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Valori pedagogici e spirituali emergenti



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1.2. Valori pedagogici e spirituali emergenti


In trentott'anni di vita, tanto densi e fecondi, i valori da evidenziare sono molti. Noi ci limitiamo a suggerirne alcuni in riferimento agli ambienti visitati, e particolarmente quelli che interessano i giovani e coloro che si impegnano al loro servizio nell'opera educativa e pastorale.

Naturalmente, anche per Valdocco, rimangono validi molti dei valori suggeriti nelle parti precedenti di questo libro, alle quali rimandiamo, soprattutto per ciò che si riferisce al clima di famiglia tra giovani ed educatori creato da don Bosco a Valdocco, alla quali­ficazione professionale e culturale, al cammino di vita cristiana e di crescita spirituale. Don Bosco ripropone ai suoi ragazzi quei valori che sono stati significativi per lui giovane ed hanno fondato la sua personalità umana e cristiana.


La chiesa di san Francesco di Sales ci rammenta che:

- i giovani hanno una nativa connaturalità con i valori as­soluti, desiderano ricevere forti proposte spirituali e san­no rispondere con totalità, se aiutati, stimolati e seguiti;

- la preghiera giovanile non deve fermarsi alla forma e alle emozioni o a momenti isolati: deve animare la vita, ispirare e sostenere le scelte, diffondersi nella giornata;

- la grazia, il rapporto sacramentale con Cristo, operano meraviglie nei cuori giovanili e possono portarli alle vette della contemplazione;

- il sacramento della Penitenza è uno strumento indispensa­bile nel cammino cristiano, come medicina, prevenzione, for­za, verifica, confronto;

- i modelli concreti di vita cristiana, vicini alla condi­zione e alla mentalità giovanile, sono potenti ed efficaci veicoli di valori;

- le verità cristiane, la liturgia e i sacramenti, la devo­zione mariana, la Sacra Scrittura... debbono essere presen­tati e fatti sperimentare nella loro totalità, ma in forme percepibili dai giovani e dai ragazzi: la pastorale giovani­le non è una pastorale minore o parziale, anche se privile­gia linguaggi e forme giovanili.

La Casa annessa all'Oratorio di S. Francesco di Sales, con la sua vita comunitaria, con le sue attività e i suoi ritmi ci insegna che:

- il giovane ha un prepotente bisogno di comprensione, di a­micizia, di essere amato per se stesso, di confidenza; ma anche di modelli adulti riusciti, di paternità spirituale (non paternalismo!);

- la comunità giovanile positiva e serena, ricca di valori e di impegno, è uno dei più efficaci fattori di formazione;

- i migliori apostoli dei giovani sono i giovani stessi;

- per educare come don Bosco bisogna essere in tanti e ben affiatati, animati da carità, generosità e abnegazione, i­spirati da motivazioni religiose, perennemente ottimisti sull'uomo e sulla storia (che è storia di salvezza!);

- il ragazzo di oggi è l'uomo di domani: ogni scelta ogni attività, anche quelle di carattere ludico, contribuiscono alla formazione dell'uomo; l'educatore deve essere previ­dente, rispettoso, intuitivo, qualificato; la sua è una mis­sione storica;

- la pastorale giovanile e l'azione educativa sono monche e inutili, se non sfociano nella formazione vocazionale e pro­fessionale;

- è indispensabile un progetto, condiviso e attuato da una comunità educativa, in cui si vengano coordinate e finaliz­zate attività e scelte, orari e impegni, doveri e svaghi, catechesi e formazione, preghiera e cultura...

- la prevenzione è costruzione di valori e atteggiamenti po­sitivi, prima che argine al male;

- la formazione delle idee e delle convinzioni che passa at­traverso l'esercizio critico della ragione non determina plagi e fanatismi, ma crea persone libere, malleabili ed e­quilibrate;

- compito dell'educatore è anche quello di scoprire e susci­tare talenti, di offrire occasioni di espressione e di cre­scita;

- la qualificazione culturale e professionale non può essere delegata acriticamente: infatti non si tratta solo di comu­nicare competenze tecniche, ma di formare mentalità e visio­ni del mondo e dei valori.


2. NOTE STORICO-GEOGRAFICHE E BIOGRAFICHE

2.1. Azione sociale e pastorale nella seconda metà dell'Ottocento


Dopo il crollo del neo-guelfismo con i fatti del 1848-1849, si approfondisce il solco tra le classi liberali, che assumono le leve del governo, e il mondo cattolico che non approva la posi­zione antiromana del movimento di unificazione nazionale e si ar­rocca su posizioni conservatrici. Le tensioni vanno crescendo con le leggi in materia ecclesiastica, con quelle di soppressione delle congregazioni religiose e di riforma della scuola, aggrava­te da ondate di anticlericalismo da una parte e di rigida intran­sigenza dall'altra. Si giunge alla rottura totale del dialogo con l'occupazione dei territori pontifici e la presa di Roma (1870). Una delle conseguenze più dolorose ed evidenti è che molte sedi vescovili, con la morte degli Ordinari, restano vacanti. Anche la situazione economica delle chiese locali, poi, si aggrava per i nuovi oneri fiscali e per l'incameramento dei benefici ecclesia­stici. Di riflesso si manifesta una forte crisi vocazionale che potrà essere superata soltanto verso gli anni Ottanta.

