Basta cazzate, devo trovare Mark Azcona.
Il problema era che ormai non sapevo più dove sbattere la testa. D’istinto al primo svincolo svoltai per il centro. Probabilmente il mio inconscio stava progettando di effettuare un tentativo disperato di ricerca nell’unico negozio di liquori aperto 24 su 24. O forse avevo solamente bisogno di comprarmi una bottiglia di alcol abbastanza economica. No. Non potevo più bere. L’ultima botta di vodka mi aveva stordito e sentivo che la sua ingordigia di sangue e cervello umano era solo iniziata.
Ero sbronzo fatto quando passai davanti alla cattedrale di Trudheim. Avevo notevolmente rallentato. Praticamente proseguivo a passo d’uomo con il truglio incollato al volante. Mark Azcona. Cazzo è lui! Santiddio eccolo finalmente. Archiviai rapidamente la Prinz e balzai fuori come un rospo da leccare. Dove cazzo si è cacciato? Eccolo laggiù.
Provai a corrergli incontro e a chiamarlo, ma lui non si accorse di nulla e zampettò come un grillo sulla scalinata che si versava nella cattedrale. Ma dove cazzo sta andando. A pregare? Ma santiddio.
Manco a pensarlo ed il mio socio scomparve proprio oltre l’ingresso della chiesa, mentre io a causa della sbornia fotonica ero ancora al primo gradino di una rampa che sembrava infinita. Arrivai sulla porta e provai ad aprila. Cazzo è chiusa. Ah! È entrato da quell’altra. Quella bassa. Infatti da quel buco riuscii finalmente a penetrare nella casa di Dio.
C’era un buio pesto. Solo qualche debole candela accesa a tipo un chilometro di distanza mi donò una sfocata visibilità talpiforme. Provai a locchiare il socio. Niente. Barcollai verso la luce. Sentii improvvisamente sbattere violentemente la porta alle mie spalle.
- Fermo!
Cazzo gli sbirri. Anzi, i cartabinieri. Al 99% i due bifolchi di prima.
- Non ci costringa a venire fin lì.
I due se ne stavano belli eretti in mezzo alla porta spalancata. Una mezza bufera di vento gelido alle loro spalle. Non so perché, ma mi sentii palesemente fottuto.
- Arrivo subito, rilassatevi...
Stentai a parlare, le sillabe mi si sgambettarono l’una con l’altra fino a produrre una frase malapena comprensibile. Uscii insieme ai merdosi con le mai alzate e mi feci strattonare fino alla volante che se ne stava in moto infondo alla gradinata. Stava iniziando a nevicare.
- Lei non doveva aspettare un suo amico?
- È proprio per questo che sono qui, il mio amico è lì dentro…
Ero marcio. Stavo seppellendo la mia dialettica proverbiale sotto le scarpe di un clown. Ero fottuto.
- Allora i dica. Chi era il pazzo ubriaco che guidava in contromano lungo la tangenziale a bordo di una Prinz di merda, proprio uguale a quella parcheggiata qui di fronte?
- Probabilmente il mio amico.
- La smetta. L’abbiamo seguita lungo tutto il tragitto. Ovviamente sulla corsia giusta. Salga, la portiamo a farsi un giretto in caserma. Immagino che lei sappia già dov’è...
La caserma. Sì cazzo, che sapevo dov’era. Contromano. Stracazzi. Contromano. Non mi ero neanche accorto. Evidentemente ero meno sobrio di quello che credevo.
Prima di salire donai gentilmente ai cavalieri tutti i miei documenti. Mentre gli scartabellavano mi venne un lampo improvviso di lucidità. Infatti mi balenò in mente che avevo un pezzo di fumo nel pacchetto di cicche. Cazzo. Non feci tempo ad architettare una buona strategia che il mio istinto mi consigliò di rischiare il tutto e per tutto. Con un abile e rapida mossa estrassi una sigaretta nel bel mezzo di un finto barcollamento perfettamente coerente col mio stato etilico. Nel trambusto riuscii ad eliminare egregiamente il pezzo di grel in mezzo la neve, prima che fosse troppo tardi. Per un attimo invidiai la mia abilità.
- Ehi, qui non si fuma, capito?
- Ok, ok, la butto via.
Non si era accorto di niente il pirla. Almeno che non abbia fatto finta di niente per poter intascarselo lui. Ma. Iniziavo a non connettere più una sega.
