Liber chronicus parr. Ia di vedeseta



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30 Vuoto nel testo. Per quanti sforzi io abbia fatto, scorrendo avanti e indietro le pagine delle Notizie storiche..., op. cit., nella ristampa anastatica della 1a edizione del 1840 fatta dalla Forni Editore Bologna (1972), non mi è stato dato di trovare il passaggio qui citato.

31 E' un accenno alla credenza circa l'antichità della tradizione casearia in Valle Taleggio, campo in cui nel corso della sua storia si è indubbiamente distinta, in particolare con due produzioni che, oggi , si chiamerebbero d'eccellenza: lo strachì quadro o taleggio conosciuto in tutto il mondo e lo strachìtunt, un formaggio erborinato di forma tonda tornato recentemente alla ribalta e in procinto di ottenere la DOP. L'abate Angelo Mazzoleni nel suo manoscritto di inizio 1700 intitolato Memorie relative al territorio bergamasco in ordine di alfabeto relativamente ai singoli comuni tra le molte cose interessanti che dice nelle due pagine fitte dedicate alla Valle Taleggio e tratte da documenti, atti, codici, autori da lui citati minuziosamente ricorda che nella seconda metà del 300 sotto Bernabò Visconti e suo figlio Rodolfo la Valle doveva ai duchi di Milano un tributo annuo costituito da "ducentum pensa casei boni pulchri ac bene axaxonati" (S. Salvetti, Taleggio la terra la storia, pag. 94). Lecito pensare che l'"angaria", che doveva essere onorata con la consegna di metà delle 200 forme di formaggio, ben stagionato, a Natale e metà a Pasqua, riguardasse un prodotto sicuramente rinomato già a quei tempi.

32 Come sottolineato alla nota n. 28, questi riferimenti temporali sono ampiamente da

anticipare.



33 Cacorviglio.

34 Retaggio. Questa indicazione più che costruita su qualche documento o su qualche reperto sembra figlia della "vulgata", che abbiamo detto ormai superata, che vuole i primi abitatori della valle in fuga dalla pianura per mettersi in salvo dalle violenze dei barbari invasori. In quella ipotesi - ma solo in quella! - Retazzo/Retaggio, luogo riparato e nascosto, può avere le carte in regola per la nomina

35 Per non ingenerare equivoci nel lettore che non conoscesse bene i luoghi, Lavina si trova in sponda sinistra del corso d'acqua principale, vale a dire sul versante al di qua dell'Enna.

36 Sull'epoca di costruzione di Vedeseta nulla da aggiungere a quanto già detto alla nota 27. Sulla voce della sua sepoltura sotto una grande frana, che, almeno in forma flebile, è rimasta nella tradizione orale fino ad oggi, e che sarebbe confortata da ritrovamenti di utensili e di suppellettili, purtroppo non disponibili, rinvenuti in loco si resta incerti tra veridicità e elemento narrativo "epico" che si ritrova nei racconti delle origini di molti paesi di montagna. Una indagine geologica potrebbe, in proposito, sfatare o confermare.

37 Non solo la storia locale, ma il cronista per eccellenza di quel feroce periodo della storia bergamasca, Castello Castelli, per parte ghibellina partecipe diretto di molti avvenimenti. Che nel suo Chronicum... a più riprese parla degli esponenti guelfi e ghibellini della Valle, dei loro scontri e dell'apporto dato dagli Arrigoni - che più volte si spingono a far attacchi e devastazioni anche fuori dal proprio territorio, in Valle Imagna e a Bergamo stessa, ad es. - alla fazione ghibellina bergamasca guidata dai Suardi.

38 Di vivo sasso. Sono i cippi confinari, non pochi ancor oggi visibili nella loro sede, più noti come Termenù, grandi termini.

39 E' la peste, scoppiata in seguito a anni di forte carestia, descritta dal Manzoni nei Promessi sposi. Solo in Bergamasca farà 30 mila morti. Molti i morti anche nelle valli, con paesi che vennero falcidiati.

