La vita e I miracoli



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PADRE PIO

LA VITA E I MIRACOLI
Padre Raffaele, il Guardiano del convento di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Rotondo, osservò il timbro postale della lettera che gli era stata consegnata in quel momento. - Che ci sarà mai di nuovo? - mormorò tra i denti. Sulla bu­sta non compariva il mittente, ma aveva riconosciuto i caratteri della macchina per scrivere e il modo di predisporre l'indirizzo. La lettera proveniva dalla Curia provinciale. C'era un bellissimo tramonto. Padre Raffaele si era fermato sul sagrato della chiesetta per rilassarsi. A quell'ora le confessioni era­no finite, la chiesa chiusa, i pellegrini se n'erano andati quasi tutti. Passeggiava avanti e indietro recitando il rosario e guardando lo spettacolo incantevole dei colori accesi dal sole all'orizzonte. Il postino era venuto dal paese perché la lettera era urgente. Pa­dre Raffaele aprì con calma la busta. Conteneva una comunica­zione del Molto Reverendo. Lesse e impallidì. La nascose nella tasca del saio e si avviò frettoloso verso il con­vento. Salì al primo piano, bussò alla porta del Vicario: - Vieni nella mia stanza - gli disse sottovoce. E altrettanto fe­ce all'uscio del Padre economo. - Chiudi bene la porta - ordinò all'Economo che era entrato per ultimo, e poi aggiunse: - Ho ricevuto una lettera terribile. Ma proprio terribile. - Che cos'è accaduto? - domandò il Vicario. - Padre Pio è stato sospeso da tutte le facoltà sacerdotali. Non potrà più dedicarsi a nessun ministero. Una specie di sospensione a divinis. - Impossibile. È una punizione che è comminata solo per delitti gravissimi - osservò l'Economo. - E che ti posso dire? Leggi qui. Il Padre guardiano prese la lettera che teneva in tasca e la lesse ad alta voce. Il Provinciale si limitava a riferire quanto gli era sta­to comunicato dal Superiore generale, il quale aveva ricevuto la delibera dal Sant'Uffizio: - Si ingiunge a Padre Pio la sospensione da ogni ministero, ad ec­cezione della Santa Messa che, peraltro, deve essere celebrata nella cappella interna, alla presenza del solo inserviente. - È una cosa inaudita! - commentò il Vicario. I tre religiosi apparivano profondamente costernati. Padre Raf­faele non riusciva a convincersi di aver capito bene e rilesse anco­ra la lettera, soffermandosi con attenzione su ogni parola. Ma il breve testo non lasciava dubbi. - E la gente? - domandò il Padre economo. - Come reagirà? Il mese scorso hanno sfondato la porta del convento solo per il so­spetto che fosse arrivato un nuovo Superiore: che faranno adesso? - A Roma non si rendono conto che qui si rischia la pelle. Lo­ro giocano ad emanare decreti! E noi siamo qui che rischiamo ogni giorno di essere impallinati come lepri. - Io non sono un giurista - intervenne il Vicario. - Non co­nosco bene il codice di diritto canonico, ma per una punizione co­sì drastica uno deve perlomeno aver commesso un omicidio. - Gli lasciano la possibilità di dire la Messa in privato. Ci mancherebbe altro! Vorrebbero anche impedirgli di pregare? Di avere un contatto con Dio? - Incredibile... proprio incredibile! - ripeteva Padre Raffaele. Era sconvolto. Il suo viso sembrava invecchiato. - Domattina scenderò a Foggia a parlare con il Molto Reverendo. Può darsi che ci sia un equivoco. Comunque, io ritengo che l'applicazione di queste disposizioni, almeno per ora, sia impossibile, e vi ho con­vocati per conoscere il vostro parere. - Sono perfettamente d'accordo - disse il Vicario. - In aprile hanno sfondato la porta del convento, questa volta ci uccidono - aggiunse l'Economo. - Per ora non dite niente a nessuno - concluse Padre Raffaele. - Non mostratevi preoccupati. Non voglio che Padre Pio sospet­ti e soffra. Spero domani di poter chiarire le cose e di ottenere per­lomeno una dilazione, in modo da studiare il da farsi. Padre Raffaele rimase