Una cosa che mi stava sul cazzo in quel momento era il fatto che parlava solo il terrone squadrato. Il giovanotto smilzo spinocchioso invece se ne stava muto e mi guardava come fossi un marziano di alfa centauri. Poi mi stava ancora più sul cazzo il fatto che il grafico delle probabilità di passare una notte al fresco si stava impennando come il mio uccello durante un’orgia. Ma la cosa che veramente non riuscivo a tollerare era quella di non essere stato in grado di fermare il mio socio. Due minuti fa era a due passi da me. Santiddio. E adesso si era volatilizzato come non fosse mai esistito.
Il terrone con la calma tipica di tutti i sui colleghi mise in moto il catafalco e prima di partire si girò verso di me e mi disse:
- Non si preoccupi signor Mark Azcona. Per la sua auto ho già provveduto io a chiamare un carro attrezzi. Speriamo che non la portino a rottamare!
Il prezzo delle Grolsch
Le cose non erano andate esattamente come previsto. La mia testa era in palla e non riuscivo a connettere nulla se non il fatto che non sarei mai riuscito a connettere niente. Faceva freddo, la neve non era molta me era tutta ghiacciata ed il paesaggio sin dal primo pomeriggio si era trasformato in un triste teatro cupo e nebbioso. Avevo appena fatto l'ultima scopata del vecchio anno e la prima di quello nuovo con soli pochi minuti di pausa una dall'altra. Giusto il tempo di brindare con un triste goccio di champagne che non era assolutamente roba adeguata al mio stile decadente, e poi giù di nuovo con l'arnese in fiamme. Non era esattamente questa la mia prospettiva di festa ma non mi potevo di certo lamentare. Ben aveva avuto un attacco di asma e l'avevano portato a casa. Stava da solo nell'altra stanza e mentre bestemmiava per ovvi motivi io continuavo a penetrare e fingevo di non sentirlo. Gli avevamo dato anche un goccio di Champagne: che cazzo voleva di più? Il resto me l'ero scolato io, nonostante non mi esaltasse più di tanto, ma era sempre meglio che passare il capodanno a secco. Stantuffavo senza troppo romanticismo ma in compenso leccavo come un cane. Non ricordo se venni o no; comunque fu una gran bella scopata e tutto il resto in quel momento, botti compresi, non mi faceva nessun effetto. Non avevo neanche una sigaretta. Cazzo. Non potevo stare senza una sigaretta. In quel momento ci voleva. L'avrei rimpianta per tutta la vita. O almeno fino all'indomani.
- Dove vai conciato così? - mi chiese la tipa.
- Vado giù in strada a scroccare una cicca
- Sei matto? Dai... resta qua con me…
- Santiddio ho detto che vado giù!
Mi misi le mutande e corsi giù in strada avvolto in una coperta marrone. Passando per il corridoio salutai Ben ma lui non batté ciglio. Mi infilai alla buona gli stivali e scivolai giù per la strada in mezzo ai botti. La gente mi guardò malamente nonostante fosse distratta dai fuochi d'artificio. Restai compiaciuto da questo atteggiamento antico.
È capodanno. Che cazzo hanno da guardare. Ho capito, non è carnevale, ma non è neppure una di quelle feste dove le vecchie devono recitare 1000 rosari.
Un tipo alto e curvo mi sfilò un paio di Muratti Multifilter e dopo avergli sparato due cazzate per ringraziarlo tornai in casa col bottino.
- Ma che aveva da ridere quel tipo?
- Non so, . ma mi hai sentito?
- Sì, ti stavo guardando dalla finestra... sei matto...
Matto. Per ‘sta cazzata. Santiddio. Per me matto è uno che fa cose da matto. Non uno che fa e spara cazzate. Matto è per esempio un tizio che si infila in lampadario nel culo. Quello è matto. Matto è uno che ammazza 100 persone e ne mangia la parti intime. O che ne so, uno che si incula un dromedario. Quello è un matto. Io non ho nessuna intenzione di incularmi una bestia pelosa con la gobba.
Restammo ancora per qualche minuto abbracciati sul letto a fumare quello schifo, poi la tipa se ne andò. Ben sorprendentemente si riprese ed uscì ancora prima di lei. Vidi per l'ultima volta in quei giorni la l'alta sagoma barbuta di Ben allontanarsi con ironia ed un accenno di spensieratezza.
