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Piazza Cavour e adiacenze



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3.8. Piazza Cavour e adiacenze


Proseguendo su via Vittorio Emanuele in direzione di Torino arriviamo nella rettangolare piazza Cavour, detta nell'800 piazza d'Arme. A destra, nella parte alta, si affaccia la bella chiesa di san Bernardino, costruita nei primi anni del secolo XVII. L'architetto Bernardo Antonio Vittone più tardi apportò alcune modifiche e ricostruì totalmente la cupola originaria (1740-1744). La facciata con i due bassi campanili sormontati da sta­tue, completata nel 1792, è di Mario Ludovico Quarini. All'inter­no due belle tele del Moncalvo ornano l'altar maggiore e l'alta­re laterale destro.

3.8.1. Chiesa di sant'Antonio abate


Fiancheggia la piazza ed ha la facciata su via Vittorio Ema­nuele. Fu ricostruita su disegno di Filippo Juvarra (1767) su una precedente costruzione goti­ca di cui resta il campanile (1445). Nell'interno sono da segna­lare: un pulpito ligneo intagliato, del 1470; l'affresco sulla volta, di Vittorio Blanseri (1735-1775), raffigurante l'apoteo­si di sant'Antonio; la Via Crucis a bassorilievo, in scagliola, di Giovanni Battista Bernero (1736-1796). Chiesa ed edificio annesso furono affidati nel 1628 alla Compagnia di Gesù dal cardinale Maurizio di Savoia. Qui aveva sede lo Scolasticato dei Gesuiti.

Anche questa chiesa ci ricorda la presenza di Giovanni Bosco a Chieri: “Tutte le feste, dopo la congregazione del collegio (ndr.: l'istruzione religiosa nella cappella della scuola, obbli­gatoria per tutti gli studenti), andavamo alla chiesa di S. Anto­nio dove i Gesuiti facevano uno stupendo catechismo, in cui rac­contavansi parecchi esempi che tuttora ricordo” (MO 62).

Una lapide sul lato della chiesa, verso la piazza, ricorda la presenza a questi catechismi di Giovanni con gli amici della Società dell'Allegria.

3.8.2. Albergo del Muletto


Sul lato sud di piazza Cavour, ad angolo tra via Vittorio E­manuele e via Palazzo di Città, dove oggi c'è il Caffè Nazionale, era aperto un albergo detto del Muletto. Ci ricorda l'allegra conclusione di un'epica sfida tra il giovane Bosco e un saltim­banco. La gara, voluta dall'insistenza degli amici studenti, si svolge lungo il viale di Porta Torinese in quattro momenti: corsa, salto, bacchetta magica e arrampicata sull'albero. Giovan­ni supera il professionista in tutte le prove e si guadagna la notevole cifra di 240 lire. Per non rovinare il poveretto, che vede sfumare tutti i suoi risparmi, gli restituisce il denaro a patto che questi gli offra un pranzo insieme agli amici della Società dell'Allegria. Il saltimbanco accetta di buon grado e invita Giovanni e i suoi compagni (ventidue persone in tutto) all'albergo del Muletto (cf MO 80-82).

3.8.3. Caffè Pianta (via Palazzo di Città, n. 3)


A pochi passi dal piazza Cavour, in casa Vergnano, si trova­va il caffè Pianta. Giovanni Pianta, fratello di Lucia ved. Mat­ta, originario di Morialdo, nell'autunno 1833 viene in Chieri e apre un caffè con annessa sala da biliardo. Egli, dovendo inizia­re il suo esercizio, insiste presso mamma Margherita affiché Gio­vanni venga ad abitare presso di lui e lo aiuti nelle molteplici esigenze di un locale pubblico.

Il caffè viene aperto qualche tempo dopo l'inizio dell'anno scolastico. Il giovane studente nel frattempo, lasciata casa Mar­chisio, trova momentaneamente ospitalità presso il panettiere Mi­chele Cavallo, in casa Ricci che è adiacente alla casa del sarto Cumino.

Il caffè Pianta è composto da due sale, una aperta verso la pubblica via e l'altra, adibita a locale per il biliardo e il pianoforte, collocata verso il cortile interno. I due ambienti sono collegati da un vano di passaggio (lungo circa metri 3,50), addossato ad una scala, nel quale si trova anche un piccolo forno in mattoni per la preparazione del caffè e dei dolci. In questa specie di corridoio si apre un minuscolo sottoscala, nel quale viene collocata la brandina di Giovanni.

Nei momenti liberi dalla scuola egli aiuta il signor Pianta nel suo lavoro ed impara a preparare caffè, dolci e liquori. La sua presenza nella sala da biliardo come cameriere e contapunti è un efficace freno per le bestemmie e i discorsi sboccati di certi avventori.

Proprio in questo luogo Giovanni Bosco rafforza l'amicizia con l'ebreo Giona, già conosciuto nella bottega del libraio Elia. I due si intrattengono spesso a cantare, suonare il pianoforte e conversare: di qui inizia il cammino di maturazione verso la fede cristiana da parte del giovane israelita.

Nel caffè Pianta Giovanni non riceve stipendio, ma solo l'o­spitalità, un piatto di minestra ed ottiene il tempo necessario per poter studiare. La madre, come è consuetudine a quel tempo, gli provvede pane e pietanza, ma le ristrettezze economi­che non le permettono di inviare denaro. Per vestirsi, procurarsi parte del nutrimento e il necessario per la scuola lo studente dei Becchi deve contentarsi dei pochi soldi racimolati facendo qualche ripetizione. L'anno di Umanità (1833-1834) risulta così uno dei più sofferti.

Nella stessa casa, all'ultimo piano, abita la famiglia Blan­chard. L'alloggio è dalla parte del cortile, dove ancora oggi si vede un poggiolo antico con ringhiera in legno. Giuseppe, uno dei figli, amico di Giovanni (13 anni), per sfamarlo gli porta spesso della frutta, incoraggiato anche dalla madre. Don Bosco non dimentiche­rà mai questo gesto di carità e di amicizia (cf MB 1, 298-300).

A tali ristrettezze si deve aggiungere il fatto che in quest'anno il problema della scelta vocazionale raggiunge i mo­menti più critici e tormentati: nel marzo Giovanni si determina ad entrare nell'Ordine francescano e viene ammesso, poi sospende la decisione in attesa di un più chiaro discernimento.

Nonostante le difficoltà egli conduce una vita serena, atti­va e servizievole, come testimoniano Giuseppe Blanchard e Clotil­de Vergnano, figlia del proprietario della casa. Oltre allo stu­dio e agli impegni di lavoro nel caffè, la sua generosità lo spinge a rendersi utile a tutti: porta ogni giorno l'acqua attin­ta al pozzo (ora murato, ma ancora visibile sotto l'androne che dalla strada porta nel cortile) al vecchio don Carlo Arnaud che abita ai piani superiori della casa; trattiene inoltre in ricreazione o aiuta nei compiti un gruppo di sei o sette ragazzetti che stanno a pensione presso il veterinario Torta in una casa lì accanto (cf MB 1, 291-292).

Il caffè, comunque, non è certo un luogo dei più adatti per studiare con frutto. Domenico Pogliano, campanaro del duomo, che ammira Giovanni per la sua fervente devozione e il suo apostolato tra i coetanei, lo invita ad approfittare della sua abitazione per poter studiare con più frutto. Si prospetta però la necessità di trovare una diversa sistemazione per l'anno seguente (cf MB 1, 293).




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