solo. Continuò a camminare nella stan­zetta come un animale ferito. Non riusciva a pensare ad altro. Era Superiore del convento di Santa Maria delle Grazie da tre anni. Ne aveva viste e sentite di tutti i colori, ma una cosa del genere non se la sarebbe mai aspettata. "La sospensione a divinis è una cosa che si legge sui libri" disse fra sé. "Nel corso della storia è stata comminata ai grandi eretici, ai sovvertitori, ai peggiori corruttori!" Sentì il suono della campanella. Erano le 19, l'ora di andare in coro per la recita della Compieta e per la meditazione. Era così av­vilito che provò un senso di ribellione, una specie d’avversione per la preghiera. "Padre Pio non farebbe così" disse subito fra sé. Si avvicinò alla finestra e rimase a c6ntemplare la campagna. - Povero Piuccio - mormorò. Conosceva il Padre fin da ragazzo, quando aspirava alla vita re­ligiosa, mentre Padre Pio era già un giovane chierico. Ricordava l'impressione del loro primo incontro a Sant'Elia a Pianisi, nel 1904. "Quanti anni sono passati?" si domandò. Fece un rapido con­to. "Ventisei!" Era proprio un ragazzino allora. Frequentava il convento di Sant'Elia a Pianisi per studiare latino. Erano arrivati i nuovi chieri­ci, e tra questi ce n'era uno che lo aveva particolarmente colpito. Modesto, silenzioso, sorridente, riservato: Fra Pio. Un giorno c era un lavoretto da svolgere. Bisognava portare via le pietre di una vec­chia costruzione crollata per riordinare un angolo del giardino. Il compito fu affidato ai chierici, e anche Fra Pio era andato a da­re una mano. Tutti prendevano le pietre più piccole, lui cercava quelle più grosse. Riusciva ad alzarle a stento, faticava a cammina­re, ma portava quelle più pesanti, che gli altri scartavano. E lui se n'era meravigliato. Gli era sempre rimasta negli occhi l'immagine del giovane chierico che, sorridente, silenzioso, sceglieva le pietre più grosse. Faticava volontariamente, più degli altri. - Povero Piuccio! - mormorò ancora. - Sempre a faticare e a soffrire per noi. Tre anni prima, quando gli avevano affidato l'incarico di Supe­riore del convento di Santa Maria delle Grazie, ne era stato felicis­simo, proprio perché poteva rimanere accanto a Padre Pio. Conosceva i problemi, le difficoltà, le polemiche, le accuse, ma sapeva che era tutta una montatura, un equivoco. Pensava di riuscire a contribuire a fare chiarezza. Si era impegnato a fondo, in quegli anni. Ci aveva messo tutta la sua buona volontà. La sua stima per il Padre era cresciuta. Ma ora, ecco la mazzata mortale! - Padre Pio punito come un ribelle impenitente, come un gran­de peccatore pubblico! - esclamò. Assurdo! Domani devo convincere il Provinciale ad archiviare questa vicenda. Aveva deciso di non recarsi in coro e di non partecipare alla cena perché non voleva vedere nessuno. Ma ora si rendeva conto che era una scelta sbagliata. "Se non mi vedono, i frati cominciano a sospettare" si disse. "E tutto quello che di nuovo accade in questo convento riguarda Padre Pio. Così lui si preoccupa e sta­notte non dorme. Meglio scendere e far finta di niente. Almeno fi­no a domani sarà tutto tranquillo." Il mattino successivo Padre Raffaele si alzò con un fortissimo mal di testa. Non aveva quasi chiuso occhio. L'incubo della lettera ricevuta dalla Curia aveva continuato a tormentarlo. Celebrò la Messa, poi scese in paese e prese la corriera per Foggia. Il Padre provinciale non aspettava la sua visita. È impegnato con altri appunta menti - gli disse il segretario. - Aspetterò finché si libera - rispose Padre Raffaele. Fu ricevuto verso mezzogiorno. Vedendolo, Padre Bernardo d'Alpicella capì la ragione della visita. Padre Bernardo era un Superiore provinciale particolare. Non lo avevano eletto i religiosi della Provincia di Foggia, ma era stato nominato dal Generale dell'Ordine. E non apparteneva neppure a quella Provincia, ma proveniva dal Nord, da Parma. Era una