Restai in casa ancora qualche minuto a ragionare sul da farsi. Era questo il punto non avevo un cazzo da fare e non avevo assolutamente voglia di fare un cazzo. Mentre valutavo la mia perfetta coerenza di pensiero fissavo il mio arredamento essenziale. Sedie a sdraio sgualcite. Un ombrellone giallo piscio. Spiaggia. Sole. Mancava solo un negro rivenditore di puttanate.
Mi infilai quattro stracci e con l’uccello ancora duro e sporco me ne andai in osteria. L'osteria era come una calamita per me. Non sapevo cosa fare allora andavo in osteria. Sapevo cosa fare, allora non la facevo ed andavo in osteria. Coerenza di pensiero. C'era il demonio putrefatto quella sera dentro il locale. Il fuoco era acceso, le cameriere sculettavano e la folta clientela era tutta in samba. Tutti tranne me. Qualcuno indossava delle maschere tipo carnevale. E poi guardano male uno in mutande sotto la neve. Tutti ridevano. Tutti bevevano. Tutti si muovevano in un tripudio di braccia gambe facce e busti. Tutto un casino.
Ordinai una Sambuca. Poi un’altra e così via. Scroccai qualche sigaretta. Erano gli anni in cui si poteva fumare anche nelle sale operatorie degli ospedali. Le prime sambuche mi volarono giù senza neanche sentirle. Non era colpa mia. L’unica cosa brutta stava nel fatto che i miei fondi monetari si stavano rapidamente esaurendo. Fui costretto ad utilizzare le tecniche più meschine e volgari per scroccare qualche drink. Mi girai così verso il primo pirla con la faccia fortemente da pirla.
- Ehi, socio, ma tu non eri in TV l’altra sera? Ti ho visto in un intervista con una pornostar che ti chiamava il trentatré…
- Forse per gli anni…
- Ah, ah.
La sua risposta fu assolutamente scontata. Come fu scontato il fatto che dopo un altro paio di altre stronzate su quello stile arrivò la fatidica frase.
- Io bevo una birra, e te?
- Una Sambuca, grazie.
Bevevo e poi cambiavo aria, tutti prima o dopo si aspettavano un contraccambio di giro. Quella notte non ero troppo in forma con le battute ma feci lo stesso il mio dovere. Ed il tempo passava. Feci anche il galante con un paio di racchie inguardabili, il tutto per guadagnare alcol. E vai!
Non so come e perché ma ad un cero punto mi trovai disteso per terra sotto il bancone del bar. Non mi avevano picchiato. Era solo per lo stordimento. Qualcuno mi sollevò e mi fece sedere vicino al fuoco. Non capivo chiaramente che cazzo dicesse, comunque il suo monologo tendeva fortemente ad insultare la mia persona. Sembrava uno di quei figli di puttana moralisti, tutta apparenza, quelli che pregavano in chiesa e poi la notte andavano a trans. Probabilmente lo era, ma questo non mi importò per più di qualche secondo. Tutto sommato recuperai abbastanza in fretta ed inquadrai il fatto di essere ancora lì. Il fuoco sempre acceso, alimentato da un enorme ceppo di faggio umido, bello alla vista e ancora più bello per le tasche di chi lo aveva buttato là. Con una merda di ceppo faceva fuoco per una settimana. Probabilmente quella bestia stava già bruciacchiando da un paio di giorni. Qualche rametto marcio di abete gli faceva da supporto tecnico perché non morisse. Tra le altre cosa faceva anche un fottio di fumo. Un fumo devastante da far lacrimare un coccodrillo. Legno bagnato e sigarette. L'atmosfera era così densa che si sarebbe potuta tagliare con un cucchiaio.
Venni assalito improvvisamente da uno sprazzo di allegria, perciò mi alzai dritto e duro per dirigermi verso un paio di donzelle, brutte ma trombabili. In un baleno mi caricarono in macchina e mi portarono verso un qualche posto. Tutto in un flash. niente di più. Ero seduto nel sedile dietro dell’auto mentre tentavo di far mente locale. Nel buio di pochi lampioni che sfilavano lungo i miei fianchi riuscii lentamente a capacitarmi della situazione. Quelle due tipe le conoscevo, ma ancora oggi non ricordo chi fossero. Comunque non furono per niente influenti nel corso della vicenda, come un po’ tutto quanto.
In poco tempo le roie mi scaricarono in un pub, forse perché le avevo importunate vistosamente o forse solo perché quella era la mia meta. Infatti in quel locale potevo permettermi di lasciare conti aperti, così mi ritrovai ad ordinare svariati J&B con relativi bicchieri di H2O.