40 Discendenti.

41 Anche se il giurista Geronimo Magnocavallo di Como, nella sua dettagliata relazione in data 22 giugno 1578, seguita al sopralluogo per la lite confinaria che in quel periodo si era fatta particolarmente acuta, dice espressamente "Almentarga ora Riceto" (Valle Brembana antica terra di frontiera, op.cit., pag. 155, nota 20) Menterga e Reggetto, come correttamente al cap. II del Chronicus, erano e restano due località distinte anche se vicine. Il toponimo Reggetto, con una serie di sue varianti (Rezeto, Rozeto, Riceto, Ragietto, Rasetto, Reietto, Resetto, Reseto, Redetto), compare e si afferma come nome di località di riferimento, anche se ancora con qualche incertezza proprio a partire dalla seconda metà del 1500 (In Visita di San Carlo 1566 - Stato d'anime 1568, curato da Arrigo Arrigoni nel 1983, nei verbali relativi al passaggio del Cardinale a Vedeseta tra le frazioni facenti parte della parrocchia viene citato espressamente Redetto; nello Stato delle anime, i nuclei familiari censiti sono distribuiti fra Vedeseta-centro, Avolasio, Lavina e Roncalli. Reggetto compare solo indirettamente, quasi come soprannome - Antonio Rasetto di Rigoni, meser Cristallo Rezeto de Quartitore - e le famiglie che là sicuramente risiedevano, vengono curiosamente elencate con quelle della Lavina). Fino ad allora di questo toponimo non c'è traccia nelle mappe e gli atti notarili continuano ad assegnare tutti i fondi posti in quell'area al "loco de Almentarga", luogo che la tradizione vuole tra i primi di Vedeseta ad essere abitato. Nella mappa più antica della Valle che conosciamo, risalente alla seconda metà del 1400, al tempo della pace di Lodi, è riportato con grande evidenza un castello con la scritta Placellum (o Plancellum) cum ulmis posterga nunc derupatum. E' in questo Pianchello, luogo fortificato per eccellenza dei ghibellini di Vedeseta (Reggetto conserva anche oggi un Pianchello nelle sue immediate vicinanze) in quel momento semidistrutto ad opera degli avversari guelfi, più che nella Menterga, che va identificato Reggetto. Pianchelo e Almenterga insieme ai "locis" del "Canto, Lalavina, Vedeseta, Anolasio, Pratoiunio" (vedi G. Pesenti e F. Carminati in Valle Brembana antica terra... pagg. 22 e 35-36) compaiono nella "convenzione dichiarata appendice nonché parte integrante del trattato di Lodi" con il quale il 4 agosto del 1456 Venezia e Milano firmano l'accordo definitivo al trattato di pace raggiunto nel 1454 appunto a Lodi. Pace che sancisce la spartizione della Lombardia (e anche della piccola Valle Taleggio).

 Si può senz'altro, anche per quanto detto in nota 41, convenire sul significato qui adombrato, che allude a luogo difeso, fortificato. Ma forse più che termine gallo-celtico, vista anche la sua comparsa piuttosto recente, Reggetto, così come Menterga (da Armentaria, posto di armenti ) e molti altri toponimi valtaleggini, parrebbe di derivazione latina. Forse Receptum?

42 Si può senz'altro, anche per quanto detto in nota 41, convenire sul significato qui adombrato, che allude a luogo difeso, fortificato. Ma forse più che termine gallo-celtico, vista anche la sua comparsa piuttosto recente, Reggetto, così come Menterga (da Armentaria, posto di armenti ) e molti altri toponimi valtaleggini, parrebbe di derivazione latina. Forse Receptum?

