Dopo i tre anni di Convitto Ecclesiastico, don Bosco viene assunto dalla marchesa Barolo come cappellano del nascente Ospedaletto di santa Filomena e come aiuto del teologo Giovanni Borel nell'assistenza spirituale alle varie opere fondate dalla nobildonna.
Don Bosco conosceva il Borel: lo aveva incontrato la prima volta in seminario, in occasione di un triduo d'inizio d'anno scolastico e, al Convitto, ebbe l'opportunità di conoscerlo molto meglio. Il teologo Giovanni Borel (1801-1873) era un sacerdote totalmente dedito alle attività pastorali, infaticabile e dimentico di sé. Era stato cappellano di corte e si era fatto un vasto giro di conoscenze tra la nobiltà piemontese. Dopo qualche tempo aveva rinunciato all'incarico per dedicarsi esclusivamente ad attività pastorali tra i giovani, specialmente i più bisognosi: fu direttore spirituale delle pubbliche scuole di san Francesco da Paola prima, cappellano del Rifugio e impegnato in vari istituti di educazione e nelle carceri poi.
Come il Cafasso fu maestro di vita spirituale per don Bosco, così il teologo Borel fu sua guida e valido sostegno nella vita pastorale pratica e nel mettere le basi di un oratorio più stabile e organizzato:
“Dal primo momento che ho conosciuto il T. Borrelli ho sempre osservato in lui un santo sacerdote, un modello degno di ammirazione e di essere imitato. Ogni volta che poteva trattenermi con lui aveva sempre lezioni di zelo sacerdotale, sempre buoni consigli, eccitamenti al bene. Nei tre anni passati al Convitto fui dal medesimo più volte invitato a servire nelle sacre funzioni, a confessare, a predicare seco lui. Di modo che il campo del mio lavoro era già conosciuto e in certo modo famigliare.
Ci siamo parlato a lungo più volte intorno alle regole da seguirsi per aiutarci a vicenda nel frequentare le carceri, e compiere i doveri a noi affidati, e nel tempo stesso assistere i giovanetti, la cui moralità ed abbandono richiamava sempre di più l'attenzione dei sacerdoti” (MO 128).
Si deve notare, anzi, che da questo momento in poi, per i quattro anni successivi, sarà il teologo Borel ad assumersi la responsabilità dell'Oratorio di fronte alle autorità religiose e civili. Le domande di aiuto, i contratti di affitto e di compera che verranno stilati recano sempre la sua firma e poi anche, ma non sempre, quella di don Bosco.
Don Cafasso, che ben conosceva il nostro Santo ed era convinto della sua vocazione a realizzare qualcosa di particolare e di nuovo, ritenne indispensabile affiancarlo al Borel e inserirlo nelle molteplici attività della marchesa Barolo: un originale "laboratorio" pastorale e assistenziale che poteva offrire possibilità uniche all'apostolo dei giovani. Pregò dunque il Borel di presentare don Bosco alla marchesa. Questa lo accettò come direttore spirituale dell'Ospedaletto che si stava ancora costruendo, e lo assunse subito, per consiglio del Borel, al fine di non lasciarsi sfuggire un elemento tanto valido (cf MB 2, 225-226).
3.4.1. Palazzo Barolo (via delle Orfane, n. 7)
In questo palazzo don Bosco, accompagnato dal teologo Borel, si incontrò, nell'autunno del 1844, con la marchesa Giulia di Barolo.
L'edificio, dalla splendida facciata barocca, fu iniziato verso il 1635, concluso nel 1692 dal guariniano Gian Francesco Baroncelli e decorato nel 1743 sotto la direzione di Benedetto Alfieri (1700-1767).
Il povero prete dei Becchi entrò altre volte nell'elegante atrio del palazzo e salì il solenne scalone a doppia rampa per raggiungere i sontuosi ambienti del primo piano dove la marchesa aveva lo studio e le sale di ricevimento.
In questi ambienti don Bosco ebbe modo di stringere amicizia con Silvio Pellico che dal 1834, reduce da dieci anni di carcere allo Spielberg, era bibliotecario e segretario personale della marchesa. Il noto patriota e scrittore, comporrà per i ragazzi dell'Oratorio il testo di alcune canzoncine sacre, delle quali Angioletto del mio Dio sarà la più conosciuta. Egli muore proprio in questo palazzo il 31 gennaio 1854.
Giulia Vittorina Colbert di Maulévrier, vedova Barolo (1785-1864), nata in Vandea e discendente dal grande Colbert, ministro di Luigi XIV, nel 1807 aveva sposato il marchese Tancredi Falletti di Barolo, conosciuto a Parigi alla corte dell'imperatore Napoleone I.
I due coniugi erano ricchissimi, più degli stessi Savoia, e figure di primo piano della nobiltà torinese. Il loro salotto veniva frequentato dai più importanti personaggi del tempo: nobili, politici (tra cui il Cavour), diplomatici, alti ufficiali ed artisti.
Molto religiosi (di entrambi è stato avviato recentemente il processo di beatificazione), non avendo figli decisero di destinare le loro consistenti sostanze a vantaggio di opere sociali e caritative. A questo scopo fondarono un'istituzione, l'Opera Pia Barolo, tuttora esistente, con sede in questo palazzo.
La marchesa aveva trovato Torino in condizioni disastrose. La miseria dilagava tra il popolo; non esistevano ricoveri per i malati, istituti per la vecchiaia, asili e scuole per i meno abbienti.