Le conseguenze di quella bevuta furono imponenti. Ad una qualche ora me ne stavo appeso al parapetto della mia terrazza al secondo piano. Sulla strada c'erano David e Eddie che mi urlavano contro.
- Che cazzo fai! deficiente! non vorrai mica buttarti giù?
- Sì. Devo venire giù perché mi hanno chiuso dentro. Posso solo buttarmi...
- Chi cazzo ti ha chiuso dentro?
- Saranno stati quei due finocchi di Ben e il suo Bob. Io mi butto giù…
Saltai giù e cadendo vidi le facce dei due personaggi che erano sotto la mia terrazza. David era bello tondo come sempre e Eddie mi sembrò ancora più alto quando toccai il terreno con la schiena. L'istinto mi disse di rimbalzare appena sfiorata la neve ed io lo ascoltai ciecamente. Caddi, poi volai un paio di metri da dove ero atterrato con un assurdo rimbalzo, dovuto a non so cosa, e mi lasciai andare come fossi morto. Sentii poi un lungo colpo di clacson ed una macchina mi sfiorò una qualche parte del corpo. Sbarrai gli occhi ed ero ancora lì per terra. Non stavo male e l'auto non mi aveva investito. Potevo ritenermi fortunato.
- Sei vivo?
- Sì, sì ragazzi, tutto ok. la neve ha attutito la botta
- Neve? Sei sopra una lastra di ghiaccio…
Mi alzai piuttosto malconcio, barcollando, ma con la visuale finalmente un po' più chiara del presente. Mi spolverai via i residui della caduta ed indicai uno stabile a portata di locchiata.
- C'è ancora festa via al Glitnir? - Chiesi ai due.
- Stavamo proprio andando là…
Mi massaggiai per un momento il collo a scopo terapeutico e notai con fierezza di avere ancora annodata la mia sciarpa bianco blu da ultrà. Aveva resistito a colpi peggiori. Comunque quella rullata a livello spinale mi aveva assottigliato leggermente la ciucca .
Due passi a piedi tra la neve di cristallo ed entrammo nel Glitnir. Era tutto come al solito. Il classico casino, forse qualcosa di più. Il soffitto basso, le luci colorate stile albero di natale ed il pavimento sudicio. Vidi un uomo grosso che barcollava più di me ed istintivamente gli chiesi una sigaretta. Lui senza parlare mi diede il pacchetto in mano ed io approfittai dell'occasione. Iniziai a fare battute e discorsi del cazzo. Tutti ridevano tranne il grosso ubriaco idiota che si limitava a chiudere le fessure dei suoi occhi ed ad accennare sorrisi ieratici.
- Cosa hai detto che volevi? - Chiesi al pachiderma rincoglionito.
- Volevi una sigaretta vero? Eccola, tieni qua…
Sfilai una delle sue Marlboro rosse e gliela diedi. Lui inarcò la bocca all'insù in una specie di sorriso e si accese la cicca ringraziandomi. Io intascai il pacchetto e me ne andai a bere con una notevole soddisfazione. Non tanto per il pacchetto di cicche, ma più che altro per il fatto di aver incontrato finalmente uno più fuori di me.
Ormai ero rimasto solo. David e Eddie probabilmente erano andati ad inchiappettarsi l’un l’altro. Ero dilaniato, ma sufficientemente allegro per non provare a suicidarmi. Salutai la barista con mielosi elogi al suo bel sorriso radioso. Sapevo di mentire. Lei sapeva che erano parole di un ubriaco che ci provava spudoratamente e senza speranza. Così per pietà si risparmiò di mandarmi a quel paese. Uscii fuori al freddo con la testa gigantesca e piena di cazzate, così sotto pressione da poter esplodere da un momento all'altro. Dove cazzo vado? Provo a tornare in sede.
Ripercorsi la solita strada ghiacciata ed infine i mille gradini prima del portone. Ovviamente era ancora chiuso. Suonai con eleganza. Nessuno mi apriva. Santiddio aprite, lo so che siete lì. Ozzy mi apparve come una visione mistica. Lo osservavo da distante, dietro la fessura dell'inferriata non coperta dal cartone. Biondo ben pettinato, rilassato.
Cazzo di un cazzone, chiedi le chiavi a Ben o a Bob!.