specie di commissario mandato a governare una Provincia giudicata "ribelle", incapace d’autogestirsi, al punto da aver bisogno di un "gendarme" imposto dall'alto. E tutto questo era accaduto a causa delle vicende legate a Padre Pio. Le autorità ecclesiastiche gli avevano affidato l'incarico di «osservare" e "riferire". Ogni due mesi doveva inviare a Roma un re­soconto su tutto ciò che avveniva intorno al Padre. Avrebbe dovuto svolgere quel ruolo solo per poco tempo e invece era lì da sette anni. La Provincia si sentiva umiliata. Padre Bernardo lo sapeva bene. Aveva cercato di esercitare il proprio mandato con comprensione, ma la sua presenza, imposta a quel modo, frenava e mortificava le iniziative di molti religiosi bravi e pieni d’entusiasmo. Padre Bernardo sapeva perciò di non essere amato dai suoi sud­diti. Non n’aveva conquistato nemmeno uno. Era sempre conside­rato uno straniero. Così, i suoi contatti con quei confratelli erano freddi, distanti. - Come mai, Padre Raffaele, questa visita improvvisa? - do­mandò al Guardiano di Santa Maria delle Grazie. Domanda reto­rica, inutile. Sapeva bene perché si era precipitato, ma, per il ruolo che ricopriva, "doveva" tenere un atteggiamento burocratico e distaccato. - Ho ricevuto la vostra lettera e ne sono rimasto sconvolto - rispose Padre Raffaele. Padre Bernardo guardò fuori della finestra. Avrebbe voluto dire che anche lui era rimasto sconvolto ricevendo da Roma quell'ordine, che era stanco di quella vicenda, che non ne voleva più sentir parlare, che era ora di lasciar in pace quel povero confratello di Padre Pio. Ma si trattenne, perché era lì per recitare una parte. E anche se non ne poteva più di quel ruolo, doveva continuare a fa­re il suo dovere. - Padre Raffaele - disse - sono ordini che vengono da Ro­ma, io non ci posso fare niente. - Ma sono terribili. - Certo, sono terribili, lo so bene. Dovrei mettermi a discutere con il Padre generale o con il Sant'Uffizio? - Non dico questo. Dico solo che a metterli in pratica si rischia la pelle. Sapete bene cos'è accaduto ai primi d’aprile, solo per il sospetto che un frate francescano potesse essere il Superiore incaricato di portar via Padre Pio. La gente ha tenuto il convento sotto assedio fino alle due di notte. Hanno sfondato la porta d'ingres­so. Se non ci fossero stati i carabinieri, poteva succedere un ecci­dio. Io non sono un santo, Padre provinciale, e temo per la mia vi­ta, e naturalmente anche per quella dei miei confratelli. - Ho riflettuto a lungo su queste nuove disposizioni del Sant'Uf­fizio proprio in rapporto all'accaduto. Ma non vedo soluzioni. In­sieme a quella che le ho trasmesso ho ricevuto un'altra lettera, in cui mi si raccomanda di far osservare rigorosamente le disposizioni del Sant'Uffizio. Gli ordini, quindi, vanno eseguiti. - Non avete pietà per quel povero frate? Padre Bernardo non rispose. - Già - disse il Guardiano. - Voi non siete dei nostri. - Questo non deve dirlo, Padre Raffaele - replicò il Provin­ciale. - Non glielo permetto. Io sono qui per obbedienza. Mi hanno mandato a fare questo mestiere contro la mia volontà. Sta­vo bene a Parma, a svolgere il mio apostolato. E mi pesa molto trovarmi qui in veste di gendarme. In ogni caso, se ho una colpa, è solo quella di aver obbedito. Non merito il vostro disprezzo. - Scusatemi - ribatté il Guardiano rendendosi conto di aver sbagliato a prendersela con Padre Bernardo. - Scusatemi veramen­te. È che mi piange il cuore a dover riferire una cosa del genere a Pa­dre Pio. Proprio a lui! Vive di preghiera e di sofferenza. Dedica tutto se stesso alle anime, aiutandole nel ministero della confessione e della direzione spirituale. Togliergli questa missione vuol dire ucciderlo. Oltre tutto, toglierlela per punizione, come se avesse commesso chissà quali delitti. Padre, non si tratta di un rimprovero, di un richiamo: questa è una sospensione a divinis! La massima sanzione