3.7.2. L'Oratorio dell'Angelo Custode (Sorgeva ad angolo tra via santa Giulia e via Tarino)
Il primo Oratorio di Torino l'aveva fondato nel 1840 don Giovanni Cocchi (1813-1895), per i ragazzi abbandonati che vagavano per le vie e le piazze dell'Annunziata, parrocchia nella quale egli era viceparroco. Si trovava nella regione del Moschino dislocata sulla riva sinistra del Po, nei pressi dell'attuale piazza Vittorio Veneto. “Un agglomerato più di covili di belve che di abitazioni umane. Ricetto ai banditi della peggior specie, nido di una “cosca” temuta, specie di associazione di giovani malviventi, pericoloso di giorno ed inaccessibile di notte, persino alla polizia, che vi penetrava di rado e solo con formidabili armamenti. La via principale aveva sintomaticamente nome “Contrà dle Pùles” (ndr.:contrada delle pulci)” (Da: A. Viriglio, Torino e i torinesi. Minuzie e memorie, Torino, A. Viglongo e C. Ed. 19803, p. 149).
Nel 1841 don Cocchi trasportò l'Oratorio verso il centro di Vanchiglia sotto la tettoia di un orto in casa Bronzino, nel cui cortile rustico edificò una povera cappella ed un teatrino. L'opera fu intitolata all'Angelo Custode, dal nome di una società di giovani sacerdoti torinesi che si interessavano della gioventù abbandonata.
Scopo dell'Oratorio era quello di occupare i ragazzi del catechismo prima e dopo le lezioni. Ma ben presto venne frequentato anche da un numero notevole di giovanotti operai e manovali giornalieri. Tra i giochi e le varie attività, don Cocchi introdusse anche la ginnastica, che era una novità, soprattutto per le classi popolari.
Nel fervore patriottico suscitato dalla prima guerra di indipendenza, una squadra di giovani dell'Oratorio di Vanchiglia decise di arruolarsi tra i volontari dell'esercito. Don Cocchi, sinceramente entusiasmato dall'idea nazionale, non si sentì di abbandonarli e li seguì nella marcia verso Novara (marzo 1849). Non furono accettati e dovettero ritornarsene alla chetichella.
La vicenda suscitò scalpore e mons. Fransoni decise la temporanea chiusura dell'Oratorio. Ma, per le pressioni del Cafasso, del Borel e di don Bosco, preoccupati della sorte dei ragazzi del borgo, nell'ottobre successivo l'arcivescovo ne permise la riapertura, affidandolo alla responsabilità di don Bosco. Questi, in società col Borel, appigionò nuovamente i locali e delegò la direzione prima al teologo Càrpano, poi al teologo Giovanni Vola. Essi però, sfiduciati per le difficoltà e il tipo di ragazzi che frequentavano l'Oratorio, lo lasciarono ben presto. Nell'ottobre del 1851, sempre alle dipendenze di don Bosco, si sobbarcò l'impegno della direzione il teologo Roberto Murialdo, aiutato dal cugino Leonardo che, fino al 1856, sarà la vera anima dell'opera.
L'Oratorio dell'Angelo Custode continuò in quella sede fino al 1871. In quell'anno don Bosco lo cedette al parroco di santa Giulia, il quale lo trasferì in ambienti più idonei accanto alla parrocchia, recentemente eretta (1866).
Quando don Giovanni Cocchi, nel 1849, lasciò l'Oratorio dell'Angelo Custode, si impegnò in altre iniziative a carattere sociale e pastorale. Tra tutte ricordiamo la fondazione di un'opera per accogliere i ragazzi più poveri, che non sapevano ove abitare né avevano di che campare. Già ne aveva ospitati temporaneamente alcuni nel teatrino del suo Oratorio, poi li alloggiò in alcune camere di casa Moncalvo, in Vanchiglia e diede loro il nome di Artigianelli, essendo tutti apprendisti e piccoli operai. Per sostenere l'impresa fondò l'Associazione di carità a pro dei giovani poveri, orfani ed abbandonati, costituita da laici ed ecclesiastici. Lo statuto di questa associazione, datato 11 marzo 1850, venne firmato in una sala della parrocchia della SS. Annunziata da don Cocchi e dai teologi Giacinto Tasca, Roberto Murialdo e Antonio Bosio. Il nascente istituto si trasferì più volte fino al 1863, quando si installò in un edificio proprio, costruito in corso Palestro e tuttora esistente.
Il Cocchi non diresse a lungo il suo istituto; sul finire del 1852 era già impegnato nella fondazione di una colonia agricola nei pressi di Cavoretto. La direzione degli Artigianelli passò al Tasca e al teologo Pietro Berizzi, i quali consolidarono progressivamente l'opera stabilendo laboratori artigianali interni che, col passar degli anni, divennero vere scuole professionali. Nel 1866 la direzione fu assunta "provvisoriamente" da san Leonardo Murialdo che, invece, la mantenne per 34 anni. In questo luogo egli fondò la Congregazione religiosa dei Giuseppini.