Lui si voltò lentamente ed andò dai due tipi nell'altra stanza infondo al corridoio. Io restai lì a far salire il mio nervosismo fissando il cartone con su scritto birra. Birra. Perché cazzo hanno messo di fuori la scritta birra. costava tanto girare la scritta per dentro. birra. Quando mai un deficiente spacca un vetro con un pugno e poi lo tappezza con un cartone della birra. birra. Con la scritta birra verso il pianerottolo. Birra. Ed io non ne avevo più. Iniziai a bussare con forza sul portone, bestemmiando come un mostro. Rividi lentamente apparire la faccia spettrale di Ozzy, le sue spalle basse, il suo abbigliamento sportivo - borghese.
- Non vogliono aprirti - mi disse.
- Mi sono accorto. Che cazzo hanno? -
- Come che cazzo abbiamo? - Risposero quasi in coro il Bob e Ben, come i gemelli bastardi di alcuni film e cartoni animati.
- Che cazzo abbiamo? Qua è un disastro! Hai scopato sui nostri letti! Ci sono dei preservativi usati sul comodino! Ci sono birre da per tutto. La tavola da pranzo è un casso. Te sei un cesso!
- Dai non scherzate, aprite!
- No non scherzo! io non vivo nella tua merda! sei una merda!
Non feci una parola. Due calci ed una spinta di spalla, un urlo ed il portone di disfò come fosse tutto di cartone con su scritto birra... Birra.
- Adesso, adesso, hai visto cosa hai fatto?
Quasi piangeva il Bob. Ben lo seguiva anche lui per paura. Non certamente di me come il suo amico vigliacco, ma delle circostanze.
- Noi domani andiamo via, non stiamo più qua con uno come te...
- Potete anche restare perché vado via prima io
Mentre dissi queste parole stavo già raccattando in giro la mia roba. Ozzy aveva assistito inerte a tutta la scenata e se ne andò indifferente salutando timidamente. Decisi che sarei andato a casa sua a dormire. Abitava lì vicino ed io ero distrutto. Ormai c’era il sole. Ci misi circa un'ora a mettere via tutte le mie troiate. Non perché fossero tante, ma perché mi successe come nei sogni. In quei sogni in cui cerchi di fare una cosa e non ci riesci, ti dimentichi sempre qualcosa e non riesci mai a terminarla. E quando è finita ti accorgi che manca qualcosa o che qualcosa che hai messo non c'è più oppure non centrava un cazzo ed è tardi e tu devi sì ma non ci riesci ci manca qualcosa la metti ma non basta mai. Ed è tardi cazzo! Così come in quei sogni tornai indietro due o tre volte e manca sempre qualcosa. Improvvisamente mi trovai per l’ennesima volta sul viale siberiano, cosciente di aver mandato a fanculo quel concetto di non farcela a trovare tutta la mia inutile roba di merda. Mi instradai. Sulle spalle tenevo uno zaino stracolmo che straboccava di cazzate, tra cui una cassa rotta dello stereo, un maglione che non avevo mai visto prima e un ombrello rubato. Nella mano sinistra stringevo un sacchetto di nylon con dentro due wurstel ed un pezzo di formaggio marcio. Sapevo che era da un bel po' che non mangiavo. Al primo bivio dopo appena pochi metri girai subito giù ed entrai nuovamente al Glitnir per vedere se mi davano qualcosa da bere. Non avrei dovuto farlo ma lo feci non so perché ma dovevo farlo era scritto nei miei pensieri. Non avevo neanche più la forza di fare un passo ma decisi ugualmente di entrare in quelle condizioni, e soprattutto con quel bagaglio, all'interno del locale per un paio di birre. Sarà stata colpa della scritta stampata su quel cazzo di cartone che tamponava il portone ormai deceduto.
Appena all’interno del loculo vedi la solita barista, piegata a novanta. Stava ramazzando la stanza e sinceramente a me non me ne fregava una sega, volevo solo bermi un goccio.
- No, mi dispiace sto pulendo, ormai sono le 8 di mattina, non do più da bere...