contro un sacerdote. Conosco Padre Pio da ventisei anni, da quando era un giovane chierico. Mi ha fatto sempre un'ottima impressione. E da quando vivo con lui, come suo Superiore, la mia stima e la mia ammirazione sono aumentate. Se mai mi è capitato di conoscere un santo, questi è Padre Pio: ve lo giuro, Padre Bernardo. Il Provinciale aveva ascoltato in silenzio, con un'espressione im­penetrabile. Ma nei suoi occhi c'era un luccichio che palesava un'intima e sincera commozione. Lasciò passare interminabili secondi fissando il vuoto. - Caro Padre - disse infine, come a conclusione di una lunga riflessione interiore - la vita a volte può diventare incredibilmente dura. Soprattutto quando ci troviamo coinvolti in vicende che non comprendiamo e che riteniamo ingiuste. Come lei ben sa, sette anni fa i Superiori mi hanno mandato qui con il compito di "osservare" e di "riferire". Ho osservato e ho riferito. E mi sono convinto che Padre Pio non merita il trattamento che gli stanno riservando. Glielo dico in confidenza ma con gran sincerità. Già lo scorso anno avevo comunicato al Padre generale che la mia presenza qui non aveva più senso. Ritenevo concluso il mio compito. Chiedevo di tornarmene alla mia Provincia. Non ci crede, vero? So che i confra­telli di questa Provincia mi giudicano male, ma sbagliano. Cercò in un cassetto una cartella e n’estrasse dei fogli. - Questa è la relazione che ho inviato al Generale nel settem­bre dello scorso anno. Ecco che cosa scrivevo alla fine. - Fece una pausa e lesse: - Reverendissimo Padre, non capisco perché il Sant'Uffizio si ostini a tenermi qui in veste di Superiore di questa Provincia. Tutti i documenti che ho raccolto e sto ancora racco­gliendo su Padre Pio testimoniano all'unisono in favore delle sue virtù e delle sue grandi prerogative. "Questo, caro Padre, io ho scritto ancora un anno fa. Questo è quel che penso di Padre Pio. Credo quindi possa comprendere che anch'io sono addolorato per i nuovi gravissimi provvedimenti. Ma non ho altra scelta che obbedire e dirle, sia pure con il cuore che sanguina, che gli ordini vanno eseguiti alla lettera." Si alzò in piedi. Aveva ripreso la sua espressione fredda e distac­cata. La sua maschera. Padre Raffaele aveva capito che l'incontro era finito. Salutò e uscì. Era mezzogiorno e mezzo. Si sarebbe potuto fermare a mangia­re con i confratelli del convento di Sant'Anna, ma al solo pensiero del cibo si sentì male. Si avviò verso la stazione delle corriere. Il sole a picco scottava. Il saio pesante e scuro attirava i raggi infuo­cati. Per il caldo, la debolezza, l'amarezza che aveva nel cuore, si sentiva svenire. Si fermò all'ombra di un grande albero per ripren­dere un pò le forze. Ebbe un attimo di smarrimento e gli vennero le lacrime agli occhi. Si asciugò il sudore della fronte e riprese a camminare sotto il sole. Padre Raffaele arrivò al convento intorno alle quattro del pomeriggio. I frati della comunità avevano appena finito di recitare in coro il Vespro. Ognuno se n'era andato a sbrigare le proprie faccende. Padre Pio, come il solito, si era fermato a pregare. Padre Raffaele gli si avvicinò. - Quando puoi, vieni nel salotto che ti devo parlare - gli sus­surrò all'orecchio. Padre Pio si trattenne ancora qualche minuto e poi raggiunse il Superiore. - Eccomi, Padre Raffaele. - Siediti - gli disse il Guardiano e tolse dalla tasca la lettera. Padre Pio osservava. Probabilmente aveva capito. - È arrivato un nuovo decreto del Sant'Uffizio - aggiunse Padre Raffaele sbir­ciando il confratello. Padre Pio continuò a restare in silenzio. E quel silenzio rendeva ancor più penoso il compito del Guardiano. Non sapeva da dove co­minciare. Non trovava le parole giuste. Non aveva il coraggio di dire niente su quel provvedimento. Finì per leggere il testo: - S’ingiunge a Padre Pio la sospensione da ogni ministero, ad eccezione della Santa Messa che, peraltro, deve