43 Roncalli. Salgugia, Pratocaraviglio, Canto e Suaggio sono sicuramente preesistenti al 1566 essendo, sia pure con qualche alterazione terminologica, chiaramente citati nel verbali della prima visita pastorale di S. Carlo Borromeo a Vedeseta avvenuta proprio in quell'anno. Vedi alle pagg 18-19 degli atti della Visita di S. Carlo 1566..., op. cit. Quasi tutti compaiono già in atti notarili di fine 400/inizio 500. Inutile ripetere che anche la formazione di queste contrade è, con ogni probabilità, molto molto più antica.

44 Sembra improbabile che da Pralongo e dal Canto vi sia la stessa distanza da Vedeseta! In realtà il Canto rispetto a Vedeseta sta a circa 1500 m, due volte tanto la distanza di Pralongo.

45 Anche qui vi è più di una inesattezza. Se le località di cui si parla sono Suaggio e Capassero tra di loro vi sono 100 metri di differenza che fanno salire la distanza del Suaggio da Vedeseta a quasi 500 m contro i 400 del Capassero.

46 Manoscritti inediti..., op. cit., pag. 175.

47 Non si sa quale fondamento dare a questa affermazione...

48 Più probabilmente Ciresa. Non risultando, nemmeno a fine Ottocento, presente a Vedeseta il cognome Ceresa.

49 La storia di Vedeseta e della Valle Taleggio, come quella di molti paesi di montagna, e non solo di quelli di montagna, è storia antica di emigrazione, di ricerca di migliori condizioni di vita per sé e per i discendenti. Nel 1568 su 419 vedesetesi censiti dallo Stato d'anime ben 57 risultano "absenti". Vedi Visita di San Carlo 1566..., op. cit., pag. 98. Ma già negli atti notarili del quattrocento compaiono testimonianze di un rapporto tra la valle e Roma, segno inequivocabile della presenza - e parrebbe presenza non anonima, se pensano a mettere in piedi una Confraternita! - di valtaleggini nella città eterna (Notaio Salvioni Costanzo, 1478, Atto di procura di quelli di Fraggio, Pizino e Sottochiesa per terminare una "scola" in urbe Roma).

50 Del padre, parrebbe di capire!

51 Oggi Mincucco.

52 Il 1428 è l'anno della presa di possesso della Bergamasca da parte di Venezia. Dopo un periodo altalenante di incertezza la Valle Taleggio si divide in due, e diventa terra di confine con Vedeseta che sceglie di restare con Milano. Questa divisione verrà confermata con la pace di Lodi del 1454 e successivo accordo definitivo del 1456.

53 "Basamort", Baciamorti. E' più probabile che Basamort sia il frutto della corruzione dialettale della denominazione Maxione mora rinvenibile la prima volta (G. Pesenti e F. Carminati Valle Brembana antica terra... pagg. 131-135) nel 1294 e che compare successivamente come Maxone mora, Masoni moro, Masamoro, Masamor precedute dalla specifica monte di... planche di..., tege di.... La derivazione è , verosimilmente, dal latino Mansiones morae (che potrebbe valere come "cascine scure" o, forse meglio, come "cascine di sosta"). Ma dato il forte radicamento della suggestiva tradizione popolare riferita anche dal Chronicus, non è da escludere che le Mansiones morae abbiano silenziosamente assistito nei tempi antichi al bacio dei parenti dato ai morti dell'Alta Valle avviati verso la sepoltura in terra sacra in Valle Taleggio.

54 Annotazione a matita, probabilmente non coeva alla stesura del testo. Forse da parte di qualche successore di don Artusi.

55 Parrebbe più corretto 1428.

56 "Costruita". La formula "costrutta", "costrutto" sarà la scelta largamente preferita dagli estensori del Chronicus.

57 La prima testimonianza in documenti dell'esistenza di una chiesa o cappella dedicata a S. Bartolomeo risale al 1280. Goffredo da Bussero nel suo Liber notitiae sanctorum Mediolani per la Valtaleggio cita, mettendole sotto l'elenco delle chiese della Valsassina, "San Bortolame de Vendexea Vallisassinae" e "St. Iacopo de Pegera".