- Dai, un paio di birre, poi vado via…
- no, no posso, ho già chiuso anche la cassa
- Beh, allora tieni questi, tutto quello che mi è rimasto, dammi due birre e poi facciamo finta di non esserci mai visti
- Ok
Arraffai le birre e me le scolai per strada, in un baleno, due Becks ghiacciate, coerenti con il clima glaciale che mi stava massacrando. Lungo la strada si vedevano già parecchie auto. Ne contai forse tre o quattro, ma sicuramente troppe pensando che la mia era troppo distante per poterla raggiungere in quegli stati. Ogni macchina che passava davanti, prima rallentava, poi i coglioni che c’erano dentro mi pennellavano sul truglio sguardi lugubri che appannavano i finestrini. Occhi vuoti su una strada vuota, che rimbalzando nella neve mi colpivano sulla schiena curva.
Finalmente girai a sinistra, per entrare nel viale dove abitava Ozzy, ma la salita mi fregò. C'erano una ventina di metri con una pendenza improponibile proprio all'inizio della strada, tutti ghiacciati. Feci un passo e mi trovai cappottato. Vaffanculo. Mi rialzai a fatica ma dopo un altro passo caddi nuovamente. Quella volta mi feci anche male al fondoschiena. Non riuscivo più a stare in piedi e mi faceva male dappertutto. Finalmente mi venne la bella idea di camminare lungo il lato della strada, dove c'era la neve ammassata. Alla seconda casa a sinistra dovevo svoltare. O alla terza. Arrivai finalmente in cima alla salita, poi svoltai verso la seconda casa, ma non ne ero troppo convinto. Forse era la terza. Vidi una scala di cemento al grezzo, una ringhiera di ferro arrugginito. Era quella di sicuro. Lanciai uno sguardo alla casa successiva e vidi senza troppo stupore che anche lì c'era una scala di calcestruzzo ed una merdosa ringhiera di metallo. Non pensai troppo e suonai alla porta con insistenza.
- Ozzy! Rispondi santiddio!
Continuai a suonare per cinque minuti senza neppure ipotizzare di aver sbagliato casa.
- Ozzy! Sono Jim, apri...”
Lo stronzo è collassato.
Quando feci per voltarmi con rassegnazione, la porta si spalancò, ma la cosa non mi convinse troppo. Lasciai cadere i miei bagagli e salutai l'uomo che mi si presentò di fronte.
- Buongiorno - dissi timidamente.
- Buongiorno una sega. Che cazzo hai da rompere i coglioni la domenica mattina?
Era un tizio sulla cinquantina, stravolto, forse più ubriaco di me. Aveva proprio l'aria di un alcolizzato, non di uno che si era preso la mina per far festa.
- Allora che cazzo vuoi? -
- Eh... eh, sono un testimone di Geova...
Cercai di improvvisare e sinceramente lo feci con una faccia così tosta da restare sorpreso persino di me stesso. Avevo tutta l’aria di un fottuto barbone che si spacciava per un religioso per scroccare qualche sesterzo. Alla fine non era proprio così, ma la situazione non era neanche troppo diversa.
Il melcico mi guardò per un attimo con perplessità, poi, questa volta con garbo, mi disse che non era interessato alla faccenda. Ci fu un attimo di silenzio, poi ripresi la mia roba e me ne andai. A metà rampa di scale il tizio mi chiamò.
- Ehi! tu, santone, guarda che hai dimenticato qua un sacchetto con della roba marcia...
- Ah, grazie, è la mia colazione.
Il tizio scosse un attimo la testa in segno di disappunto, poi rientrò in casa tre volte più sobrio di quand'era uscito.
Mi incamminai nuovamente sulla strada, non più molto deciso a cercare Ozzy, ma quasi intenzionato a tornare da Ben e C. Non vidi il tutto come una sconfitta, ma semplicemente ne avevo i coglioni pieni di stare in giro e volevo solo dormire. Poi faceva troppo freddo. Non mi importava se andavo da Pinco o da Pallino, non me ne fregava se per trovare un letto caldo dovevo uccidere il Papa o il presidente del consiglio, volevo solo dormire. Pensai per un attimo di accasciarmi in qualche baracca delle legne, visto che ce n’erano molte là in torno. Fattibile. No, col cazzo. Con la sfiga che ho intorno dopo dieci minuti mi piombano addosso i cartabinieri. Mentre i miei pensieri di delusione, di freddo e di sfiga mi passavano per la testa scivolai di nuovo come un deficiente giù per la solita merdosa strada ghiacciata. Quella volta bestemmiai così forte da stordire i miei stessi timpani. Dopo pochi minuti mi trovai nuovamente di fronte al cartone con su scritto birra, ma questa volta non ci feci neanche caso e mi buttai sulla branda.
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