essere celebrata nella cappella interna, alla presenza del solo inserviente. Di colpo il Padre impallidì vistosamente. - Non ho capito bene - disse con voce strozzata, perché men­tre pronunciava quelle parole la saliva gli era andata di traverso. - Il Sant'Uffizio ti chiede di celebrare la Messa in privato, e non più in chiesa - spiegò il Guardiano. E si affrettò ad aggiun­gere: - Una richiesta che aveva già avanzato anni fa. - No, prima della Messa, le parole che vengono prima - do­mandò Padre Pio con voce flebile. Padre Raffaele lesse: - S’ingiunge a Padre Pio la sospensione da ogni ministero. La frase cadde come un macigno nel silenzio della stanzetta. Ci fu una lunga pausa nella conversazione. Padre Raffaele teneva gli occhi bassi. Si sentiva sprofondare per l'imbarazzo. - In concreto? - domandò Padre Pio. - Be', penso che per un certo periodo tu non possa fare nessu­na delle abituali attività collegate. - Cioè? - Amministrare i sacramenti, occuparti della direzione spiri­tuale, predicare eccetera. E confessare? - Sì, naturalmente anche confessare... Non potrai confessare, mi sembra di aver capito. - Nemmeno confessare... - Padre Pio chinò il capo e rimase ancora a lungo in silenzio. Poi mormorò: - Sia fatta la volontà di Dio. - E si copri gli occhi con le mani. - Devi farti coraggio - cercò di confortarlo Padre Raffaele. - Sono stato a Foggia, questa mattina, per parlare con il Provin­ciale. Ha detto che cercherà di chiarire, scriverà a Roma. Vedrai che si tratterà di un provvedimento di breve durata. Ci dev'essere stato un errore. Magari tra qualche giorno arriva un ordine che cambia tutto. Non te la devi prendere... Attese. Il Padre continuava a tenere il viso tra le mani e il capo chino. - Sai che cosa ti dico? - riprese Padre Raffaele con voce forza­tamente allegra. - Questo provvedimento in fin dei conti potrebbe esserti utile. Da anni ormai lavori come un mulo. Ore e ore in con­fessionale. E adesso ti prendi una vacanza. Ti riposi. Te ne stai su in convento, sereno. Ti dispenso da tutti gli orari della comunità. Puoi organizzare la tua giornata come vuoi. Al mattino te ne stai a letto finché credi. Insomma, per un pò non pensi ad altro che a riposare. Il Padre guardiano non sapeva più che dire. Aveva esaurito la ri­serva di bugie. Si sentiva ridicolo, tragicamente inutile. - Quando comincia questo calvario? - domandò Padre Pio. - Be', non saprei. Credo che debba cominciare subito. Quindi, da domani celebrerai nella cella di fronte alla tua, che trasforme­remo in una piccola cappella. - Va bene, Padre Raffaele. - Il Padre fece un'ennesima lunga pausa. Poi domandò: - Puoi, per favore, dispensarmi dallo scen­dere in refettorio per la cena questa sera? Non ho per niente vo­glia di mangiare. - Certo, certo, Piuccio. Rimani pure in cella, riposati. - Grazie, Padre superiore. Si alzò a fatica. Gli pareva di essere diventato pesantissimo. Uscì dal salotto e, adagio, si avviò nel corridoio; non verso la pro­pria cella, ma verso il coro. Tornò ad inginocchiarsi dov'era poco prima. Rimase un paio di minuti a guardare il tabernacolo. Poi si sedette, piegò la testa sulle braccia appoggiate all'inginocchiatoio e rimase così, con il volto affondato nelle maniche del saio. Padre Raffaele lo aveva seguito, si era fermato sulla porta del coro e spiava dall'uscio socchiuso. Gli parve di notare che il corpo del Padre avesse, di tanto in tanto, dei leggeri sussulti, come di uno che stia piangendo. Voleva andare a parlargli, ma pensò che uno sfogo di lacrime lo avrebbe aiutato. Padre Pio rimase là, a pregare e a piangere, fin dopo la mezza­notte. Poi si avviò verso la sua cella. Si trascinava penosamente per il corridoio, barcollando. Come gli era già successo quel lon­tano giorno, il 20 settembre 1918, dopo che era stato misteriosa­mente ferito. Allora gli avevano fracassato le mani e i piedi; que­sta volta gli avevano maciullato il cuore.