58 Dopo pag. 43, per probabile distrazione, il parroco don Artusi al quale si deve, probabilmente, anche la numerazione materiale dell’intero manoscritto, riprende a numerare i fogli ritornando al 42.

59 Sulle controversie di confine, durate con fase alterne di bonaccia e di tensione e scontri, non solo con Taleggio ma con Valtorta e con Barzio, dal 1400 a tutto il settecento con qualche strascico anche oltre, è ricco di informazioni e dettagliato Valle Brembana antica terra..., op. cit..

60 Nella seconda metà del secolo scorso purtroppo lasciato in progressivo decadimento e in parte demolito.

61 Il braccio era una unità di misura variante tra 0,58 e 0,68 m lineari.

62 Passanti.

63 Pertica milanese. Vale 654,5 mq.

64 Il quadro, restaurato una decina di anni fa, è ora in sacrestia della chiesa parrocchiale di Vedeseta.

65 Anche questo quadro, restaurato, è ora presente nella parrocchiale.

66 Il quadro, in grave stato di degrado, si trova ancora sulla parete di sinistra della chiesa. Il soggetto è analogo e probabilmente coevo a quello presente in chiesa parrocchiale. In questo di San Bartolomeoai piedi del Crocifisso compaiono un monaco (forse Sant'Antonio) e un sacerdote vestito dei sacri paramenti (San Vincenzo Ferreri?), in quello presente in parrocchiale i due personaggi rappresentati sono i due fratelli Pasinetti: uno don Giovanni Pietro Locatelli, di Olda, per più di 50 anni parroco benemerito di Vedeseta, l'altro, il fratello Angelo Maria, protonotaio apostolico, come dice il Chronicus offerente del Crocifisso di San Bartolomeo.

67 Non è chiaro a quale invasione si alluda.

68 Esattamente 18 ottobre, venerdì. Il 19 e il 20 vengono visitate Peghera, Olda, Sottochiesa e Pizzino e la sera della domenica il Cardinal Borromeo è a Santa Brigida (Visita di S. Carlo 1566..., op. cit.).

69 Nel senso di "facenti parte del Comune", ovviamente!

70 La sola copia che si conosca di questo strumento è la parte trascritta all'interno del già ricordato manoscritto Cenni e osservazioni sulla Vallata dell'Enna di Giuseppe Locatelli, nonno del compilatore della prima parte del Chronicus.

71 In realtà, anche se la sostanza non cambia di molto, secondo i verbali della Visita del 1566 (Visita di San Carlo 1566..., op. cit., pag. 18) la rendita era di 120 lire imperiali.

72 Secondo una correzione sovrascritta a mano, non si sa ad opera di chi, Francesco diventa Giovanni.

73 E' la famiglia più nota come Arrigoni "Chèk".

74 "Caterina". Il quadro, in discrete condizioni, si trova ora in chiesa parrocchiale, sulla parete di sinistra del presbiterio.

75 Dotata.

76 "Contagio". E' la peste, in particolare quella del 1630, diffusa dai Lanzichenecchi e descritta dal Manzoni nel suo capolavoro.

77 E' la fornace, condotta dalla famiglia Pesenti "Fournasèr"e aperta dalla famiglia Arrigoni "Caserino", tra le più benestanti del paese, che nel corso dell'800 con spirito imprenditoriale tenterà con alcuni rami del casato strade nuove nell'industria e nel commercio, come i primi tentativi delle confetture di marmellata (a Trieste) e di mettere in scatola i pomodori pelati (Crema) o la carne (in Argentina). L'attività della fornace, testimoniata da grandi coppi irregolari rinvenibili ancora su qualche tetto e che in fatto di resistenza danno dei punti a prodotti più moderni, purtroppo non durò a lungo, probabilmente per esaurimento della vena.

78 Il quadro è tuttora presente nella chiesetta di Reggetto.

79 Pennello. Mentre per altri termini, vedi Reggetto/Regetto ad es., l’amanuense alterna forme diverse, per pennello preferisce decisamente la forma più vicina al dialettale penel.