3.8. Le chiese della fase itinerante
Dall'estate 1845 alla primavera del 1846 don Bosco, non avendo a disposizione un ambiente apposito e capiente per le funzioni religiose del suo Oratorio, porta i giovani in diverse chiese della città e dei dintorni. Generalmente questo avviene soltanto al mattino, per la Messa e le Confessioni, mentre il pomeriggio lo si trascorre nelle strutture temporaneamente ottenute (Ospedaletto, Molassi, casa Moretta, prato Filippi). Altre volte, con il bel tempo, don Bosco trasforma la necessità in una festosa passeggiata da mattino a sera, offrendo ai ragazzi anche una buona merenda.
Tra le chiese raggiunte da don Bosco, ne ricordiamo alcune, le più note nella tradizione salesiana.
3.8.1. La Consolata
È il Santuario mariano più caro ai torinesi e più frequentato da don Bosco e dai suoi ragazzi nei primi tempi dell'Oratorio.
Ha origini risalenti alla fine del secolo IV e legate alla venerazione di una antica effige della Madonna. L'attuale edificio è composto di tre chiese intercomunicanti: la chiesa ellittica di sant'Andrea, il Santuario propriamente detto, in forma esagonale, e la cappella sotterranea di N.S. delle Grazie. La struttura barocca che vediamo è stata edificata nel 1679 su disegno di Guarino Guarini, al posto di un precedente edificio romanico dei secoli X-XI di cui si ammira ancora il maestoso campanile.
La cupola del santuario, eretta nel 1703, venne affrescata da G.B. Crosato nel 1740. L'attuale rivestimento in marmi e stucchi fu ideato da C. Ceppi nel 1904.
Nella cappella di sant'Andrea sono conservate, a destra, le spoglie di san Giuseppe Cafasso, qui trasportate dal cimitero generale a cura del nipote can. Giuseppe Allamano, rettore del Santuario. Lì accanto una scala conduce alla sottostante cripta o cappella della Madonna delle Grazie, che forse costituiva il primitivo oratorio del IV secolo.
Dalla chiesa di sant'Andrea una mestosa gradinata e un ricco cancello in ferro battuto, dono del marchese Tancredi Falletti di Barolo, immettono nel Santuario della Consolata. Sull'altare centrale, opera di Filippo Juvarra (1729), si venera l'immagine della Vergine con Bambino. Dalla tradizione è identificata con la primitiva icona del IV secolo; in realtà si tratta di un dipinto su legno eseguito sullo scorcio del sec. XV, copia dell'effige che si trova in Santa Maria del Popolo a Roma (sec. XIV).
Sul piazzale laterale una colonna corinzia regge la statua della Vergine: fu eretta dalla Città di Torino in ringraziamento per la liberazione dell’epidemia di colera del 1835.
Don Bosco già da seminarista aveva pregato in questo Santuario in occasione delle sue venute in Torino. Nell'attiguo convento, appartenuto ai Cistercensi prima della Rivoluzione francese, abitavano in quel tempo gli Oblati di Maria Vergine del padre Pio Brunone Lanteri, tra i quali era entrato anche il suo compagno di scuola ed amico Giuseppe Burzio. Il convento, dopo la legge di soppressione (1855), passò alla diocesi e, dal 1882, divenne sede del Convitto Ecclesiastico, nella nuova impostazione data dal canonico Giuseppe Allamano.
Nella chiesa il Santo celebrò la sua seconda messa (lunedì dopo la SS. Trinità, 7 giugno 1841), “per ringraziare la gran Vergine Maria - come egli ci attesta - degli innumerabili favori, che mi aveva ottenuto dal suo Divin Figliuolo Gesù” (MO 111).
Durante la gravissima malattia del luglio 1846, che portò don Bosco sull'orlo della tomba, i poveri ragazzi dell’Oratorio accorsero numerosi ai piedi della Consolata e con le loro preghiere e lacrime ottennero l'insperata grazia della guarigione:
Durante il periodo del Convitto e per lunghi anni in seguito, finché la salute e gli impegni glielo permisero, don Bosco prestò regolarmente il suo ministero di confessore in questa chiesa.
Nei primi anni dell'Oratorio il coro dei ragazzi di Valdocco fu invitato più volte a solennizzare con il canto le funzioni del santuario. Specialmente il 20 giugno, festa della Consolata, gli oratoriani non mancavano di prendere parte alla processione.
Ai piedi di Maria Consolatrice don Bosco si recò spesso nelle situazioni più difficili della sua vita. Ricordiamo che in un momento particolarmente doloroso, il 25 novembre 1856, quando alle tre del mattino, mamma Margherita cessò di vivere, egli, accompagnato da Giuseppe Buzzetti, si portò immediatamente al Santuario. Celebrò affranto la santa Messa nella cappella sotterranea, poi si soffermò a lungo in lacrime davanti all'effige della Madonna: “Io e i miei figliuoli siamo ora senza madre quaggiù; deh! siate voi per lo innanzi in particolar modo la Madre mia e la Madre loro!” (MB 5, 566).
Mons. Lorenzo Gastaldi, arcivescovo di Torino, la sera del 24 marzo 1883 si fece accompagnare alla Consolata: “Andiamo a trovare la nostra cara madre, a metterci sotto il suo manto. Sotto il manto di Maria è consolante vivere e morire”. Queste espressioni ci sono testimoniate dal canonico Tommaso Chiuso, suo segretario. Il mattino successivo, 25 marzo, Pasqua di Risurrezione, l'arcivescovo moriva improvvisamente.
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