2

Avevo detto che potevi restare a letto fino a tardi - disse il Guardiano arrivando in coro per il Mattutino e scoprendo che Padre Pio era già là, chissà da quanto tempo. - Non sono riuscito a chiudere occhio. - Ma almeno potevi riposarti. Non puoi scendere in chiesa a confessare né puoi dire la Messa delle 5... - Oggi è la festa del Corpo del Signore. Voglio stare vicino a Gesù, pregando davanti al tabernacolo, dove egli è realmente pre­sente con il suo Corpo. Era l'alba dell'11 giugno 1931, un giovedì. Festa liturgica del Corpus Domini, il Corpo del Signore, e primo giorno di "prigio­nia" di Padre Pio. Una festa, quella del Corpus Domini, di cui Padre Pio sentiva fortemente il significato. Per questo si era alzato presto ed era an­dato in coro a meditare. - La storia della Chiesa è piena d’avvenimenti suscitati da Dio per richiamare l'attenzione dei credenti sulla concretezza del Corpo di Cristo - diceva spesso ai suoi confratelli. Aveva letto molti libri sull'argomento. Lo riteneva d’estremo interesse, e quindi conti­nuava a parlarne. - Questa verità è stata messa in discussione lungo il corso dei secoli, ma ogni volta Dio è intervenuto per ribadirla - spiegava ai confratelli. - Nel 1200, per esempio, al tempo delle Università, filosofi e teologi si interrogavano sugli "universali", e questa verità stava per essere inquinata da troppi sofismi e intellet­tualismi che ne minacciavano la realtà. Ecco allora arrivare San Francesco che, ricevendo le stigmate, ripropose il mistero del Cor­po di Cristo. Poi, nel 1263, ci fu il miracolo di Bolsena per ribadire che quel Corpo è presente realmente nell'Eucarestia. Al tempo del giansenismo, che con le sue teorie intaccava il valore universale del­la redenzione di Cristo ottenuta con la Passione e Morte in croce, Santa Maria Margherita Alacoque divenne promotrice della devo­zione del Sacro Cuore, sempre il Corpo. Quella notte Padre Pio non era riuscito a dormire a causa della condanna ricevuta. Nella solitudine della sua celletta non aveva fatto altro che pregare. Sperava di avere il conforto di uno di quei misteriosi incontri con Gesù, la Madonna, ma invece niente. An­che il cielo si era chiuso. Per questo, nel cuore della notte si era alzato ed era andato in coro. Per restare là, davanti al tabernacolo. La fede gli diceva che nel tabernacolo c'era Gesù, realmente presente in corpo, anima e divinità. Non riusciva a sentire quella presenza, ma la proclamava con la fede. E alla fine aveva trovato uno spiraglio di luce. Gli pa­reva che la coincidenza di cominciare la nuova terribile prova il giorno del Corpus Domini avesse un significato: doveva celebrare con la proprie sofferenze il Corpo di Cristo. - Padre guardiano - disse al Superiore che gli si era seduto accanto - se non fossi venuto qua, stanotte sarei impazzito. Ma il Signore ancora una volta ha avuto compassione di me. Fin dalle prime luci dell'alba, la chiesetta del convento era zep­pa di fedeli. Molti, approfittando della festività, erano venuti an­che dai paesi vicini, e numerosi erano i pellegrini che avevano af­frontato lunghi viaggi. Tutti attendevano di poter vedere Padre Pio: era lui che celebrava la prima Messa, alle 5. E quando sull'al­tare si presentò un altro religioso, i fedeli rimasero delusi. Un mormorio di sconforto e di sorpresa serpeggiò per la chiesetta. - Dov'è Padre Pio? - si domandavano. - Lo hanno forse portato via? L'interrogativo passava di bocca in bocca. Erano anni ormai che gli abitanti di San Giovanni Rotondo, di tanto in tanto, se lo poneva­no. Il progetto di trasferire altrove il religioso di Pietrelcina era stato formulato per la prima volta dai Superiori del religioso nel 1919, e da allora continuava ad essere riproposto. E ogni volta la gente si mo­bilitava per impedirne la realizzazione. Gli abitanti di San Giovanni Rotondo ritenevano che Padre Pio fosse un dono del Signore per lo­ro, e non volevano perderlo, per nessuna ragione. Avevano già fatto battaglie, sommosse, dimostrazioni, ed erano decisi a continuare. Così, anche quella mattina, la gente cominciò ad agitarsi. Qual­cuno uscì per chiedere notizie. Padre Raffaele, che si aspettava una reazione di quel genere, era già nel piazzale pronto a gettare acqua sul fuoco. - Padre Pio non si