80 Anche questo quadro, in discrete condizioni dopo una recente pulizia e un intervento consistente di restauro operato tra gli anni 60 e 70 del secolo scorso, è presente in chiesa parrocchiale posto sul lato destro del coro.

81 La casa, riattata, è tutt'oggi esistente e sempre di proprietà della famiglia Invernizzi.

82 Indicazione errata. La Noca si trova a sud est di Vedeseta e a nord ovest della Lavina, a un po’ meno di metà strada tra la prima e la seconda.

83 Improbabile italianizzazione della voce Zopél, che in dialetto di Vedeseta presenta anche l'accrescitivo Zopelù, e che sta per gradino, o gradone, un brusco cambio di livello, insomma.

84 Delle Cappellette o tribuline fatte erigere dal parroco Gio. Pietro Locatelli sono andate perse, per varie ragioni, per lo più a motivo di viabilità, le due sul sagrato, quella in zona Torre, quella in zona Menterga e quella dei Salini. Anche di quelle esistenti, però, gli affreschi o sono andati del tutto perduti - sostituiti, in qualche caso, con nuovi dipinti non di grande mano - o si conservano solo in parte, sufficiente a suscitare rimpianti.

85 Lo stato di questo grande ritratto, portato in anni recenti presso la parrocchiale, è piuttosto precario e bisognevole di intervento di restauro.

86 Lo stato di questa cappella, così cara al cuore di don Artusi e dei vedesetesi del tempo, è di profondo degrado. Persi, purtroppo, gli splendidi affreschi del Sibella.

87 Sembrerebbe incredibile che nei tempi in cui la viabilità era fatta di un reticolo di sentieri, di mulattiere e, tutt'alpiù, di strade cavalcatorie i commercianti potessero raggiungere posti come San Bartolomeo. In realtà quando "pedibus calcantibus" o al massimo il mulo costituivano il miglior mezzo di locomozione per le persone gli scambi e le relazioni, commerciali e non, tra individui e comunità anche parecchio lontane, erano del tutto consuete. A questo proposito è interessante il lavoro di ricerca dell'antropologa C. Grasseni Lo sguardo della mano. Pratiche della località e antropologia della visione in una comunità montana lombarda.

88 La data non è corretta. Va letto 1754. L'ing. Arrigoni, pagg. 354-355 op. cit., parla di due visite del Card. Giuseppe Pozzobonelli, una nel 1746 e l'altra nel 1754. In entrambe, secondo quanto egli dice, percorse anche "le valli Averara e Taleggio". Alla pag. 49 della Chiesa parrocchiale di Pizzino ... di N. Ghilardi si legge: "Come fu già accennato, sotto il porticato occidentale della Chiesa ....... leggonsi, sulla parete, due iscrizioni, che servirono come arco trionfale all'ingresso del Cardinal Giuseppe Pozzobonelli, quando venne come visitatore e consacrante della nuova Parrocchiale (18 giugno 1754)".

89 Sarà stata anche infelice la scelta del luogo per costruire la nuova chiesa, soprattutto per quanto ne riguarda l'orientamento. Resta il fatto che, grazie forse anche alle opere di palificazione che supponiamo imponenti, dopo 200 anni e più la grande costruzione si presenta in modo sorprendente integra. Per comprendere, poi, le eventuali ragioni di quell'orientamento poco gradito dal cronista occorre tener presente almeno tre dati: la prima che la Vedeseta di fine Settecento si stendeva quasi del tutto nella parte est a ridosso dell'attuale sagrato, la seconda che non esisteva passaggio pubblico tra lo scurolo e l'attuale albergo dell'Angelo e che la strada principale dalla Lavina arrivava sul sagrato attraverso il passaggio porticato o, essendo il cortile della famiglia Arrigoni "Chek" chiuso da portone, attraverso la scalinata del lavello e la piazzetta della casa torre e che le cavalcatorie per Reggetto e Avolasio avevano principio e sbocco naturale proprio nel sagrato e, infine, che il vecchio campanile ergendosi sull'area dell'attuale cinemaoratorio si trovava proprio di fronte all'ingresso principale della nuova chiesa.