Sin dal 1832, insieme al marito, istituì nel suo palazzo una scuola gratuita e una mensa per i poveri: si servivano 250 minestre al giorno; alla domenica si aggiungeva un piatto di carne e legumi e, al lunedì, dodici poveri venivano serviti a mensa dalla stessa marchesa. D'inverno, poi, ad ognuno veniva distribuita legna sufficiente per tutta la settimana. La nobildonna, inoltre, si occupava personalmente dei malati dispensando medicinali, curandoli come infermiera e visitando i più gravi nelle loro povere case.
Morto il marito nel 1838, ella consacrò gran parte del suo tempo nel fondare e mantenere istituzioni a vantaggio di ragazze povere, malate, orfane, prostitute e carcerate. Il suo interesse per queste categorie di persone era iniziato nel 1819 dopo un'occasionale visita alle carceri cittadine che l'aveva lasciata sconvolta. Da quel giorno si interessò direttamente delle carcerate, passando nelle celle lunghe ore, insegnando loro principi di igiene e di vivere civile, cucito e ricamo, catechismo. Per suo interessamento in Torino si costruì per la prima volta un carcere femminile, fu avviata una riforma carceraria globale e si introdussero i cappellani delle prigioni.
Da questa prima esperienza scaturì una lunga serie di iniziative assistenziali e caritative inedite nell'ambiente torinese.
Nel 1821 chiamò da Chambery le suore di san Giuseppe per l'educazione delle fanciulle del popolo, avviando così in Torino le prime scuole femminili popolari.
Nello stesso anno costruì a Valdocco il Rifugio, un centro che accoglieva 250 ragazze traviate e offriva loro, in un ambiente opportunamente attrezzato, istruzione, avviamento al lavoro, formazione religiosa e la possibilità di riabilitarsi ed inserirsi onorevolmente nella società.
Nel 1825, d'intesa con il re Carlo Felice, invitò a Torino le Dame del Sacro Cuore per la formazione delle figlie dell'alta società.
Nel 1832, per favorire quelle giovani del Rifugio che desideravano consacrarsi a Dio con la professione religiosa e tendere alla perfezione cristiana nella preghiera, nella penitenza e nel lavoro, fondò lì accanto il Monastero di santa Maria Maddalena, donde il nome di suore Maddalene. Affiancò a questo convento un istituto per le fanciulle abbandonate inferiori ai dodici anni di età, affidandole all'educazione delle Maddalene stesse. Queste ragazzine erano comunemente chiamate le Maddalenine.
Sempre nel 1832 gettò le basi di un nuovo istituto di suore: l'Educatorio di sant'Anna per la formazione e l'istruzione delle ragazze del ceto medio poco agiato (via Consolata, angolo corso Regina Margherita). Accanto alle suore di sant'Anna costruì una casa per accogliere trenta orfane, le Giuliette che, compiuta la loro educazione, ottenevano una dote di 500 franchi.
Si preoccupò anche delle giovani che desideravano dedicarsi alla vita contemplativa: contribuì alla costruzione del monastero delle Adoratrici del SS. Sacramento assicurando loro una cospicua rendita annuale. Introdusse inoltre a Torino, città del SS. Sacramento, l'Associazione per l'adorazione perpetua.
Per quelle giovani del Rifugio che si distinguevano nell'impegno e nella pietà, ma non erano chiamate alla vita religiosa, fondò le Terziarie di santa Maria Maddalena (1844). Dovevano, con l'esempio, essere di stimolo al bene per le altre ospiti del Rifugio e si impegnavano in vari servizi di carità.
Nel 1845 costruì l'Ospedaletto di santa Filomena, con 160 posti per bambine storpie o malate tra i tre e i dodici anni, diretto dalle suore di san Giuseppe coadiuvate dalle Terziarie di santa M. Maddalena.
Altra geniale intuizione della marchesa fu l'istituzione delle Famiglie di Maria, di san Giuseppe e di sant'Anna, un anticipo delle "comunità alloggio". Ognuna di tali famiglie era posta sotto la direzione di una Madre, alla quale veniva dato alloggio e assegno mensile affinché accogliesse un gruppo di fanciulle desiderose di apprendere una professione (generalmente erano sarte, crestaie e guantaie). Le ragazze si recavano al mattino nelle varie botteghe presso artigiani di sperimentata onestà. La Madre della Famiglia aveva il compito di esercitare le Figlie nello studio del catechismo, nel leggere, nello scrivere, nel conteggiare e nei lavori casalinghi. Frequentavano tutte insieme la Messa domenicale e anche quella quotidiana, se lo potevano. Raggiunti i ventuno anni, dopo aver appreso una professione e messa da parte una dote sufficiente, le Figlie erano libere di accasarsi.
Per l'assistenza religiosa e la cura pastorale di uno dei quartieri più popolari e poveri del tempo, Borgo Vanchiglia, progettò e sostenne la costruzione della parrocchia di santa Giulia. I lavori, iniziati nel 1862, terminarono nel 1875, dopo la morte della marchesa. In questa chiesa sono conservate le sepolture dei due coniugi Barolo.
Infine, tra altre iniziative sociali, ricordiamo le scuole speciali, aperte a sue spese, per le ragazze cattoliche delle valli valdesi e il Collegio Barolo per ragazzi poveri, istituito nell'antico castello di Barolo (Cuneo).
L'Opera Pia Barolo continuò ad amministrare le varie fondazioni, molte delle quali sussistono ancor oggi.
Dostları ilə paylaş: |