sente bene - disse a coloro che lo avvicina­rono ansiosi. - Forse scenderà più tardi. - Che cos'ha di preciso? - Niente di grave, una semplice indisposizione. Ditelo pure an­che agli altri. Rientrò in convento. Temeva di dover rispondere ad interrogativi più dettagliati. La voce si diffuse. Passò di bocca in bocca tra i fedeli in chiesa e arrivò anche in paese. Ma non fu creduta. Anzi, gettò l'allarme. - Dobbiamo andare al convento a vedere dov'è Padre Pio - diceva la gente. Cominciò a formarsi una processione lungo il sentiero tra i campi che portava dai frati. Un corteo che si infittiva con il passare delle ore e ricordava quello di due mesi prima. Le autorità si preoccuparono. Il podestà convocò il comandante dei carabinieri. - Mandi i suoi uomini al convento e provveda a far venire rinfor­zi da San Marco in Lamis, da Monte Sant'Angelo. Poi avverti il prefetto di Foggia e verso mezzogiorno salì al convento insieme ad altri rappresentanti del comune. La situazione era sotto controllo, ma si avvertiva nell'aria una forte tensione. Il podestà chiese di parlare con il Superiore. Padre Raffaele Io ricevette in foresteria. - Dov'è Padre Pio? - In coro che prega - rispose Padre Raffaele. E ritenne che fosse opportuno spiegargli subito la verità. - Purtroppo - ag­giunse - ieri è arrivato un altro decreto del Sant'Uffizio che proi­bisce al Padre di celebrare la Messa in chiesa. - Come mai non sono stato subito avvertito? - Non ci ho pensato. - Spero non abbia dimenticato la nottata del 7 aprile scorso. - Si figuri se posso averla dimenticata! Ma ieri ero preoccupa­to, sono andato a Foggia a parlamentare con il Provinciale, poi ho dovuto avvertire Padre Pio. - Qui può accadere di tutto, e lei lo sa bene. Dobbiamo colla­borare. Io devo sempre essere avvertito in anticipo di qualunque cosa che riguardi Padre Pio. Lo dica pure ai suoi Superiori. Tocca a me tenere a bada la gente, ma se non sono informato potrei arri­vare in ritardo. Questa mattina ho fatto i salti mortali per ottene­re rinforzi di carabinieri. Se fossi stato avvertito ieri, avrei potuto provvedere prima e senza tante difficoltà. - Ha ragione - commentò Padre Raffaele. - La colpa è solo mia, però, mi creda, ero sconvolto e non ho pensato a questo det­taglio che in realtà è fondamentale. Per tutto il giorno il podestà, il maresciallo dei carabinieri e al­tre personalità del paese rimasero a parlamentare con la gente che sostava intorno al convento. - Quello che i frati ci dicono non è vero. Ci ingannano. Dob­biamo pretendere di poter vedere Padre Pio - dicevano i più faci­norosi, che volevano passare subito all'azione. - State calmi. Non vorrete causare altre sofferenze al Padre che sta già male - replicavano le autorità. Il fatto che il Padre stesse male frenava ogni tipo d'iniziativa. Anche chi voleva lo scontro a tutti i costi finiva poi per calmarsi. In nome di Padre Pio si otteneva sempre tutto, anche da quella gente scatenata. Fortunatamente la giornata passò senza incidenti. I devoti conti­nuarono a fare la spola dal paese al convento con una processione ininterrotta. Molti si fermavano sul piazzale a chiacchierare, altri entravano in chiesa a pregare. Molti giravano intorno alle mura del convento sperando di scorgere il Padre da qualche finestra. Verso sera, ai carabinieri lasciati di guardia si aggiunsero le ron­de del "Comitato per la difesa di Padre Pio", e il convento fu ve­gliato tutta la notte. Nei giorni seguenti, la notizia del nuovo decreto contro Padre Pio fu resa pubblica. Non suscitò scalpore scandalistico. La stampa la riferì con toni moderati e improntati allo sconcerto. E contribuì ad aumentare l'affetto e la devozione nei confronti del Padre. Al convento cominciarono ad arrivare lettere e telegrammi. Giungevano persone che chiedevano di poter parlare con Padre Pio. Nell'ultimo decreto non gli era stato proibito d’avere contat­ti con la gente. Forse gli sarebbe servito a mitigare il dolore di non poter confessare. Quella proibizione, però, si trovava nei decreti precedenti, e per evitare nuove sanzioni il Superiore aveva deciso d’essere ligio a tutte le disposizioni emanate. - Padre Pio, è arrivato il vostro confessore, Padre Agostino - disse Fra Nicola. - Sia lodato il cielo - rispose il Padre