Vani risultano per il momento i tentativi di conciliazione condotti dagli esponenti più aperti delle due parti.


Nel 1861 il teologo Giacomo Margotti sul giornale torinese l'Armonia aveva lanciato il motto: “né eletti, né elettori”, in­vitando i cattolici ad esimersi da qualsiasi forma di partecipa­zione alla vita politica, come protesta contro le posizioni libe­rali. Nel 1868 la Sacra Penitenzieria teorizza questa posizione nel principio del non expedit, ripreso e confermato nel 1874 dal papa Pio IX. Sull'interpretazione più o meno intransigente del non expedit, i cattolici assumono posizioni diverse, finché il Santo Ufficio nel 1886 lo interpreta ufficialmente come proi­bizione ai cattolici di qualsiasi impegno diretto nella vita po­litica.
Di fatto, comunque, fin dagli anni Cinquanta i cattolici, ritirati da ogni compromesso col potere, impegnano le loro forze nel campo più squisitamente religioso, educativo, assistenziale e, più tardi, sociale. Ecclesiastici e laici avviano una serie di attività che vanno dalle missioni popolari, dal rinnovamento del­le antiche confraternite e dalla costituzione di nuove associa­zioni religiose, fino alla fondazione di collegi e scuole, di a­sili infantili, case di riposo, ospedali, casse rurali e società operaie e di mutuo soccorso. Si viene così formando quel fitto tessuto di iniziative e di intese che coagulerà nell'Opera dei Congressi (1874-1904) e in un movimento cattolico di massa dalle forti connotazioni sociali.
Gerarchia e clero concentrano le loro attenzioni e cure su­gli aspetti più propriamente religiosi e pastorali della vita ec­clesiale. Assistiamo così ad una ripresa generale nel mondo cat­tolico in Europa e in Italia che porta, ad esempio, a un rinnova­mento nel campo degli studi teologici (neotomismo), biblici e li­turgici (movimento biblico e liturgico), della catechesi (nascita dei vari movimenti catechistici), dell'impegno missionario, ecc.

Negli ambienti cattolici degli ultimi decenni del secolo si assiste anche ad un rinnovamento della vita spirituale e allo sviluppo di un accentuato interesse per il soprannaturale e il taumaturgico, favorito dalle apparizioni straordinarie (le più note sono quelle di Lour­des e La Salette) e dalla forza di attrazione esercitata da figure carismatiche come lo stesso don Bosco.

Un settore che subisce uno sviluppo vistoso è quello della vita consacrata. La crisi dei grandi ordini religiosi da una par­te e, dall'altra, l'impellente necessità di operatori nel campo della pastorale, dell'assistenza e dell'educazione, portano ad u­na fioritura di piccole e medie congregazioni femminili, soprattutto, e ma­schili, dai caratteri prevalentemente locali, che rispondono ef­ficacemente a questi bisogni.

Tutte queste scelte determinano di fatto una nuova saldatura tra gerarchia cattolica e ambienti popolari, tra clero e laicato, preludio ad un modello di chiesa che troverà la sua piena espli­citazione nel secolo successivo.


L'azione di don Bosco, insieme a quella di altri operatori della “carità cristiana” che sono spinti dalle urgenze e dalle gravi necessità dei giovani e del popolo, in qualche modo apre la strada al cristianesimo sociale di fine secolo. Il nostro Santo è fondamentalmente un pragmatico che cerca di affrontare la situa­zione aggirando gli ostacoli e muovendosi negli spazi di manovra consentiti. Si adatta di fatto alla impostazione ed alle leggi della società liberale, che presenta i caratteri della libera concorrenza, del pluralismo, della concezione laica dello stato.

Le sue opere acquistano in tal modo dinamismo ed adattabili­tà, ed anche i destinatari privilegiati della sua azione, “i gio­vani poveri e abbandonati, pericolanti”, vanno articolandosi in categorie più complesse: dai garzoni stagionali degli anni Quaranta-Cinquanta, ai figli degli operai dei quartieri popolari, ai giovani studenti che formeranno la classe media del nuovo sta­to italiano e le future leve del clero, fino agli emigrati nelle Americhe e ai “selvaggi” della Terra del Fuoco immersi nelle te­nebre del paganesimo.


Così don Bosco, a partire dall'esperienza di Valdocco, si manifesta per quello che è il vero santo: l'uomo fedele a Dio, ma anche il testimone privilegiato del suo tempo, capace di suscita­re risposte concrete alle attese del futuro.



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