90 "Compirono l'opera la fatica operosa e l'offerta del popolo".

91 Stando alla indicazione contenuta nella 3a parte don Rocca lasciò Vedeseta nel 1856.

92 Ancora presente, appeso sulla destra del presbiterio. In stato discreto, dopo un intervento di restauro, ma i colori si sono smagriti e opacizzati.

93 Cenerino!

94 Da ricordare le vicende diverse delle due cappelle. Quella di destra, a parte il brevissimo periodo iniziale in cui ha ospitato il quadro di S. Rocco, è poi diventata la cappella dedicata alla Madonna e tale è restata fino a oggi con pochissimi cambiamenti rispetto alla descrizione fatta in queste pagine. La cappella di fronte, dedicata inizialmente alla Madonna, ha subito invece più di un cambiamento e se oggi è tornata a ospitare nella nicchia centrale il patrono S. Antonio Abate, nel tempo è stata dedicata via via a S. Rocco, a S. Antonio e, nella seconda metà del secolo scorso, previo un intervento consistente sulla parte decorativa e marmorea, al S. Cuore.

95 Iscritti.

96 Il quadro è a tutt'oggi nella sua sede. Così come quello di Sant'Agostino. Al posto della regina Ester la già citata tela portata dalla chiesetta della Lavina e raffigurante S. Carlo Borromeo. Vedi anche nota 80.

97 Il quadro, che reca la data del 1734, è ancora al suo posto, in buone condizioni dopo il restauro operato nel 1994/95. In quell'occasione dal lavoro di pulizia delle restauratrici emersero ai piedi della croce, oltre che il cartiglio, due personaggi a mezzo busto raffiguranti il benemerito Parroco Giovanni Pietro Locatelli e suo fratello Giorgio Maria, Notaio protoapostolico, della famiglia Pasinetti di Olda. Chiaramente i due offerenti, coperti non si sa in quale occasione da una mano di vernice.

98 Ora posto sulla destra nell'abside del coro. Vedi anche note 80 e 96.

99 Ora sulla parete di destra del presbiterio. Vedi anche nota 92.

100 Il quadro, purtroppo, non risulta più tra quelli in dotazione alla chiesa parrocchiale.

101 Anche questi due quadri sono ancora presenti: S. Michele restaurato con la sua cornice, S. Giovanni Battista in cattive condizioni.

102 Il ritorno, fatto negli anni 60 del secolo scorso, alla celebrazione della festa patronale nella terza domenica di gennaio non avvenne senza accese polemiche. Come si vede in realtà si trattava del ripristino di una consuetudine antica...

103 Il nome del Parroco è stato aggiunto a inchiostro rosso sopra il testo. Forse da don Artusi stesso.

104 A motivi floreali.

105 Rifiniture.

106 Una delle torri - l'altra era quella del Pianchello/Reggetto e la terza era quella che sorgeva in località Torre e vigilava dall'alto sul paese - che Vedeseta si era data tra due/trecento quando anche in Valle divampò e a lungo perdurò la lotta tra Guelfi e Ghibellini con divisione tra le famiglie e le comunità (Pizzino con le altre frazioni di Taleggio guelfe, Vedeseta ghibellina) che prefigura quella politica che sarebbe arrivata nel 1400 con la conquista veneziana del territorio di Bergamo. Sulla Torre d’Orlando, e sulla sua distruzione, vedi anche alla pag. 131 del manoscritto

107 La libbra è una antica unità di peso, di valore variabile, a seconda dei tempi dei luoghi, compresi fra 330 e 550 g. Usata dai romani è rimasta praticamente in vigore fino all'introduzione del sistema metrico-decimale, in epoca napoleonica.

108 Rendita.

109 Costumanza durata fino alle soglie degli anni sessanta del secolo appena trascorso.

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