sorridendo. Posò il libro che sta va leggendo e seguì il confratello fuori dalla biblioteca. Padre Agostino aveva appreso la notizia dai giornali ed era accor­so. In altri tempi sarebbe stato Padre Pio ad informarlo subito, scri­vendogli affettuose lettere per sfogare il proprio dolore e confidargli le proprie pene. Quante volte lo aveva fatto, quando era tempestato dai tormenti diabolici a Pietrelcina! Nei momenti di maggior soffe­renza scriveva al confessore chiamandolo "babbuccio", «papino mio". E quanto conforto provava in quel confidarsi ad una persona da cui sapeva di essere compreso e amato! Ma da tempo gli era proibito tenere corrispondenza, e così non aveva neanche quel sollievo. In quei giorni aveva atteso con ansia il confessore. Sperava che fosse stato informato. Quando lo vide, corse ad abbracciarlo con grande affetto. Era la persona che sapeva tutto di lui. - Andiamo nella tua cella, così mi racconti un poco - disse Padre Agostino. Padre Pio lo precedette. Quando si ritrovarono soli, si fissarono negli occhi e Padre Pio scoppiò a piangere. Si era seduto sul letto e non riusciva a frenare i singulti. Il suo era un pianto di liberazio­ne. Lo aveva trattenuto in tutti quei giorni, e ora l'emozione aveva avuto il sopravvento. Padre Agostino lo guardava e provava una gran pena. Sentiva anche lui una violenta commozione, ma volle resistere ad ogni costo per non aumentare la desolazione del con­fratello. - Fatti coraggio, Piuccio - mormorò, ma si rese subito conto che le sue parole suonavano ridicole in una situazione del genere. Rimase perciò in silenzio. - È una croce pesante, Padre spirituale, ogni giorno sempre più pesante - disse finalmente Padre Pio. - Il Signore questa volta mi vuole proprio stritolare. - Non dire così, figliolo. Il Signore ti chiede sofferenza solo perché sa che sei in grado di donargliela. - Questa volta mi sta chiedendo l'impossibile. - Conosce la tua capacità d’amare. - Non riesco ad accettare l'amaro calice. - Lo hai già accettato, figliolo, altrimenti il Signore non te lo avrebbe dato. Lui ti ama, lo sai. Ti guida con sapienza. - Ho cercato di richiamare alla mia mente queste belle rifles­sioni che anch'io ho suggerito tante volte alle anime che dirigevo. Ma quando ti tocca soffrire, allora le idee svaniscono come neb­bia al sole. È normale. Siamo fatti di carne, di sensibilità. La sofferenza porta sempre scompiglio, ma vedrai che a poco a poco la tua ani­ma riuscirà a capire. - E che una prova cosi non me l'aspettavo proprio. - Non ti ricordi che tu stesso qualche anno fa me l'avevi an­nunciata? - Però non credevo che si realizzasse così in fretta. - Tu devi continuare a stare in croce, figliolo. Lo hai chiesto al Signore, non ricordi? E gli uomini continueranno a battere sui chiodi. Ti sentirai morire in continuazione. Ma questo è l'amore supremo che collabora alla salvezza del mondo. - È il pensiero delle anime che più mi tormenta in questa prova. Ogni giorno venivano a me numerose, da ogni parte, per avere la misericordia di Dio. E attraverso di me il Signore operava con­versioni strepitose. Adesso mi sento morire, sapendo che molte al­tre anime verranno a cercarmi e non troveranno, forse per causa mia, la misericordia di Dio. - La troveranno, Piuccio, la troveranno. Non sei stato tu a sce­gliere questa condizione. Tu sei qui, prigioniero, per obbedire ai tuoi Superiori. Con le sofferenze dell'obbedienza e con la preghiera otterrai per quelle anime molto più di quanto potresti ottenere conversando con loro. Tu non puoi immaginare quante anime sal­verai con questa prova, Piuccio mio. Solo un giorno, quando en­trerai nella gloria, potrai conoscere i disegni di Dio E constaterai, allora, quanto bene hai operato piangendo. - Le sue parole, Padre, mi danno conforto. Io credo a quanto mi dice e perciò chiederò al Signore di aumentare ancora le mie pene, se queste servono a salvare anime. - Non esagerare con queste richieste, sai che il Signore ti prende in parola. Adesso sei già in croce, non pretendere altri tormenti. - Quando verrà a trovarmi ancora? - Tutte le volte che posso. - Venga spesso, Padre. Adesso mi sento meglio. Mi fa tanto bene poter parlare con lei. - Verrò, Piuccio, verrò presto.

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