dello scultore Filippo Boggio.

Nella primavera 1868 riprese il flusso delle grandi e picco­le offerte, cosicché si poterono accelerare i lavori interni. Già nel mese di maggio di quell'anno, mentre si portavano a termine le ultime rifiniture, iniziarono pellegrinaggi spontanei alla nuova chiesa da parrocchie rurali del Monferrato e delle Langhe.



Consacrazione del santuario


Il 21 maggio 1868 mons. Balma benedisse le cinque campane e, finalmente, il 9 giugno, nel corso di una solenne funzione, l'arcivescovo mons. Riccardi consacrò la nuova chiesa e gli alta­ri. La consacrazione, iniziata alle ore 5,30 del mattino, termi­nava alle 10,30, dopo di che l'arcivescovo celebrava la prima Messa nella nuova chiesa. Ai vespri pomeridiani si eseguì l'anti­fona mariana Sancta Maria, succurre miseris, composta dal Caglie­ro, che riuscì di effetto singolare: era eseguita da tre cori im­ponenti diversamente distribuiti, come scrive don Bosco in un o­puscolo commemorativo dal titolo Rimembranza di una solennità in onore di Maria Ausiliatrice:
“Uno in presbiterio di circa 150 tenori e bassi e rappre­senta la Chiesa militante; l'altro sulla cupola di circa 200 soprani e contralti figura gli angeli ossia la Chiesa trion­fante; il terzo coro di altri circa 100 tenori e bassi sull'orchestra e simboleggia la Chiesa purgante”.
(G. Bosco, Rimembranza di una solennità in onore di Maria Ausiliatrice, Torino, Tip. dell’Oratorio di S. Francesco di Sales 1868, p. 27).
I tre cori erano contemporaneamente diretti dal Cagliero per mezzo di un congegno elettrico.

Feste e funzioni religiose si protrassero per otto giorni presiedute da diversi prelati, con la partecipazione di migliaia di pellegrini. Nel corso dell'ottavario la grande fede della gen­te ottenne, per intercessione di Maria, una serie di grazie e di guarigioni anche notevoli che contribuirono a diffondere la fama del santuario e di don Bosco.




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